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Treschel Stefan - 23 ottobre 1984
IL CASO ITALIA: (5) Stefan Treschel (relazione) - LO STATO DELLA GIUSTIZIA IN EUROPA - I· CONVEGNO
STRASBURGO, 23.24 OTTOBRE 1984 - PARLAMENTO EUROPEO

SOMMARIO: Gli atti del convegno su lo stato della giustizia in Europa "Il caso Italia".

Con questa prima iniziativa, parlamentari di tutte le correnti politiche comunitarie intendono verificare lo stato della giustizia in Europa.

Deroghe nei confronti di alcune garanzie democraticamente poste a tutela dei diritti della persona, sanciti dai trattati comunitari e dalle costituzioni nazionali, si registrano in diversi paesi della comunità europea. Molto spesso queste violazioni delle fondamentali libertà civili sono state giustificate dall'insorgere di forme violente di contestazione politica, dall'esplosione di fenomeni terroristici o dal rafforzamento delle organizzazioni criminali.

Avviare il processo di ristabilimento democratico della legalità compromessa, rappresenta l'impegno dei promotori di queste iniziative.

Il primo caso che viene esaminato è quello italiano. In due giorni di discussione a Strasburgo il 23 e 24 ottobre.

("IL CASO ITALIA", Lo stato della giustizia in Europa - I· Convegno - Strasburgo, 23-24 Ottobre 1984 - Parlamento Europeo - A cura del Comitato per una Giustizia Giusta - Cedam Casa Editrice Dott. Antonio Milani, Padova 1985)

STEFAN TRECHSEL

(Relazione)

I. Osservazioni preliminari

Ritengo importante sottolineare che gli organizzatori hanno concepito la presente manifestazione come la prima di una serie; non si tratta quindi in alcun modo di una azione contro l'Italia, che in tal caso fungerebbe da capro espiatorio. Si prevede di organizzare dei colloqui analoghi riguardanti altri paesi: gli organizzatori hanno probabilmente ragione nel ritenere che l'amministrazione della giustizia crea problemi quasi sempre dovunque.

Sarebbe d'altronde spiacevole che un qualsiasi governo considerasse questo lavoro come una specie di aggressione. Si tratta al contrario di dare un contributo al raggiungimento di uno scopo da tutti perseguito.

D'altra parte, può risultare utile creare l'occasione di dare dall'esterno, in un'atmosfera serena e distaccata, uno sguardo critico allo stato della giustizia in un determinato paese, di tracciarne un quadro e di elaborare idee di riforma.

Constatato ciò, emerge immediatamente l'interrogativo sul contributo che a questo lavoro può arrecare un membro della Commissione europea dei diritti dell'uomo. Da un lato, la risposta può sembrare ovvia: non ci si deve forse rivolgere al pastore per avere informazioni sul comportamento di questo o quel membro del gregge? Questa immagine pastorale corrisponde invece pochissimo alla realtà. Gli organi istituiti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo sono investiti di determinate competenze di controllo grazie al consenso delle alte parti contraenti della Convenzione. Sono chiamati in particolare a conoscere le istanze formulate da cittadini che si sentono lesi nei loro diritti fondamentali. Nella procedura susseguente, il Governo del paese chiamato in causa riveste il ruolo di difensore, mentre Commissione e Corte europee dei diritti dell'uomo devono svolgere la funzione di giudice indipendente ed imparziale. Risulterebbe scomodo per tale giudice o membro della Commissione esprimersi genericamente su

llo stato della giustizia in uno dei paesi che hanno ratificato la Convenzione: ciò potrebbe suscitare nel governo difensore la sensazione di un pregiudizio e di una mancanza di imparzialità.

E' fin troppo ovvio, pertanto, che non sono in grado, in questa sede, di svolgere in abstracto una valutazione critica della attuale legislazione italiana in materia di giustizia penale. Così pure, e escluso che io formuli delle proposte specifiche per quanto riguarda le riforme auspicabili in materia.

E' pur vero, tuttavia, che una relazione inserita nella prospettiva degli organi di Strasburgo comporta il vantaggio di una particolare obiettività. Commissione e Corte europee dei diritti dell'uomo sono infatti i soli organi giudiziari competenti per valutare dall'esterno i problemi dell'amministrazione della giustizia dal punto di vista dei diritti dell'uomo.

Se da un lato, dunque, il Materiale reperibile a Strasburgo è di una qualità straordinaria ed unica, si deve dall'altro aggiungere che esso è anche molto frammentario. E' peraltro difficile dire fino a che punto sia realmente sintomatico. In primo luogo, una certa selezione viene effettuata per il semplice fatto che il controllo si limita agli aspetti coperti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Senza voler sminuire il valore di questo strumento, e opportuno precisare che esso certamente non abbraccia tutti gli aspetti dell'amministrazione della giustizia penale. A parte questo, il fatto che una gestione particolare venga sottoposta alla Commissione ed alla Corte dipende da un gran numero di fattori del tutto estranei alla suddetta questione; ad essere decisive sono in primo luogo le conoscenze e la volontà della persona coinvolta; in pratica, ciò significa che quasi tutto dipende dall'interesse per i diritti fondamentali ed i mezzi per tutelarli sul piano europeo di cui danno prova gli avvocati

di un determinato paese.

Il bilancio statistico che seguirà questa breve introduzione induce a ritenere che la Convenzione e gli organi di Strasburgo non godano di grandissima popolarità nel foro italiano.

Ciò nondimeno, proseguirò tratteggiando i principali casi riguardanti l'amministrazione della giustizia penale in Italia che sono stati oggetto di un esame a Strasburgo, senza pretendere con questo di essere esauriente. Infine mi avventurerò nel tentativo di formulare un certo numero di ipotesi sui problemi che, quali sintomi, questi pochi casi potrebbero rivelare.

II. L'Italia dinanzi alla Corte ed alla Commissione europee dei diritti dell'uomo - dati statistici (1)

Gli organizzatori di questo convegno sono evidentemente partiti dall'ipotesi che la giustizia in Italia solleva problemi particolarmente gravi. Se così fosse, il problema dovrebbe tradursi in cifre e particolarmente numerose dovrebbero risultare le istanze contro l'Italia per violazione dei diritti dell'uomo nel campo dell'amministrazione della giustizia.

Invece, nient'affatto. Considerando infatti le cifre relative alle istanze presentate nel corso degli ultimi cinque anni, tra il 1979 ed il 1983, ed escludendo naturalmente i paesi in cui non e riconosciuto il diritto di ricorso individuale e quelli che lo hanno riconosciuto o che hanno ratificato la Convenzione solo dopo tale data, si osserva che la più alta densità di istanze, proporzionalmente al numero di abitanti, proviene dal Lussemburgo (che rischia di perdere il primo posto a beneficio del Liechtenstein): 30 istanze per ogni milione di abitanti. II Lussemburgo e seguito dalla Svizzera, dove la cifra corrispondente è di 28.

L'Italia, invece, occupa con la Svezia I'»ultima posizione con due istanze per ogni milione di abitanti.

Vorrei soffermarmi un momento sullo studio del fenomeno emerso. La rarità delle istanze italiane può forse essere interpretata come un indice di assenza di problemi? Non credo. Ho infatti cercato di individuare un indice della »qualità delle istanze, sollevando il seguente interrogativo: quale è il tasso di istanze che hanno avuto successo, vale a dire quanti casi si chiudono con una sentenza della Corte in cui e constatata una violazione della Convenzione?

Si deve riconoscere di primo acchito che questo metodo si presta ad essere criticato; è praticamente impossibile redigere un bilancio preciso sull'insieme delle istanze portate davanti agli organi di Strasburgo. Da una parte, un'istanza, benché dichiarata inammissibile, può dare interamente causa vinta al ricorrente; a titolo di esempio, è d'uopo riferirsi ai casi in cui ricorrente si lamenta della sua imminente espulsione o estradizione verso un paese in cui, secondo quanto afferma, rischierebbe di subire dei trattamenti inumani. L'istanza viene comunicata al Governo che rinuncia all'esecuzione della decisione impugnata. La Commissione radierà l'istanza dal ruolo o la dichiarerà inammissibile in quanto il ricorrente non potrà più pretendere di essere una vittima ai sensi dell'articolo 25 della Convenzione. In altri casi intervengono delle composizioni in via amichevole; il Governo avrà preferito il compromesso al rischio di una controversia e sulla questione sollevata non viene presa alcuna decisione.

D'altra parte, date le poche istanze che riescono a giungere dinanzi alla Corte, la validità del nostro esame può suscitare delle perplessità dal punto di vista della statistica matematica.

Ciò nondimeno, osservando i risultati salta agli occhi il fatto che le istanze italiane fanno molta più strada di tutte le altre. Una su 17, infatti, ha dato luogo ad una sentenza con constatazione di violazione, mentre - per fare un paragone - le istanze tedesche restano ben dieci volte più inascoltate: una su 175! II paese che si avvicina maggiormente all'Italia è il Portogallo: una su 19, ma in questo caso i valori assoluti sono molto modesti.

Cosa si ricava da questo dato? Che in Italia gli avvocati sono molto poco cavillosi e scelgono con cura particolare i casi che sottopongono a Strasburgo? Non ne sono molto convinto. Può darsi che la conoscenza della Convenzione e delle possibilità che offre sia relativamente poco diffusa nonostante l'esistenza di importanti lavori di dottrina, come quelli di Gregori, Chiavario, Pisani, Pisapia, De Salvia, per citare alcuni esempi.

A questo proposito, non nascondo il mio stupore di fronte ad una sentenza della prima sezione della Corte di Cassazione del 23 marzo 1983 al processo Fignagnani (2), che conferma l'ipotesi secondo cui la Commissione europea dei diritti dell'uomo non è ancora penetrata in modo approfondito nella coscienza di ogni giurista italiano Mi permetto di riprodurne i brani determinanti:

»La Convenzione... dei diritti dell'uomo... ha, come tutti i trattati internazionali, natura pattizia, e quindi efficacia vincolante per le ``alte parti contraenti'', e non anche per i relativi sudditi, nonostante l'oggetto della Convenzione e dei corrispondenti obblighi internazionali riguardi proprio costoro ed i loro diritti fondamentali. Né deve trarre in inganno, costituendo anzi proprio esso la prova più chiara della non agibilità delle relative violazioni dinanzi ai giudici nazionali, il fatto che, allo scopo di assicurare il rispetto degli impegni dalle alte parti contraenti con la... Convenzione siano state ``create una Commissione europea dei diritti dell'uomo'' ed una ``Corte europea dei diritti dell'uomo'', perché l'una (art. 24) e l'altra (art. 44) possono essere adite solo dalle ``alte parti contraenti'' (la seconda, veramente, anche dalla prima): e se, eccezionalmente, e consentito adire il primo di detti organi anche ad ``ogni persona fisica... ogni organizzazione non governativa (ed anche)

grupp(i) di cittadini'' (art. 25), ciò non può avvenire comunque ``che dopo l'espletamento di ricorsi interni...'' e nel termine di 6 mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva (art. 26), a parte la natura puramente amministrativa dei poteri della``Commissione'' e, comunque, l'incoercibilità interna della decisione adottata dal ``Comitato dei ministri'' sul rapporto della ``Commissione'' (art. 32) e di quella deliberata dalla ``Corte'' (artt. 50 e 53).

»II carattere mediato delle disposizioni contenute nella Convenzione è, d'altra parte, chiaramente denunciato dall'art. 57, il quale impone ad ``ogni altra parte contraente (l'obbligo di) fornir(e) su domanda del segretario generale del Consiglio d'Europa le delucidazioni richieste circa il modo in cui le norme del suo diritto interno assicurano l'applicazione di tutte le disposizioni (della) Convenzione'' (3).

Con tutto il rispetto dovuto alla Corte di Cassazione, è giocoforza constatare che da questo brano non traspaiono né una grande popolarità né una profonda conoscenza della Convenzione presso la prima sezione della suprema Corte italiana. Da siffatti propositi non si deve forse dedurre che, al livello della prima istanza nonché presso l'avvocato patrocinante, la dimestichezza con il »diritto di Strasburgo - fondato su una Convenzione di Roma - e diventata una rarità?

Disgraziatamente, non si tratta di un caso isolato: la sentenza poggia su un'altra sentenza simile della quinta sezione, D'Alessio, che, dal canto suo, rinvia ad una giurisprudenza costante della Corte costituzionale (4).

In queste osservazioni non vi e alcun intento critico. Svariate spiegazioni di questo fenomeno appaiono d'altronde plausibili.

Innanzi tutto, l'Italia e una grande nazione che, negli ultimi anni, ha dovuto far fronte a problemi estremamente gravi. A tali problemi - penso in particolare al terrorismo di estrema sinistra e di estrema destra - la Convenzione europea ed i suoi organi non erano in grado di offrire alcuna soluzione. E' quindi del tutto naturale che si sia prestata minor attenzione a quanto accadeva a Strasburgo.

Un'altra ragione, piuttosto tecnica, consiste probabilmente nel fatto che le lingue ufficiali del Consiglio d'Europa - in contrasto con la Comunità - sono esclusivamente il francese e l'inglese. Ciò rende più difficile l'accesso alle decisioni, di cui persino la pubblicazione nelle lingue ufficiali non è interamente soddisfacente (5).

Comunque sia, la semplice esistenza di questo convegno sembra testimoniare che numerosi italiani non sono soddisfatti del modo in cui viene amministrata la giustizia nel loro paese. Orbene, essi sembrano ignorare la possibilità di ricorrere ad un meccanismo di controllo efficace costituito dal sistema di attuazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Consentitemi di formulare sin d'ora un auspicio: che venga compiuto uno sforzo affinché, se non proprio il cittadino, almeno il magistrato e soprattutto l'avvocato siano informati in modo più preciso sulle possibilità offerte dalla Convenzione.

Ritengo che questo compito vada affrontato con molteplici mezzi: attraverso l'organizzazione di convegni di perfezionamento ad orientamento pratico, la pubblicazione commentata delle sentenze, delle decisioni e dei rapporti, attraverso l'insegnamento nelle università ed ogni altro mezzo.

III. I casi italiani

A questo punto, se siete d'accordo, lasciamo da parte le cifre per rivolgere la nostra attenzione al contenuto delle cause contro l'Italia di cui sono stati investiti gli organi di Strasburgo.

Sette casi sono stati giudicati dalla Corte, riguardano tutti, in un modo o nell'altro, la giustizia, cosa che vale anche per l'ottavo, attualmente all'esame. Uno solo di questi casi si è concluso con la constatazione di assenza di violazione, il caso Pretto (6), che riguarda essenzialmente il modo in cui vengono rese pubbliche le sentenze della Corte di Cassazione. Lo stesso caso sollevava peraltro un problema di durata della procedura; a questo proposito, la Corte constata che sono stati applicati termini »verosimilmente evitabili , ma non tali da costituire una violazione della Convenzione (7).

I sei casi in cui è stata accertata una violazione possono essere suddivisi in tre gruppi: due riguardano il diritto alla libertà personale, due la durata della procedura e due il diritto di difendersi. Non intendo in questa sede entrare nel dettaglio dell'argomento giuridico; mi limiterò pertanto a presentarvi brevemente gli elementi essenziali delle controversie, per tentare di trarne successivamente alcune conclusioni.

L'affare Guzzardi (8) verteva sull'internamento a Cala Reale, un angolo scarsamente turistico dell'Isola dell'Asinara al largo della Sardegna, di un individuo sospetto di relazioni con la mafia. L'internamento era stato deciso in sostituzione della sorveglianza speciale, intesa non nel senso di una vera e propria privazione della libertà, ma di un domicilio coatto. Dopo un attento esame delle condizioni di vita a Casa Reale, Corte e Commissione hanno tuttavia stabilito che, di fatto, il richiedente era stato privato della sua libertà. Secondo quanto affermato all'articolo 5, par. 1, della Convenzione, questo stato di detenzione non era giustificato.

L'affare Luberti (9) riguardava una persona assolta dalla Corte di Cassazione dall'accusa di omicidio per mancanza di responsabilità penale, ma internata per due anni in un ospedale psichiatrico. In un primo tempo, il richiedente chiese di essere rimesso in libertà rivolgendosi ad un organo non competente. Le procedure che seguirono furono caratterizzate da ritardi tali da costituire una violazione del diritto, garantito dall'articolo 5, all'esame »a breve scadenza della legalità della detenzione.

I casi Foti ed altri (10) e Corigliano (11) riguardano la durata di procedure penali avviate in seguito ai disordini di cui fu teatro Reggio Calabria dal 1970 al 1973, procedure caratterizzate da lunghi periodi di inattività da parte delle autorità.

Infine, i casi Artico (12) e Goddi (13) hanno in comune il fatto che in entrambi il ricorrente era imputato in un processo penale e poteva, in linea di principio, usufruire dell'assistenza di un avvocato, ma venne ciò nondimeno giudicato in assenza di quest'ultimo. Per quanto riguarda il caso Artico, il problema sorge per il fatto che, da un lato, l'avvocato d'ufficio, M. Della Rocca, dichiarò di non essere disposto ad assistere il ricorrente, e, dall'altro, le autorità giudiziarie non reagirono ai reiterati appelli che il ricorrente lanciava loro chiedendo che fosse nominato un altro difensore.

Nel caso Goddi, a causa di un malinteso la convocazione all'udienza venne inviata al dott. Monteleone, un avvocato che non lo difendeva più, cosa che la Corte avrebbe potuto sapere. Lo stesso Goddi si trovava nell'impossibilita di assistere all'udienza per via di una nuova carcerazione. Inoltre, quando in apertura di udienza venne constatata l'assenza sia dell'imputato che del suo difensore, invece di informarsi sui motivi di tali assenze, la Corte nomino un difensore ad hoc e proseguì nella celebrazione del processo.

E' indispensabile completare l'elenco accennando brevemente al caso Colozza (14) attualmente pendente dinanzi alla Corte, nonché al caso Ventura (15), risolto, su Rapporto della Commissione, dal comitato dei ministri.

II primo verte su una procedura in contumacia che costituisce, secondo il Rapporto della Commissione, una violazione del diritto ad un giusto processo. II secondo riguarda la durata della carcerazione preventiva di un soggetto perseguito per reati di natura terroristica.

Mi fermerò qui. Si potrebbero probabilmente aggiungere altri casi di cui e stata investita la Commissione, alcuni dei quali sono ancora oggetto di un esame sull'ammissibilità o sul fondo. Citare proprio ogni caso non è tuttavia indispensabile per le esigenze della presente riunione. II materiale esposto consente già di trarre un certo numero di conclusioni, o quanto meno di formulare alcune ipotesi, da verificare (o da invalidare) con altri metodi.

La domanda che mi pongo è la seguente: è lecito dedurre da questi casi l'esistenza di determinati punti nevralgici della giustizia italiana? Se ne devono forse dedurre alcuni tratti tipici? La risposta che tenterò di dare poggia, naturalmente, su un'osservazione da una prospettiva limitata; di fatto, essa non pretende tanto dare una effettiva risposta, quanto precisare delle questioni, formulare delle ipotesi.

IV. Ipotesi riguardanti alcuni punti nevralgici

1. Nella mia ricerca di quelli che potrebbero costituire dei punti nevralgici emersi dal materiale che abbiamo passato in rassegna, vorrei innanzi tutto soffermarmi sulle lentezze della procedura per quanto si riferisce ai disordini di Reggio Calabria.

La stessa Corte europea dei diritti dell'uomo cita due principali ragioni che sono all'origine dei ritardi: da un lato la preoccupazione politica di far trascorrere del tempo, onde evitare che »condanne affrettate o severe facciano nuovamente salire la tensione; dall'altro, un eccezionale ingorgo nelle giurisdizioni (16).

Non e certo criticabile il fatto che susciti dei dubbi l'opportunità dell'azione penale in una situazione di questo genere. Tuttavia, l'ingorgo delle autorità giudiziarie non è un fatto immutabile, bensì un problema che è possibile risolvere. Nella fattispecie, vi sarebbero state, in linea di principio, almeno due soluzioni alternative: da una parte, si sarebbe potuto trovare il mezzo di far fronte alla moltitudine di casi, dall'altra era possibile ricorrere ad un amnistia o ad un altra forma di rinuncia dell'azione penale. Se tale è stata la reazione delle autorità italiane, la mia ipotesi di spiegazione del fenomeno e molto semplice: i responsabili non hanno preso in considerazione l'eventualità che tali ritardi coinvolgessero la responsabilità dello Stato ai sensi dell'articolo 6, par. 1, della Convenzione. In altre parole: certe considerazioni di carattere politico e tecnico hanno prevalso sulla preoccupazione di assicurare agli imputati il diritto (...) (17).

2. In secondo luogo, prendiamo in esame i casi Artico e Goddi, quelli degli imputati non difesi.

La prima osservazione suscitata da questi due casi non riguarda tanto l'aspetto statale della giustizia quanto, in un certo senso, quello privato, vale a dire gli avvocati. Nel caso Artico, infatti, l'avvocato Della Rocca, nominato difensore, ha semplicemente ed apertamente rifiutato di compiere tale

dovere; non è stato dimostrato se sussistessero i »legittimi motivi richiesti dall'articolo 32 del regio decreto n. 3282 del 30 dicembre 1923. II rimprovero che può essere fatto ad uno degli avvocati di Goddi e un po' meno grave: ciò nondimeno, l'avvocato Monteleone non si era presentato ad una precedente udienza e quando, dopo essere stato sostituito dall'avvocato Bezicheri, ricevette una convocazione riguardante il suo ex-cliente, si astenne dall'informarne sia la Corte, che l'avvocato Bezicheri ed il Goddi.

Cedo nuovamente alla tentazione di formulare un'ipotesi: esiste un legame tra la mancanza di interesse da parte di questi avvocati nei confronti dei clienti che erano chiamati a difendere in veste di difensori d'ufficio ed il fatto che tale attività non da dritto ad alcuna rimunerazione. Piaccia o no, infatti, gli idealisti sono rari e, in regola generale, l'idealismo non è un alimento sufficiente per l'idealista. Per quanto riguarda poi l'idealista volontario, si tratta quasi di un'assurdità. Ritengo pertanto, tra gli altri con il professor Pisapia (18), che la qualità della garanzia dei diritti della difesa migliorerebbe se gli avvocati d'ufficio avessero diritto ad un equo indennizzo.

In questa ottica, la nota di biasimo rivolta agli avvocati in questione appare un po' ridimensionata.

Tuttavia, l'insegnamento da trarre dai casi Artico e Goddi non si limita a questo. Una seconda osservazione riguarda i tribunali, che non sembrano essersi preoccupati molto del modo in cui venivano difesi i ricorrenti. Nel caso Goddi, si e verificato un episodio che giudico assolutamente sensazionale: avendo constatato l'assenza sia dell'imputato che del suo difensore al momento dell'apertura del dibattimento, il presidente ricorse ad un avvocato che per caso passeggiava nei corridoi. Quest'ultimo si rimise alla decisione della Corte e, miracolosamente, l'imputato venne considerato assistito da un avvocato.

Questi casi mi ispirano la seguente ipotesi: nell'amministrazione della giustizia in Italia vi sono alcuni aspetti estremamente formalistici. Eccellente dogmatista, il giurista italiano corre il rischio di perdersi nel mondo dei dogmi fino a confondere le finzioni con la realtà. Rischia in tal modo di perdere di vista l'individuo, l'uomo concreto, l'essere umano che non è un'entità astratta, qualche cosa di estraneo, ma, nella sua dimensione esistenziale, un fratello. In altre parole, quel che sembra un po' mancare al giurista italiano è l'atteggiamento espresso con tanta umiltà da un giudice inglese a proposito di un condannato: »There, but for the grace of God, go I - »Se non fosse per grazia di Dio, sarei al suo posto .

II caso Luberti - forte ritardo nella procedura relativa alla legalità di un internamento in un ospedale psichiatrico - sembrerebbe indicare la stessa mancanza di sollecitudine da parte dei tribunali nei confronti del soggetto.

Un caso dichiarato ammissibile dalla Commissione presenta un problema simile al livello del giudice istruttore (19). M. Naldi denuncia una violazione del diritto garantito dall'articolo 5, par. 5, della Convenzione, diritto al risarcimento in seguito a detenzione illegale. A questo proposito, la procedura a porte chiuse dinanzi alla Commissione mi impone il silenzio: il caso è ancora "sub indice". Dalla decisione di ammissibilità, che è accessibile, risulta nondimeno che il Naldi aveva chiesto più volte al giudice istruttore di essere messo in libertà senza ottenere la minima reazione. Venne liberato solo 26 giorni dopo la scadenza del termine massimo per il caso in questione, fatto peraltro non contestato.

Questo caso induce a porre una domanda supplementare - non sarebbe auspicabile che venisse istituita una via di ricorso semplice ed efficace contro le azioni o le omissioni del giudice?

3. Restano i casi Guzzardi e Ventura: l'internamento a Cala Reale sull'isola dell'Asinara e la durata della carcerazione preventiva di uno dei principali imputati nel processo riguardante tra l'altro gli attentati di Piazza Fontana a Milano e della Banca dell'Agricoltura a Roma, del 12 dicembre 1969.

A distinguere questi casi dagli altri e innanzi tutto il fatto che l'imputato ricorrente non è un individuo qualunque, ma un personaggio affiliato - nella realtà o secondo la concezione dell'autorità, questo conta poco - ad una organizzazione criminale. Ora, una delle prove più dure che l'Italia ha

dovuto affrontare dalla fine dell'ultima guerra e stata probabilmente la lotta contro il crimine organizzato di mafia e camorra e, più grave ancora, il terrorismo politico. Non a caso, secondo me, il caso Guzzardi si è concluso con la constatazione di una violazione della Convenzione, mentre nel caso Ventura una larga maggioranza ha negato che vi sia stata una violazione; in un caso più recente (20), relativo ad un ideologo ed animatore psicologico delle Brigate Rosse e gruppi affiliati, l'istanza in cui si denunciava la daruta eccessiva della carcerazione preventiva protrattasi per oltre quattro anni è stata dichiarata inammissibile perché - si tratta di una formula un po' urtante della Convenzione - manifestamente infondata.

A mio parere, la differenza tra le soluzioni Guzzardi e Ventura non corrisponde in alcun modo alla differenza tra criminalità organizzata ti tipo mafioso e terrorismo politico. Si tratta piuttosto di una differenza del diritto della Convenzione. II primo paragrafo dell'articolo 5 consente un'unica alternativa: un provvedimento di privazione della libertà può essere o conforme alle condizioni di quel testo, oppure costituisce una violazione

della Convenzione stessa.

In compenso, il paragrafo 3 parla di durata »ragionevole . La ragione può tener conto di un gran numero di dati, e rinviare a quel che è ragionevole implica sempre una notevole flessibilità. Sembra quindi lecito presumere che Corte e Commissione fossero molto sensibili alle difficoltà che attraversava l'Italia ed hanno esitato ad aggiungerne altre ogni volta che la Convenzione lasciava loro un certo margine di valutazione.

La sentenza Guzzardi e infatti accompagnata da un gran numero di opinioni dissidenti, molte delle quali - quella dei giudici Bindscedler, Fitzmaurice, Teitgen, Garcia de Enterria ed in particolare del giudice Matscher - insistono sulla particolare situazione in cui si trovava l'Italia nei confronti della mafia. Nel Rapporto Ventura i riferimenti al carattere del delitto sono un po' meno diretti, ma comunque presenti.

A mio parere, questa indulgenza non manca di porre qualche problema. L'articolo 14 della Convenzione proibisce ogni discriminazione in materia diritti e libertà fondamentali che vi sono garantiti. E' forse compatibile questa disposizione il fatto di applicare, in un certo senso, una versione adattata dei diritti dell'uomo nel campo del terrorismo e del crimine organizzato? Mi sembra che la stessa Convenzione agevoli la risposta, che deve essere negativa: essa non ha tralasciato l'ipotesi di situazioni particolari in cui può venirsi a trovare uno Stato. L'articolo 15 contiene infatti delle disposizioni relativamente precise sulla maniera in cui deve essere applicata la Convenzione in caso di stato di emergenza, vale a dire in »caso di guerra o di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione . Fatte salve alcune garanzie essenziali, essa consente di derogare a diritti fondamentali nella misura del necessario.

Ora, la decisione di invocare una situazione di emergenza non spetta al giudice, ma deve essere presa dai dirigenti dello Stato, trattandosi di una decisione della massima importanza.

A mio parere, da questa situazione giuridica deriva l'obbligo di una scelta tra due possibilità. O un Governo invoca l'articolo 15, cosa che gli offre le possibilità di sospendere o di modificare, per esempio, il diritto alla libertà individuale o ad un giusto processo; oppure rinuncia a procedere in tal modo, ed allora la Convenzione va pienamente rispettata, il che non impedisce, naturalmente, di prendere in considerazione la situazione politica nel quadro dell'interpretazione della Convenzione laddove essa lo consente. In compenso, è esclusa la possibilità di invocare elementi di »necessità in quanto argomento autonomo ed indipendente.

A parte questo, mi sembra - e ritorno alle ipotesi - che soprattutto i casi relativi alla durata della carcerazione preventiva e della procedura denotino anche delle debolezze tecniche. Da un lato, la limitazione assoluta della durata della carcerazione preventiva, pur potendo costituire un mezzo molto efficace, cessa di operare quando tale limite supera un certo quadro che è difficile tracciare, ad esempio tre anni. Esso rischia allora di diventare controproducente, poiché le autorità avranno la tentazione di dire: »Siamo ancora lontani dal limite, non vi è alcun bisogno di affrettarsi . II rischio di una durata eccessiva della carcerazione preventiva risulta poi accresciuto dal fatto che, in determinati casi, la libertà provvisoria è tassativamente esclusa.

D'altro canto, la prassi italiana sembra aderire in modo estremamente rigoroso ai principi di connessione oggettiva e soggettiva, provocando così una tale gonfiatura di determinate procedure che, di primo acchito, venirne a capo entro una scadenza ragionevole appare impossibile, tanto più che ogni singolo ritardo in uno dei numerosi elementi della procedura comporta un ritardo per tutto l'insieme. II caso che ha dato luogo all'istanza Ventura ne costituisce un esempio particolarmente illustrativo.

Si tratta evidentemente di un problema di difficile soluzione, poiché il principio della connessione è uno strumento di grande valore al servizio di una giurisprudenza coordinata. Mi sembra nondimeno indispensabile servirsi di questo strumento in modo meno rigido, avendo riguardo per gli altri valori degni di essere protetti, come, in particolare, la celerità del processo.

Ecco dunque le poche rimessioni ispiratemi dall'esame dei casi italiani sottoposti alle istituzioni di Strasburgo. Avranno raggiunto il loro obiettivo se possono costituire un elemento costruttivo nello sforzo di avvicinare ulteriormente l'amministrazione della giustizia in Italia al modello ideale.

Prima di terminare, vorrei ancora fare un'osservazione di carattere generale. Ho formulato alcune critiche rivolte, tra gli altri, a magistrati italiani. Tengo tuttavia a precisare che simili osservazioni non vanno interpretate nel senso di un biasimo generale; al contrario, desidero rendere espressamente omaggio ai magistrati italiani, che spesso hanno svolto il loro difficile compito in una situazione di estremo pericolo per la loro persona e le loro famiglie, un pericolo che in numerosi casi si e tradotto in una tragedia.

Confido nel fatto che una vera riforma della giustizia penale può contribuire a migliorare il clima generale e a ridurre il pericolo cui ho accennato. La mia speranza non si limita quindi ad un miglioramento della sorte dei soggetti in attesa di giudizio, ma si estende a quella dei magistrati di ogni livello.

Statistica delle istanze presentate sulla base dell'art. 25 Cedh (Corte europea dei diritti dell'uomo)

Istanze registrate(1979-1983)

Paese 1979 80 81 82 83 totale per mil. di ab.

Aus. 23 28 32 30 29 142 19

B 32 26 22 27 18 125 13

DK 8 7 3 7 9 34 7

RFT 120 160 109 98 93 526 9

ISL 0 1 0 0 1 2 9

IRL 5 4 9 23 9 50 15

I 21 31 20 15 17 104 2

Lux 2 1 0 1 7 11 30

NL 22 24 21 24 29 120 8

NOR 1 1 3 2 5 12 3

P 3 3 3 8 2 19 2

SV 9 11 8 18 46 92 11

CH 32 44 31 42 27 176 28

R.U. 100 103 132 190 152 677 12

Casi giudicati dalla Corte (1979-1983)

Paese Totale Violazioni Variazioni per

istanze registrate

Aus. 1 0 0:142

B 7 5 1:25

DK 0 0 0:34

RFT 5 3 1:175

ISL 0 0 0:2

IRL 1 1 1:50

I 7 6 1:17

LUX 0 0 0:11

NL 4 4 1:30

NOR 0 0 0:12

P 1 1 1:19

SV 1 1 1:92

CH 4 2 1:88

R.U. 7 7 1:97

Note

(1) Per una presentazione riassuntiva delle cifre, vedere, alla fine della relazione, la tabella allegata: dati statistici più esaurienti vengono regolarmente pubblicati dal segretario della

Commissione in »Stock-Taking of the European Convection on Human Rights

(2) Giustizia Penale 1984, III, p. 226.

(3) Giustizia Penale 1984, III, p. 20.

(4) Giustizia Penale 1981, I, p. 99.

(5) Lo stesso ostacolo linguistico sembra tuttavia aver avuto meno peso altrove, per esempio in Germania ed in Austria.

(6) Corte europea dei diritti dell'uomo, caso Pretto ed altri, sentenza dell'8 dicembre 1983, serie A n. 71.

(7) Loc. cit. par. 37; su questo punto, vedere tuttavia l'opinione dissidente di M. Pinheiro de Farinha.

(8) Corte eur. d.u., caso Guzzardi, sentenza del 6 novembre 1980, serie A, n. 39.

(9) Corte europea d.u., caso Luberti, sentenza del 23 febbraio 1984, serie A, n. 75.

(10) Corte eur. d.u., caso Foti e altri, sentenza del 10 dicembre 1982, serie A, n. 56.

(11) Corte eur. d.u., caso Corigliano, sentenza del 10 dicembre 1982, serie A, n. 57.

(12) Corte eur. d.u., caso Artico, sentenza del 13 maggio 1980, serie A, n. 37.

(13) Corte eur. d.u., caso Goddi, sentenza del 9 aprile 1984, serie A, n. 76.

(14) Istanza n. 9024/80, per la decisione sull'ammissibilità vedere D.R. 28.138.

(15) Istanza n.7438/76, Rapporto del 15 dicembre 1980, D.R. 23.5.

(16) Caso Foti, loc. cit., paragrafi 61, 68 e 71.

(17) Ndt.: illegibile nel testo originale.

(18) Rivista internazionale di diritto penale 49 (1978), pag. 201.

(19) Istanza n. 9920/82, Naldi c. Italia, non pubblicata.

(20) Istanza n. 9627/81, non pubblicata.

PRESIDENTE:

Prima di dar la parola al prof. senatore Giuliano Vassalli devo leggere due telegrammi. Uno arriva da Palermo, non lo capisco bene, così recita: »Caso avvocato Chiaracan, reclamo pronto ripristino civiltà giuridica lacerata. Avv. Enrico Sanseverino .

Inoltre un telegramma di Guido Neppi Modona: »Indignato per l'impostazione settaria et unilaterale relazione Mellini per immagine distorta della giustizia italiana fornita agli altri Paesi rinuncio per protesta alla mia partecipazione al convegno ``Caso Italia'' .

La parola dunque al senatore prof. Vassalli.

 
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