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Cicciomessere Roberto - 25 marzo 1984
EFFETTO RADICALE: MA SE NON INTERVENITE VOI
Un mese dalle elezioni, un milione e 200 mila voti radicali hanno già prodotto i primi risultati: approvata la legge sulla carcerazione preventiva, dissepolto il codice di procedura penale

di Roberto Cicciomessere

SOMMARIO: Partito comunista e Partito radicale sono stati gli unici due partiti che hanno registrato un netto successo alle elezioni europee, in voti e percentuali.

C'è stato l'effetto Berlinguer e c'è stato l'effetto Tortora, ma il successo è andato a gli unici due partiti della scena politica italiana: gli unici che hanno e propongono una politica, gli unici che non si presentano come meri apparati di potere.

Un anno e mezzo fa Enrico Berlinguer aveva vaticinato la scomparsa del Pr. In queste elezioni il PR torna invece ai livelli del 1979. Votando Pr il 3.4% dell'elettorato ha votato - in termini di valori, di concezione della democrazia, di prefigurazione dell'alternativa - una sinistra radicalmente diversa da quella proposta e rappresentata dal Pci. Questo voto ci dà la misura delle enormi difficoltà che dovremo affrontare, ma anche delle potenzialità che esistono nel paese, e della forza di una politica. E' un grande patrimonio ideale e politico che rischia però in ogni momento di essere disperso e travolto se resta affidato soltanto alla forza organizzata di soli 3 mila radicali iscritti.

(NOTIZIE RADICALI n. 67, 25 marzo 1984)

E' diffusa la convinzione fra coloro che seguono con attenzione la vicenda radicale, fra gli utenti della stampa, della radio e della televisione radicali, che il partito disponga di risorse inesauribili, capaci sempre di farlo uscire dalle difficoltà. Si sostiene che i radicali sono, chissà perché, predisposti a raccogliere i maggiori successi proprio nelle condizioni più sfavorevoli. In conseguenza di ciò la denuncia allarmata dei rischi di scomparsa della "cosa" radicale viene sostanzialmente respinta o recepita dai più come mero strumento di pressione emotiva sui radicali e simpatizzanti, come metodo appena accettabile per raccogliere denaro.

Dicono questi potenziali e inconsapevoli complici dell'assassinio del Partito radicale che la cultura e le vittorie civili radicali hanno segnato così profondamente la storia del nostro Paese da non poter essere più sradicate; che il rigore, la continuità e la fermezza di una linea politica che si è precisata in una avventura ormai trentennale, che la riconosciuta resistenza alle mode politiche nate e morte nel giro di poche stagioni, costituiscono una specie di assicurazione contro tutti i rischi; che infine il successo politico conseguito nelle ultime elezioni europee, nonostante il fermo proposito di tutti i partiti di cancellarci dalla scena politica, testimonia una solidità a prova di bomba, una capacità di attingere a risorse sempre disponibili.

E' difficile non riconoscersi nei fatti, non nelle deduzioni, evocati: nessun partito può esibire il bagaglio di battaglia e di vittorie che poche migliaia di radicali hanno realizzato; nessun partito, neppure, quello più minuscolo, ha resistito tanto a lungo alla corruzione o alla complicità con quella degenerazione delle regole che identifichiamo nel sistema partitocratico.

La nostra assoluta diversità, la nostra riconoscibilità, la nostra incontestata onestà sono divenuti ormai degli incisi, dei dati fastidiosi ma incomprimibili che non potendo essere negati devono essere marginalizzati e sterilizzati.

Perfino il giornale-partito di Scalfari deve riconoscerlo. Ma come non ricordare i tentativi di linciaggio esercitati periodicamente con la promozione a oppositori ufficiali del partito compagni sempre poi scomparsi dalla scena politica.

Ma tutto ciò non è un bene ereditato, un vitalizio inestinguibile. Lo abbiamo strappato con le unghie e i denti, lo abbiamo conquistato pagando alti prezzi, anche personali, lo abbiamo difeso rischiando la scomparsa, praticando l'impopolarità. Ma andare, sempre, controcorrente è rischioso, basta una disattenzione e ci si trova improvvisamente sommersi dalle rapide. Non ci si può quindi accusare di avere spesso momenti critici. E' questa la controprova della nostra vitalità.

Questa lunga premessa per tentare di battere un riflesso pericoloso: "è la solita drammatizzazione per battere cassa!". Sarebbe infatti stupido e ingeneroso nei confronti di tutti noi non riconoscere che solo mobilitazioni straordinarie ci hanno consentito di uscire dalle crisi e superare enormi difficoltà.

Mi accingo infatti a comunicarvi, spero non abusando degli aggettivi, che a fronte di grandi successi, anche elettorali, che rappresentano obiettivamente un elemento di forza da far valere nei prossimi mesi, ci troviamo in una situazione di alto rischio rispetto agli obiettivi congressuali. Mi preme ricordare che gli obiettivi principali del congresso di Rimini, - il decreto di vita per tre milioni di affamati e il reperimento di tre miliardi - non sono sostituibili in modo indolore con altri. La rinuncia a perseguirli comporta scelte drastiche, ferite non facilmente rimarginabili rispetto ad una storia che ci ha visto sempre portare a termine i nostri progetti politici, magari con risultati alcune volte deludenti, come nel caso dell'aborto, altre volte con sconfitte ripagate in parte, come nel caso del referendum sul finanziamento pubblico dei partiti o sulle leggi di polizia, da ripensamenti e conseguenze politiche non marginali. Mai abbiamo gettato la spugna senza poter riconoscere a noi stessi di aver av

viato un processo, che magari ci vedeva esclusi, d'inversione delle scelte politiche apparentemente vincenti.

Abbiamo infatti ricostruito dal nulla eccezionali convergenze e opportunità nella campagna contro lo sterminio per fame nel mondo che consentivano ragionevolmente di sperare in uno sbocco positivo. Adesso tutto sembra avviare su un binario morto.

Così ancora la mobilitazione nella campagna d'iscrizione e di finanziamento dei primi mesi dell'anno che portata al raddoppio degli iscritti si è smorzata quasi completamente, nonostante che quasi un milione e duecentomila italiani avessero espresso il proprio apprezzamento nei confronti delle battaglie radicali con il voto del 17 giugno.

E questi due obiettivi sono strettamente legati: tre miliardi rappresentavano e rappresentano tuttora il minimo indispensabile di risorse, mezzi, forze necessari per praticare l'obiettivo su cui abbiamo costituito il Partito radicale da cinque anni. Sarebbe grave arrivare al congresso di novembre avendo dovuto già pregiudicare le sue scelte sia attraverso un drastico ridimensionamento degli strumenti vitali di comunicazione del partito - che certamente possono e debbono essere ridiscussi - e con la rinuncia definitiva dell'obiettivo di incardinare atti politici di effettivo riconoscimento del diritto alla vita.

Come convincervi, voi che avete avuto la pazienza di leggermi, che non si tratta di un allarme strumentale, che rischiamo di dilapidare cinque anni di lotte e speranze, che proprio nel momento in cui ci si riconosce maggiore forza sarebbe suicida non farne il migliore uso? Come convincervi a quell'atto eroico d'iscrivervi, per almeno 110.000 lire - ma molto di più per coloro che possono - ad un partito che non solo non garantisce posti o favori, ma soprattutto che non offre risposte facili e consolatorie o totalizzanti, ma pretende ricerca e impegno dai suoi militanti in condizione obiettivamente difficilissime? Posso farlo solo appellandomi alla vostra intelligenza, alla forza e alla credibilità delle parole. Posso farlo cercando di immaginare il nostro paese e la nostra vita senza il Partito radicale e le sue contrastatissime lotte.

Sono legittimato a farlo dai tremila compagni iscritti che nelle diverse responsabilità hanno saputo rappresentare le domande e le speranze di più di un milione di elettori. Ma soprattutto posso chiedervi di associarvi all'avventura radicale perché è in me piena la convinzione di offrirvi una opportunità importante e seria di dare il vostro volto a quel partito della giustizia e della vita che cerchiamo sempre di riconoscere negli altri rinunciando con ciò al tentativo di costruirlo a misura delle nostre convinzioni e capacità d'impegno. La delega o la distaccata neutralità non sono più facili e meno rischiose. Non si rischia neppure di vincere.

 
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