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Ancel Marc - 23 ottobre 1984
IL CASO ITALIA: (23) Marc Ancel (relazione) - LO STATO DELLA GIUSTIZIA IN EUROPA - I· CONVEGNO
STRASBURGO, 23.24 OTTOBRE 1984 - PARLAMENTO EUROPEO

SOMMARIO: Gli atti del convegno su lo stato della giustizia in Europa "Il caso Italia".

Con questa prima iniziativa, parlamentari di tutte le correnti politiche comunitarie intendono verificare lo stato della giustizia in Europa.

Deroghe nei confronti di alcune garanzie democraticamente poste a tutela dei diritti della persona, sanciti dai trattati comunitari e dalle costituzioni nazionali, si registrano in diversi paesi della comunità europea. Molto spesso queste violazioni delle fondamentali libertà civili sono state giustificate dall'insorgere di forme violente di contestazione politica, dall'esplosione di fenomeni terroristici o dal rafforzamento delle organizzazioni criminali.

Avviare il processo di ristabilimento democratico della legalità compromessa, rappresenta l'impegno dei promotori di queste iniziative.

Il primo caso che viene esaminato è quello italiano. In due giorni di discussione a Strasburgo il 23 e 24 ottobre.

("IL CASO ITALIA", Lo stato della giustizia in Europa - I· Convegno - Strasburgo, 23-24 Ottobre 1984 - Parlamento Europeo - A cura del Comitato per una Giustizia Giusta - Cedam Casa Editrice Dott. Antonio Milani, Padova 1985)

MARC ANCEL

(Relazione)

Sono molto sensibile alle parole che mi sono state testé rivolte, nonché molto onorato di trovarmi qui oggi in virtù dell'invito che ho ricevuto e che al pari mi onora.

Non so esattamente cosa ci si attenda da me. Suppongo di essere stato chiamato in veste di esperto di politica penale e di comparatista, ed intendo incentrare la mia relazione (credo, in questo, di essere d'accordo con gli organizzatori) sulle correnti che di recente sono giunte a contrastare il movimento generale di riforma del diritto penale fattosi sentire nelle legislazioni dei paesi industrializzati di cultura elevata - per parlar chiaro, essenzialmente nell'Europa occidentale - dalla fine dell'ultima guerra.

Si deve insistere, in partenza, sull'importanza e sulla universalità di questo movimento di riforma penale, che si fonda sull'azione delle Nazioni Unite (preconizzando una politica di »prevenzione del crimine e di trattamento dei delinquenti ), del Consiglio d'Europa (con il suo Comitato europeo per i problemi di delinquenza), nonché di raggruppamenti regionali (dalla cooperazione legislativa nordica all'integrazione »latino-americana , dalla quale uscirà presto il »codice penale tipo ). Questo movimento, al termine degli orrori della guerra e, per l'Europa continentale, del terrore e dei crimini nazisti, cerca di elaborare una nuova politica penale che, fondata sulla Dichiarazione universale e sulla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nonché liberata dall'antica reazione espiatoria e punitiva, vuole introdurre un regime di legalità, di rispetto dei diritti della difesa, un processo leale ed un'azione volta al reinserimento sociale ed al recupero dei delinquenti. Questo movimento si afferma in partico

lare con la grande legge svedese sulle prigioni del 1945, il "Criminal Justice Act" inglese del 1948, la riforma penitenziaria ed il codice di procedura penale francese del 1958, il codice penale svedese del 1962, la riforma tedesca del 1975, fino al nuovo codice penale portoghese del 1982 ed ai lavori di revisione del diritto penale proseguiti simultaneamente in Italia, in Spagna ed in Francia. Gli stessi paesi dell'Est (o paesi socialisti) vi si sono mostrati sensibili (1) e le riunioni internazionali di esperti, i colloqui ed i congressi di diritto penale, di criminologia o di difesa sociale che si vanno susseguendo, si rispondono e si completano, ne sono ulteriori illustrazioni. Bisogna prenderne coscienza e non perdere mai di vista questo grande e generoso movimento di rinnovamento del diritto penale e della politica criminale che segnò i primissimi anni della seconda metà del XX secolo.

Ciò nonostante, questo movimento universale, fondato ancora ed in primo luogo sul rispetto dei diritti dell'uomo e che presuppone la presa di coscienza della necessità di un rinnovamento penale, è stato, da almeno dieci o quindici anni, contrastato da un movimento di reazione, che preconizza il ritorno alla più severa repressione fondandosi sulle minacce che gravano sull'ordine pubblico.

Questa corrente si presenta sotto tre aspetti: si tratta in primo luogo di una corrente politica, autoritaria, antiliberale, spesso negatrice dei diritti della difesa, che afferma la volontà di tutelare l'ordine sociale contro qualsiasi intervento lo minacci.

E' anche una corrente dottrinale - ritroviamo qui la politica penale e la criminologia - che chiama in causa il sistema di »prevenzione del reato e di trattamento dei delinquenti che le Nazioni Unite aveva posto sotto la loro autorità e di cui avevano assicurato la promozione sin dal 1948; di qui, appunto, un ritorno alla "repressione" classica.

Si tratta infine di una corrente legislativa che si traduce in nuove leggi, in leggi speciali, che introducono delle deroghe al sistema di umanizzazione segnato dalle riforme penali sin dalla fine della seconda guerra mondiale. Si pretende di giustificare questa reazione legislativa - e le suddette leggi speciali - evocando le nuove forme assunte dalla criminalità, dalla violenza e dal terrorismo, e proclamando il »diritto di punire dello Stato.

Naturalmente, studiarlo nelle sue diverse manifestazioni richiederebbe molto tempo e, per brevità, nonché in qualche modo a titolo di esempio, ho scelto tre paesi dell'Europa occidentale, lasciando da parte la Francia, di cui dirò due parole per concludere. Si tratta di tre paesi democratici, che lo sono tradizionalmente o che lo sono ridiventati, ma che si sono trovati alle prese con la corrente di reazione di cui vorrei indicare le principali manifestazioni. Questi tre paesi sono: la Germania federale, la Spagna, la Gran Bretagna. Non parlerò, ovviamente, dell'Italia perché dinanzi a tanti esperti di cose italiane, del diritto italiano e del movimento di politica penale dell'Italia (che seguo attentamente) non spetta a me spiegare in questa sede quello che succede in Italia. Credo che, al contrario, vi attendiate da me delle indicazioni che fuoriescono dal contesto italiano.

Ed allora, passiamo rapidamente in rivista questi tre paesi per poi cercare di trarre il traibile da questa corrente generale che, per farla breve, definisco autoritaria.

Sin dalla sua costituzione, la legge fondamentale del 1949, la Germania federale si è sforzata di praticare una grande riforma delle istituzioni penali che ha portato, come è noto, all'ottima nuova codificazione del 1975, seguita o accompagnata da una riforma della procedura penale e da una riforma penitenziaria.

Questo movimento - i più eminenti autori tedeschi insistono su questo punto - si iscrive nel quadro generale del grande movimento universale di riforma penale, e quindi di umanizzazione; ma con le agitazioni cui si è assistito in certi momenti certe leggi sono venute a decretare delle eccezioni a questo regime.

Per quanto riguarda il diritto penale, si possono cintare le leggi del 16 dicembre 1971, del 23 novembre 1973, del luglio 1976, e, per la procedura penale, alcune revisioni del codice nell'agosto del 1973, ed infine il 14 aprile 1978.

Con quale risultato? Sul piano del diritto penale, si tratta, naturalmente, della creazione di nuove infrazioni o dell'accentuazione della repressione delle vecchie infrazioni: nuove infrazioni come la pirateria aerea, la presa di ostaggi, l'estorsione, la creazione di organizzazioni terroristiche, il fatto di appartenervi o di fare propaganda pei. tali organizzazioni, di esaltare e di giustificare la violenza.

Per la procedura penale, cosa ancora più grave, si tratta di un notevole incremento dei poteri della polizia, in particolare per quanto riguarda il diritto di perquisizione, l'istituzione di procedure accelerate e rinforzate, la repressione dei turbamenti provocati nel funzionamento delle giurisdizioni di istruzione o di giudizio. Quale caratteristica di certi aspetti questa tendenza, si noterà soprattutto la limitazione dei diritti del difensore, con la possibilità di escluderlo addirittura, nonché una maggiore sorveglianza dal punto di vista della deontologia e del controllo disciplinare dell'avvocato. Viene organizzato un controllo della sua corrispondenza e delle sue relazioni con l'imputato, che non sono più interamente libere. E'persino prevista la possibilità, in certi casi, di tenere un'udienza penale in assenza dell'imputato, nonché l'interdizione, per i »terroristi condannati, di avere contatti con l'esterno.

Senza contare quel che si incontrerà ovunque, eccetto in Inghilterra: un sensibile aumento delle detenzioni in attesa di giudizio.

Questo rafforzamento dell'azione poliziesca è inoltre accompagnato dalla creazione di certe polizie specializzate, che ricevono una formazione e mezzi tecnici nuovi.

Liberatasi dal franchismo, la Spagna ha imboccato in modo risoluto la via democratica, con la sua Costituzione del 1978, che la riconosce Stato di diritto, l'abolizione della pena di morte e la ricerca di riforme penali e penitenziarie che vanno nella stessa direzione.

Tuttavia, la Spagna si è trovata e si trova tuttora alle prese con organizzazioni ed attività terroristiche; sono note le attuali vicende dei Paesi Baschi. Anche qui, è intervenuta una legislazione speciale, a cominciare da un decreto legge, del 4 gennaio 1977, che, cosa assai curiosa (un'eccezione che un comparatista nota con interesse), tenta di dare una definizione o piuttosto una descrizione del terrorismo. Hanno fatto seguito altre leggi, in particolare quella del 28 dicembre 1978 »relativa a modifiche del codice penale in materia di terrorismo .

Anche in questo caso, viene in primo luogo consacrata la creazione di nuove infrazioni ed aumentano le pene per altre vecchie infrazioni. Si incrimina principalmente per detenzione e custodia di armi o di sostanze esplosive o altri ordigni distruttori. Si attribuisce una grande importanza al fatto di non rivelare alle autorità determinate imprese terroristiche, al sequestro con richiesta di riscatto, all'attentato alle proprietà, alla sistemazione o alla fornitura di locali per le imprese sovversive o per servire da rifugio agli stessi terroristi. Ci si concentra in modo particolare sugli attentati contro i mezzi di trasporto, terrestri o aerei, e contro i mezzi di comunicazione quali il telefono.

Si noterà che queste nuove infrazioni sono presentate - non si può dire definite - nei termini più vasti, il che facilita l'azione giudiziaria e le condanne. Si noterà altresì una notevole estensione del reato di omissione, dato che chiunque, d'ora innanzi, ha il dovere di comunicare alle autorità tutto ciò che può venire a sapere sui maneggi terroristici. Si constata infine, una volta di più, un sensibile rafforzamento dei mezzi e delle forme dell'azione poliziesca.

La Gran Bretagna sembrava destinata a restare fuori da questo movimento di reazione autoritaria, essendo l'Inghilterra »the land of the free ; è il paese della libertà per eccellenza ed è noto che il sistema inglese tutela in modo particolare le libertà individuali.

Ciò nondimeno, in seguito a certe agitazioni, verificatesi soprattutto in Irlanda con l'azione dell'esercito clandestino irlandese (Ira), l'Inghilterra ha finito con l'adottare alcune misure derogatorie a questo sistema tradizionale sviluppatosi ulteriormente con i "Criminal Justice Acts", approvato dal Parlamento inglese dopo quello, eccellente e già citato, del 1948; tali "Acts" venivano pronunciati nel senso della legislazione moderna, umana ed umanista che è stata ricordata. Anche qui, tuttavia, sono apparse nuove infrazioni, tra le quali innanzi tutto l'appartenenza ad un'organizzazione messa fuori legge, espressione con la quale ci si riferisce appunto all'Ira ("Irish Republican Army").

La fornitura di denaro o di mezzi a queste organizzazioni messe fuori legge, la propaganda a loro favore, la sollecitazione di aiuti o il contributo dato a siffatti movimenti terroristici, nonché l'omessa denuncia - ci torniamo una volta di più - o l'omessa fornitura di informazioni relative ad atti di violenza sono stati oggetto di imputazioni speciali. In certi casi, si è persino giunti a prevedere la possibilità di sopprimere l'intervento della giuria (è quanto risultava, ad esempio, da un "act" del 1973), nonché quella di fermare un sospetto e di ricorrere a quello che chiamiamo »fermo di polizia , che ora, nei confronti di chi è sospettato di terrorismo, può protrarsi anche per cinque giorni, durante i quali il soggetto coinvolto resta a disposizione della polizia. A tutto questo si aggiunge, naturalmente, l'incremento dei poteri o delle possibilità di intervento delle autorità di polizia; si tratta, per così dire, di una costante dei movimenti legislativi di cui sto tentando brevemente di tracciare i c

ontorni.

Ed ora vorrei evocare, in qualche modo, la situazione della Francia, che è piuttosto particolare, poiché qui assistiamo ad un curioso rovesciamento.

A partire dalla liberazione della Francia - 1944/1945 - si era avviato un grande movimento di rinnovamento penale, prima in materia penitenziaria, poi in materia di procedura penale, per cui il vecchio codice di istruzione penale di Napoleone del 1808 è stato sostituito, nel 1958, da un codice di procedura penale più moderno. Sono intervenute alcune leggi a conferire maggiori poteri, di individualizzazione e di personalizzazione, al giudice penale, ed è stato istituito un »giudice per l'applicazione delle pene . In seguito, la Commissione di revisione del codice penale ha lavorato nella stessa direzione.

Invece, a partire dagli anni '70 e soprattutto dopo il 1975, si è avvertita una tendenza a tornare ad una legislazione repressiva. Così la legge dell'8 giugno 1970 (detta legge »anti-casseurs , legge contro il teppismo, diretta cioè a determinate distruzioni commesse in gruppo), che reprime le agitazioni provocate da manifestazioni o da azioni comuni concertate, quasi a voler stabilire una specie di responsabilità collettiva. Nel marzo del 1975, una riforma penitenziaria, pur mantenendo certi centri di detenzione a regime liberale per la criminalità minore, istituisce dei penitenziari centrali con regime di rigore per i criminali pericolosi (o rei di delitti di violenza), nonché dei »quartieri di sicurezza rafforzata che sono stati oggetto di ardenti polemiche. Allo stesso modo, nel 1978, con una legge sono stati ridotti i poteri del giudice per l'applicazione delle pene e, nel 1980, il governo ha avanzato un progetto chiamato »Sicurezza e libertà di cui si può dire che riguardava molto la sicurezza e poco

la libertà, ed il cui principale intento era di creare due sistemi repressivi, il sistema abituale per la delinquenza minore e, per i grandi criminali violenti, un regime speciale che limitasse i diritti della difesa, riducesse i diritti dell'imputato e del condannato, e lo sottomettesse ad un trattamento estremamente rigido.

Come è noto, però, in Francia vi è stato, nel 1981, un cambiamento di maggioranza politica, evento che ha consentito un ritorno alla tradizione liberale e di umanizzazione seguita dopo il 1945.

Nel 1981, la Francia ha abolito, non senza polemiche, la pena di morte; sono stati soppressi i tribunali speciali, in particolare la Corte di sicurezza dello Stato, e persino i tribunali militari, mentre nuove leggi hanno abrogato sia la legge »anti-casseurs di cui si è detto, che la legge »Sicurezza e libertà che era appena entrata in vigore. Inoltre, una legge del luglio 1983 ha rafforzato i diritti della vittima ed esiste attualmente una corrente a favore di una più completa »giudiziarizzazione della procedura, specialmente di esecuzione delle pene, vale a dire un più ampio ricorso al giudice di applicazione delle pene e persino l'istituzione di un nuovo tribunale di esecuzione. In tal modo, la reazione autoritaria e super-repressiva che aveva cominciato a manifestarsi in Francia è stata fermata dalla più recente legislazione, mentre la revisione del codice penale è di nuovo attivamente orientata verso prospettive di politica criminale moderna.

Ecco cosa si può dire molto - e forse troppo - sommariamente sulla recente evoluzione dei paesi dell'Europa occidentale. Cosa possiamo concluderne e a che punto siamo?

Si potrebbe pensare che questa evoluzione testimoni una volontà comune dei paesi interessati, benché vi sia scarsa, o non vi sia alcuna, imitazione legislativa tra un paese e l'altro; se mai, vi è un incontro, il che, sul piano comparativo, è piuttosto interessante.

Se ve ne fosse il tempo, si dovrebbe a questo punto parlare delle convenzioni internazionali, sia generali, quali le Nazioni Unite, sia regionali, quali il Consiglio d'Europa, che sono intervenute su questa materia. Infatti, se la criminalità, come si è correntemente portati a constatare, tende ad internazionalizzarsi, è normale che la reazione anti-delittuosa si organizzi sempre più sul piano extra-nazionale e che vengano profusi degli sforzi, sia in direzione di quello che viene chiamato reciproco aiuto giudiziario che dal punto di vista della cooperazione internazionale degli Stati. Disgraziatamente, non è possibile soffermarcisi, ma anche qui si osserverebbe una duplice corrente che, da un lato, tende a conservare e ad affermare il grande movimento innovatore di politica penale e, dall'altro, ad organizzare delle reazioni particolari agli eccessi di una certa criminalità organizzata ed ispirata dal terrorismo.

Limitandoci alle varie legislazioni nazionali, confrontate nella loro realtà ed evoluzione positiva, potremo fare alcune constatazioni, la prima delle quali è di quello che si potrebbe chiamare un "restringimento" del concetto di infrazione politica, che nella tradizione del secolo XIX era trattata con particolare indulgenza. Oggi, l'immagine romantica del criminale politico idealista disinteressato e semplicemente fuorviato dalla passione viene respinta. La collusione con il terrorista tende anzi a farne il nemico pubblico numero 1.

Si respinge quindi il fine, o il motivo politico, cosa che riveste una grande importanza, vuoi in materia di diritto d'asilo, vuoi di estradizione, questioni che non ho il tempo di sviluppare ma che sollevano, come è noto, delle grandi difficoltà attuali.

Le imprese terroristiche, si dice, non minacciano più soltanto un dato governo (o forma di governo), ma le basi stesse della società, nonché, ancor più direttamente, la sicurezza individuale dei cittadini. Di qui, si afferma, la necessità per la stessa democrazia di difendersi se vuole sopravvivere, ed in tal modo il sentimento generalizzato (se non la psicosi) di insicurezza genera a sua volta la richiesta, altrettanto generale, di una repressione rafforzata. Ma fino a che punto è possibile spingersi senza, in definitiva, tradire la stessa democrazia?

A questo proposito, risulta malgrado tutto comprensibile l'istituzione di nuove incriminazioni come la presa di ostaggi o il dirottamento di aereo.

Talvolta, si può persino capire il rafforzamento di antiche pene; invece, è principalmente sul piano della procedura penale che le innovazioni a carattere autoritario, di cui si è detto, appaiono più discutibili. Lo sono soprattutto in quanto instaurano un regime speciale, per determinate infrazioni (definite »terroristiche ) e per determinati trasgressori che vengono qualificati nello stesso modo. Ma cosa si intende esattamente per »terroristi ? L'imprecisione del termine e l'abuso che ne viene generalmente fatto conducono ai peggiori eccessi.

Le leggi assegnano spesso queste infrazioni a delle giurisdizioni particolari, quindi ancora una volta giurisdizioni speciali, che sottraggono i cittadini a quello che gli uomini della Rivoluzione francese chiamavano »il loro giudice naturale , vale a dire il giudice di diritto comune che delibera secondo la procedura di diritto comune.

Spesso, per l'ampiezza delle imputazioni, e per l'imprecisione (peraltro voluta) dei fatti qualificati come delitti, esse attentano al principio della legalità dei delitti e delle pene.

Esse attentano anche al diritto di ciascuno di avere una situazione regolare agli atti quando si tratta di comparire in giudizio; alla libera discussione degli elementi del processo, alla presenza di un difensore, all'esercizio delle vie nazionali di ricorso, a tutto ciò che costituisce il »processo leale ed infine alla presunzione di innocenza, di cui beneficia ogni incriminato o imputato ed è una caratteristica delle legislazioni penali del mondo occidentale democratico.

Questa presunzione di innocenza viene praticamente vanificata dalla pratica delle detenzioni preventive abusive e notevolmente prolungate. Non vorrei alludere su questo punto all'Italia che, se così si può dire, primeggia in materia di durata possibile della detenzione in attesa di giudizio. Ma l'Italia non è sola a praticare simili abusi.

Queste nuove legislazioni portano inoltre a ripristinare l'antico concetto, che si poteva credere scomparso, di »sospetto , vale a dire di individuo che può essere trattato in modo particolare e che viene immediatamente guardato con diffidenza, benché avrebbe anche in questo caso il diritto di far valere la sua innocenza, fiche non sarà stato condannato. Ciò conduce peraltro a dare alla polizia nuovi mezzi di investigazione e nuove possibilità di intervenire nei confronti dei cittadini.

Questa situazione risulta ancora aggravata nei maxi-processi, anch'essi ben noti in Italia, in cui i singoli imputati vengono in un certo senso annegati da una folla di persone che compaiono con loro, senza che il giudice, anch'egli ovviamente travolto da una simile massa, possa praticamente identificarli nella loro specifica identità. Dove è andata a finire, in questo caso, la regola dell'individualizzazione?

A tutto ciò si può anche aggiungere, per completare il quadro di queste deformazioni procedurali, l'incertezza e le possibilità di errori derivanti dall'obbligo sempre più spesso e sempre più imperiosamente ingiunto a chiunque si trovi immischiato, da vicino o da lontano, in un'impresa o un comportamento delittuoso, di avvertirne le autorità sotto pena di sanzioni penali. Se vi si aggiungono, come talvolta accade, delle agevolazioni o condoni di pena ai »pentiti che con le loro »confessioni o dichiarazioni accettano di aiutare le autorità giudiziarie, si rischia di sfociare in un sistema che al tempo stesso istiga alla delazione e lascia aleggiare un increscioso dubbio sull'identificazione dei veri »colpevoli . Non si tratta forse di deviazioni da un regime legale instaurato, in linea di principio, per difendere le istituzioni democratiche?

Tuttavia, queste diverse misure non vengono imposte insieme da una legislazione, il che costituirebbe una completa riforma del sistema. Al contrario, vengono instaurate poco a poco, progressivamente e separatamente. Anzi, la maggior parte di esse è promulgata da leggi provvisorie che si applicano ad un periodo di tempo limitato (anche se, di fatto, vengono quasi sempre prorogate) o ad una particolare regione ben delimitata. In tal modo, quando viene presentata, ogni misura appare come una deroga limitata e quindi accettabile per un sistema democratico d'insieme teoricamente rispettato.

Ne consegue che nei paesi in cui esiste un controllo giurisdizionale della legalità o della costituzionalità delle leggi, vale a dire della conformità delle nuove misure alla legge fondamentale, ciascuna di queste viene quasi sempre riconosciuta costituzionale e compatibile con il sistema generale dello Stato di diritto. Quando si consideri, però, l'insieme che da tutte queste puntuali modifiche emerge, si è portati a chiedersi se davvero si sia in presenza di uno Stato di diritto o se, di fatto, la situazione non si sia completamente, anche surrettiziamente, trasformata.

Taluni lo hanno giustamente detto: che rapporto vi è tra questo nuovo stato di cose ed i principi fondamentali dell'ordine economico, la certezza del diritto, la ricerca imparziale della verità, la libera discussione delle prove, ed è l'individuo sospettato o sospetto al riparo, se non dalla tortura, quanto meno da costrizioni fisiche ed ancor più morali? Non siamo forse in presenza di una gravissima deviazione dal sistema, di cui si deve prendere coscienza?

In questa sede è stato probabilmente evocato il diritto di »legittima difesa dello Stato. Anche lo Stato, come l'individuo, deve potersi difendere da un attacco ingiustificato. Tuttavia, l'espressione »legittima difesa assume nel vocabolario contemporaneo un senso particolarmente vago, singolarmente esteso, nonché singolarmente preoccupante. Non si tratta più della legittima difesa espressa nel diritto anteriore e che, peraltro, era racchiusa entro precisi limiti giuridici, con i particolare una certa corrispondenza tra l'aggressione e la risposta. Questa »legittima difesa ha invece spesso condotto a degli abusi, come quando si creano delle »associazioni di legittima difesa , leghe per la difesa della proprietà (soprattutto in campagna) e molti cittadini si persuadono di avere il diritto di uccidere impunemente qualunque individuo che tenti di penetrare nella loro proprietà o che ritengano possa minacciare la loro sicurezza. Dove si va a finire, lasciando che simili idee si sviluppino?

La mia conclusione sarà quindi che in presenza di tali correnti, di cui ho fornito solo qualche esempio, la vigilanza dei democratici dev'essere ben desta. Deve insorgere contro gli eccessi della legislazione e dell'amministrazione. Deve però anche esercitarsi nei confronti dell'opinione pubblica, di una opinione pubblica che si spaventa, che i mass-media incoraggiano nel suo senso di insicurezza, e di cui i politici spesso si servono per giustificare le loro retrograde imprese legislative, contrarie ad una sana politica penale umanista ed umanitaria. Si pone, per tutti i democratici, un dovere di perspicacia e di esame critico.

E' necessario reagire contro gli smarrimenti dell'opinione pubblica quando reclama una repressione espiatoria indiscriminata. Si rischia di instaurare o di autorizzare delle costrizioni di Stato sempre più coercitive e pericolose, attraverso lo stesso gioco - deformato - delle istituzioni governative ed amministrative: si può parlare a questo proposito di una »violenza istituzionale .

Dove, dunque, il rimedio? Oggi, si ha l'abitudine di criticare il giudice e la giustizia penale. Con ogni probabilità, questa giustizia non è perfetta e deve essere migliorata; ma si tratta di un'impresa difficile. Tuttavia, si rifletta attentamente! Quel che è necessario non è sminuire, ma al contrario ripristinare la giustizia penale nella sua dignità e nella pienezza delle sue attribuzioni; essa resta infatti il miglior difensore - ed il difensore naturale - della salvaguardia e delle libertà dell'uomo. Non dimentichiamolo mai.

Note

(1) In particolare con i »principi direttivi sovietici del 1958, seguiti dal codice della Rsfsr del 1069 oppure con (tra gli altri) i tre codici polacchi (penale, di procedura penale e di esecuzione delle pene) del 1969, o ancora l'evoluzione del diritto penale jugoslavo dal codice del 1948 a quello del 1951, ed ai rifiuti del 1962, 1965 o 1967.

PRESIDENTE:

Bene. Ora, con il suo permesso, darei la parola al giudice Battaglini, consigliere della Corte di Cassazione.

 
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