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Pannella Marco - 25 marzo 1984
QUEL PROGETTO E' SOVVERSIVO
La svolta dell'"Espresso"

di Marco Pannella

SOMMARIO: La nomina del nuovo direttore dell'"Espresso" non è un normale avvicendamento. Per Pannella si tratta di un atto che si inquadra nel disegno politico complessivo, perseguito da un editore collettivo (Caracciolo-Scalfari-De Benedetti), che dal "caso D'Urso" in poi si propone il "commissariamento" della democrazia. In attesa di raggiungere questo obiettivo, intanto nomina, con Valentini, un commissario all'"Espresso".

(NOTIZIE RADICALI N. 67, 25 marzo 1984)

La vicenda dell'"Espresso" sembra sia ritenuta da qualcuno leggibile come normale episodio di "avvicendamento democratico", da un direttore "democratico" anch'esso, nel quadro di una normale gestione "democratica" dei propri diritti da parte di un normale "editore democratico".

"Le vie en rose", insomma. Tutto va ben, madama la marchesa...

Invece si tratta dell'ennesima, ormai incalzante conferma, del perfezionarsi di un disegno politico - a mio avviso sovversivo e criminale - da parte di un editore che poche settimane fa annunciava all'Italia una estate di guerra civile, "come nel 1936 in Spagna"; che persegue da anni il "commissariamento della democrazia" e non arretra, per questo scopo, dinanzi alle più aberranti operazioni. E "editore" è il nome formale e improprio di un vero Partito...

Come quando, in casa di congiunti romani dell'attuale ministro Bruno Visentini, allora Presidente del Pri, cercava di convincere Giovanni Malagodi dell'opportunità di quel "governo degli onesti e dei capaci" che (grazie al cadavere di D'Urso, "ordinato" nel menu di interlocutori a quello delle Br) si doveva e si poteva realizzare con il Pci, con Andreotti, con generali e con gli alleati dell'impero editoriale della P2, dei quali l'editore (collettivo) di ""L'Espresso"" era divenuto socio di fatto, con tanto di documento scritto consegnato a Licio Gelli. Come quando con l'aiuto delle varie componenti della massoneria, Corona e Carboni, ci si impossessava di "La Nuova Sardegna" o si sperava di divenire comproprietari di "Il Corriere della Sera" e dell'azienda Rizzoli. Come quando, anni prima, il componente più in vista di questo editore collettivo scatenò una campagna - senza precedenti per la sua violenza - a sostegno della operazione che doveva dare a Sindona il controllo del massimo settore di economia pubb

lica del nostro paese.

Stupisce che proprio il compagno ed amico Gigi Melega sottovaluti, o mostri di sottovalutare, vicende che lo hanno coinvolto come pulitissima vittima: il suo defenestramento da direttore dell'"Europeo" a favore di una serie di altri, fra i quali, se non vado errato, proprio Giovanni Valentini, a favore di una politica di fazioso sostegno a ogni aspetto di compromesso storico e di unità nazionale. Di quei governi cioè, di quelle maggioranze, che hanno ufficialmente ormai, la responsabilità politica piena dei comportamenti dei servizi di sicurezza: dell'alleanza P2-Pci-P38, tutti uniti per imporre al nostro paese "commissariamenti" antidemocratici.

Stupisce che il livore antiradicale, antiliberale, antisocialista di questo "editore collettivo" possa esser ricondotto semplicemente al rancore di Scalfari, ex-liberale, ex-radicald, ex-socialista, per coloro che gli ricordano un'epoca della sua esistenza nutrita di altri valori che non fossero solamente quelli di potere o di borsa.

Stupisce l'apparente ignoranza delle caratteristiche di questo "editore collettivo" dopo gli inserimenti azionari di questi anni che si sono - oggi anche ufficialmente - congiunti in un'impresa comune di chi tentò ufficialmente di dare la scalata all'impero Rizzoli come socio di Calvi (avendo l'abilità di ritirarsi con profitti proprio in extremis) e di chi stilava con i piduisti notori, Tassan Din e Rizzoli, con il beneplacito del loro amico Di Bella, patti segreti quanto scellerati.

Stupisce che, coerentemente, da radicali o da democratici, sia pure con accenti diversi, ci si trovi uniti nel ritenere assolutamente deprecabile il supposto, in termini giuridici, "reato associativo" a carico di Longo o di Labriola, e l'indifferenza o l'ignoranza delle concrete azioni, dei concreti obiettivi, dei concreti strumenti criminali posti in essere con quella "associazione per delinquere", da altri e con altri.

Personalmente continuo a ritenere il governo responsabile di non aver risposto alle sollecitazioni politiche, parlamentari e non, che ho posto da anni, e che da mesi pongo quasi settimanalmente, per sapere se i servizi di sicurezza dello Stato, questa volta, funzionino o non a difesa della suprema legge della Repubblica; se non si trovi pericoloso che la magistratura ordinaria, oltre che la Commissione sulla P2 e la maggioranza parlamentare, continui a ignorare sistematicamente il "carattere sistematico" di unico disegno criminoso e sovversivo che una serie di eventi, in piccola parte surricordati, riveste.

Ecco perché non posso non essere solidale "oggettivamente" con quella redazione dell'"Espresso" quando, aiutata questa volta da un riflesso corporativo, si ribella alla "normalizzazione" golpista o comunque torbida e in patente contraddizione con la storia del settimanale (almeno quella "ufficiale"; essendo l'altra, quella reale dell'ultimo decennio o quinquennio, fatta di complicità con quanto oggi si denuncia o dal quale ci si difende). Ma, se la redazione vuol davvero difendersi e difendere un principio e la storia democratica, deve alzare il tiro, elevare dibattito e scontro. Altrimenti ha già perso.

 
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