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Pannella Marco, Sindona Marco, Melega Gianluigi - 13 ottobre 1984
QUESTIONE MORALE, QUESTIONE PCI
di Marco Pannella, Marco Sindona, Gianluigi Melega

SOMMARIO: "L'Unità" ha iniziato un'attività di aggressione ai danni del PR in seguito alla rivelazione da parte di quest'ultimo al Paese delle connivenze del PCI con il potere attraverso il voto su Andreotti. In particolare l'aggressione si concreta con la chiamata in causa di Marco Sindona, tesoriere del PR di Lombardia, che è accusato di non essersi dissociato dall'operato del padre, e con la critica al PR accusato di non averlo espulso o discriminato in base alla sua qualità di figlio. La redazione de "L'Unità", ricevuta la lettera con la quale Marco Sindona chiedeva una rettifica delle notizie riportate, si giustifica dichiarando che pur non avendo mai confuso le responsabilità dei padri con quelle dei figli, tuttavia ritiene che in presenza di una situazione come quella di Marco Sindona si hanno due possibilità: o si prende posizione nei confronti delle questioni che hanno causato l'incriminazione di parenti, e allora si può continuare a fare politica, oppure si lascia la politica e si difendono i pro

pri parenti.

(NOTIZIE RADICALI N. 71, 30 aprile 1984)

(Attraverso l'"Unità" continua l'aggressione ai danni del Partito radicale colpevole di avere rivelato al paese, con il voto su Andreotti, le connivenze che il partito comunista ha con il potere. Ne fa le spese Marco Sindona, colpevole di essere figlio del padre. Le emittenti di Berlusconi chiuse a colpi di sequestri per "esercizio abusivo" dei ponti-radio. La delibera del consiglio federale.)

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Il direttore dell'"Unità" Emanuele Macaluso è buon secondo nell'usare l'infame procedura di accusare un figlio per le colpe del padre ed edificare su questo un'aggressione di stampa ignobile (fascista o stalinista che sia è questione di termini e di sinonimi) contro una forza politica avversaria e concorrente, contro la stessa dignità della politica. Prima di lui si accusò Marco Sindona, tesoriere del Pr di Lombardia, di essere figlio di suo padre, e il Pr di non averlo espulso o discriminato in base al suo sangue ed alla sua qualità di figlio. Ad accusarci fu allora il direttore piduista di un settimanale rizzoliano, piduista, che dopo pochi mesi doveva lanciare la prima grande intervista a Licio Gelli, e dalla colonne di un quotidiano far campagna per la pena di morte. Denunciato per diffamazione, la giustizia milanese di quel tempo stabilì che la diffamazione era "generica" e prosciolse il Macaluso antemarcia per amnistia.

Ma questa aggressione ha il sapore del già vissuto, del vecchio. A questo punto non ricordiamo bene se non fu per caso proprio Emanuele Macaluso, di già, ad usare l'infame metodo delle insinuazioni e delle mormorazioni contro un eminente senatore della Repubblica, del Pci se non andiamo errati, solo perché risultato congiunto molto stretto di una delle pasionarie del terrorismo; solo perché mentre ancora crepitavano le armi assassine quel senatore (giustamente e ammirevolmente, secondo noi) sentiva il diritto-dovere di recarsi a visitare la presunta terrorista nelle carceri speciali, rifiutandosi a qualsiasi vile ed indecorosa "dissociazione" dalle responsabilità della congiunta.

Sì, deve essere stato proprio Emanuele Macaluso. O sbagliamo?

Con la gente tipo Sindona, d'altra parta, con i Gelli, i Calvi, i Marcinkus, come con i De Lorenzo o i Santovito, il Pci ha sempre fatto affari, ha sempre avuto rapporti di connivenza e di complicità, ha sempre intascato premi politici e trentine di miliardi, da gente come costoro si è fatto, di nascosto ma formalmente, letteralmente "ipotecare". Saremmo lieti di poterlo dimostrare in sede giudiziaria, se ce ne si offrirà l'occasione, che come si vede cerchiamo di provocare.

Con questi metodi e questa gente nessuna "questione morale" può essere sollevata senza perdere. Si può lottare contro gli Andreotti, e lo facciamo, da sempre: ma ormai ad una condizione. Quella di chiedere contemporaneamente, di esigere le "dimissioni", l'espulsione dalla vita politica, dei Pecchioli e compagni.

Marco Pannella

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La lettera di Marco Sindona all'"Unità"

In relazione ad un articolo pubblicato sabato 13, Marco Sindona ci ha inviato una lettera chiedendone la pubblicazione ai sensi della legge sulla stampa.

All'attenzione del dott. Emanuele Macaluso e del dotto. Giuseppe Mennella.

Ai sensi dell'art. 8 della legge sulla stampa vi invito a pubblicare entro 48 ore dalla ricezione della presente, in prima pagina ed in testa di colonna, con le medesime caratteristiche tipografiche, la seguente rettifica:

"Per rimediare alla magra figura sulle dimissioni di Andreotti, l'"Unità" mi chiama in causa ingigantendo le mie passate qualifiche, definendomi "uno dei massimi dirigenti del Partito radicale" (mentre ero solo segretario del Pr della Lombardia e comunque in anni ben lontani dal crack) e accusandomi di non essermi "dissociato" da mio padre "ed anzi di avere condiviso tutto il suo operato". Non avendo mai partecipato alle attività di mio padre non so proprio da che cosa dovrei "dissociarmi" o "pentirmi". Forse dovrei agire per il disconoscimento del mio stato di figlio di Michele Sindona? O forse si chiede che i figli diventino i delatori e gli accusatori dei padri se non vogliono che le colpe di questi ricadano su di loro per il solo fatto della consanguineità? Il livello dell'aggressione è tale che qualifica chi la compie".

Marco Sindona

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La risposta dell'"Unità"

"Il nostro articolo di sabato 13 ha provocato scomposte reazioni di Pannella e soci. Ma ci siamo abituati e non avremmo risposto anche perché ormai sappiamo bene che le sortite pannelliane vanno lette in rapporto a precisi giochi di Palazzo.

Pubblichiamo la lettera di Marco Sindona non perché vi siamo obbligati dalla legge. Non abbiamo diffamato nessuno e lo stesso Sindona non pone un problema giuridico ma morale. Bene. Noi non abbiamo mai confuso le responsabilità dei padri e dei figli o viceversa. E' un metodo infame che non ci appartiene. Il rilievo nostro era un altro, ed era politico. Marco Sindona era negli anni 70 segretario-tesoriere (lo dice Pannella) del Partito radicale in Lombardia. Nessuno ha chiesto il "disconoscimento di paternità". Ma in casi simili, se si vuole continuare a fare battaglia politica, si possono imboccare due strade: o si prende posizione nei confronti delle questioni che hanno causato la incriminazione di parenti o si lascia la politica e si difendono - come è legittimo - i propri parenti. Che un figlio - anche se è il figlio di Sindona - difenda il padre è non solo legittimo ma naturale. Solo che deve fare una scelta. Ma, detto questo, il rilevo nostro era un altro ed era rivolto a Pannella il quale, nel corso de

lla campagna elettorale del 1979, nel pieno della polemica politica intorno al caso Sindona, non attaccò mai il bancarottiere e la cosa fu allora da noi rilevata anche perché ci fu segnalata ripetutamente da chi l'ascoltava. Del resto anche in seguito l'attacco dei radicali è stato rivolto solo ad Andreotti come se Sindona fosse stato vittima di una circonvenzione di incapace. Tutto qui. La nostra battuta voleva quindi solo ribadire cosa valgano certe campagne radicali. Forse potevamo farne a meno."

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Caro Macaluso...

"Caro Macaluso,

a proposito di due tue affermazioni nel corsivo dell'"Unità" di sabato 13 ottobre.

Ho chiuso la campagna elettorale del 1979 per il Partito radicale a Frosinone e a Sora, collegio di Andreotti, accusandolo in piazza dei suoi traffici con Sindona e promettendo a quegli elettori che, se fossi entrato in Parlamento, avrei fatto di tutto per mandare Andreotti e la sua Dc associazione a delinquere in prigione. In quegli anni voi comunisti votavate a favore di Andreotti e dei suoi governi (come del resto avete fatto anche il 4 ottobre scorso alla Camera), nonostante le sue pubbliche frequentazioni e premiazioni sindoniane.

In passato ho dovuto difendere un dirigente comunista (e tu sai chi) da velenose insinuazioni, perché la figlia della sua compagna era stata arrestata e accusata di terrorismo. Trovo vergognoso che proprio tu adotti nei confronti di Marco Sindona, colpevole soltanto di essere il figlio di Michele Sindona, l'infame metodo dell'insinuazione sui legami familiari che non sarebbero soltanto tali.

Mi auguro che il Pr si quereli per danni contro l'"Unità" per quanto ha scritto. Recentemente ho contribuito a una sottoscrizione per l'"Unità", così come chiedo ai compagni comunisti di contribuire a Radio radicale: sarei contento di sapere che una parte di quei denari ritornerà al Partito radicale sotto forma di risarcimento danni.

Tuo Gianluigi Melega".

 
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