Le polemiche delle associazioni cattolichedi Mario Signorino
SOMMARIO: Gli interessi affaristici e di potere che si oppongono a un intervento straordinario per la salvezza di tre milioni di vite hanno trovato potenti alleati nel voltafaccia comunista e nel terzomondismo cattolico, miscela di assistenzialismo e di generico rivoluzionarismo. I comunisti ora dicono di puntare tutto sulla riforma della legge e delle strutture esistenti, ma nel loro progetto c'è poca riforma e molta lottizzazione partitocratica. Il ruolo di guastatori affidato a partigiani della pace anni cinquanta come la Castellina e Anderlini e ai catto-comunisti della cosiddetta Sinistra indipendente Masina e Codrignani. Anderlini propone di lottizzare anche gli affamati: Sahel ai cattolici, Somalia ai socialisti, Mozambico, Etiopia e Angola al Pci.
(NOTIZIE RADICALI N. 66, 14 marzo 1984)
Che ci saremmo ritrovati il Pci quale nemico principale nel nostro estremo tentativo contro lo sterminio per fame, potevamo anche immaginarlo. Che ad esso si sarebbe aggiunto l'altro potente fattore di ritardo costituito dall'incapacità e dalla cattiva volontà degli uomini dei partiti, pur solidali a parole con noi, anche questo potevamo considerarlo scontato. Ma che tra gli avversari più duri avremmo avuto i dirigenti delle organizzazioni di assistenza della chiesa, questo no, non abbiamo saputo prevederlo, e ancor oggi ci riempie di stupore.
Eppure è successo, in forme incredibilmente aspre, subito. Subito dopo la presentazione della proposta di legge Piccoli-Fortuna-Cicciomessere, è mons. Nervo, vicepresidente della Caritas, ad aprire le ostilità. Lo fa in modo aprioristico, appena tornato da un viaggio in Africa, senza aver neanche letto la proposta di legge. E vi torna su continuamente con il codazzo di tutte le associazioni del volontariato cattolico e laico, cogliendo ogni occasione di dibattito e di confronto per trasformarle in un attacco durissimo, spesso al limite della denigrazione, alla proposta dei "3 milioni di vivi". Stupisce che tra le tante accuse ci sia anche quella di assistenzialismo, visto che la Caritas altro non fa e non può fare, diciamo per sua natura.
Con questi attacchi la Caritas si è messa alla testa del fronte variopinto, ma non molto nobile, degli addetti ai lavori, dei professionisti del sottosviluppo, delle organizzazioni e istituti che da anni "fanno cultura" sulla fame nel mondo e di essa alimentano con sostanziosi finanziamenti i propri bilanci. E' questo coacervo di interessi che, con una convergenza esplicita di iniziative, ha dato fiato e consistenza al veto comunista contro il passaggio della nostra proposta.
La Caritas ha utilizzato, contro il decreto sui "tre milioni di vivi", l'arma dei "dubbi e perplessità" derivanti dalla sua lunga esperienza nel Terzo mondo. Dubbi e perplessità legittimi, se vengono adoperati per far crescere una politica adeguata alla gravità dei problemi e alla loro urgenza. Deleteri, invece, se l'esperienza acquisita con merito viene usata a difesa dell'esistente, contro i tentativi di innovazione.
Nessuno può ritenere soddisfacente la situazione attuale della politica degli aiuti; nessuno può pensare che bastino piccoli aggiustamenti, quando è dimostrato che essa, non solo non allevia, ma spesso peggiora le situazioni di povertà assoluta, di malnutrizione e di morte per fame nelle aree sempre più vaste del Terzo mondo. La morte di milioni di uomini è la cifra vera di tutte le azioni e di tutte le esperienze operate in questi decenni nel campo degli aiuti. Nessuna di esse può essere decentemente portata ad esempio: esempio di che? Di come il Nord industrializzato continua ad uccidere milioni di persone salvandosi l'anima con poche "buone azioni" e molti affari? Prudenza ci vuole, certo; ma innanzitutto nel valutare l'unica proposta politica nuova che in questi anni è riuscita a porre i problemi al centro del dibattito politico, l'unica proposta che ha l'ambizione di mutare radicalmente una situazione tragica e insostenibile.
Invece, incredibilmente, la Caritas sostiene la politica dei piccoli passi e dei tempi lunghi e riduce ai soli termini tecnici una grande questione che è innanzitutto politica morale. Nelle sue posizioni traspare una diffidenza di fondo nei confronti dell'azione dello Stato, a dimostrazione che una certa cultura e un certo ruolo storico dei cattolici nella vita italiana - dal Risorgimento all'unità, al fascismo - sono ancora ben vivi, anche se forse in modo non consapevole.
La pretesa è di ridurre l'azione dello Stato alle dimensioni e alla qualità delle associazioni, degli istituti, degli operatori privati. E' una cultura arcaica, sorda alle esigenze attuali sia dello Stato che della società, e soprattutto incapace di concepire una politica (o "la politica" in genere?) a misura dei problemi e dei bisogni dell'uomo.
Così facendo, la Caritas fa un'operazione che sa assai poco di carità: cerca di dare all'azione contro la fame non le dimensioni richieste dalla drammaticità e della gravità del problema, ma quelle rispondenti alla capacità operativa delle associazioni del volontariato e delle organizzazioni pubbliche, peraltro fallimentari.
E' il riflesso tipico degli addetti ai lavori, in tutto identico a quello delle imprese che vivono di commesse per gli "aiuti al Terzo mondo". Il problema che dovrebbero aggredire passa in secondo piano e così pure i morti per fame: l'importante è mantenere un "approccio corretto" e sperimentato, senza i rischi del nuovo. Gli anni continuano a passare, i morti crescono? Pare quasi che non debba essere questa la preoccupazione principale. Ma che cosa voleva dire l'aggettivo "cristiano"?