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Cicciomessere Roberto - 2 febbraio 1984
Come per un terremoto
di Roberto Cicciomessere

SOMMARIO: In questo intervento Roberto Cicciomessere, dopo aver sottolineato come sia la Chiesa che le organizzazioni e le agenzie dell'ONU abbiano fatto tanto per alleviare le condizioni di vita delle popolazioni del Terzo e Quarto Mondo, deve constatare che la politica dello sviluppo non è approdata a nulla e che quindi si deve poter richiedere la mobilitazione della collettività come nel caso di una catastrofe naturale, ponendo fine agli interventi a pioggia che hanno provocato solo urbanizzazione e procedendo con interventi integrati nelle zone rurali. Questo è il modello che si rivolge anche a chi, probabilmente in dissenso con la politica radicale, ha la forza di ricercare comunque la verità.

(NOTIZIE RADICALI n. 2, 2 febbraio 1984)

Non ci interessano progeniture. Non siamo così presuntuosi da affermare di essere i soli ad occuparci degli sterminati per fame. Sappiamo che altri, molto prima di noi, hanno parlato e soprattutto fatto per alleviare le condizioni di vita di una così immensa moltitudine del Terzo e Quarto Mondo che paga a così caro prezzo il nostro benessere. La Chiesa innanzitutto e le tante organizzazioni e agenzie delle Nazioni Unite. Riconosciamo di aver letto e apprezzato, solo molti anni dopo la sua pubblicazione, la "Populorum Progressio". Da soli cinque anni, noi radicali, ci occupiamo di questo immenso problema. Ma è questo anche il nostro metodo e forse la nostra forza: non pretendere di fare meglio dove altri già fanno molto e intervenire solo quando abbiamo la speranza di contribuire a soluzioni politiche, legislative.

Abbiamo però appreso che tutte le istanze internazionali hanno dovuto riconoscere il fallimento delle strategie per lo sviluppo. Non solo non c'è stato sviluppo, ma la povertà è aumentata. Così i morti. "Non regalare i pesci ma insegnare a pescare" era stato il loro motto. Purtroppo i morti non imparano a pescare. Abbiamo letto nella "Populorum Progressio" che "le iniziative locali e individuali non bastano più".

Ci siamo detti quindi che è lo Stato, la collettività nazionale tutta che deve intervenire, che forse è il momento di smettere di uccidere milioni di esseri con fiumi di parole inutili, nel nome di un astratto e lontano sviluppo.

I poveri non mangiano teorie. E infatti dopo tante promesse la guerra alimentare continua a mietere vittime in due terzi del mondo che incessantemente rapiniamo per il nostro esclusivo benessere.

Allora ecco la nostra modesta proposta: lo Stato si comporti come nel caso di un terremoto o di altra catastrofe. E cioè prima il salvataggio delle persone minacciate e poi la ricostruzione del territorio. Costruiremo case destinate a rimanere vuote, se non salvassimo prima gli abitanti. Così nel sud del mondo abbiamo costruito cattedrali nel deserto, monumenti alla nostra stupidità e ingordigia, senza preoccuparci di coloro che, intanto, soccombono.

Basta quindi con i contributi a pioggia che alimentano solo le oligarchie e dittature dei paesi del Terzo Mondo, che hanno incentivato il tremendo fenomeno della urbanizzazione. Occorrono invece interventi integrati nelle zone rurali per salvare, con strategie e interventi alimentari, sanitari e infrastrutturali d'emergenza coloro che muoiono oggi di fame. Tutto ciò potrà essere il traino di una nuova politica di sviluppo, che assumendo come priorità la riduzione dei tassi di mortalità metta in grado gli uomini e le donne del sud del mondo di essere i protagonisti del proprio destino. Nulla si costruisce senza la vita.

Per cinque anni abbiamo sostenuto questa proposta con tutti i mezzi e con chiunque fosse disposto ad ascoltarci. Le tappe di questa campagna sono raccontate in questo giornale.

Abbiamo imposto ad una classe politica egoista e cinica di occuparsi, non solo a parole o con elemosine con cui salvarsi la coscienza a poco prezzo, del problema "non" della fame ma delle azioni precise, degli atti di governo e delle decisioni politiche che potrebbero ridurre significativamente il numero degli sterminati per fame.

Il nostro manifesto è una proposta di legge che tremila sindaci hanno sottoscritto e che impegna lo Stato italiano a raggiungere un obiettivo che è anche un metodo: salvare un numero determinato di persone, in un tempo determinato, con una quantità determinata di risorse.

E' l'unica garanzia perché le risorse non siano sprecate per mantenere funzionari, pagare viaggi, finanziare industrie interessate solo a vendere i propri prodotti a prescindere dalla loro utilità.

Dopo cinque anni, dopo impegni assunti in ogni istanza parlamentare italiana ed europea, la legge dei sindaci è stata completamente travisata e comunque bloccata presso la Commissione esteri della Camera. Allo stato nulla consente di sperare che il governo né le forze politiche vogliano provvedere a quel "decreto di vita" da tutti richiesto. Inascoltati sono rimasti perfino gli accorati appelli di Giovanni Paolo II e Sandro Pertini. Dobbiamo rassegnarci a ritenere che nulla è possibile ottenere da una classe politica cieca e sorda, interessata solo alle lotte di potere e di palazzo?

E' questa la domanda che consegniamo a tutti gli uomini di buona volontà, "a tutti i credenti in altro che nelle violenze del potere, del denaro, dell'ingiustizia, delle guerre alimentari o nucleari che siano, e nella loro ineluttabilità perché in un sussulto di speranza e di dignità diano voce, valore, corpo" a quell'imperativo del non uccidere che dovrebbe essere anche politico.

Con queste parole, con questo appello ci siano rivolti a tutti coloro che siamo riusciti a raggiungere.

Con questo giornale ci rivolgiamo a chi, pur distante da noi e probabilmente in dissenso con molti contenuti della nostra politica, ha la forza di ricercare soprattutto nel diverso la verità.

 
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