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Pannella Marco - 24 marzo 1984
UNA POLITICA ESTERA DI MALAFFARE
di Marco Pannella

SOMMARIO: I paesi occidentali stanno continuando ad armare il "nemico" delle uniche armi che contano, cioé quelle alimentari e quelle tecnologiche. In queste condizioni la "linea Maginot" dell'"ombrello nucleare" diventa dannoso strumento di smobilitazione e di alibi per un occidente che si arma solamente nella misura in cui lo esige il profitto del suo complesso militare-industriale. Il Partito radicale è allarmato per la politica estera che Governo sta portando avanti, politica determinata e condizionata sempre più dal mondo degli affari e dei "malaffari" politici e partitocratici.

(NOTIZIE RADICALI n. 62, 24 marzo 1984)

Gli atti parlamentari dovrebbero parlar chiaro: sin dalle prime battute della legislatura i radicali - assolutamente soli - hanno colto alcune caratteristiche della politica estera del ministro degli Esteri, e quindi del governo, che ritennero pericolose e di segno opposto a quanto la polemica sui missili e sul Libano incardinata dal Pci e compagni sembrava poter assegnare.

Lo ricordiamo perché francamente ci imbarazzano, piuttosto che confortarci, alcune polemiche anti-andreottiane di questi giorni, per la loro qualità e per i loro manifesti obiettivi strumentali.

Noi non abbiamo alcuna necessità di attribuire ragioni men che onorevoli e assenza di convinzione o di sincerità alla politica del ministro degli Esteri. Anzi, siamo convinti che non occorra affatto l'ausilio di calcoli di congiuntura perché egli conduca la perniciosa politica che con grande impegno e anche sacrificio personale egli conduce ed è oggi al centro di polemiche e di difese accanite.

Dopo il viaggio a Mosca, d'altra parte, abbiamo perso una di queste imbarazzanti compagnie. Il mondo degli affari gongola, applaude, sostiene. Di fronte alla "roba", quell'Occidente che vale e merita missili e vergognosi vassallaggi con i trafficanti di Stato di terrorismi e di armi, di guerre e di petrolio, non vale più gran che. Se lo "sviluppo" - come dicono - è il nuovo nome della pace, il profitto ad ogni costo e a ogni crimine è il nuovo nome della libertà.

Non vi è chi ragioni di queste cose e non sappia in cuor suo che l'arma "alimentare", l'arma "economica", l'arma "tecnologica", l'arma "della propaganda e dell'informazione" come fondamento della destabilizzazione dei regimi totalitari e degli avventurieri delle guerre, costituiscano il vero strumento della guerra che sotto il nome e le forme della pace sono sempre storicamente in corso.

Queste armi non solamente non vengono usate con i Gheddafi e i Khomeini, con gli Assad e consimili, ma vengono addirittura fornite, e fornite in primo luogo ai padroni dell'impero e del sistema, a Mosca. Peggio che la suicida e stolta politica di Monaco degli anni trenta. Reagan che raddoppia fino ad arrivare a trenta milioni di tonnellate di cereali la fornitura di armi alimentari all'Urss, per consentirle così di inviare centomila tonnellate all'Etiopia o mille all'Alto Volta, alla faccia della Polonia e dell'Afghanistan, del Medio Oriente o della Cambogia; esattamente come allora alla faccia della Polonia (di già!) e dei Sudeti, dopo la Ruhr o l'Austria.

In queste condizioni, prima ancora che inutile, la "linea Maginot" di questi anni, quella dell'"ombrello" missilistico (sotto la cui protezione Enrico Berlinguer aveva posto ufficialmente la sorte dell'"eurocomunismo"), a Comiso o altrove, diventa dannoso strumento di menzogna, di "smobilitazione", di alibi per un "Occidente" che s'arma solamente nella misura in cui lo esige il profitto del suo complesso militare-industriale, mentre nel contempo "arma fino ai denti" il "nemico" - nello stesso contesto - sui teatri reali ed attuali di guerra e di scontro.

L'alleanza "occidentale", irrimediabilmente scaduta a mera alleanza militare sotto protettorato statunitense, è dunque sempre più priva di politica, di forza ideale, e pratica. L'"ombrello" Reagan-berlingueriano vale, ed evoca un altro celeberrimo emblema di resa e di incapacità: il buon ombrello del buon Neville Chamberlain, ai tempi di Monaco, appunto.

In tal modo la pace, e non solo la guerra, è affidata tutta alla conduzione di quei "generali" dei quali Clemenceau - fra gli altri - usava dire che la serietà della guerra non ne poteva tollerare la direzione nemmeno operativa.

Così siamo - noi "occidentali" - sempre più insozzati nelle ignominie turche o cilene, a tacer d'altre.

E' in questo contesto, dunque, che per serietà e onestà va valutata la politica estera del nostro governo, la omogeneità e l'idoneità dei "testi" di politica estera forniti sempre più da Giulio Andreotti.

La cultura e la politica del ministro degli Esteri è nota a tutti. Non è machiavellica, come sembrerebbe, ma casuistica, relativistica; è espressione di una sottocultura romano-temporalistica; di un certo cattolicesimo per il quale è irenistico e illusorio fondare il governo di questa terra sulla ricerca di affermazione di grandi valori.

Ma titolare della responsabilità della politica estera è l'intero governo, è - costituzionalmente - il Presidente del Consiglio. Noi siamo sempre più allarmati per "questa" politica estera, ben peggiore di quella presentata al Parlamento nell'agosto scorso. Siamo disarmisti unilaterali, siamo radicalmente nonviolenti, il nostro statuto di partito prefigura un diritto-dovere alla obiezione di coscienza contro ogni servizio militare. Siamo tenuti in minoranza dalla usurpazione di ogni vero gioco democratico da parte del regime partitocratico. Non possiamo non prenderne atto. Ma abbiamo il diritto di esigere che almeno il governo del paese governi secondo impegni, governi secondo una linea politica di livello responsabile, che abbia una sua elevatezza e una sua congruità rispetto agli ideali che non di rado in comune professiamo, pena la sua inefficacia e il peggio.

Che il mondo degli affari e quello dei malaffari politici-partitocratici determinino sempre più la nostra politica (che è una, non "estera" o "interna", se non per convenzione) è oggi un gravissimo, immanente rischio reale.

Lo stiamo constatando anche sul fronte della cosiddetta lotta contro la fame nel mondo, purtroppo, proprio in questi giorni, in cui una grande politica di attacco, umanitaria, umanistica, per la vita (ma davvero! ma "subito"!) e per la pace rischia di servire ad una ennesima operazione senz'anima e senza forza pratica e politica.

 
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