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Spadaccia Gianfranco - 31 gennaio 1984
TRE MILIONI DI VIVI: E' DAVVERO IMPOSSIBILE?
Le dimissioni di Cicciomessere e Rutelli

di Gianfranco Spadaccia

SOMMARIO: Le dimissioni del segretario e del tesoriere del partito chiedono una risposta. La domanda è: dobbiamo rinunciare all'obiettivo dei tre milioni di vivi? Oppure possiamo farcela davvero, quest'anno? Noi stiamo atttuando gli ultimi tentetivi per mutare le sfavorevoli condizioni politiche che ci hanno, fino ad oggi, impedito di vincere: la volontà negativa della classe politica, la disinformazione, l'alterazione e lo stravolgimento della proposta radicale. Dall'esito di questi tentativi, quindi anche dalla risposta che darete voi ai nostri appelli, dipenderà la decisione ultima: l'attuazione dell'obiettivo o il suo definitivo abbandono in un congresso straordinario.

(NOTIZIE RADICALI n. 1, 31 gennaio 1984)

Dimissioni giuste, dimissioni sbagliate? Dimissioni da confermare, dimissioni da ritirare? Queste domande hanno accompagnato tutto il dibattito che si è svolto al Consiglio federale il 13, 14, e 15 gennaio. Ma le stesse domande, gli stessi argomenti erano stati formulati subito dopo l'annuncio delle dimissioni di Cicciomessere e di Rutelli, il 2 di gennaio. E ce le sentiamo riproporre da molte compagne e compagni, quasi negli stessi termini, dopo il Consiglio federale.

Intendiamo qui fornire una risposta a questi interrogativi nella maniera più chiara e, speriamo, convincente. Intendiamo anche proporre i possibili scenari di iniziativa e di impegno che consentano di superare positivamente i difficili problemi posti da queste dimissioni (e che hanno imposto o determinato queste dimissioni).

Rispondere in primo luogo a queste domande comporta la necessità di ripercorrere e ricordare gli impegni che gli organi esecutivi - segretario, tesoriere, giunta - hanno già dovuto affrontare per adempiere il mandato congressuale.

"La campagna di iscrizioni e di autofinanziamento"

Quest'anno, in considerazione dello straordinario obiettivo fissato dalla mozione, ha avuto praticamente inizio già l'ultimo giorno del congresso di novembre. Tutti ricorderanno l'appello lanciato dalla tribuna dal compagno "Mauro Zanella" con la sua autodichiarazione di iscrizione e con l'invito rivolto ai congressisti. Cominciarono ad arrivare in quella sede i primi impegni di iscrizione.

Nei giorni successivi, l'intero partito nelle sue strutture organizzate con i suoi organi pressoché al completo, si trasferì a Napoli per adempiere al primo mandato che almeno cronologicamente gli era stato affidato dal congresso: la campagna per il non voto a Napoli (le elezioni si svolsero il 20 novembre). In questi venti giorni l'unico lavoro assicurato a Roma è stato di conseguenza il lavoro di impianto della campagna di autofinanziamento. Il primo Consiglio federale - che ha fissato la nuova quota di iscrizione a 110 mila lire - si è potuto svolgere soltanto nella settimana successiva.

A fine novembre le iscrizioni erano 639. I soldi raccolti 225 milioni.

Al 31 dicembre gli iscritti al Partito radicale del 1984 erano 1.490. I soldi raccolti erano 543 milioni.

Nella storia del Partito radicale sono cifre record, sono risultati senza precedenti. Anche tenendo presente che quest'anno la campagna era stata lanciata giù al momento del congresso e che i mesi di novembre e di dicembre 1982 non erano stati mesi di massimo impegno per la campagna iscrizione 1983, la cifra degli iscritti era triplicata, quasi quadruplicata la cifra dei fondi raccolti attraverso le iscrizioni e i contributi, quasi raddoppiata la quota media di iscrizione di ciascun radicale.

Un successo politico indubitabile del Partito radicale, che vede stringersi subito intorno al suo simbolo e al suo programma congressuale un gran numero di iscritti. Ma, anche, un successo politico insufficiente. Proprio nel momento di maggior forza organizzata, si deve prendere atto della propria debolezza. Non è un paradosso. Mancano 460 milioni alla cifra di un miliardo fissata dalla mozione congressuale per il 31 dicembre.

"Le dimissioni di Cicciomessere e di Rutelli"

Il segretario ed il tesoriere non possono, e comunque non intendono, far finta di nulla. Non possono, e comunque non intendono, sottolineare il successo e fingere di ignorare la distanza dall'obiettivo fissato.

Un miliardo entro l'83 e tre miliardi complessivi entro l'anno non sono numeri magici: sono le condizioni reputate dal Congresso "necessarie", non certo sufficienti, per tentare di onorare e di adempiere i difficilissimi obiettivi della mozione congressuale: sono di conseguenza la cifra economica e finanziaria delle nostre difficoltà politiche.

Prudentemente, tuttavia, segretario e tesoriere non rendono immediatamente esecutive le loro dimissioni, convocando il Consiglio federale per il 13 gennaio.

L'annuncio delle dimissioni viene dato il 2 gennaio in una conferenza stampa. L'accento viene posto su due aspetti politici: da una parte "il diritto all'onestà" della vita politica di cui il Partito radicale è, con la campagna di iscrizioni e di autofinanziamento e con le dimissioni dei suoi organi, protagonista; dall'altra la solitudine in cui vengono lasciati non i radicali, ma il presidente della Repubblica ed il pontefice, quando - come è accaduto a Capodanno - levano la loro voce contro lo sterminio per fame.

Attraverso la conferenza stampa, che viene ripresa sia dai telegiornali che dalla stampa, l'appello si rivolge non più soltanto agli ex iscritti, o all'area di ascolto di Radio radicale e Telearma 56, ma all'opinione pubblica e al paese.

L'appello ha successo anche se solo in parte. Alla fine del Consiglio federale gli iscritti sono 1.944. I fondi raccolti raggiungono i 776 milioni. L'eccezionalità del risultato non ha bisogno di essere sottolineata: in poco più di due mesi e mezzo dal congresso si è raggiunta quasi l'intera cifra dell'autofinanziamento del 1983, già ritenuta eccezionale nella storia del partito.

"Il perché delle dimissioni - Il dibattito al Consiglio federale"

Al Consiglio federale Cicciomessere e Rutelli, pur attendendo i consigli e le conclusioni del dibattito, confermano di considerarsi dimissionari. La valutazione espressa da Roberto Cicciomessere nel motivare le dimissioni era che, allo stato dei fatti e dei risultati conseguiti, non esistevano le condizioni per sperare di potere adempiere agli obiettivi della mozione congressuale: quelle che affermavano ""politicamente necessario, doveroso, possibile esperire ogni strumento non ancora utilizzato e ogni altro, con compiutezza e forza rinnovata, prima di arrivare a valutazioni conclusive sulla battaglia contro lo sterminio per fame"" e che impegnavano ad organizzare ""sin d'ora, per i prossimi mesi una campagna contro lo sterminio per fame che abbia come obiettivo di ogni istante l'approvazione della legge dei sindaci..."". Fingere il contrario, secondo Cicciomessere, sarebbe irresponsabile perché significherebbe fin d'ora rassegnarsi a conclusioni negative, cioè al fallimento della nostra lotta contro lo ster

minio, darlo per scontato senza neppure tentare di impedirlo.

Gli organi esecutivi hanno presentato al Consiglio federale un progetto di attuazione della mozione congressuale (i primi tre punti sono stati pubblicati su "Lettera Radicale" n. 3 del 23 gennaio) e, il tesoriere, almeno nelle grandi linee, un bilancio preventivo sia per l'utilizzazione del finanziamento pubblico spettante al partito, sia per l'autofinanziamento di 3 miliardi richiesto dalla mozione.

Ma la loro comune valutazione è che, senza fatti nuovi, il progetto non abbia in sé la forza di conseguire gli obiettivi congressuali. Occorre assicurare a questo progetto la forza politica che il partito attualmente non ha. Questo è il punto. Questo è il motivo reale delle dimissioni.

Rutelli chiarisce che il problema non è immediatamente finanziario, ma politico ed economico insieme.

L'eccezionale dedizione dei compagni iscritti non può far dimenticare che la percentuale di nuove iscrizioni è solo del 12-13%: 250 su circa duemila; un sintomo, anche questo, dell'isolamento in cui il partito si trova nella società.

"Dimissioni? Una fuga, una smobilitazione, una dichiarazione di sconfitta?"

Non abbiamo la pretesa di riassumere qui due giorni e mezzi pieni di dibattito del Consiglio. Possiamo soltanto provare ad evocare le obiezioni, le preoccupazioni e i problemi che hanno attraversato il Consiglio e, del resto, la stessa giunta federale.

Ma come, il congresso vi dà un anno per la verifica, o - anche nelle ipotesi più restrittive - vi dà tempo fino alle elezioni europee, o al più al momento della marcia di Pasqua, e cioè ad aprile, e voi la anticipate addirittura a gennaio?

Ma come, voi dite che bisogna assicurare "forza politica" al progetto che avete presentato e pretendete di trovare forza dicendo "non ce la facciamo", "siamo isolati", "non esistono le condizioni"? Non è questa già una dichiarazione di sconfitta, un invito non al rilancio e alla mobilitazione, ma alla smobilitazione? E i compagni che si sono iscritti sugli obiettivi della mozione, che hanno fatto sacrifici economici come devono prendere questa decisione? Non ne saranno scoraggiati? O, peggio, non si sentiranno ingannati e truffati?

Ma come, per la prima volta nella storia di questo partito vi presentate con un progetto di attuazione, per quanto riguarda la lotta allo sterminio, ricco di scadenze importanti, di convegni autorevolissimi e prestigiosi anche a livello internazionale, e invece di procedere ad attuarlo, dite che esso di per sé non ha forza politica e rischia di essere addirittura controproducente? Già l'annualità delle mozioni congressuali rischia ogni anno di privare il partito di investimenti di più lungo respiro, ora è lecito continuare in questa politica a strappi, sempre più affannosa e con tempi sempre più brevi?

Ma con questa fissazione monomaniaca, di guardare alla lettera del mandato congressuale, forzandone anzi la interpretazione, non vi infilate in un tunnel, non vivete le vostre responsabilità come un gruppo dirigente assediato, non vi deresponsabilizzate dalla politica radicale, che si fa e va avanti per altre vie - la fa Pannella, la si fa in Parlamento, la si fa con le elezioni di Napoli, la fate magari anche voi ma fuori delle vostre responsabilità? Forse a questo punto la motivazione rigorosa delle dimissioni di Roberto può essere una buona occasione per uscire dal tunnel: forse conviene "azzerare" tutta la nostra lotta sulla fame, per riproporla azzerata al mondo cattolico ricercando in questo ambito una convergenza, un obiettivo comune.

E infine, la mozione era largamente unitaria, certo non esprimeva tutto il congresso, ma non aveva trovato in congresso mozioni contrapposte; le vostre dimissioni non costituiscono una rottura di quel tanto, molto di unità che si era realizzato in congresso? E allora che c'è dietro queste dimissioni? C'è in gioco la concezione e l'evoluzione del nostro rapporto con le istituzioni, con le altre forze politiche? State per caso ipotecando le scelte e le prospettive del partito?

Come vedete un'ampia gamma di posizioni, di interrogativi. Ci scuseranno i compagni se le abbiamo assemblate e preteso di riassumerle per grandi linee, in maniera necessariamente sommaria, senza pretendere di individuarle nella loro appartenenza. Quale è stata la risposta del segretario del partito?

"No, un'occasione di chiarimento, di rilancio, di lotta politica"

Al congresso di novembre, siamo arrivati con un interrogativo posto dal segretario uscente: sullo sterminio per fame dovevamo registrare una sconfitta (la sconfitta di una battaglia) o il fallimento di un progetto, di un obiettivo divenuto fondamentale nella vita, nella storia del Partito radicale? A questa domanda - sconfitta o fallimento - il congresso, pressoché unanime, ha rifiutato di dare una risposta. Ha delineato un anno di verifica e ne ha dato mandato agli organi esecutivi, con una mozione congressuale che certo non dava, non poteva dare indicazioni tassative sui modi e i mezzi per attuarla; poteva indicare solo le difficoltà e indicare le condizioni minime necessarie.

Il congresso ha indicato un anno di verifica, un anno di lotta politica per conquistare le condizioni di un obiettivo che per tre anni non si era conseguito. Il soggetto della verifica non è, non può essere il prossimo congresso. Il soggetto della verifica è il partito, momento per momento, nei suoi organi esecutivi e deliberativi.

Le dimissioni sono un atto di prudenza, un atto di responsabilità. E' vero, il progetto di attuazione c'è, è buono, gli appuntamenti, soprattutto gli appuntamenti di Pasqua, sono importanti. Ma non possiamo fingere che queste scadenze possano da sole strappare le condizioni per la legge dei sindaci. Anzi, è già accaduto che strumenti e scadenze da noi costruiti nel recente passato siano stati poi utilizzati dai nostri avversari, da coloro che in nome dello sviluppo del terzo mondo operano poi a favore degli affari e contro la vita. In questo quadro non può passare senza significato per noi il fatto che gli accorati appelli di Giovanni Paolo II e di Pertini siano caduti nel vuoto, accolti dall'indifferenza e dal silenzio dell'intera classe politica.

Se c'è isolamento, determinato dai comportamenti dei "mass media", da una partitocrazia che uccide ogni autonomia e soffoca ogni tensione ideale, se non c'è forza politica, occorre prenderne atto per tentare di rompere l'isolamento, per richiamare alle loro responsabilità tutti coloro che rimangono assenti da questa lotta, da questo impegno: rappresentare la situazione, così com'è e ci appare, al mondo cattolico (non è possibile che, nel suo appello ai governanti, il Papa sia isolato anche dai cattolici), ai sindaci firmatari o sostenitori della legge, alle forze politiche e sindacali, alle istituzioni, all'opinione pubblica. Si tratta di trovare gli strumenti di una ulteriore iniziativa politica, non di abbandonare la nostra iniziativa politica. Si tratta non di avere scarsa fiducia nel progetto politico presentato, ma di preoccuparci di trovare la forza perché la proposta, il progetto, l'obiettivo per i quali ci battiamo siano riconoscibili e più forti nel passare attraverso gli appuntamenti, le scadenze c

he abbiamo previsto e stiamo preparando, con il concorso di istituzioni e forze italiane ed internazionali.

Quanto alla politica - e cioè gli altri fronti di lotta nei quali siamo impegnati - è una operazione puramente illusoria credere che su essi siamo meno isolati. Su tutti i fronti - e in primo luogo su quello della fame - se guardiamo all'interesse di partito, certo possiamo dire di aver ottenuto parecchio in prestigio e in credibilità, riguadagnato l'immagine di partito alternativo che credevano di aver lacerato. Ma se guardiamo agli sbocchi politici, alla speranza e possibilità di influire sugli avvenimenti e cambiare, se non fermare, il corso e la logica delle cose, il discorso è diverso: non consente ottimismi.

E se poi non fosse possibile rimuovere le cause che hanno indotto Cicciomessere e Rutelli alle dimissioni, allora meglio, mille volte meglio affrontarle subito e subito trarne le conseguenze, senza lasciare insediare in maniera surrettizia un "altro" partito, un partito che si è già rassegnato a rinunciare all'obiettivo dei tre milioni di vivi. Questo non potrebbe infatti avvenire che nella chiarezza e con le necessarie decisioni e iniziative politiche.

E allora, congresso straordinario?

Il Consiglio federale che aveva il statutario di convocarlo, non l'ha fatto, limitandosi a prendere atto delle dimissioni e lasciando al segretario e al tesoriere il compito di definire il modo di perfezionarle.

Ma al congresso straordinario, se ci si dovrà davvero arrivare, ci si può arrivare in due modi: come momento risolutore di una iniziativa politica che ha già avuto successo, e quindi un congresso, a quel punto, rivolto prevalentemente all'esterno; o un congresso invece che deve sanzionare la crisi dell'iniziativa e del tentativo affidato agli organi esecutivi e al partito dalla mozione di novembre.

Il consiglio federale ha approvato quasi all'unanimità, meno un voto e due astenuti, il documento proposto da Marco Pannella. Sono state infatti ritirate due mozioni, una presentata da Giovanni Negri, che prendeva atto da subito dell'impossibilità di portare a compimento il mandato congressuale per l'approvazione della legge dei sindaci, e proponeva una iniziativa esterna rivolta alle istituzioni e al paese; una presentata da Teodori, nel dispositivi, analoga alla terza di Melega. Questi ha invece mantenuto la sua che respingeva le dimissioni e invitava a realizzare il progetto di attuazione presentato dagli organi esecutivi.

Accanto alle due ipotesi di congresso straordinario ora delineate, la mozione Pannella ne indica una terza: che nei "tempi tecnico-politici" strettamente necessari sia possibile al partito, e quindi a tutti i radicali, non ai soli organi esecutivi, "rimuovere" le cause che hanno determinato le dimissioni.

Come già la mozione congressuale, quella del C.f. ci dice cosa è necessario fare, non "come" realizzarlo e assicurarlo. Sul "che fare" e sul come farlo, si stanno arrovellando Roberto Cicciomessere, Francesco Rutelli, la giunta federale, tentando di preparare strumenti nuovi, di immaginare iniziative possibili.

Strumenti e iniziative, per raggiungere il mondo cattolico in tutte le sue espressioni; le istituzioni, le forze politiche e sociali, i sindaci, l'opinione pubblica: non facili, costosi, qualche volta ardui. Ma a questo si sta lavorando.

E poi, sarà necessario, sarà inevitabile, che loro - il segretario, il tesoriere - riprendano il colloquio, con gli iscritti, con i simpatizzanti, con chi ha interesse ad ascoltarci e possiamo raggiungere attraverso Radio radicale. E' una illusione ingannevole? E' il guardarsi allo specchio che ti rimanda la tua immagine? E' un modo di avvitarsi nella propria crisi, senza guardare fuori, all'aria aperta? No. Radio radicale è uno strumento di informazione, è un'area d'ascolto. Dipende anche da noi potenziarla e allargarla. Lo faranno. Lo faremo. e lo si farà cominciando ancora una volta una lotta contro il tempo, fissando scadenze, obiettivi, chiedendo risposte e subordinando a queste risposte le scelte e le decisioni, anche quella della convocazione del congresso.

Intanto possiamo capire il disorientamento dei compagni, ma dobbiamo prendere atto che il numero delle iscrizioni è caduto ad una media di 6/7 al giorno, che è ugualmente caduto lo sforzo di autofinanziamento. Rimaniamo lontani a fine gennaio dal miliardo che avremmo dovuto raggiungere in dicembre. Certo è mancato il colloquio, sono mancati i "fili diretti "non stop"", ma se si facevano quelli, non si preparavano le altre cose, e non si lavorava per predisporre l'attuazione del progetto che, soprattutto per quanto riguarda la lotta allo sterminio per fame, non è certo stato abbandonato: è, deve essere "prezioso sostegno" e, come dice il documento del Cf, speriamo, sbocco politico della iniziativa delle dimissioni.

Quella che si è avuta in questi dieci giorni è la risposta del partito, la risposta del paese? Se fosse così, sarebbe già negativa e non rimarrebbe che prenderne atto.

 
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