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Taschera Aligi - 13 ottobre 1984
DIBATTITO PRECONGRESSUALE: ALIGI TASCHERA

SOMMARIO: Indubbiamente c'è crisi intorno al PR. Ciò che non va è il partito: di fronte agli ostacoli dobbiamo verificare se lo strumento che abbiamo (il partito) è adeguato a superarli e cercare di perfezionarlo per renderlo adeguato allo scopo. Dalle due battaglie del partito per il 1984 non siamo riusciti sconfitti: relativamente alla politica contro o sterminio per fame il nostro successo deve essere ritrovato nell'aver incardinato il dibattito sullo sterminio nell'agenda politica italiana; relativamente alla lotta contro la pertitocrazia abbiamo raccolto molti consensi e raggiunto parziali successi. Per il 1985 il partito dovrà impostare la propria politica sugli stessi cardini del 1984, con l'accortezza di rilanciare la lotta contro lo sterminio per fame non solo sul fronte perlamentare, ma avendo come interlocutore il Paese - per esempio rivolgendoci alla volontà pacifista diffusa tra i giovani e aprire ovunque fronti "verdi" perché quello verde è fronte antipartitocratico diffuso e nel contempo polit

ica dei valori. Poiché la dimensione propria della politica dello sterminio è europea va rilanciato il partito europeo.

(NOTIZIE RADICALI N. 71, 30 aprile 1984)

E' diffusa nel partito la sensazione che qualcosa non va. Che occorre un ripensamento. Che il prossimo congresso dovrà fare il bilancio degli anni passati, e rianalizzare tutto per poter ripartire. Ma che c'è che non va?

"La politica del partito". Bisogna ovviamente riconoscere che anche quest'anno non abbiamo raggiunto l'obiettivo di salvare tre milioni di sterminandi per fame. Per il terzo anno non abbiamo raggiunto l'obiettivo fissato dalla mozione, che la mozione stessa indicava di tentare di raggiungere per l'ultima volta. E' questo che non va? Forse, per alcuni, sì: per alcuni la lotta contro lo sterminio per fame, cardine della politica radicale degli ultimi cinque anni, è perdente, perciò sbagliata.

Secondo gli stessi, probabilmente, l'altro cardine della politica radicale degli ultimi anni, la lotta contro la partitocrazia, è vincente, in quanto ha raccolto consensi e raggiunto alcuni parziali successi. Dunque la soluzione del problema del partito starebbe nel puntare di più sulla lotta alla partitocrazia, che tira, relegando in seconda linea la lotta contro lo sterminio.

Si tratta di una posizione erronea. Prima di tutto, per quanto riguarda la politica contro lo sterminio, se è vero che non abbiamo raggiunto l'obiettivo, il bilancio comunque non è fallimentare: dopo aver rilanciato a livello internazionale il dibattito sullo sviluppo e aver imposto il tema dello sterminio, siamo riusciti ad incardinare il dibattito sullo sterminio e la proposta dei tre milioni di vivi nella agenda politica italiana. D'altra parte la lotta contro lo sterminio costituisce una strategia di respiro internazionale, l'unica in grado di riportare nella politica concreta le grandi scelte di valore adeguate a fronteggiare i problemi posti dalla nostra epoca storica; è l'unico progetto politico che può far da guida e timone alla politica radicale, e non solo ad essa.

D'altra parte la lotta contro la partitocrazia, se può raccogliere consensi e successi nel breve periodo, rischia di avere il fiato corto. Finché ci muovevamo per l'alternativa di sinistra la lotta "contro il regime" era anche lotta per un'alternativa, era lotta in positivo, che si svolgeva entro un quadro di riferimento costruttivo; non essendo più credibile la prospettiva dell'alternativa di sinistra, la lotta contro la partitocrazia è la lotta in negativo: è lotta contro. Essa non può sussistere a lungo senza un riferimento costruttivo che indichi la direzione verso cui andare nel lungo periodo: essa ha bisogno di agganciarsi ad una lotta per il sì a qualche cosa. E tale lotta non può che essere quella per la salvezza degli sterminandi per fame.

La nostra politica si scontra con ostacoli e difficoltà immensi, è vero; ma questo non è una novità nella nostra storia. In realtà ciò che non va non è però la politica del partito: è il partito.

"Il partito". E' il partito che ci lascia insoddisfatti. Esso consiste sempre più chiaramente in un ristretto gruppo di buoni professionisti della politica insediati in Roma, che vivono del finanziamento fornito - appunto per far politica - dagli iscritti al partito, la cui funzione preminente è sempre più quella di finanziatori, e sempre meno quella di militanti, elaboratori e promotori di politica. Accanto a ciò c'è la radio, anch'essa centralizzata in Roma, attraverso la quale lo stesso gruppo comunica con il paese, e che fornisce al paese conoscenze sulla politica parlamentare.

Dico tutto questo non per recriminare contro il cosiddetto gruppo storico, né contro chicchessia: il partito così com'è è il risultato di un processo collettivo (interno ed esterno al partito) che ci vede tutti coinvolti. Ma esso è l'unico strumento che abbiamo e che ci siamo dati per attuare gli obiettivi in cui crediamo, trasformando il mondo in cui viviamo; e se ci troviamo di fronte dei grossi ostacoli l'unica cosa che possiamo fare è verificare se lo strumento che abbiamo è adeguato a superarli e cercare di perfezionarlo per renderlo adeguato allo scopo.

E lo strumento partito che abbiamo ora non è adeguato. Il problema non è solo che esso non sembra sufficientemente congruente con gli ideali di nonviolenza e alternativa che ciascuno di noi ha: è che il partito non è adeguato alla sua politica.

Esso - in quanto gruppo di professionisti particolarmente capaci di lavorare nelle istituzioni - poteva sembrare adeguato per la battaglia contro lo sterminio, che si combatteva all'interno delle istituzioni ai livelli più alti della politica. Tuttavia con la proposta di legge Piccoli siamo riusciti a creare nell'istituzione uno schieramento maggioritario attorno alla nostra proposta, ma essa ugualmente non ha vinto. Si direbbe che acquisire forza all'interno dell'istituzione non basti: è necessario acquisire più forza nel paese. E' necessario tentare di condizionare il Pci - il nostro più grosso ostacolo - e ciò è forse possibile solo tallonando lui e la sua cultura là dove esso è e trae la sua forza: tra la gente, nel paese, e non solo a Roma.

Lo stesso discorso vale per la lotta contro la partitocrazia. Essa non è solo presente a livello di Parlamento e governo: essa è ovunque, è il metodo di gestione di qualunque potere nel nostro paese, è un'intera cultura, diffusa anche tra la gente... Lottare contro di essa, dunque, implica creare fronti di lotta ovunque; implica tallonare ovunque la cultura pcista; questo significa diffondere e insegnare ovunque si può una cultura politica, un insieme di comportamenti politici alternativi alla cultura e ai comportamenti politici consociativi dominanti ovunque. E' solo il Partito radicale ad avere una cultura politica alternativa a quella dominante: sta a noi diffonderla; ma per fare ciò dobbiamo essere presenti come realtà politica e umana ovunque ci è possibile. Non basta un buon gruppo di professionisti della politica in Roma e uno strumento di informazione centralizzato come una radio.

"Che fare?" Una prima risposta ovvia sarebbe: rifare il partito. Mi lasciano però perplesso i discorsi sulla rifondazione e sulla modifica dello Statuto. Bisogna sicuramente aprire una fase di riflessione e di progettazione sulla realtà partito, ma non credo che vadano rivisti i principii basilari dello Statuto, che pure va aggiornato.

Ed è evidente che non si può rendere il partito più adeguato, non si può rendere, il partito più esistente fuori Roma con un fiat del centro romano, né diffondendo il centro romano ovunque; né una presentazione alle amministrative farebbe improvvisamente esistere il partito dove non c'è come realtà politica effettiva.

Non è facile capire come muoversi. Ma per fare un esempio tornerò al problema di un altro obiettivo mancato: quello dei tre miliardi. Bisogna avere il coraggio di dire che l'obiettivo dei tre miliardi non è stato raggiunto non per incapacità del partito o della tesoreria, ma perché l'obiettivo era sbagliato. Non dal punto di vista quantitativo: non è impossibile raggiungere i tre miliardi, e forse anche i quattro: ma non è possibile proporre di raccogliere tre miliardi tutti per Roma, per il partito centrale e la radio centrale.

Per quanto la politica del Partito radicale sia buona, perché la gente dovrebbe iscriversi e contribuire con cifre non irrilevanti ad un partito che non offre strumenti per tradurre la soggettività e le idee di ciascuno in concreta costruzione politica, ma fondamentalmente chiede di essere dei contribuenti? E' possibile per l'anno prossimo rilanciare i tre miliardi e anche i quattro, ma a patto che questi vengano raccolti non solo per le strutture centrali, romane, ma per la "cosa" radicale nel suo complesso. La gente può essere più disponibile ad investire danaro se vede nel partito uno strumento per tradurre la propria soggettività in azione e costruzione politica; se il partito è una concreta occasione per apprendere ad essere soggetto politico attivo contro la partitocrazia e la sua cultura politica là dove essa opprime la vita quotidiana; ed è probabilmente possibile trovare molti più contribuenti per la radio se essa non è solo sorgente centralizzata di un'informazione trasmessa da un unico punto, ma a

nche strumento di comunicazione di esperienze e problematiche diffuse, e tenta, in determinate fasce temporali, di non essere sorgente puntiforme di un messaggio informativo centrale, ma rete policentrica di comunicazione.

Per quanto riguardo la politica del partito, credo che i cardini sui quali è impostata ora (lotta per la salvezza degli sterminandi per fame, lotta contro la partitocrazia) dovranno essere i cardini anche della politica dell'85.

La lotta contro lo sterminio continua ad essere l'unico sistema di riferimento di tutta la nostra politica, e va riaffermata. Non è facile dire come rilanciarla. Mi sembra però chiaro che è necessario rilanciarla non solo sul fronte parlamentare, ma avere come interlocutore il paese... Ci si può ad esempio rivolgere alla sensibilità pacifista diffusa dei giovani, rilanciando l'antimilitarismo radicale, e incalzare in questo modo la cultura "pacifista" pcista contrapponendo ad essa la nostra impostazione.

Bisogna aprire ovunque possibile fronti "verdi". Il "verde" è l'unico raccordo ideale tra la politica dei valori, contro lo sterminio e per la vita a livello planetario, e la politica dei valori e contro la partitocrazia in Italia e in ogni singolo comune. La salvezza del pianeta e della nostra civiltà passa per la salvezza degli sterminandi per fame nel Terzo mondo come per la salvezza dell'equilibrio ecologico di fronte a casa nostra: è questa la coscienza da diffondere. Il fronte verde è fronte antipartitocratico diffuso e nel contempo politica dei valori. Ma non si tratta di inventare o vitalizzare situazioni effimere, buone solo per partecipare travestiti alla competizione elettorale amministrativa; si tratta di prepararsi ad una lotta di lunga durata e di investire in essa; di attrezzarci per trasmettere il nostro metodo politico ai cittadini e alle associazioni interessate alla salvaguardia dell'equilibrio ecologico perché esse possano raggiungere i loro fini senza farsi fagocitare dalla partitocrazia

.

Infine non dobbiamo scordarci che la dimensione propria della politica dello sterminio è quella europea. bisogna rilanciare il partito europeo. Intensificare il confronto con i verdi europei, incalzarli se essi diventano sempre più espressione di una vecchia cultura sinistrese-gruppettara-neutralista senza futuro. Investire di più nella speranza del partito europeo.

Riusciremo a fare tutte queste cose? E' difficile, come sempre, e siamo tutti molto stanchi. Ma forse non è impossibile. Forse il Pr non è così in crisi come la nostra stanchezza ce lo fa apparire.

 
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