(CAMERA DEI DEPUTATI - QUADERNI DI DOCUMENTAZIONE DEL SERVIZIO STUDI - IL REFERENDUM ABROGATIVO IN ITALIA: LE NORME, LE SENTENZE, LE PROPOSTE DI MODIFICA, Roma 1981 - Aggiornamenti successivi)
22 settembre 1984: presentazione della richiesta
7 dicembre 1984: Ordinanza Ufficio centrale della Corte di Cassazione che dichiara legittima la richiesta
7 febbraio 1985: Sentenza n. 35 della Corte costituzionale che dichiara l'ammissibilità della richiesta
4 aprile 1985: D.P.R. di indizione del referendum
9 giugno 1985: svolgimento del referendum
Voti attribuiti alla risposta affermativa (SI): 15.460.855
Voti attribuiti alla risposta negativa (NO): 18.384.788
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CORTE COSTITUZIONALE
SENTENZA 6 FEBBRAIO 1985 N. 35
(...)
"Considerato in diritto":
1. - Secondo un ordine logico, va preso anzitutto in esame il problema dell'integrazione del quesito referendario da parte dell'Ufficio centrale per il "referendum", disposta nei termini già ricordati in narrativa: integrazione che l'Avvocatura dello Stato contesta, negando la competenza dell'Ufficio ad effettuare qualunque operazione correttiva del genere.
Impropriamente, però, l'Avvocatura si appella alla sentenza n. 16 del 1978, con cui questa Corte ha escluso che la vigente disciplina del "referendum" abrogativo consenta la scissione delle richieste referendarie, pur dove esse risultino così disomogenee da esigere distinte consultazioni del corpo elettorale. Altro, infatti, è la scissione delle richieste, altro la rettifica delle richieste stesse, mirante a far coincidere forma e sostanza del quesito, secondo l'effettiva ed inequivoca volontà dei promotori del "referendum". Ora, nella specie, la corte considera pacifico che i promotori non abbiamo inteso coinvolgere nel quesito in esame - come risulta dalla struttura di esso - tutte le disposizioni del decreto-legge n. 10 del 1984, comprese quelle attinenti alle tariffe, ai prezzi amministrati ed agli assegni familiari; ma abbiano avuto riguardo - nei medesimi termini della richiesta concernente l'art. 3 del decreto-legge n. 70, convertito nella legge n. 219 del 1984 - al solo "taglio" dei punti di variazio
ne dell'indennità di contingenza e dell'indennità integrativa speciale, sia pure nella parte concernente il trimestre febbraio-aprile. Pertanto, la Corte deve muovere dalla decisione con cui l'Ufficio centrale ha ritenuto necessario aggiungere alla richiesta in esame le parole "limitatamente a quelli di cui all'art. 3 di quest'ultimo decreto-legge".
2. - In base alle diffuse argomentazioni dell'Avvocatura dello Stato, la Corte dovrebbe riconsiderare le conclusioni raggiunte dall'Ufficio centrale, anche e soprattutto per ciò che riguarda le premesse interpretative che hanno condotto l'Ufficio a dichiarare legittima la richiesta in questione: sia quanto alla ricostruzione delle norme formanti l'oggetto del quesito referendario, sia - principalmente - quanto all'individuazione degli effetti che il "referendum" sarebbe suscettibile di determinare. Nella già descritta prospettiva dell'Avvocatura, i punti di variazione dell'indennità di contingenza e dell'indennità integrativa speciale, "tagliati" in virtù dei decreti-legge n. 10 e n. 70 del 1984, non sarebbero mai venuti in essere nell'ordinamento giuridico e non potrebbero, quindi, venire nuovamente calcolati e riattribuiti ai lavoratori interessati, se non provvedendo a ridisciplinare per legge la materia. Di conseguenza, il "referendum" del quale si tratta non sarebbe in grado di realizzare il suo scopo,
se non a condizione di riconoscergli una qualche efficacia retroattiva, implicante la piena restaurazione del meccanismo della scala mobile sin dal trimestre febbraio-aprile 1984: il che, per altro, significherebbe snaturare l'istituto di democrazia diretta configurata dall'art. 75 Cost., cui la Carta costituzionale non avrebbe collegato altro che un normale effetto abrogativo ed ablativo, destinato ad operare per il solo avvenire. E come, per tali motivi, l'Ufficio centrale avrebbe dovuto pronunciare l'illegittimità della richiesta referendaria, così la stessa Corte sarebbe ora tenuta a dichiarare l'inammissibilità del "referendum".
Al fine di apprezzare la consistenza di queste eccezioni, occorre però ricordare quali siano i compiti rispettivamente attribuiti all'Ufficio centrale ed alla Corte, nell'ambito del complesso procedimento previsto dalla legge n. 352 del 1970. La legge stessa precisa - nel secondo comma dell'art. 32 - che "l'Ufficio centrale... esamina tutte le richieste depositate, allo scopo di accertare che esse siano conformi alle norme di legge, esclusa la cognizione dell'ammissibilità, ai sensi del secondo comma dell'art. 75 della Costituzione, la cui decisione è demandata dall'art. 33 della presente legge alla Corte costituzionale"; ed è all'Ufficio che spetta rilevare "le eventuali irregolarità delle singole richieste" (in base al citato terzo comma dell'art. 32), proporre la "concentrazione" delle richieste che rilevino "uniformità o analogia di materia" (cfr. il quarto comma del medesimo articolo), nonché dichiarare che le operazioni referendarie "non hanno più corso", "se prima della data dello svolgimento del "ref
erendum", la legge, o l'atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di essi cui il "referendum" si riferisce, siano stati abrogati" (secondo l'espresso disposto dell'art. 39). Ora, è ben vero che la Corte - a partire dalla sentenza n. 16 del 1978 - ha costantemente ritenuto, al di là delle ipotesi testualmente indicate dal secondo comma dell'art. 75 Cost., la sussistenza di "altre ragioni", individuali "in via sistematica", che possono comunque "precludere il ricorso al corpo elettorale". Ma il conseguente ampliamento delle cause d'inammissibilità del "referendum" non ha mai comportato il venir meno della linea distintiva fra le attribuzioni della Corte e le attribuzioni dell'Ufficio centrale.
Fin dalla sentenza n. 251 del 1975 (cui la sentenza n. 6 del 1978 fa esplicito riferimento), si è invece ribadito quanto già risulta dalla legge n. 352, ossia che "al controllo di legittimità dell'ammissibilità del "referendum""; ed a quella pronuncia si sono poi aggiunte, in termini estremamente significativi, la sentenza n. 68 del 1978 e le sentenze nn. 30 e 31 del 1980. Con la prima di tali decisioni s'è infatti stabilito che spetta all'Ufficio centrale (e non alla Corte) "valutare... se la nuova disciplina legislativa, sopraggiunta nel corso del procedimento, abbia o meno introdotto modificazioni tali da precludere la consultazione popolare, già promossa sulla disciplina preesistente"; e nelle due altre pronunce si è poi precisato che, "entro la sfera delle proprie attribuzioni, l'Ufficio centrale è investito di un potere decisorio..., le cui modalità di esercizio non spetta alla Corte sindacare". In breve, perciò, la Corte si è riservata - come ancora si legge nelle sentt. n. 30 e n. 31 del 1980 - il so
lo "controllo di costituzionalità" del "referendum"; mentre "le indagini affidate all'Ufficio centrale... involgono... sia il coordinamento sia la valutazione comparativa di norme, che si succedono nel tempo, sempre sul piano della legge ordinaria e delle fonti normative a questa equiparate", anziché sul piano delle norme costituzionali. Ed entro la sfera spettante all'Ufficio non si può pretendere che la Corte operi - in sostanza - come un giudice di secondo grado, appellandosi ad essa contro le pronunce già adottate dall'Ufficio stesso.
Ma, nella specie, è precisamente sul piano della legislazione ordinaria che sono rimaste collocate le scelte interpretative e le decisioni dell'Ufficio centrale. Tale collegio non ha affatto ritenuto che la richiesta in esame potesse tradursi - come assumeva ed assume l'Avvocatura dello Stato - in un "referendum" di tipo retroattivo: nel qual caso la Corte avrebbe dovuto accertare, a sua volta, se consultazioni del genere rientrino (ed eventualmente a quali condizioni) nella tipologia dei "referendum" abrogativi, configurati e conseguiti dalla Costituzione. Al contrario, l'Ufficio si è posto il problema se la richiesta in esame avesse ed abbia di mira "un voto popolare... in partenza privato di entrambi i suoi effetti tipici, abrogativo e preclusivo, alternativamente previsti dagli artt. 37 e 38 della legge.... n. 352, esattamente come nell'ipotesi di una legge abrogata" (secondo la terminologia della sentenza n. 68 del 1978); il che non avrebbe avuto senso, ove si fosse trattato di un "referendum" retroatti
vo, che per definizione non potrebbe considerarsi giuridicamente inutile e dunque illegittimo. Ma la soluzione del quesito è stata negativa, poiché l'Ufficio stesso ha sostenuto che il "taglio" dei punti di variazione dell'indennità di contingenza e dell'indennità integrativa speciale continua "a produrre... effetti mediati e conseguenziali, destinati a verificarsi uno o più volte in tempi successivi, in ulteriore deroga al sistema previgente"; ed ha perciò rilevato che il richiesto "referendum" sarebbe per l'appunto idoneo - secondo la costante prospettazione dei promotori - ad impedire "l'ulteriore verificarsi" di tali conseguenze, "fermo restando soltanto ogni e qualsiasi effetto prodottosi prima del giorno previsto dal terzo comma dell'art. 37 della legge 1970 n., 352" (vale a dire, prima del giorno successivo a quello della pubblicazione del decreto presidenziale dichiarante l'avvenuta abrogazione delle disposizioni sottoposte a "referendum").
Stando così le cose, non giova discutere se gli effetti giuridici del "taglio" si siano esauriti allo scadere del semestre febbraio-luglio 1984, lasciando perdurare i soli effetti economici (per altro imputabili agli stessi criteri che presiedono al normale conteggio dei punti di variazione dell'indennità di contingenza e dell'indennità integrativa speciale); o se, viceversa, la ridotta operatività del meccanismo della scala mobile continui a ripercuotersi, in termini giuridicamente rilevanti, sulle retribuzioni periodicamente dovute ai lavoratori subordinati. Qualunque sia la risposta, è infatti palese che non può essere la Corte a fornirle, poiché in entrambi casi si tratta soltanto di fissare l'ambito temporale di efficacia d'una disciplina legislativa ordinaria (non altrimenti che nell'ipotesi - prevista dall'art. 39 della legge n. 352 - di una successiva abrogazione delle disposizioni sottoposte a "referendum").
Né la conclusione muta quanto al penultimo ("rectius": ultimo) comma dell'articolo unico della citata legge di conversione, per cui "retano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e non salvi gli effetti prodotti ed i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto-legge 15 febbraio 1984, n. 10". L'Ufficio centrale ha infatti precisato - ed il compito promotore ha ribadito - che tale disposizione è stata coinvolta nel quesito con "l'unico e comune scopo di evitare ogni possibile ulteriore operatività delle norme sul raffreddamento dei punti" di contingenza. Sicché rimane fermo, anche da questo lato, che la richiesta referendaria è atta ad incidere - nel caso di un risultato favorevole all'abrogazione - sulle sole retribuzioni da corrispondere successivamente alla pubblicazione del decreto presidenziale previsto dall'art. 37 della legge n. 352.
3. - Con queste premesse e nei limiti temporali segnati dall'ordinanza dell'Ufficio centrale, la Corte può dunque passare senz'altro all'esame delle altre eccezioni d'inammissibilità, proposte dall'Avvocatura dello Stato: la quale ha sostenuto, da una parte, che le disposizioni formanti l'oggetto della richiesta - al pari delle "leggi finanziarie" - sarebbero assimilabili alle leggi "di bilancio", espressamente sottratte al "referendum" abrogativo in base al secondo comma dell'art. 75 Cost.; ed ha argomentato, d'altra parte, che non si potrebbe "spezzare l'omogeneità, la coerenza, la stretta concatenazione" delle misure previste dal decreto-legge n. 70 del 1984, per assoggettare al "referendum" le sole disposizioni che impongono un sacrificio ai lavoratori, isolandole da quelle compensative del sacrificio stesso.
Tuttavia, né l'uno né l'altro assunto si dimostrano fondati.
a) Per stabilire se la disciplina in questione debba essere esclusa dall'area del "referendum" abrogativo, in vista del secondo comma dell'art. 75 Cost., non occorre che la Corte analizzi il nesso riscontrabile fra le cosiddette leggi finanziarie e le leggi di bilancio. Effettivamente, ai sensi dell'art. 11 della legge 5 agosto 1978, n. 468, la legge finanziaria può annualmente operare "modifiche ed integrazioni a disposizioni legislative aventi riflessi sul bilancio dello Stato, su quelli delle aziende autonome e su quelli degli enti che si ricollegano alla finanza statale", provvedendo a "tradurre in atto la manovra di bilancio per le entrate e le spese che si intende perseguire"; ed è ben noto che la legge stessa e la corrispondente legge di bilancio derivano da un comune processo decisionale, anche se mantengono una diversa natura e subiscono limiti diversi per effetto dell'art. 81 della Costituzione. Senonché, nella soluzione dell'attuale problema, risulta comunque decisiva la considerazione che i dispo
sti compresi nella richiesta referendaria sono esorbitanti, sia formalmente che sostanzialmente, dall'ambito proprio delle stesse leggi finanziarie.
Da un punto di vista formale, è incontroverso che le misure di politica economica prefigurate dal decreto-legge n. 10 e quindi realizzate dal decreto-legge n. 70 non sono state puntualmente preannunciate dalla legge finanziaria 1984 (promulgata sin dal 27 dicembre 1983), né recepite dalla legge finanziaria 1985; tanto più che in tali atti assume un qualche rilievo il solo trattamento economico dei dipendenti pubblici, ad esclusione di quelli privati. Da un punto di vista sostanziale, poi, le disposizioni investite dalla richiesta in esame non riguardano in modo specifico "la manovra di bilancio" né il fabbisogno della finanza pubblica, sia pure allargata; bensì hanno di mira - come di precisa nelle premesse dei decreti-legge n. 10 e n. 70 del 1984 - "il contenimento dell'inflazione nei limiti medi del tasso programmato per l'anno 1984, al fine di favorire la ripresa economica generale e mantenere il potere di acquisto delle retribuzioni". Ciò mostra come tali disposizioni siano completamente estranee alla fi
gura della legge di bilancio in senso tecnico, quale è desumibile dalle combinate previsioni degli artt. 75 ed 81 Cost. Né si può forzare il testo costituzionale fino al punto di affiancare alle leggi di bilancio le innumerevoli leggi comunque interessanti il bilancio medesimo: poiché una siffatta integrazione dell'art. 75 sarebbe "ovviamente inammissibile per la sua evidente esorbitanza dai limiti interpretativi posti da questa Corte con la citata sentenza n. 16/78" (come ha precisato la sentenza n. 26 del 1982, nel caso - per certi aspetti analogo - del "referendum" concernente l'esclusione della contingenza dal computo delle indennità di anzianità).
b) Del pari, non ha pregio sul piano giuridico la tesi per cui la richiesta in esame sarebbe incongruamente formulata, e dunque dovrebbe venir dichiarata inammissibile, per non aver coinvolto l'intero complesso dei provvedimenti adottati con il decreto-legge n. 70. Queste misure si differenziano profondamente, infatti, sia per i loro contenuti sia per i soggetti che vi sono interessati; sicché non si riscontra, nel presente caso, quella "contraddittorietà ed incoerenza tra la proposta abrogativa di alcune norme e la prevista permanenza di altre nello stesso contesto normativo", in nome della quale la Corte dichiarò inammissibili - mediante le sentenze nn. 27 e 29 del 1981 - le richieste referendarie concernenti la disciplina della caccia e l'ordinamento della Guardia di finanza.
In altre parole, la presenza di misure atte a compensare il sacrificio economico imposto ai lavoratori dipendenti, in forza dell'art. 3 del decreto-legge n. 70, concorre a dimostrare che il legislatore non ha violato i criteri di ragionevolezza ed ha inteso perseguire i "fini sociali", di cui agli artt. 3 e 41 della Costituzione (come si è già ritenuto nel giudizio sulla legittimità costituzionale del "taglio" della scala mobile); ma non rileva in un giudizio concernente l'ammissibilità d'una richiesta referendaria, che obbedisce in maniera coerente ed inequivoca alla scelta liberamente adottata dai promotori e dai sottoscrittori. Ed è solo al corpo elettorale, non a questa corte, che spetta di pronunciarsi sull'intrinseca bontà della scelta stessa.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
"dichiara" ammissibile la richiesta di "referendum" popolare per l'abrogazione parziale dell'articolo unico della legge 12 giugno 1984, n. 219 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 aprile 1984, n. 70, concernente misure urgenti in materia di tariffe, di prezzi amministrati e di indennità di contingenza), iscritta al n. 28 del reg. ref., nei termini indicati in epigrafe, e dichiarata legittima con ordinanza 7-12 dicembre 1984 dell'Ufficio centrale per il "referendum", costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 1985.
F.to: LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI - GIUSEPPE FERRARI - FRANCESCO SAJA - GIOVANNI CONSO - ETTORE GALLO - ALDO CORASANITI - GIUSEPPE BORZELLINO - FRANCESCO GRECO.
GIOVANNI VITALE - "Cancelliere"