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Mellini Mauro - 24 marzo 1984
GIUSTIZIA IN GABBIA
Pentiti, leggi speciali, carcerazione preventiva

di Mauro Mellini

SOMMARIO: Con la legislazione speciale un pentito tira l'altro e la giustizia italiana produce i processi "speciali": maxiprocessi, costruiti su teoremi, in cui è impossibile districare e distinguere le responsabilità dei singoli imputati.

(NOTIZIE RADICALI n. 62, 24 marzo 1984)

Quando il "caso Negri" portò di prepotenza il problema della carcerazione preventiva alla ribalta del mondo politico e del parlamento, fu detto che la questione dell'autorizzazione al nuovo arresto di Negri avrebbe potuto essere tranquillamente e positivamente affrontata dalla Camera; con la presentazione di un progetto comunista, dissero, il problema della riduzione dei termini di carcerazione preventiva era stato impostato e Negri non avrebbe potuto più apparire come vittima di un sistema poco rispettoso della libertà personale dell'imputato, che la Costituzione considera innocente fino alla sentenza definitiva.

Ma appena "impostato" il problema, apparve chiaro che si voleva, come si suol dire, la botte piena e la moglie ubriaca. Riduzione dei termini sì, ma scarcerazioni no; termini più brevi sì, ma pur sempre adeguati alle "esigenze processuali".

Quali sono i tempi delle esigenze processuali? Tutto il processo penale, almeno quello relativo a reati complessi (associazioni terroristiche, associazioni a delinquere, etc.) marcia sui tempi tranquilli di una carcerazione preventiva praticamente indefinita. Le esigenze istruttorie sono quelle della "maturazione" del pentito attraverso il perdurare della detenzione. Ugualmente la stessa mole dei processi, con decine e magari centinaia di imputati, è consentita dalla possibilità di tenere gli imputati in detenzione, in attesa che la "costruzione" prenda forma, si completi e si rafforzi. D'altro canto il maxiprocesso nega la possibilità di un effettivo controllo dell'operato dell'istruttore. Chi toccherà una pietra di siffatti "edifici"? Quale tribunale della libertà si prenderà la responsabilità di scarcerare un imputato di cui l'architetto della "costruzione" avrà ordinato e mantenuto la carcerazione? né le cose cambieranno al dibattimento, quando una Corte d'assise sarà chiamata a pronunziarsi su decine e

decine di imputati, ciascuno con imputazioni molteplici, con centinaia di posizioni tra loro intrecciate. Altro che accertamento al di là di ogni ragionevole dubbio. I maxiprocessi, i processi fondati sulle accuse dei pentiti, sulle costruzioni di teoremi, "lavorando" su imputati detenuti alla mercé dell'inquirente, sono processi che rispondono alla logica inquisitoria, che non tollera intrusioni garantiste.

Affrontare il problema della carcerazione preventiva, affrontarlo per primo e subito è giusto; ritenere di poterlo fare mantenendo in piedi se non addirittura estendere la legislazione speciale (pentiti, regime carcerario "differenziato", maxiprocessi ecc., ecc.) è impossibile. Si può e si deve cominciare dalla durata della carcerazione preventiva, non si può pensare di adattare una carcerazione preventiva più umana a processi incivili.

Per questo l'ipocrisia ha regnato sovrana nella vicenda Negri. L'idea di "rinviare" l'autorizzazione dell'arresto preventivo ad un momento successivo alla sentenza di primo grado era solo ipocrisia. Cosa, se non ipocrisia, è attendersi dalla sentenza valutazioni sulla fondatezza o meno dell'arresto preventivo? Una sentenza nel calderone di settanta imputati con centinaia di imputazioni, costruita con teoremi e pentiti attraverso la detenzione di decine di persone, decisa in base ad indizi che sono essi stessi un prodotto degli anni di carcerazione preventiva!

Toni Negri ha preferito essere oggetto tra gli oggetti di questa battaglia anziché esserne, come avrebbe potuto, protagonista. Avrebbe potuto, processato in stato di detenzione, partecipare vigorosamente all'attacco di questo tipo di processo, delle leggi speciali e delle prassi specialissime che le accompagnano. Certo non avrebbe potuto difendersi come non può difendersi, se non secondo un eufemismo, il cittadino in attesa di giudizio in balia delle leggi speciali.

A volere la botte piena e la moglie ubriaca sono oggi in molti. Anche Negri (se ancora lo vuole), certo tutti quelli che non ammettono critiche alle leggi speciali ed anzi ne invocano di ulteriori, pretendendo di presentare un volto decente e civile della giustizia del nostro paese.

Alcuni magistrati invocano altre leggi sui pentiti. Altri, in mancanza di tali leggi, producono, utilizzano e premiano pentiti a modo loro. I politici sono preoccupati; mormorano di dittatura giudiziaria, specie quando possono parlare di metodi disinvolti in processi di ruberie di regime.

Usando ed abusando delle leggi speciali, dei metodi inquisitori, della loro onnipotenza, i magistrati, o meglio un numero limitato di essi, stanno consumando sconsideratamente un bene che è di tutti: l'indipendenza della magistratura. E' difficile infatti immaginare che un tale sistema di arbitrio e di assenza di garanzia nel processo penale possa coesistere a lungo con l'indipendenza del magistrato. Sintomi premonitori non mancano.

II problema delle garanzie del cittadino si trasferisce allora sul piano istituzionale e rischia di trasferirvisi nel modo sbagliato. La conservazione e la dilatazione di leggi e prassi giudiziarie speciali rischia, infatti, di fornire al regime un'occasione unica: saldare il potere della partitocrazia fuorilegge a quello di una giustizia arbitraria e discrezionale. E tutto ciò con l'illusione o l'alibi di porre un rimedio all'arbitrarietà.

La battaglia per la limitazione reale della carcerazione preventiva deve quindi riprendere. Se metterà in crisi l'intera legislazione speciale, tanto meglio. Qualcuno si straccerà le vesti se qualche "mirabile" costruzione inquisitoria sarà sconquassata.

Lasciare che le cose vadano come stanno andando avrebbe un prezzo assai più alto.

 
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