di Gianfranco SpadacciaSOMMARIO: Lo scontro all'interno del sindacato sulla "scala mobile" (il meccanismo automatico di adeguamento dei salari al tasso d'inflazione) ha fatto crollare l'unità corporativa delle tre confederazioni sindacali e quel principio anticostituzionale secondo il quale gli accordi stipulati con la federazione unitaria acquistavano valore per tutti i lavoratori.
(NOTIZIE RADICALI n. 64, 28 marzo 1984)
La controversia sulla scala mobile fra il Pci e la maggioranza e fra la Cgil e le altre due confederazioni ha fatto miseramente crollare l'intero edificio della costituzione materiale partitocratica che ha sostituito ogni diritto sindacale, vanificando e mantenendo inattuato il dettato della Costituzione.
Questa costituzione materiale prevedeva l'unità corporativa permanente delle tre confederazioni sindacali nella cosiddetta federazione unitaria. Gli accordi in tal modo raggiunti acquistavano valore "erga omnes" in forza di una finzione che aggirava l'art. 39 della Costituzione: si dava per scontato che sempre e in ogni caso, e per qualsiasi categoria, le tre confederazioni fossero quelle "maggiormente rappresentative", senza alcun vaglio e alcun procedimento che assicurasse a questa aprioristica presunzione legittimità democratica reale. In forza di essa, ogni altra espressione del movimento sindacale e operaio veniva tacitata, emarginata, qualche volta criminalizzata.
In base a questa presunzione, si è preteso perfino che lo Stato delegasse alla federazione unitaria Cgil-Cisl-Uil la stessa regolamentazione del diritto di sciopero. Questa operazione veniva definita "autoregolamentazione". In realtà era la quadratura del cerchio del corporativismo bottaiano, attualizzato dal regime partitocratico: si trattava soltanto di una regolamentazione - dall'alto del vertice sindacale - del diritto di sciopero dei lavoratori e dei diritti delle organizzazioni sindacali e delle categorie che non si riconoscevano nella politica della "triplice". In realtà i radicali sono rimasti gli unici ad invocare regolamentazione per legge, che sancisce certezze del diritto e condizioni giuridiche uguali per tutti.
Caduta in pezzi la "triplice", cade in pezzi anche la costituzione materiale su cui si sono fondati i nostri rapporti sindacali. Manca la costituzione materiale, manca ogni quadro giuridico, manca ogni diritto, rimangono silenziosi e inerti l'art. 39 e 40 della Costituzione. E le contraddizioni di una costituzione materiale, costruita contro il diritto, esplodono tutte contemporaneamente. E' comprensibile che siano tutti in gramaglie quei giuristi che hanno messo il loro pensiero, la loro opera ed i loro servizi all'edificazione di questo singolare diritto corporativo fondato esclusivamente sull'unità obbligatoria della "triplice" e sulla assenza di ogni procedura democratica a qualsiasi livello. E' comprensibile l'imbarazzo del maggior artefice di questa cultura, quel Gino Giugni, socialista, attuale presidente della Commissione lavoro del Senato, che vede combattere il decreto-legge del governo Craxi in base alle citazioni di alcuni suoi aurei testi.
Ma senza per ora entrare nel merito di un tale provvedimento e neppure di molti profili possibili di costituzionalità del decreto-legge emanato dal governo, sono davvero sconcertanti gli argomenti di incostituzionalità addotti dal partito comunista e dalla Cgil. Con quale credibilità si può invocare oggi quegli articoli della Costituzione che fino a ieri si è preteso di lasciare inattuati? In realtà quando i comunisti parlano di costituzionalità e di incostituzionalità, si riferiscono soltanto alla costituzione materiale che fino ad oggi è stata in vigore. Ma proprio quella costituzione materiale si è spezzata con lo spezzarsi dell'unità interna alla federazione. Come la si può invocare una volta che è caduta in pezzi?
Tutti gli argomenti del Pci si riducono ad uno solo, e abbastanza singolare: gli stessi procedimenti sono costituzionali, se condivisi e sottoscritti dalla Cgil, incostituzionali se rifiutati e non sottoscritti dalla Cgil.
Costituzionale il decreto-legge che ratificava l'accordo Agnelli-Lama del '75 sul punto unico di contingenza, costituzionali tutti i decreti-legge che hanno limitato la scala mobile di categorie rilevanti con il dissenso dei sindacati "maggiormente rappresentativi" di quelle categorie (pensiamo ai bancari, o ai piloti); incostituzionale invece il decreto-legge attuale emanato dal governo.
Questa considerazione si estende ad ogni altro aspetto della vita sindacale. I consigli di fabbrica furono dimenticati durante gli accordi dell'Eur. Sono rivalutati oggi come espressione dell'autentica democrazia sindacale di base. Gli scioperi selvaggi erano criminali se attuati da sindacati autonomi, in contrasto con la federazione unitaria Cgil-Cisl-Uil, diventano
legittimi oggi se attuati dai consigli con la benedizione della Cgil.
Il decreto-legge del governo non ci piace; non ci convince e non condividiamo la soluzione adottata; ma ancor meno ci piace questa teorizzazione corporativa del sindacalismo italiano. Vorremmo augurarci che sulle sue ceneri potesse finalmente edificarsi il diritto sindacale. Ma avremmo bisogno per questo di altri partiti e altri sindacati, di democrazia e non partitocrazia.