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Simone Rosella - 23 ottobre 1984
IL CASO ITALIA: (32) Rosella Simone (intervento) - LO STATO DELLA GIUSTIZIA IN EUROPA - I· CONVEGNO
STRASBURGO, 23.24 OTTOBRE 1984 - PARLAMENTO EUROPEO

SOMMARIO: Gli atti del convegno su lo stato della giustizia in Europa "Il caso Italia".

Con questa prima iniziativa, parlamentari di tutte le correnti politiche comunitarie intendono verificare lo stato della giustizia in Europa.

Deroghe nei confronti di alcune garanzie democraticamente poste a tutela dei diritti della persona, sanciti dai trattati comunitari e dalle costituzioni nazionali, si registrano in diversi paesi della comunità europea. Molto spesso queste violazioni delle fondamentali libertà civili sono state giustificate dall'insorgere di forme violente di contestazione politica, dall'esplosione di fenomeni terroristici o dal rafforzamento delle organizzazioni criminali.

Avviare il processo di ristabilimento democratico della legalità compromessa, rappresenta l'impegno dei promotori di queste iniziative.

Il primo caso che viene esaminato è quello italiano. In due giorni di discussione a Strasburgo il 23 e 24 ottobre.

("IL CASO ITALIA", Lo stato della giustizia in Europa - I· Convegno - Strasburgo, 23-24 Ottobre 1984 - Parlamento Europeo - A cura del Comitato per una Giustizia Giusta - Cedam Casa Editrice Dott. Antonio Milani, Padova 1985)

ROSELLA SIMONE

Sono la moglie di un detenuto politico, Giuliano Naria. Giuliano ha passato in carcere otto anni e tre mesi, e si trova ancora in attesa di giudizio. Sono quattro anni che le sue condizioni fisiche e psichiche si vanno aggravando. Lentamente, ma inesorabilmente, Giuliano si va giorno dopo giorno consumando, senza più speranza o voglia di vita. Quattro mesi di ospedale-carcere, senza che la sua condizione fisica e psichica sia migliorata, quattro mesi in cui il processo degenerativo e solo stato tamponato dai medici dell'ospedale ma non arrestato, perché questi medici ritengono che non sia possibile curare il malato se non si rimuove la causa, cioè il carcere.

Giuliano ha passato otto anni e tre mesi in carcere a studiare, a leggere, a scrivere e a immaginare, oltre il muro di cinta, spazi di libertà, aspettando una giustizia che non arrivava mai. Per me, sua moglie, per sua madre, per suo padre, chilometri di strada ferrata su e giù per l'Italia. Per tutti noi umiliazioni, soprusi, ingiurie ed altro ancora che non fa piacere raccontare, perché c'è il pudore delle proprie sofferenze. E questo sarebbe stato ancora niente, se una vera e propria tortura morale non si fosse sommata a quella fisica: otto anni e tre mesi a sognare la libertà, otto anni e tre mesi sarebbero una pesante condanna per chiunque. Giuliano li ha passati in attesa di giudizio.

Anche i cinque anni di condanna per banda armata li ha scontati prima di essere condannato: otto anni e tre mesi che incominciano il 27 luglio 1976, anni luce da oggi; da allora e sempre stato così, assoluzione, scarcerazione, speranza di uscire, poi un nuovo, pretestuoso mandato di cattura, fine della speranza. Perché stupirsi che un uomo rinunci alla vita dopo otto lunghissimi anni di sofferenza? Io sono qui a fare testimonianza, a raccontare una storia esemplare che mi riguarda personalmente, ma non riguarda solo me o Giuliano, ma i molti che sono chiusi nelle carceri italiane, perché non ci sarebbe stato un »caso Giuliano Naria se non ci fosse stato il clima del sospetto creato dalla legislazione di emergenza, durante questi lunghi e difficili anni. Coloro i quali sono chiusi nelle carceri italiane, al di là delle loro specifiche responsabilità, sono condannati a pene e a condizioni di detenzione che neppure uno stato di guerra potrebbe giustificare: imprigionati da una volontà reazionaria di mantenimen

to dell'emergenza che va contro una volontà popolare diffusa e contro le stesse leggi dello Stato, la cui interpretazione da parte dei giudici troppo spesso e stata la più sfavorevole all'imputato, contro ogni dettame costituzionale.

Qualora tutto questo non bastasse, hanno inventato o abusato dell'uso di reati al solo scopo di impedire alla gente di uscire dal carcere; reati come la partecipazione morale a un delitto o all'insurrezione armata contro i poteri dello Stato e altri ancora. Di più: hanno condannato, in assenza di prove, per dei »sentito dire . Questa storia emblematica che trasforma un cittadino in un colpevole a tutti i costi, quella di mio marito, Giuliano Naria, incomincia nel '76; l'8 giugno di quell'anno le Brigate rosse uccidono a Genova un magistrato, Francesco Coco. Il giorno dopo l'omicidio, i giornali di Genova accusano Giuliano di quel delitto. Pare ci siano due testi oculari. Va detto subito che Giuliano sarà assolto da questo reato sette anni più tardi, il 27 luglio 1983.

Ma torniamo al '76; Giuliano legge i giornali e tenta di scappare, di nascondersi; la magistratura, si può pensare, emette nei suoi confronti il mandato di cattura per l'omicidio Coco. No, niente affatto: il 9 giugno, il giorno successivo all'omicidio, la magistratura emette un mandato di cattura per il sequestro di un certo Casabona, dirigente dell'Ansaldo, fabbrica dove Giuliano lavorava, e per partecipazione a banda armata. Il sequestro era avvenuto l'anno prima. Dopo pochi mesi, sarà prosciolto anche da questo sequestro.

Allora, primo mistero: perché la magistratura non emette un mandato di cattura per Coco, quando tutti i giornali indicavano lui come il killer pericoloso? L'unica risposta possibile è questa: perché la magistratura sa che i cosiddetti testi che accusano Giuliano dell'omicidio Coco sono falsi, ma vuole arrestare lo stesso Giuliano. Perché? Unica risposta possibile: perché essa, la magistratura, non riesce a capire nulla delle Brigate rosse a Genova, e perché comunque, mettendo le mani su Giuliano, qualcosa potrebbe significare, dato che Giuliano è un militante della sinistra extraparlamentare di Genova, ben conosciuto in quella città, e quindi rappresentativo di un'area politica. Il 27 luglio viene trovato, ed è arrestato per partecipazione a banda armata e per quel sequestro. Nell'ottobre del '76 diviene troppo evidente che l'accusa del sequestro Casabona è assurda. Lo stesso Casabona scagiona Giuliano. Dunque, Giuliano potrebbe uscire. Intanto sono scaduti i termini per la banda armata. Ma la magistratura n

on molla. Pochi giorni dopo il proscioglimento per il sequestro Casabona si emette il mandato di cattura per Coco: 6 ottobre '76. Così Giuliano resta in carcere, questa volta per partecipazione a banda armata e per l'omicidio Coco. Giuliano sarà processato per la banda armata nell'80, separatamente dall'omicidio Coco, grazie alla legge del '77 che consente lo scorporo dei processi. Verrà condannato sul presupposto del suo coinvolgimento nell'omicidio per il quale sarà assolto nell'83. Ad ogni modo la condanna resta nei limiti della carcerazione effettuata e dunque, per questo titolo, Giuliano non ha nessuna pena da scontare.

Intanto, nel '77 hanno istituito le carceri speciali. Giuliano viene trasferito prima a Fossombrone e poi per due anni di fila all'Asinara, il carcere dell'inferno. Il 2 ottobre scoppia la rivolta dell'Asinara. Tutti i detenuti saranno colpiti da mandato di cattura e Giuliano tra gli altri. Sarà prosciolto in istruttoria nel 1980. Il processo Coco sarà fissato finalmente nell'80: il 27 luglio sarebbero scaduti i termini di carcerazione preventiva. Il processo ha inizio. I famosi due testi oculari non si presentano al processo. Il processo sta per concludersi con la prevista assoluzione quando - maggio 1980 - il superpentito Patrizio Peci, in cambio di immunità, passaporto e denari, incomincia a »confessare . Dice tra l'altro di aver saputo da un certo Fiore - che non ha partecipato all'azione Coco - che Giuliano in qualche modo c'entra, con questo omicidio. Il processo, invece di concludersi con la prevista assoluzione, e nonostante le insistenze degli avvocati difensori perché il pentito venga in aula e il

processo arrivi a conclusione, viene rinviato a nuovo ruolo.

Nell'agosto dell'80 i termini di carcerazione preventiva dovrebbero scadere. E invece no: nel frattempo la legge speciale, detta legge Cossiga, ha prolungato i termini di carcerazione preventiva di oltre un anno e mezzo. Viene applicata anche retroattivamente; dunque, si deve attendere la fissazione del nuovo processo. In effetti, i termini di carcerazione preventiva per l'omicidio Coco scadono nell'82, e nel luglio dell'83 Giuliano viene assolto, come vi dicevo, da questa accusa. Per più di una ragione, quindi, Giuliano dovrebbe ritornare in libertà, e invece no: nel dicembre 1980 scoppia una rivolta nel carcere speciale di Trani dove Giuliano è detenuto, e tutti i detenuti del carcere vengono colpiti da mandati di cattura per la rivolta e il sequestro del giudice D'Urso. Dal sequestro D'Urso Giuliano sarà prosciolto e scarcerato nell'84. Sarà prosciolto anche dall'accusa di aver fatto parte del comitato di lotta. Viene quindi dichiarata la non possibilità che egli abbia promosso l'azione. Ma non basta: poc

hi giorni dopo l'assoluzione per l'omicidio Coco, Giuliano viene rinviato a giudizio, con mandato di cattura per l'inverosimile reato di guerra civile e insurrezione armata contro i poteri dello Stato, accusa fondata essenzialmente sulla sua presunta responsabilità nell'omicidio Coco.

Intanto Giuliano, massacrato nel carcere di Trani nel 1980 - diciassette punti di sutura sul cranio! - non sta bene; e guardate che è stato massacrato dopo che la rivolta è stata sedata, quando i corpi speciali entrano, ramazzano tutti quelli che si trovavano nel carcere, li mettono insieme e li massacrano uno per uno, con il calcio del fucile.

Il direttore del tribunale nel processo che si terrà a Trani - Giuliano assente perché stralciato, perché la malattia gli impedisce di essere presente - dirà che tutto questo non è accaduto. E invece questo è accaduto. Come mai le denunce avanzate spariscono, e nessun tribunale ne prende atto? E' dal 1980 che Giuliano non sta bene. Soltanto un anno dopo due specialisti esterni riescono a visitarlo. Constatano le sue precarie condizioni di salute e dicono: »Riteniamo che il signor Naria non sia assolutamente idoneo a sostenere qualsiasi forma di regime detentivo, dal momento che fin da ora è presente un quadro clinico complessivo che configura la evenienza immediata di gravi e irrevocabili menomazioni del suo stato di salute, già ampiamente intaccato .

Intanto gli anni passano e Giuliano rimane in carcere. Passano otto anni e tre mesi di questa tortura protratta, di una libertà sempre prossima e sempre negata. Non si riesce più a capire nulla, la ragione non sorregge più e rimane solo lo smarrimento. La ragione affonda, tu cerchi di resistere, ma non ce la fai più. La galera deve giustificare se stessa, otto anni e tre mesi di carcere non possono essere stati fatti senza colpa dice la gente di buonsenso, e in onore a questo buonsenso Giuliano Naria, operaio, comunista, non colpevole di molti reati, resta in carcere a dimostrare che la giustizia è giusta. La galera giustifica se stessa, ma chi è preso da questo mostro che non lo lascia più affonda nel dolore, chiede alla mente libera di liberare anche il corpo. Così, prigioniero, Giuliano Naria, operaio, comunista, diviene egoista, si chiude in se stesso e perde coraggio, non ce la fa più a resistere, sta male.

Al carcere si sostituisce il carcere-ospedale. Per Giuliano Naria, un uomo che sta molto male, che rischia la vita, si chiedono gli arresti domiciliari: anoressia mentale in psicosi depressiva, così diagnosticheranno i medici del centro clinico del carcere di Torino, ma per i giudici non basta. C'è malizia di sicuro in chi ha fatto otto anni e tre mesi di carcere innocente e loro sì, loro sì che l'hanno capito! I medici di Torino non sanno fare il loro mestiere, lo sanno fare i giudici di Trani, gli ermellini della Corte di Cassazione. L'anoressia non esiste, questo uomo che da quattro anni lotta contro lo smarrimento è un mentitore. Loro, i giudici, che non l'hanno mai visto neppure una volta, loro sì che hanno capito tutto, loro sì sanno fare i giudici, i medici, i legislatori.

Giuliano Naria è sovversivo e la libertà è meglio darla ad altre persone, più raccomandabili: generali, faccendieri, mafiosi, ricchi e potenti; rimane solo lo sgomento, per un essere umano, mio marito, Giuliano Naria, chiuso in un corpo che appassisce, così fragile ormai che sembra si debba spezzare, con una coscienza così provata che è al limite dello smarrimento. Difficile spiegare questo accanimento, se non fosse che la sua liberazione - lui simbolo a due facce per gli uni e per gli altri, simbolo al di là della sua volontà - costituirebbe una prova delle aberrazioni in cui è incorsa la legislazione e la giurisprudenza d'emergenza.

Resta il doloroso sospetto che si voglia arrivare al paradosso di sanare una tale patologia giudiziaria - così l'ha definita lo stesso ministro Martinazzoli - costruendo in fretta e furia una condanna, per la pace delle buone coscienze e della gente di buonsenso, per la quale otto anni e tre mesi, fatti perché non colpevoli di molti reati, siano comunque una colpa.

PRESIDENTE:

La ringrazio signora, della sua testimonianza. E' vero che attraverso dei casi particolarmente dolorosi si possono delineare le regole universali che debbono presiedere al modo in cui vengono rette le nostre società.

Signore e signori sono obbligato ad andare perché è già iniziata l'assemblea solenne e c'è il presidente Alfonsin che ora si sta rivolgendo ai miei colleghi in assemblea. Devo quindi rientrare in emiciclo.

Però vorrei dire in due parole, se voi mi autorizzate, che per quanto mi riguarda - magari non vedo le cose come dovrebbero, tocca a voi correggermi eventualmente - due assi principali mi sembrano delinearsi dai lavori di questo convegno.

Innanzitutto un asse che è il riflesso di una situazione specifica, particolare, il riflesso di una crisi di una società che, come ha detto Baget Bozzo, è il riflesso di una crisi dello Stato italiano. E' un po' il sentimento che ho provato ascoltando gli interventi degli uni e degli altri.

Per quanto riguarda il secondo asse, mi sembra universale e, praticamente, riprende il primo. E' difficile vedere quelle che sono le esigenze fra la necessaria difesa dello Stato contro coloro che lo attaccano senza che vengano contemporaneamente oppresse le libertà individuali dell'uomo. E' una impresa difficile nella quale dobbiamo, gli uni e gli altri, impegnarci.

Vorrei ringraziare tutti del loro contributo. Sono certo d'altronde che, signore e signori, voi mi autorizzerete a fare una eccezione rivolgendomi verso il mio vicino, e ringraziando molto particolarmente, a nome di tutti voi, il presidente Ancel per il suo contributo notevole. Grazie presidente! Per quanto riguarda tutti voi vi dirò con le poche parole che conosco in italiano: »auguri, buon proseguimento .

Presidenza della deputata Emma Bonino

PRESIDENTE:

Ha la parola l'avvocato De Stefano.

 
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