Antimilitarismo/pacifismo/nonviolenzadi Roberto Cicciomessere
SOMMARIO: La ricostruzione di alcuni momenti dell'iniziativa antimilitarista del Pr, dalle prime marce antimilitariste all'obiezione di coscienza, dalla denuncia del complesso militare-industriale alle manifestazioni nei paesi dell'Est. Una cultura radicale di pace che non ha nulla a che fare con il pacifismo generico, solo "occidentale" e fondato solo sulla paura.
(NOTIZIE RADICALI n. 62, 24 marzo 1984)
"Andé a lavorar, barbun!". Era questo l'epiteto più gentile che veniva indirizzato ai quattro gatti radicali che avevano organizzato la prima marcia della pace nel 1967. Trenta chilometri al giorno a piedi da Milano alla base Nato di Vicenza, per dieci giorni dibattiti, manifestazioni nonviolente, distribuzione di migliaia di volantini antimilitaristi, "contro tutti i blocchi militari", "per il disarmo unilaterale", "per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza". Fino al '71, puntualmente nel periodo delle vacanze estive, non molte decine di radicali e di antimilitaristi ripercorrevano le strade lombarde e venete nelle successive quattro marce antimilitariste. Cariche della polizia, denunce, arresti ma anche le prime sperimentazioni di azioni nonviolente, di disobbedienza civile e di dialogo con la gente sui difficili temi della patria, della difesa, del disarmo.
Nel 1972 si decide di spostare la marcia nelle regioni della Grande Guerra, nel cuore delle tradizioni nazionaliste e irredentiste: nel Friuli sul percorso Trieste-Aviano e quindi davanti al carcere militare di Peschiera. Il '72 è anche l'anno della conclusione positiva della battaglia per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza, con l'arresto e la carcerazione di Roberto Cicciomessere, il digiuno di Marco Pannella e Alberto Gardin e finalmente, nel dicembre dello stesso anno, l'approvazione della legge.
E' difficile rappresentare compiutamente l'isolamento di queste iniziative antimilitariste del Partito radicale non solo rispetto ai Partiti della sinistra ma anche nei confronti dei movimenti prevalenti. Basti ricordare che questa politica si colloca negli della contestazione studentesca, delle occupazioni universitarie, della mitologia feltrinelliana della violenza riscattatrice e della rivoluzione. I partiti storici della sinistra perfezionano poi in quegli anni la rottura definitiva con le loro tradizioni storiche pacifiste coniando l'aggettivo del "vieto" antimilitarismo con il quale si giustificherà l'abbandono perfino dell'opposizione alla Nato. E' facile immaginare cosa producesse in quel clima politico, nel momento in cui esplodevano i movimenti di liberazione nazionale, e le relative manifestazioni di solidarietà, l'affermazione radicale secondo la quale "tutti gli eserciti sono neri", tutte le rivoluzioni "fondate sulla canna del fucile" sono destinate a riprodurre gli stessi meccanismi autoritari
, violenti, militaristi che pretendevano di sconfiggere.
Proseguono intanto fino al 1975 le marce nel Friuli, poi nel '76 la marcia internazionale che, per un mese, al tradizionale percorso Trieste-Aviano aggiunge quelli di Metz-Verdun sul confine franco-tedesco e di Cagliari-La Maddalena nella portaerei Nato del Mediterraneo.
Ma il nostro non è un antimilitarismo a senso unico, solo contro la Nato. All'imbarazzato silenzio della sinistra sull'invasione della Cecoslovacchia, i radicali rispondono con la manifestazione di Sofia nel 1968: "Basta con la guerra nel Vietnam, basta con la Nato, basta con l'occupazione della Cecoslovacchia" è scritto sullo striscione esposto nella piazza principale di Sofia da Pannella, Azzolini, Baraghini e Leonardi.
Nel giugno del '79 a Varsavia e quindi con la carovana della pace e del disarmo Bruxelles-Varsavia, fino al 1983 con la manifestazione al confine austro-cecoslovacco di Bratislava prosegue la denuncia del militarismo sovietico, ma, più ancora, della gravissima minaccia che viene al mondo dalla struttura di potere totalitaria del comunismo reale.
Questa breve e sommaria storia per tentare di riconquistare quell'identità antimilitarista e pacifista del Partito radicale che i mass-media del regime sono riusciti a manipolare e occultare; hanno invece esaltato il pacifismo di comodo del Pci, quello delle manifestazioni oceaniche contro i Cruise ma non contro la Nato e le sue armi atomiche schierate in Italia e del silenzio sulla Polonia, sulla repressione di Solidarnosh, sugli SS-20, sull'Afghanistan. Ma anche per ricordare innanzitutto a noi stessi il lungo iter ideologico che ci ha portati ad esprimere oggi quell'antimilitarismo maturo, propositivo e politico che può rappresentare in Europa l'unico punto di riferimento teorico su cui impedire il fallimento dei movimenti pacifisti e verdi incapaci di sottrarsi all'egemonia comunista o al velleitarismo di una opposizione apolitica. Maturo non per significare il sostanziale abbandono delle nostre posizioni ma perché ha maturato (proprio dall'affermazione rigorosa dei no ad ogni tentazione di ridimensionar
e l'opposizione "a tutti gli eserciti" e all'equazione sicurezza = equilibrio delle forze militari) una proposta positiva e scientifica ai problemi della sicurezza, una cultura politica antimilitarista e pacifista capace di misurarsi con il tremendo e prevalente pensiero militare.
L'individuazione delle minacce costituite dallo sterminio per fame in atto, dai regimi autoritari e in primo luogo da quello sovietico, la denuncia del ruolo del complesso militare-industriale e delle sue complicità interclassiste, l'analisi delle incompatibilità economiche delle spese militari, la negazione delle false scorciatoie esclusivamente antinucleari ci possono consentire non solo di fondare una cultura di pace ma soprattutto d'individuare gli obiettivi politici, perfino legislativi, di un antimilitarismo capace di prefigurare un percorso praticabile di disarmo; senza ignorare i problemi della sicurezza, ma saldando la lotta contro lo sterminio in atto con quella contro l'olocausto che si annuncia. E' la sfida che tenta di dare dimensione e forza politica a quelle idee e a quei valori che sono stati liquidati storicamente come "utopistici" proprio perché non hanno mai superato lo stadio della denuncia o dell'auspicio per diventare "progetto".
Nel Parlamento europeo, questa volta con i verdi e i pacifisti, si potrà giocare intero il ruolo dei radicali: sconfiggere sia le tentazioni isolazioniste e nucleari che quelle neutraliste e filosovietiche che oggi sembrano prevalere.