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Teodori Massimo - 24 aprile 1984
L'innominato...
di Massimo Teodori

SOMMARIO: Il "salvataggio" di Andreotti da parte del Pci (con la loro astensione i deputati comunisti hanno impedito l'approvazione di una mozione radicale con cui si chiedevano, in relazione alla bancarotta di Michele Sindona, le dimissioni di Andreotti) non è stato un incidente di percorso ma la coerente conseguenza di una politica decennale comunista che ha avuto in Andreotti il principale interlocutore.

(NOTIZIE RADICALI N. 70, 24 aprile 1984)

La votazione per le dimissioni di Andreotti al termine del dibattito sul "caso Sindona" del 4 ottobre non è stata un incidente della politica comunista. Quell'astensione che ha salvato il "capitano di lungo corso" della politica italiana ha rappresentato, al contrario, un atto coerente e conseguente con tutta la politica comunista dell'ultimo decennio che ha avuto in Andreotti il maggior interlocutore. Semmai è stata proprio la sconfessione dell'indomani della segreteria del Pci a portare il segno di una patente schizofrenia della dirigenza comunista, ormai in preda agli umori del momento ed oscillante fra rigorismi vetero-comunisti e abitudini di routine. Andreotti, lo si sa, è stato il presidente del Consiglio della maggioranza d'unità nazionale dal 1976 al 1979, ma ancor più è stato l'artefice di quel costante incontro tra Dc e Pci sul terreno della più cinica gestione del potere. Non dunque il disegno storico, se pure ce ne fosse uno, attribuito ad Aldo Moro, ma la sua traduzione in una realpolitik quoti

diana in cui le transazioni politiche effettuate sul mercato sotterraneo hanno costituito per anni il vero terreno di compromesso fra la grossa e scellerata pratica del potere democristiana e l'occupazione di ogni angolo della società, delle istituzioni e dello Stato praticata dal Pci. Ma, ancor dopo la fine dell'unità nazionale, Andreotti ha seguitato a rappresentare un tabù per i comunisti e l'interlocutore che puntualmente su ogni tema (si veda da ultimo la "fame") ha corrisposto alle peggiori aspettative e richieste comuniste.

Continuo a domandarmi come mai i deputati del Pci - ed in questo il capogruppo Napolitano certamente è stato saggio nel decretare l'astensione - avrebbero potuto votare il 4 ottobre contro Andreotti avendo stretto il 15 luglio un solido patto con la Dc, attraverso l'esaltazione della relazione Anselmi sulla P2, patto fondato proprio sul salvataggio totale di Andreotti, l'"innominato" della relazione, in presenza di una schiacciante documentazione per il caso Sindona e più in generale per tutta la P2 comprovante le onnipresenze del leader dc in tutte le trame piduistiche.

Del resto anche la nostra iniziativa - che per la prima volta è stata rappresentata dalla stampa per il suo valore dirompente - non è stata un episodio improvviso e fortuito. Da sempre la politica radicale ha uno dei cardini anche operativi in quelle che sono le strutture vere di regime. E, negli ultimi anni, con l'azione costante, quotidiana e incalzante nelle commissioni d'inchiesta "Sindona" prima e "P2" poi, abbiamo scavato a fondo la struttura portante del regime costituita dall'incrocio fra partitocrazia e sistema dei poteri cosiddetti occulti. Ben conosciamo da molto tempo che il terreno reale della degenerazione partitocratica del nostro sistema si fonda sul trasferimento della lotta politica dal terreno del conflitto palese di valori ed interessi nelle istituzioni a quello occulto e fuori della legalità in cui dominano le guerre per bande. Lo abbiamo costantemente affermato: questa è la fine della democrazia. Ed Andreotti di tutto ciò è solo un elemento, anche se il maggiore e quello che da più temp

o ha vissuto su una rete di ricatti divenuta fondante per la stessa politica nazionale. Se, dunque, successo abbiamo ottenuto il 4 ottobre, esso lo si deve non alla brillante iniziativa di una giornata ma alla fiducia che abbiamo messo nell'insistere ad attaccare il cuore stesso del regime, cioè gli uomini, le forme e le strutture che ne rappresentano la massima e più genuina espressione.

Non ignoriamo che - come si va dicendo in questi giorni - la causa di Andreotti porterebbe ad un terremoto, ed è quindi difficile che l'uomo salti. E' vero: il "caso Andreotti" è il caso dell'intera partitocrazia, a cominciare dalla Dc, ed è il caso stesso del Pci. Andreotti è strettamente legato a molti altri uomini nel suo partito, e negli altri partiti, soprattutto il Pci, da molteplici e solidi vincoli di reciproca ricattabilità. L'equilibrio stesso dell'intera politica italiana è fondato sul ricatto di almeno 15 anni di affari loschi, grandi scandali, financo assassinii e sul possesso delle relative informazioni. Non esitiamo ad ad affermare che tutto ciò è divenuto talmente costituente la stessa politica ufficiale che ogni atto di questa risponde solo apparentemente ad una logica che è quella dichiarata mentre viene condizionata e molte volte determinata da quel fiume sotterraneo che scorre sotto. La P2 in fondo è stata proprio questo, con la concentrazione in un unico fenomeno di quel che peraltro è c

apillarmente diffuso. Andreotti ha rappresentato proprio la chiave di volta di questa al tempo stesso solidissima e fragilissima costruzione sotterranea. Se si toglie quindi la chiave, tutta la costruzione crolla inesorabilmente attraverso la propagazione di un moto ondoso dalle conseguenze devastanti.

Ma non possiamo accettare gli inviti alla prudenza né contorti ragionamenti del "cui prodest". Dentro l'impalcatura andreottian-comunista-partitocratica non v'è spazio per la crescita di una qualsiasi politica decente, di destra o di sinistra, una politica degna di questo nome. Il "caso Andreotti" per i radicali non è niente affatto un caso personale e neppure quello del più gran malfattore di regime. E' invece qualcosa di molto più grande e drammatico: è il caso della degradazione della Repubblica. Per questo avvertiamo che portiamo la responsabilità di dovere andare a fondo. E se il terremoto che si è messo in moto avrà proporzioni inimmaginabili, siamo sicuri che rovineranno proprio tutte quelle costruzioni inquinate che si sorreggono a vicenda e che rappresentano la cappa di piombo della vita del nostro paese e della possibilità stessa che i grandi problemi del diritto e della libertà possano riacquistare un posto centrale nel conflitto politico.

 
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