SOMMARIO: L'accusa di Ammnesty International nei confronti della situazione carceraria italiana. A conferma si riporta l'intervista rilasciata da Martinazzoli al "Corriere della sera". L'azione radicale durante quest'anno ha portato ad un primo cambiamento delle condizioni di vita all'interno delle carceri speciali, ma il risultato più importante raggiunto è rappresentato dall'insediamento dei metodi di lotta nonviolenta nelle carceri.
(NOTIZIE RADICALI n. 62, 24 marzo 1984)
(La denuncia di Amnesty International. Le condanne della Corte Europea. Fino a undici anni di carcerazione preventiva. Due terzi dei detenuti in attesa di processo, ammassati in carceri che ne potrebbero ospitare la metà: questi fatti sono la misura della nostra inciviltà ma sono anche lo specchio di una società malata e un vergognoso esempio di non-governo e di mal-governo.)
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Amnesty International accusa l'Italia da anni. Piovono le denunce alla Corte europea e in decine di convegni internazionali dove si cita l'obbrobrio degli 11 anni di carcerazione preventiva che possono cadere fra capo e collo a qualsiasi cittadino italiano. E ogni due mesi l'opinione pubblica ha un brivido, quando giornali e televisione sono obbligati a mostrare quelle che non sono altro che punte di iceberg: una volta è il caso Tortora, poi la vicenda Negri, e ancora la sentenza per Barbone o il "passaporto di Stato" per Fioroni.
Il coraggio di parlare fuori dai denti ce l'hanno in pochi: ultimo in ordine di tempo è stato il pretore di Genova, Sansa, subito duramente redarguito dal ministro, colpevole di aver dato una pena minima motivandola con la situazione disumana del carcere di Marassi. La classe politica tira a campare all'insegna dell'irresponsabilità: la legge sulla "nuova" carcerazione preventiva è insabbiata da mesi al Senato. Gli stessi che hanno imposto al paese la spirale dell'"emergenza" hanno deciso ora di sabotarla. Ma la situazione è esplosiva. In 45.000 popolano le galere nazionali, che ne potrebbero ospitare la metà. Circa i due terzi della popolazione carceraria aspetta solo la celebrazione del processo. Nella stragrande maggioranza degli istituti di pena la vita è bestiale: corruzione e ricatti sono all'ordine del giorno, molte carceri sono quasi ufficialmente date in gestione alla mafia o alla camorra. Non sono rari i casi come quelli di un carcere in Campania: 40 persone stanno in un'unica cella, 4 file di diec
i letti a castello ognuna, un gabinetto per tutti, un'ora di acqua corrente al giorno perché non funziona l'impianto.
Al "Corriere della Sera" che recentemente lo intervistava, Martinazzoli ha testualmente dichiarato:
"Si sa come vanno le cose quando si decide sul bilancio dello Stato: le scelte sono il frutto di compromessi fra le maggiori forze o di pressioni di gruppi d'interesse. Ma i detenuti interessano a pochi". In poche parole, il ministro dice la verità: lo scandalo è nel bilancio della giustizia, negli stanziamenti irrisori per l'edilizia carceraria (e, scandalo nello scandalo, il fatto che attorno a questo denaro si lucra a più non posso, come dimostra la vicenda del direttore del carcere dell'Asinara attualmente detenuto e processato).
Peccato però che Martinazzoli, il suo partito, il Pci e tutti gli altri fossero scatenati contro quell'"ostruzionismo" radicale che con impressionante lucidità aveva saputo già tempo fa prevedere quanto oggi avviene. Rileggere oggi quegli atti parlamentari dopo aver parlato con tutti coloro che con la situazione carceraria hanno a che fare (dal ministro ai direttori, dagli agenti di custodia ai detenuti) è letteralmente impressionante. Più soldi al bilancio della giustizia e all'edilizia - si chiedeva allora - e più soldi chiedono oggi sia il ministero che diversi parlamentari. 77 giorni di digiuno di molti esponenti radicali, nel 1978, per la smilitarizzazione e la riforma degli agenti di custodia: è ancor oggi, e sempre più, la richiesta di costoro, che rischiano di essere le prime vittime di un sistema decrepito. Abolizione dell'art. 90 (gratuite misure di violenza di Stato che nulla hanno a che fare con i problemi della sicurezza), si invocava allora: e oggi esplodono di tre mesi in tre mesi i digiuni no
nviolenti di centinaia e centinaia di detenuti, mentre l'immagine del nostro paese è macchiata dalle barbarie dei "braccetti della morte" (dell'isolamento totale, senza possibilità di scrivere, leggere, ascoltare, vedere, parlare mai con niente e con nessuno al quale sono stati ridotti 20 uomini in questi ultimi due anni. Totalmente soli per 24 ore al giorno in una cella di due metri per tre).
Ma quest'anno l'iniziativa di Marco Pannella e dei deputati radicali è stata in diverse occasioni decisiva, importante, puntuale. Grazie anche alla sensibilità dei cappellani delle carceri e di settori del mondo cattolico, nel dicembre passato lo sciopero della fame dei detenuti di Nuoro (fra i quali Franceschini, Ognibene, Bonisoli) aveva portato ad una prima svolta nelle condizioni di vita all'interno delle carceri speciali. Fra difficoltà burocratiche, ostilità di alcuni magistrati sardi, sordità politiche e giornalistiche Pannella aveva fatto una continua spola fra Roma e il carcere (e poi l'ospedale) di Nuoro.
Successivamente, si sono svolte altre visite in diverse carceri dei parlamentari Adelaide Aglietta e Giovanni Negri, con la ripresa dell'iniziativa nonviolenta dei detenuti particolarmente volta all'abolizione dei "braccetti della morte" e dell'art. 90: a fine marzo il ministro Martinazzoli non accoglieva le due richieste ma decideva la chiusura di tre carceri speciali (fra cui quello di Nuoro), di tre "braccetti", migliorando in modo sensibile le condizioni di detenzione. Ancora, i radicali sono stati i soli ad occuparsi degli agenti di custodia di Rebibbia, che per protesta si sono autoconsegnati in carcere per alcuni giorni.
Soprattutto, il punto più prezioso di questi mesi è rappresentato dall'insediamento dei metodi di lotta nonviolenta nelle carceri: questo è il vero patrimonio che una classe politica incapace di assolvere ai propri compiti di governo rischia di scialare, così come ha sciupato in questi anni quelle parole e quelle proposte che avrebbero impedito il deterioramento sempre più rapido e pericoloso del mondo delle carceri e della giustizia.