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Aglietta Adelaide - 13 ottobre 1984
DIBATTITO PRECONGRESSUALE: ADELAIDE AGLIETTA

SOMMARIO: I giudizi sbrigativi dei giornali all'indomani delle elezioni rischiano di non far comprendere la reale portata delle lotte politiche condotte dal PR su giustizia e carceri, sui casi Cirillo, Sindona e P2. Andando al congresso dobbiamo portare proposte di grande portata e un programma per i prossimi 12 mesi, altrimenti non vi sarà nessuna scelta efficace. Il PR ha tre fondamenta: LA POLITICA DEI VALORI (che trova la sua espressione più emblematica nella lotta allo sterminio per fame); LA POLITICA PER LA DEMOCRAZIA (sciopero del voto, codice di comportamento, proposta di liste civiche e verdi sono momenti di teoria politica faticosamente conquistati che costituiscono le condizioni indispensabili per confrontarci con le realtà presenti; altro problema è il nodo dell'informazione nei suoi due aspetti pubblico e privato, in questo settore il rischio della normalizzazione è più imminente che mai); L'ORGANIZZAZIONE ALTERNATIVA (il partito, le sue modalità di funzionalmento, i rapporti con i settori che l

avorano a fianco e insieme al partito come ad es. radio radicale; io propongo invece del sistema attuale, un partito con un bilancio esilissimo impegnato nell'autofinanziamento che ci conduca, però, a comprendere regole adatte ai nostri progetti senza ricalcare schemi superati). Il mio progetto risiede nella consapevolezza che la strada radicale è innanzitutto il coraggio di sperare, di dialogare, di rischiare.

(NOTIZIE RADICALI N. 71, 30 aprile 1984)

(Con questo numero si chiude il dibattito precongressuale. Abbiamo pubblicato tutti gli interventi dei consiglieri federali e dei membri di giunta che ce li hanno fatto pervenire. Ci scusiamo veramente con quanti, invece, ci hanno mandato interventi che non abbiamo potuto pubblicare per ragioni di spazio)

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Giugno 1984: grazie Enzo! (sentii esclamare a urne scrutinate).

Ottobre 1984: grazie Giulio! (leggo su "Panorama" di questa settimana). Io non so scrivere molto bene, ma qualche cosa la capisco: per esempio quanto è superficiale ed inutile per capire i problemi del partito questa immagine, di chi si è messo nel "tunnel del fallimento della fame" e però ogni volta - colpo di scena - la spunta grazie all'ultimo coniglio tirato fuori da Pannella o da qualcun altro. Mica si sta a perdere troppo tempo nel capire perché e come mai ci sia la storia di persone, di un gruppo, che ha tenuto in piedi il filo della battaglia su giustizia e carceri per cui Tortora può poi congiungere la sua storia alla nostra; o alle migliaia di ore passate sui casi Cirillo, Sindona e P2 per cui poi si arriva a far capire che Pci e Andreotti sono da tanto tempo la stessa politica. No, invece, i radicali si salvano alle elezioni grazie a Enzo, poi si salvano prima del congresso grazie a Giulio. Certo per i giornali è facile, soprattutto se una serie di giudizi sbrigativi, di rigidità, di abolizione de

l dialogo collettivo senza pregiudizi riesce alla fin fine a trasmettere solo queste convinzioni. Così ci ritroviamo a sottovalutarci nel capire quello che rappresentiamo per tanti, per non parlare di quello che potremmo rappresentare per molti di più se solo avessimo ogni tanto un po' più di speranza.

Non sono quindi molto stupita che in questa situazione scattino certi meccanismi, se alcuni si dimentichino dove sono stati in questi cinque anni; semmai (lo confesso) me ne sento un po' offesa.

Gigi Melega ad esempio parla di un "gruppo omogeneo" (ma dov'è? Da un certo punto di vista per fortuna non lo è proprio per niente) e propone scorciatoie e cose in buona parte insensate. Ma se ci penso un attimo mi viene in mente che lui è deputato da 5 anni come me, è stato membro di giunta esattamente un anno come me (lui nella giunta di Pannella), nessuno mi risulta gli abbia in questi 5 anni impedito di fare tutto quel che voleva (così come in pratica a me, anche se molte volte mi son sentita dire che non serviva a niente), e potrei in fondo pensare che è il più "omogeneo di tutti".

Ma allora come fai, Gigi, a parlare di "alternativa di gestione"? Quasi quasi viene anche a me la tentazione di proporre un'"alternativa di gestione"! Insomma, ognuno ha diritto alle sue ambizioni, ma nessuno ha quello di dipingere gli altri come omogenei o gente attaccata alle poltrone a tutti i costi, mummie immobili. Lo dico anche a un compagno della giunta che scrive di "incapacità del gruppo storico a progettare iniziative politiche" e denuncia il conseguente assedio di un indifeso Pannella da parte di "capi, capini e capetti". Forse sarebbe meglio non dimenticare, nessuno, dove siamo stati in questi anni e non cedere alla tentazione di tirare sassi e ritirare la mano. O se no, facciamo i nomi e i cognomi, riazzeriamo tutto il "far politica radicale" (comprese naturalmente le quote del finanziamento pubblico) e dedichiamoci solo dopo a dare giudizi di capacità o incapacità, ma non mi pare questo il problema.

Credo invece che dobbiamo andare in congresso non per fare proposte sterili né beghe di piccola portata.

Secondo me certe semplificazioni di questi anni, il peso acquisito dallo strumento radio, le difficoltà con le quali ci siamo scontrati hanno un po' cancellato il compito specifico che a me pare essere quello di un congresso dei radicali: con molta serietà dobbiamo perciò circoscrivere e definire bene tutto questo, altrimenti non vi sarà nessuna scelta efficace. Noi non dobbiamo giudicare o deliberare su quel che ha da fare una radio, o dei deputati europei, o la strategia per la legislatura degli eletti, o quel che vorremmo facesse o inventasse Pannella. Noi andiamo in mille, duemila, quanti saremo, a decidere che cosa di veramente concreto, di materialmente fattibile potremo fare nei dodici mesi successivi noi stessi: in quanti siamo, con le nostre capacità ed incapacità, con i nostri soldi e i nostri debiti, contando su di noi e solo su di noi. Questo è il congresso di un partito che voglia essere un partito non come gli altri, capace di assumersi responsabilità e di fare delle cose, senza velleità e con

molta concretezza e umiltà.

I problemi sappiamo quali sono. Secondo me il Partito radicale ha tre fondamenta, nessuna delle quali può essere cancellata con un colpo di spugna apparentemente liberatorio. Sono: la politica dei valori (lotta allo sterminio per fame, per la vita e la qualità della vita), la politica per la democrazia (sciopero del voto, codice di comportamento, proposta di liste civiche e verdi e di generale denuncia dell'occupazione di ogni settore dello Stato), l'organizzazione alternativa del "fare politica" (il partito, le sue modalità di funzionamento, il rapporto con i soggetti che lavorano a fianco e insieme al partito).

"Sterminio per fame". Questa battaglia prioritaria del partito è una battaglia in corso ed entro poche settimane il Parlamento dovrà comunque esprimersi sulla legge Piccoli e le altre proposte. La domanda: fallimento sì o no, sconfitta sì o no è favorevole e rischia di seppellire la lotta contro lo sterminio per fame. Non raggiungimento dell'obiettivo puntuale dell'approvazione della legge, sì. Incardinamento di uno strumento nuovo, di nuove scadenze e di contraddizioni ulteriori anche. Non si può mettere in discussione la lotta allo sterminio per fame, nel merito e nel metodo che abbiamo proposto, come l'espressione più emblematica e forte di quella politica dei valori che da anni cerchiamo di contrapporre alla politica degli affari, degli interessi corporativi, dei disperati e sconfitti miti della sinistra, della cogestione del potere fra maggioranza e opposizione che ha annullato, allo stato delle cose, la ricerca e la possibilità di una alternativa.

La preoccupazione che personalmente avverto su questo fronte è che si corra il rischio di bruciare una lotta, nel metodo e nel contenuto irrinunciabile, facendone un feticcio di per sé capace di riconquistare diritto, libertà e democrazia nel nostro paese. Senza mettere in conto che la strada della grande scelta di unità sul valore della vita è portatrice di contraddizioni troppo esplosive per essere imboccata senza suscitare la reazione degli interessi partitici e corporativi, o anche solo un rigetto del sistema a salvaguardia di se stesso. E quindi forse il rischio che abbiamo corso quest'anno, affidandoci ad una strada di "vertice" che di per sé non crea condizioni e momenti di mobilitazione, di aggregazione e di lotta, e che comunque, al di là dei risultati conseguiti, ci ha riportati al solito muro eretto a tutela del sistema, dovrebbe aiutarci a riflettere e a cercare una nuova direzione.

Aprire altre brecce, aggredire altri fronti, senza la pretesa di un nuovo progetto totalizzante e assoluto di cui non abbiamo bisogno, è anche dar forza e far crescere la lotta contro lo sterminio. E intanto in duemila, indipendentemente da ciò che si farà nei Parlamenti dove siamo, si potranno decidere e articolare precise iniziative nonviolente e di mobilitazione già per le prossime e decisive settimane, che possono avere come interlocutori dagli enti locali ai più importanti momenti della vita civile e religiosa.

"Democrazia". Sciopero del voto, codice di comportamento, "fuori i partiti dai comuni" sono momenti di teoria politica faticosamente conquistati e preziosi per ogni vera battaglia contro lo Stato dei partiti. Il Partito radicale, come soggetto specifico, può forse aiutare molto affinché non ci sia una immagine rinunciataria di questi strumenti. Ad esempio con leggi di iniziativa popolare (i temi non mancano sicuramente) che diano a noi eletti non solo la facoltà del non-votare, ma anche quella di incardinare delle battaglie parlamentari sui contenuti delle proposte e sulle procedure e regole di discussione: forse risulterebbe in questo modo molto più chiara e comprensibile la figura di "parlamentari anomali" che oggi siamo. Ancora, lo sciopero del voto, la nostra posizione sintetizzabile nello slogano "fuori i partiti dai comuni" e dal governo del territorio, può essere approfondita e rafforzata dall'esistere, e noi al loro fianco, di liste verdi, azzurre. Si tratterà di comprendere meglio se, dove, a quali

condizioni confrontarci con le realtà esistenti, ma è una possibile occasione di scontro con il sistema che non mi pare possa essere abbandonata solo alle fantasie e agli spontaneismi di tutti i radicali.

Credo infine che dovremmo fermarci un secondo a riflettere bene su una possibilità aperta sull'informazione. Il nodo dell'informazione è oggi quello su cui sono aperte grandi contraddizioni, con fronti di interessi contrapposti e con i partiti schierati a tutela dei due monopoli: quello pubblico e quello privato. Ed è certo che in questo settore il rischio di normalizzazione è più imminente che mai. Tentare di far crollare il pilastro del monopolio pubblico con un referendum sulla 103 (solo modo per costringere i partiti a fare i conti con la necessità di nuove regole del gioco per tutto il settore, pubblico e privato) potrebbe essere una scelta forte e supportata da larghissima parte della piccola e capillare emittenza televisiva e radiofonica.

Se solo fossimo in grado di progettare un referendum e non se ne fosse probabilmente già liquidata pregiudizialmente la possibilità, ci sarebbe di che riflettere.

"Partito". Penso che questo tema sia decisivo: il "come" si lavora condiziona direttamente e influisce subito sulla quantità e la qualità del lavoro di ciascun compagno e ciascun soggetto, autonomo o no. La vecchia conflittualità periferia-centro non è certo il modo per fare anche solo un passo avanti. Il problema partito-radio va invece risolto, con prudenza, ma anche con le necessarie scelte, altrimenti diventa un cane che si mangia la coda.

Dico direttamente quello che penso: piuttosto che l'attuale situazione (con dei "dirigenti" che fanno tutto, dallo stare al partito all'andare alla radio a chiedere soldi e iscrizioni, al fare un salto occasionale o no in Parlamento, con tutti che devono fare tutto nevroticamente e rischiando il nessuno che fa niente o i pochi che fan poco) molto meglio un partito con un bilancio esilissimo, impegnato nell'autofinanziamento di se stesso e solo di se stesso, con dei dirigenti impegnati anche in un lavoro "oscuro" di settimane e mesi e non solo a Roma, ma che ci conduca a tessere fila associative, a comprendere regole adatte ai nostri progetti senza ricalcare schemi superati. Per esempio a incominciare a risolvere i problemi del cittadino dinnanzi alla sua voglia di "far qualcosa" (che c'è, non è vero che non c'è) nelle sue ore di "tempo libero" e che oggi non sa che fare e come impiegarsi anche nelle sedi del Partito radicale, o ancora a incardinare lotte radicali in sede locale (perché è possibile, e persona

lmente è anche una buona tentazione).

La radio è per definizione invece una azienda che tenta di produrre informazioni di massa: non bisogna avere paura delle parole e la tendenza credo debba essere questa, poiché una informazione fatta da radicali, in grado di svolgere funzione di servizio pubblico e di informazione "anche" sulle attività degli eletti e del partito potrà ancor più fornire energie militanti e finanziarie alle lotte radicali, probabilmente più di quanto avvenga oggi. Come per tutte le questioni di metodo sarebbe sbagliato sottovalutarle e eluderle.

Non ho neppure io ricette miracolistiche, ma anche oggi credo alla strada radicale di sempre: mattone dopo mattone, cercando e sperimentando il nuovo, ripercorrendo e reinventando gli antichi strumenti di lotta e di aggregazione, ricercando nuovi interlocutori e compagni di strada, i più diversi e mai immaginati. con la consapevolezza che la strada radicale è innanzitutto il coraggio di sperare, di dialogare, di rischiare.

 
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