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Cicciomessere Roberto - 14 aprile 1984
PROGETTO '85: UN'OCCASIONE PER FARE POLITICA
di Roberto Cicciomessere

SOMMARIO: Alla vigilia del XXX Congresso, il segretario del Partito radicale apre il dibattito precongressuale suggerendo i temi, problemi e proposte per la politica radicale nel 1985. La lotta contro lo sterminio per fame.

(NOTIZIE RADICALI n. 69, 14 aprile 1984)

Caro lettore di "Notizie Radicali", iscritto o no al partito, mi scuserai se in qualche modo prescinderà, propio alla vigilia della scadenza centrale della nostra vita associativa - il congresso del partito -, dal dibattito in corso, le cui voci sono riportate, seppur parzialmente, in questo giornale. Ma ho un unico, prevalente, probabilmente esclusivo, interesse. Quello di assicurare le condizioni più favorevoli per il dibattito e la migliore decisione congressuale, quello di tentare di rimuovere gli ostacoli che possano pregiudicare negativamente le scelte che dovremo fare. Se ricevi e leggi questo foglio, devo presumere che in qualche modo questi interessi siano anche i tuoi. Non mi riferisco evidentemente al libero esercizio del confronto e scontro politico che sempre è stato tutelato e garantito nelle nostre assise. Il servizio più utile che posso fornire al congresso è la proposizione del quesito congressuale, del titolo, qualcuno ha detto, su cui invitare i compagni a dibattere senza lasciarsi tentare

da false domande o dai miraggi delle scorciatoie. Per far ciò devo svolgere alcune brevi considerazioni. L'opera di consapevole sabotaggio del partito comunista nei confronti della campagna per "milioni di vivi subito" che con tanto successo e consenso avevamo incardinato ad aprile, rischia di concludersi con la normalizzazione definitiva delle speranze internazionalistiche, umanitarie e democratiche che si erano aggregate, non solo in Italia, attorno alla rivoluzione dei rapporti nord-sud contenuta nella proposta radicale. Mentre scrivo l'"Unità" annuncia trionfalmente la liquidazione della "proposta Piccoli" e la vittoria del suo proposito di restaurazione di quella politica di "cooperazione" che consapevolmente significa accettazione dello sterminio in atto in nome di altri interessi prevalenti. In nome, cioè, di quella politica con la quale si regalano centinaia di miliardi al dittatore etiope Menghistu, al suo regime militarizzato e perfino alle truppe cubane impegnate a sterminare gli eritrei; in nome

della quale si deve continuare ad utilizzare la cooperazione per il sostegno, anche militare, di Gheddafi e degli altri che "garantiscono" l'ordine del dominio sulle masse affamate e a cui l'Occidente democratico non ha saputo né voluto contrapporre l'affermazione e la promozione di valori democratici di cui pure qualche volta è stato portatore. E' questa la politica che vede accomunati, in una sintonia terribile, i ministri degli Esteri del Pci e della DC, Pajetta ed Andreotti, il commesso viaggiatore della Fiat e delle altre industrie belliche Spadolini e il silenzioso ministro per il Commercio socialista all'estero Capria.

Non ci si può chiedere come mai siamo riusciti a sollecitare contraddizioni nel partito di Andreotti, mentre neppure abbiamo scalfito il Pci, promosso al ruolo di tutela della lobby della cooperazione, di quegli interessi di regime che altrimenti rischiavano di essere messi in crisi dalla nostra proposta.

Non si può non riflettere sullo stato comatoso di una "democrazia" nella quale maggioranze politiche e di consenso internazionale costituite sulla proposta dei tre milioni di vivi possono essere battute non dalla sollevazione popolare o da un voto parlamentare ma dal veto del Pci.

Non possiamo non interrogarci sulla stessa possibilità di far politica, (e con ciò intendendo la capacità d'incidere sulla storia, sulla vita e sui destini degli uomini, come mai ha rinunciato a fare il Partito radicale), oppure rassegnarci ad assistere agli eventi ritagliando margini di iniziativa periferica.

Ecco come la questione "fame nel mondo" non è per il nostro partito una delle tante battaglie che può essere persa o vinta senza con questo mettere in discussione la nostra ragione associativa. Ecco perché l'interrogativo centrale del nostro congresso, a cui nessuno può sottrarsi, è uno solo, è tutt'uno con la possibilità di vincere sulla giustizia come sull'ecologia.

Il nostro statuto per fortuna non consente scappatoie facili, quelle che passano attraverso la conferma formale dell'obiettivo per negarlo poi nella determinazione delle priorità. Il congresso non deve decidere una "strategia", ma precisi obiettivi su cui manifestare e articolare il disegno generale.

E' illusorio pensare di poter risolvere a tavolino questo drammatico quesito o, peggio, riconducendolo a dinamiche tutte interne al microcosmo radicale. Cercare d'individuare gli errori è un esercizio fondamentale e vitale. Rimuovere il problema, non fare scelte, illudendosi che sia sufficiente qualche cambiamento di "dirigenti", è pericoloso e infantile. Può certo alimentare un intenso dibattito congressuale, proporre una parodia degli altri partiti, ma allontanerebbe noi tutti dalla comprensione delle soluzioni.

Non ho in tasca la risposta ma credo di conoscere comunque il percorso obbligato per cercarla: il confronto con l'opinione pubblica e lo scontro politico. Il congresso del partito è una occasione preziosa, che non si ripeterà per i prossimi dodici mesi, che per ora il regime non ci può impedire di utilizzare, per parlare a milioni di persone, per fare lotta politica.

Hanno sempre tentato, e spesso ci sono riusciti, di ricondurlo alle logiche consumate e innocue delle contrapposizioni personali, delle risse, delle scissioni. Promuovendo dissensi, provocando scissioni. Questo per impedire che il nostro congresso trasmettesse progettualità politica e corrispondesse alle speranze della gente.

Cadremo in trappola? Spero di no, ma non basta.

Sapremo arrivare al congresso con quella forza che ci consenta di essere interlocutori e riconosciuti unici oppositori della partitocrazia?

Manca un miliardo, mancano all'appello tanti compagni.

La nostra forza nella società non risiede nel numero di consiglieri comunali più o meno a piede libero, nel numero e nel grado degli amministratori lottizzati, ma nella nostra assoluta e riconoscibile alterità rispetto ai partiti. Siamo l'unico partito rimasto integro nei confronti degli elementi di corruzione ideale e finanziaria presenti perfino nelle più minoritarie formazioni politiche. Ci paghiamo la politica, ci autofinanziamo e possiamo permetterci di proporre credibilmente il referendum sul finanziamento di Stato dei partiti.

Non so, caro lettore di "Notizie radicali" che sei iscritto al partito, che lo sei stato o che non escludi di divenirlo, se vorrai costituirti, nei prossimi giorni che mancano al congresso, come forza di quel progetto radicale che insieme, a Roma, dovremo ribadire e reinventare.

Io ho tutta la convinzione necessaria per chiedertelo.

 
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