di Dominique FinonSOMMARIO: Secondo l'autore il costo del chilowattora di un reattore veloce al plutonio sarà due volte superiore al costo del kWh nucleare tradizionale.
(NOTIZIE RADICALI N. 66, 14 marzo 1984)
Il problema economico più grosso è il costo del plutonio, che finora era considerato un bene quasi gratuito, dal momento che il ritrattamento del combustibile dei reattori ad acqua leggera sembrava necessario per la gestione delle scorie. Con l'affermarsi invece dell'opzione del non-ritrattamento e dello stoccaggio (temporaneo o definitivo) del combustibile irradiato, le aziende elettriche e lo stesso Edf sono sempre più riluttanti a impegnarsi nel ritrattamento per semplici ragioni di costo.
Infatti, il risparmio realizzato da un'azienda, che disponesse nel 2000 di 70 reattori da 1000 Mw, potrebbe essere, in quell'anno, di 2000-4000 miliardi di lire. Si assiste perciò a una chiara evoluzione di dottrina in seno alla comunità nucleare internazionale, che tende sempre più a considerare il ritrattamento come una semplice attività di estrazione del plutonio. Negli Stati Uniti il governo Reagan, non riuscendo a interessare le imprese private al rilancio degli impianti di ritrattamento di Barnwell, ha usato come incentivo la promessa di riacquisto del plutonio ad un prezzo remunerativo. Tradotto in termini economici, ciò significa che le aziende elettriche scaricheranno sempre più sui reattori veloci le spese del ritrattamento - cioè quelle della produzione del plutonio - in quanto non ricorreranno ai servizi esterni di ritrattamento se non nella misura in cui decideranno di installare i reattori veloci.
Un tale cambiamento di prospettive avrà conseguenze decisive. Il prezzo del plutonio su un eventuale mercato sarà dieci volte più elevato di quello, del tutto artificiale, attualmente preso in considerazione. L'ammontare dell'investimento in plutonio per avviare un reattore veloce e arrestare il suo ciclo sarà perciò tutt'altro che incoraggiante e corrisponderà in realtà al costo del reattore propriamente detto. Le prospettive di competitività della filiera rischiano dunque di arenarsi completamente per vari decenni: il costo del chilowattora di un reattore veloce sarà due volte superiore al costo del kWh nucleare tradizionale, in quanto il prezzo dell'uranio dovrebbe più che decuplicare per portare il costo dei due tipi di kWh allo stesso livello. In altri termini, enormi risorse di uranio diverranno economicamente sfruttabili, prima che le aziende elettriche trovino un sensibile vantaggio economico nei reattori veloci. Tutto dipenderà, quindi, dalla capacità dei promotori della filiera di difendere, in ogn
i paese, la teoria della necessità del ritrattamento. Quando questa cadrà, sarà assai difficile ottenere la collaborazione delle società elettriche per commercializzare i reattori veloci.
E tuttavia la perfetta convergenza fra aziende elettriche ed enti nucleari è tanto più necessaria, in quanto il lancio commerciale della tecnologia si scontra con un impegno finanziario iniziale molto pesante. Non si tratterà semplicemente di sostituire un tipo di reattori con un altro, ma di creare un nuovo sistema nucleare completo. (...) I prossimi vent'anni, in cui nessuno Stato - eccetto forse la Francia - potrà pensare di avviare la diffusione dei reattori veloci sul mercato, vedranno una revisione profonda di quegli schemi teorici che prima erano considerati l'inevitabile conclusione dei programmi nucleari. I segni di tale rivolgimento sono già innumerevoli. Di fronte a una simile realtà, il vantaggio francese non può più apparire come un atout commerciale. C'è il rischio, al contrario, che rinasca la vecchia sindrome che in passato ha portato lo Stato francese a incoraggiare prodezze tecnologiche senza valutarne le possibilità di successo commerciale.
In questa situazione sfavorevole, il Commissariat à l'energie atomique ha ricostituito un'intesa a livello europeo con un certo numero di partner, tra cui gli inglesi, sul progetto di un nuovo prototipo da 1500 Mw (progetto Rapide 1500). Era per il Cea, l'unico mezzo per convincere il governo e l'Edf a intraprendere una nuova realizzazione dopo il Super-Phénix. Così come, per tutti gli enti nucleari europei, è un modo di ritardare, con la minima spesa, l'abbandono sempre più inevitabile di questa tecnologia. Quanto ai vari governi, già lo considerano un mezzo per stringere in qualche modo dei legami comunitari molto allentati. Ma queste ragioni politiche non bastano a sostenere all'infinito uno sforzo tecnologico privo di fondamento economico.
"Da "Les surgenerateurs: le mythe blessé" aprile 1984".