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Viviani Agostino - 23 ottobre 1984
IL CASO ITALIA: (43) Preoccupante caduta di legalità nella conduzione dei processi penali in istruttoria e nel dibattimento
di Agostino Viviani - LO STATO DELLA GIUSTIZIA IN EUROPA - I· CONVEGNO

STRASBURGO, 23.24 OTTOBRE 1984 - PARLAMENTO EUROPEO

SOMMARIO: Gli atti del convegno su lo stato della giustizia in Europa "Il caso Italia".

Con questa prima iniziativa, parlamentari di tutte le correnti politiche comunitarie intendono verificare lo stato della giustizia in Europa.

Deroghe nei confronti di alcune garanzie democraticamente poste a tutela dei diritti della persona, sanciti dai trattati comunitari e dalle costituzioni nazionali, si registrano in diversi paesi della comunità europea. Molto spesso queste violazioni delle fondamentali libertà civili sono state giustificate dall'insorgere di forme violente di contestazione politica, dall'esplosione di fenomeni terroristici o dal rafforzamento delle organizzazioni criminali.

Avviare il processo di ristabilimento democratico della legalità compromessa, rappresenta l'impegno dei promotori di queste iniziative.

Il primo caso che viene esaminato è quello italiano. In due giorni di discussione a Strasburgo il 23 e 24 ottobre.

("IL CASO ITALIA", Lo stato della giustizia in Europa - I· Convegno - Strasburgo, 23-24 Ottobre 1984 - Parlamento Europeo - A cura del Comitato per una Giustizia Giusta - Cedam Casa Editrice Dott. Antonio Milani, Padova 1985)

AGOSTINO VIVIANI

Preoccupante caduta di legalità nella conduzione dei Processi Penali in istruttoria e nel dibattimento

I. Premessa

E' ormai di generale conoscenza la tendenza dell'ordine giudiziario o - almeno di una parte di esso - ad aumentare la sfera dei suoi poteri. Però, qualunque sia l'opinione che si può avere al riguardo, pensiamo che ci sia piena concordanza nel ritenere limite invalicabile quello della legge. Non a caso la Costituzione afferma che »i giudici sono soggetti soltanto alla legge (art. 101 cpv); ma alla legge, sì.

Ebbene, in questi ultimi tempi, abbiamo assistito (ed invero non senza preoccupazione) a ripetute, disinvolte e - talora - clamorose violazioni di legge da parte della magistratura, anche se, in generale, nascoste dietro il paravento - in questo caso comodo - del terrorismo. Una comunità che, per combattere forme sia pure anomale di delinquenza, deve ricorrere, non solo a leggi autenticamente speciali, ma addirittura sopportare che il magistrato violi norme processuali penali, attraversa evidentemente uno stato di crisi profonda dalla quale, per tentare di sollevarsi, ha una sola via: non derogare per alcun motivo alle regole del gioco.

Consci di ciò, riteniamo, più che interessante, doveroso, segnalare e valutare alcune violazioni compiute in recenti processi, (specialmente in quelli politici) nella ferma speranza che sorga a questo proposito un dibattito capace in ogni caso di ricondurre nell'alveo del sistema la delicata ed importante attività dell'autorità giudiziaria.

II. Anomalie da segnalare

A) Modalità di raccolta dei mezzi istruttori

Gli interrogatori e le disposizioni, con una certa frequenza, sono raccolti, non più dal solo magistrato incaricato delle indagini in relazione all'esercizio di una determinata azione penale, ma piuttosto da un certo numero di magistrati incaricati di differenti indagini. Ed anche quando il mezzo istruttorio è condotto dal magistrato investito dell'istruttoria, non è raro il

caso che siano presenti colleghi cui sono affidate altre istruttorie, per cui l'interrogatorio concerne anche fatti non riguardanti quella per cui si procede.

Inoltre - come si apprende dagli stessi verbali - all'imputato non si finisce mai di ricordare che se confesserà e condirà il suo racconto con consistenti delazioni, egli passerà al rango di delatore e, come tale, godrà dei non lievi benefici legislativamente previsti. D'altronde all'interrogato (sia esso teste o imputato) si chiedono le notizie più varie e più impensate, dalla nascita in poi, puntando insistentemente sulle opinioni politiche ed addirittura cadendo spesso, oltreché in autentici pettegolezzi, nel campo minato delle voci e dei »si dice ; il che contrasta patentemente con il dovere del magistrato inquirente di »compiere prontamente tutti e soltanto quegli atti che in base agli elementi raccolti e allo svolgimento dell'istruzione appaiono necessari per l'accertamento della verità (art. 299 comma I c.p.p.). Non a caso la Cassazione ha avuto modo di affermare che »compito dell'istruttoria è quello di fissare la posizione dell'imputato rispetto all'episodio criminoso, oggetto dell'azione penale (

24.3. 1979 in »Raccolta decennale completa e coordinata della giurisprudenza penale della Corte di Cassazione , gennaio 1971-dicembre 1980, Vittorio De Martino ed altri, Roma, voce »istruzione penale pag. 2808).

Né può sottacersi che è divenuta ormai non commendevole consuetudine condurre gli esami per un tempo ben capace di estenuare chi vi è sottoposto (7-8 ore) e, spesso, anche di notte. Talvolta la disinvoltura degli inquirenti giunge fino al punto da condizionare espressamente la libertà dell'imputato (non emissione di provvedimenti di cattura, concessione della libertà provvisoria) alla consistenza delle rivelazioni. Ma ancor più grave è il modo con cui sono stati raccolti, spesso dallo stesso organo dell'accusa, in sede istruttoria, i verbali relativi ai cosiddetti pentiti e, per quel che mi consta, solo quelli relativi a questi imputati. Si tratta (novità della stagione) di interrogatori a puntate. Occorre spiegarci bene, perché, in realtà, ci siamo trovati di fronte a gravi difficoltà per riuscire a far capire quello che è avvenuto e potrebbe (speriamo di no!) continuare ad avvenire.

Si chiama la persona da interrogare. Si apre il verbale, indicando il luogo in cui si procede, la data, l'ora, chi conduce l'interrogatorio, le persone presenti. Inutilmente, poi, si cerca il contesto dell'interrogatorio stesso; vogliamo dire ciò che l'interrogato ha detto. Si scopre, invece, una frase, che vorrebbe essere di stile e che, in sostanza, denuncia una grave violazione di legge. Vi si legge, infatti, che l'interrogatorio e rinviato ad ora o giorno diverso nel quale sarà verbalizzato ciò che, per ora, e stato oggetto di appunti da parte del magistrato.

Questo modo di procedere costituisce una plateale violazione di legge, là dove essa pone come caratteristica del processo verbale (specialmente di quello istruttorio) la spontaneità, la fedeltà, l'immediatezza.

E' un principio elementare che si deduce in modo incontrovertibile dagli articoli 157 e 302 c.p.p.

E' la legge (troppo spesso inascoltata) ad imporre che risulti dal verbale la spontaneità o meno di »ogni dichiarazione ; ed anzi, deve essere »fatta menzione se la dichiarazione »è stata dettata dal dichiarante (art 157 cpv 1· c.p.p.); manifesta applicazione della regola della spontaneità.

D'altronde, »quando la continuazione delle operazioni è rimessa ad altro giorno , »il processo verbale, previa lettura, è sottoscritto in fine di ogni foglio dalle persone intervenute (art. 157 cpv 2· c.p.p.); manifesta applicazione del principio della immediatezza. Regole queste, confermate - anzi rafforzate - da quanto disposto per l'istruttoria, tanto che si deve fare »menzione della facoltà che il giudice abbia conceduto all'interrogato »di servirsi di note scritte (art 302 c.p.p.).

A questo punto ci pare proprio difficile potere sostenere che il sistema consente a chi interroga di prendere appunti e poi stendere il verbale (come dire?) a suo comodo. Del resto, è giunta l'ora di parlare chiaro: quale scopo ha prendere appunti e tradurli, poi, nel verbale? Il dilemma veramente stringe: o gli appunti vengono testualmente ricopiati ed allora rappresenterebbero una inutile perdita di tempo e, quindi, non avrebbero senso (almeno dal punto di vista logico); oppure si rielaborano ed allora - fatalmente ed obiettivamente - si contravviene al principio, se non altro, della spontaneità. Del resto, l'esistenza di una rielaborazione appare ben chiara, quando ci si trova di fronte ad interrogatori stesi a capitoli (come si trattasse di un romanzo) invece che di un interrogatorio e, quindi, ordinati in modo necessariamente diverso da quello espresso oralmente.

Non a caso un magistrato di superiore onestà che naturalmente in piena buona fede - ha seguito questo eterodosso sistema ha gettato un interessante squarcio di luce su questo modo di stendere i verbali.

La rielaborazione avvenne non alla presenza dell'imputato. Sono disposto a presumere (naturalmente si tratta di una presunzione "juris tantum") che nulla sia stato cambiato della sostanza di quanto detto dall'imputato, ma non si può negare che, in questo modo, si toglie al giudice la possibilità di valutare l'iter attraverso il quale l'interrogato è giunto a certe dichiarazioni; e ciò al fine di soppesare la sua attendibilità.

Né è possibile dimenticare che se il processo verbale »fa fede fino a impugnazione di falso di quanto il pubblico ufficiale attesta di avere fatto o essere avvenuto in sua presenza (art. 158 c.p.p.) ciò non può essere disinvoltamente e malamente usato come usbergo per inibire la doverosa ricerca di come si sia svolto l'interrogatorio. Infatti, nessuno dice che è stato compiuto un falso: si afferma piuttosto che proprio quello che risulta dal verbale (assunzione di appunti, tradotti nel verbale, in seguito) è contro legge. Ne consegue che anche se ci si fosse limitati successivamente a ricopiare gli appunti (il che, però, è assurdo) non per questo la violazione di legge sarebbe meno patente.

D'altronde, il singolare valore probatorio del processo verbale »non pregiudica la libera valutazione da parte del giudice dei fatti attestati o delle dichiarazioni ricevute nel verbale medesimo (art. 158 c.p.p.). Ma per condurre questa indagine il giudice ha bisogno di conoscere ciò che l'interrogato ha detto spontaneamente ed immediatamente ed anche il modo di esprimersi ha il suo valore. Né e lecito togliere al giudice la possibilità di condurre questa indagine. Affermare che il sistema non prevede, per il caso indicato, la nullità (art. 161 c.p.p.) non risolve il problema, sol che si pensi che la nullità colpisce un atto giuridicamente esistente. Quando l'atto, per una qualsiasi ragione, e carente di portata giuridica, abbiamo, non la nullità, ma l'inesistenza. E ciò che non è non può essere né valido né nullo. Quindi, nel caso nostro, la prima domanda da porsi è se possa considerarsi esistente un processo verbale di interrogatorio quando - per la violazione di regole essenziali - esso non appare capace

di raggiungere gli scopi voluti dalla legge. Proprio la particolare tutela data al processo verbale, da un lato, e la libertà giustamente data al giudice nella valutazione, dall'altro, impongono che la raccolta delle dichiarazioni risponda ai criteri sopra ricordati.

Non essendo ciò avvenuto, ne segue l'inesistenza giuridica dei processi verbali; altrimenti (si prenda almeno coscienza di ciò) si muta pericolosamente il sistema e si sostituisce al puntuale rispetto della legge, l'arbitrio, non solo del giudice, ma addirittura del P.m.; il che è insopportabile.

Ciò e chiaramente dimostrato da questo episodio: un pentito di lusso, Sacco Lanzoni, aveva portato i suoi strali di pentito sicuro ed impegnato, anche nei confronti di un certo Giorgio Giudici soprannominato »il camionista , che, invece, risulto non entrarci un bel nulla. Il difensore vuol sapere come e scappato fuori il nome di Giudici e Sacco Lanzoni lo spiega: »durante la verbalizzazione con il dott. Spataro ho fatto presente questa mia conoscenza. Il dott. Spataro mi ha detto che si trattava di Giorgio Giudici . E' il P.m., dunque, che dice il nome a chi svolge la sua chiamata in correità. Ed allora - conosciuto il nome dell'interrogante - si verbalizza come se il nome fosse stato fatto dal Sacco Lanzoni, in doveroso ossequio al principio della spontaneità, della fedeltà, della immediatezza. Successivamente - per l'esattezza - e stato l'ufficio stesso a chiarire l'equivoco, in base alla data di arresto del Giudici; meglio così! Almeno questa volta un errore giudiziario è stato evitato.

B. Modificazione del mezzo istruttorio

Citiamo un episodio strabiliante, augurandoci che sia il solo. Un noto imputato-pentito, Sergio Martinelli, viene interrogato dal G.i. presso il Tribunale di Bergamo, il 13.6.1980. A quasi un anno di distanza (esattamente il giorno 11.6.1981) il Martinelli fa una richiesta (in base agli elementi in nostro possesso non e ben chiaro se al G.i. o al P.m.) con la quale chiede che una certa frase, riferentesi ad una certa persona, sia »stralciata dal suo interrogatorio. Ci saremmo attesi una pronta e decisa reiezione di una richiesta così stupefacente; invece no. Si prende sul serio e si giunge alla conclusione (incredibile ma vero!) che »il giudice istruttore, vista l'istanza di Martinelli Sergio in data 11.6.1981 e la richiesta del P.m.; considerato che nel verbale di interrogatorio reso dal Martinelli al giudice istruttore in data 13.6.1980 nel carcere di Sondrio è contenuta una frase che fa riferimento a persona estranea al processo e che detta persona ha motivo di temere per la propria incolumità fisica (s

i noti che la richiesta non parte da questa persona); »considerato che detta frase può essere stralciata dal verbale senza pregiudizio per gli interessi sia della difesa che dell'accusa e che comunque può non essere utilizzata nel processo (il giudice istruttore in questo modo si fa interprete degli interessi delle parti ed esprime valutazioni che non gli spettano e che, d'altronde, giungono alla modesta conclusione che la parte stralciata »può non essere utilizzata nel processo e non che è inutilizzabile); »dispone che negli atti del procedimento penale n. 177/80/A il verbale di interrogatorio di Martinelli Sergio venga sostituito da copia autentica nella quale, a cura di questo ufficio, in corrispondenza della parola omissis verrà eliminata la frase di cui sopra (frase che non si sa quale sia); »dispone che l'originale del suddetto verbale venga inserito in separato fascicolo processuale assieme all'istanza del Martinelli, al parere del P.m. ed al presente procedimento. Bergamo 18.6.1981 .

In verità c'è da sbalordire. A parte la non lieve confusione nel modo di esprimersi (la parola »omissis non esisteva naturalmente nell'originale del verbale e vi si è posta in luogo della frase stralciata, per cui non può dirsi - come si dice nell'ordinanza - »in corrispondenza della parola omissis, verrà eliminata la frase di cui sopra ), e ben chiaro come l'alterazione del verbale di interrogatorio costituisca un emblematico caso di falso per soppressione, dalle conseguenze processuali incalcolabili. Non si dica che il verbale di interrogatorio originale può essere sempre richiesto e quindi tornare a far parte della realtà processuale. Infatti una richiesta del genere potrebbe essere avanzata solo da chi vi avesse interesse e nessuno può averne finché non si conosca ciò che vi è scritto.

C. Ricognizione di persone e confronti

E' obbligo del giudice di »investigare su tutti i fatti e su tutte le circostanze che l'imputato ha esposto nell'interrogatorio in quanto possono condurre all'accertamento della verità (art. 368 c.p.p.).

A questo categorico dovere gli inquirenti assai spesso non ottemperano, giungendo talvolta a tentativi di motivazione capaci solo di dimostrare un animo persecutorio.

In un recente processo di fronte alla richiesta di »ricognizioni di persone o confronti da più parti ed in più occasioni richiesti , la reiezione ha trovato una assurda motivazione. Per quanto concerne le ricognizioni, si è detto che »con il trascorrere del tempo il »mezzo di prova diviene »sempre meno idoneo a fornire un valido contributo probatorio . Non si disconosce il valore dell'argomento, che tuttavia avrebbe dovuto condurre a procedere con tutta celerità perché, se il tempo incide, non è proprio il caso di aspettare il dibattimento. Si pensi che da una ricognizione di persona può scaturire la prova dell'innocenza e l'attesa può essere fatale. Ebbene, proprio per questo il giudice avrebbe dovuto procedere con tutta sollecitudine e non porre in mezzo ancora altro tempo, rendendo così la prova dell'innocenza più difficoltosa, se non impossibile.

Per quanto concerne i confronti così si motiva: »si ritiene che l'eventuale espletamento di tale mezzo di prova appartenga più propriamente alla fase dibattimentale che ha un suo spazio e contenuto istruttorio insopprimibili se non si voglia attribuire al collegio una funzione meramente notarile . Ignora l'estensore della ordinanza l'autentica funzione del dibattimento in cui - seguendo finalmente il sistema accusatorio - si apre la via al contraddittorio che - e intuitivo - non può mai assumere »una funzione meramente notarile . Ma soprattutto l'estensore dell'ordinanza ignora quali siano i suoi doveri. A parte la difficoltà, se non la impossibilità, che possano sopraggiungere per l'espletamento del mezzo, il sistema statuisce (art. 368 c.p.p.) che l'istruttore - raccolto l'interrogatorio - deve condurre l'indagine per stabilire quali fatti e quali circostanze fra quelli dedotti dall'imputato rispondano a verità, onde stabilire l'influenza che possono esercitare sulla posizione processuale dell'imputato ste

sso.

Siamo, dunque, di fronte ad episodi che dimostrano, se non la volontà di ribellione alla legge, certamente una preoccupante ignoranza delle linee fondamentali del sistema.

Un'altra grave violazione di legge consiste nella ricognizione di persona effettuata su fotografia; il che ormai aliene usualmente. E su riconoscimenti (si fa per dire!) di questo genere si procede anche - ed invero con preoccupante spigliatezza - a spiccare procedimenti di cattura e - addirittura - giudizi fatalmente sommari.

In un recente processo, una parte offesa cui si erano mostrate centinaia di fotografie colse una forte rassomiglianza tra una di queste e la persona che aveva commesso un certo reato ai suoi danni. Bastò questo perché nel verbale istruttorio il dubbio si tramutasse in certezza. E ci volle l'onestà ed anche il coraggio della parte offesa (oltreché l'obiettività di chi condusse l'udienza) perché gli fosse consentito di dire che mai egli aveva detto »di essere sicuro e che - avendo ora davanti l'imputato - escludeva in modo categorico che potesse essere lui. Se la parte offesa - come avviene di solito, anche per il modo in cui in genere vengono dirette le udienze - si fosse limitata ad una frettolosa conferma del verbale, oggi le nostre ricolme carceri ospiterebbero un innocente in più.

III. Valutazione delle anomalie rilevate

Valutiamo, da un punto di vista strettamente giuridico, i fatti e gli episodi posti in rilievo per stabilire se e - in caso positivo - entro quali limiti contrastino con una corretta interpretazione della legge, senza dimenticare che - come sottolinea Cordero (1) -: »la legge del processo penale ed il modo di applicarla sono il fenomeno probabilmente più importante di convivenza organizzata; non c'è indizio migliore per misurare il grado di civiltà di un popolo .

La raccolta dell'interrogatorio o della deposizione da parte di più magistrati, alcuni dei quali non incaricati delle istruttorie in oggetto, viola, intanto, la regola del segreto istruttorio. Sappiamo bene che esso assai spesso finisce per essere un pericoloso strumento per la giustizia, foriero di errori di non lieve gravità, anche (e non soltanto) per le difficoltà in cui caccia la difesa, costretta a ricostruire a distanza di tempo situazioni cui non vi era ragione per dare importanza. Tuttavia, finché il segreto istruttorio c'è, ed è regolato in un certo modo, deve valere nei confronti di tutti e quindi anche nei confronti dei magistrati che non siano addetti a quella specifica istruttoria. Essi, infatti, sono persone estranee al processo e come tali debbono essere considerati. La normativa, a questo proposito, è precisa e categorica (art. 307 c.p.p.) per cui è a mero titolo esemplificativo che citiamo il Manzini (2). Del resto l'importanza che il sistema dà al segreto istruttorio è tale che si è inteso

dargli tutela penale (art. 326 c.p.). Né - per giustificare così patenti violazioni di legge - si potrebbe invocare l'art. 165 bis c.p.p. Infatti, anche a non volerlo interpretare con la pur dovuta prudenza (come imporrebbe il contrasto in cui esso si trova con il sistema) l'indicata norma consente al »giudice istruttore , al »pretore e al »pubblico ministero di »ottenere dalla competente autorità giudiziaria, anche in deroga al divieto stabilito dall'art. 307, copie di atti relativi ad altri procedimenti penali e informazioni sul loro contenuto . Facile è osservare che l'acquisizione può aversi solo dopo che l'atto esista; quindi nessuna partecipazione da parte di magistrati non incaricati del processo è consentita nella fase di formazione dell'atto. Inoltre non a caso la norma ricordata usa il verbo ottenere che significa riuscire ad avere qualcosa, dopo che se ne sia riconosciuto il diritto. La disposizione, quindi, non consente ad un qualsiasi giudice istruttore o pretore o pubblico ministero di poter

e soddisfare la sua più o meno legittima curiosità. E' il magistrato, cui la domanda è rivolta, a valutare se sia o meno il caso di accoglierla ed in quali limiti. In ogni modo, nel momento in cui si raccolgono le dichiarazioni, non se ne conosce il contenuto e, quindi, in quel momento non e possibile alcuna valutazione e di conseguenza non è consentita la partecipazione di magistrati non coinvolti in quel processo.

Ma c'è un altro aspetto che non può trascurarsi.

Il nostro sistema - pur rifacendosi ad un regime autoritario, quale indubbiamente era quello fascista - riconosce nella persona quella »dignità intrinseca per cui - per dirla ancora con il Cordero (3) - non può e non deve essere trattata come mezzo; deve piuttosto essere rispettata la inviolabilità della psiche della persona, a costo di costituire un limite invalicabile anche per la stessa ricerca della verità. E' questo il prezzo - indubbiamente alto - che la civiltà deve pagare alla barbarie. Non è un caso, infatti, che proprio al fine di allontanare ogni sospetto di pressione, l'imputato che sia in stato di arresto deve, di regola, essere presentato al giudice »libero nella persona (art. 365 cpv c.p.p.); inoltre »prima che abbia inizio l'interrogatorio (e non solo prima di iniziare la stesura del verbale che segue) »l'autorità giudiziaria o l'ufficiale di polizia giudiziaria , »in qualsiasi fase del procedimento deve avvertire l'imputato, dandone atto nel verbale, che egli ha la facoltà di non risponde

re , salvo l'obbligo di dare le proprie esatte generalità (art 78 u. cpv c.p.p., in relazione all'art. 366 c.p.p.). L'imputato può, altresì, non dire il vero nel merito, con il solo limite di non accusare chi sa innocente (calunnia: art. 368 c.p.), fosse anche lui stesso (autocalunnia: art. 369 c.p.). Né è privo di significato l'obbligo dell'interrogante di far conoscere all'imputato »in forma chiara e precisa , »il fatto che gli è attribuito e »gli elementi di prova esistenti contro di lui , oltre a comunicargli »le fonti , »se non può derivarne pregiudizio all'istruttoria (art. 367 comma 1· c.p.p.) rimanendo il magistrato inquirente obbligato (»deve , dice l'art. 368 c.p.p., purtroppo spesso negletto) ad »investigare su tutti i fatti e le circostanze che l'imputato ha esposto in quanto possono condurre all'accertamento della verità . D'altronde vale anche per l'interrogatorio il divieto di porre domande tendenziose e suggestive. La regola è posta dal sistema per i testimoni ma non può non valere pure per

l'imputato, trattandosi di un principio morale di lealtà processuale. A questo proposito, la relazione sul progetto preliminare del codice di procedura penale (pag. 67) afferma che »il divieto delle domande suggestive ai testimoni non ha certo bisogno di spiegazioni; è una condizione indispensabile per l'accertamento della verità . E proprio per gli imputati il divieto sorge in forma implicita ma eloquente là dove si impone al giudice di effettuare la contestazione »in forma chiara e precisa (art. 367 comma 1· c.p.p.) (4).

A questo proposito il Leone (5) scrive parole memorabili: »Il giudice non può tendere agguati od avvalersi di espedienti che superino la soglia della probità (ad esempio ingannare l'imputato sulla inesistente confessione di un computato ovvero sulla deposizione pregiudizievole di un congiunto), o peggio ancora ricorrere a minacce (minacciare il mandato di cattura se non confessa) o a promessa di premio (promettere la libertà provvisoria, se confessa). Sono questi strumenti di ricerca che non solo offendono la dignità del magistrato, ma non garantiscono - anzi devono farne diffidare - la genuinità dell'ammissione .

Un'altra violazione, purtroppo costate, della legge (art. 302 comma I c.p.p.) si ha nella omissione in verbale della domanda posta dal magistrato, quando si tratti di atti istruttori. A questo proposito il Manzini (6) reputa »riprovevole il sistema usuale di limitarsi a scrivere: ``A.D.R.'' . La spiegazione logica di questo rigore ci è offerta dal Musatti (7): »appunto perché è spesso inevitabile - scrive l'illustre autore - che i fattori suggestivi agiscano nelle situazioni di interrogatorio, gli psicologi in generale insistono sulla necessità che i verbali degli interrogatori giudiziari contengano non soltanto le risposte ottenute, ma anche il testo delle domande fatte, per modo che sia possibile una valutazione di quelle risposte la quale tenga conto degli eventuali fattori suggestivi .

Vale, quindi, quella che Manzini (8) chiama la »regola generale secondo la quale il verbale deve essere »completo in modo da rappresentare il più integralmente possibile il contenuto delle deposizioni e da fare risultare quale parte di ogni deposizione sia dotta a racconti spontanei e quale costituisca una risposta a domanda, indicando pure come questa domanda sia stata formulata. Soltanto così e possibile una illuminata valutazione della prova specialmente da parte di quel magistrato che non ha avuto la percezione diretta della deposizione, come il giudice del dibattimento rispetto alle deposizioni istruttorie e il giudice di appello .

Questo civile complesso di norme che si richiama così espressamente al rispetto per la libertà psichica della persona, anche se imputata, non appare osservato quando gli interrogatori vengono protratti per un tempo eccessivamente lungo ed anche di notte oppure si prospetta la libertà a seconda dell'esito dell'interrogatorio, oppure si compiono pseudo ricognizioni di persona su fotografie, in patente violazione di categoriche norme legislative (artt. 360 e ss. c.p.p.).

IV. Illegittime Pressioni del P.m. sul giudice

E' una materia in cui (come ognuno immagina) è ben difficile raggiungere la prova circa pressioni esercitate sul giudice. Ma - almeno per un caso - abbiamo la prova di un fatto di tanta gravità. Nel procedimento penale contro Verga Ivano (Rg 28-84 - 149/84 Tribunale della libertà) abbiamo - mercé l'opera di un difensore valoroso e diligente, l'avv. Giuseppe Pelazza - una documentazione eclatante. Per garantire il giudice naturale, si è disposta - molto opportunamente - una tabella di composizione dei collegi del cosiddetto Tribunale della libertà. Ad una certa udienza, in cui si discuteva il ricorso dell'imputato Ivano Verga, detto organo collegiale fu composto in modo diverso da quello disposto. Diligentemente, lo stesso tribunale ha voluto che dal processo risultasse la sconcertante ragione del cambiamento. La dott. Anna Conforti chiese di potersi astenere dal far parte di quel collegio, che avrebbe dovuto presiedere. Per quale ragione mai? E' scritto in una chiara lettera della stessa dott. Conforti »al s

ignor presidente del tribunale - sede (cfr. lettera allegata). Questo giudice non se la sente di partecipare ad un collegio in cui si deve decidere della »impugnazione proposta da Verga Ivano, imputato di partecipazione a banda armata avverso l'ordinanza di rigetto della libertà provvisoria pronunciata dal G.i. ; ciò per »l'identità della natura delle imputazioni e della persona del P.m. requirente (dott. Spataro) »rispetto ad un »caso precedente . Si tratta del »caso concernente l'imputato Veronese Giovanbattista per il quale il Tribunale della libertà (orribile a dirsi!) non seguì il parere del P.m. Cosa mai avvenne? Ce lo dice la dott. Conforti nella citata lettera: »ancorché, infatti, il procedimento contestato fosse collegiale, sono stata fatta segno delle aspre critiche del P.m. requirente; dapprima attraverso una violenta aggressione verbale telefonica, quindi, attraverso una richiesta di intervento da parte del presidente del Tribunale . E' così che si tutelano la libertà e l'indipendenza del giu

dice? Cosa mai sarebbe successo se un comportamento del genere fosse stato tenuto da un avvocato? Insomma, questa giustizia è o non è uguale per tutti? Ma proseguiamo, giacché l'episodio è estremamente interessante. E' dalla stessa lettera che apprendiamo come il presidente del tribunale abbia convocato presso di sé la dott. Conforti, alla presenza del presidente della sezione. Fortunatamente, questa volta, per quanto ci informa la citata lettera, il colloquio ebbe »toni estremamente pacati , anche se non riusciamo a comprendere per quale ragione mai si siano potute chiedere spiegazioni in relazione ad una decisione, per di più collegiale. A stretto rigore, la dott. Conforti avrebbe dovuto rispondere: il Collegio ha deciso così; la mia opinione non gliela posso dire, stante il segreto che tutela la Camera di consiglio. Si pensi che il sottoscritto (che ebbe l'onore di presentare al Senato un disegno di legge sulla responsabilità civile del magistrato) scrisse a tutte lettere, che il momento decisionale non p

oteva costituire oggetto, non diciamo di procedimento disciplinare, ma neppure di indagine. Ora (ed è sconsolante) ci troviamo di fronte ad un episodio in cui si chiama, quanto meno a dare spiegazioni di un certo procedimento il presidente del Collegio. Non sappiamo (anche se sarebbe estremamente interessante) la conclusione del colloquio. Sappiamo, però, che la intimidazione del P.m. è valsa fino a tal punto che si riuscì a porre la dott. Conforti in uno stato di grave disagio, tanto da esprimere la sua »volontà di astensione dal decidere in caso analogo . Purtroppo il presidente accolse l'istanza ritenendo opportuna l'astensione. Avremmo preferito che il presidente avesse invitato il giudice a continuare a compiere il suo dovere, garantendogli la dovuta tutela di fronte a qualsiasi tentativo di prevaricazione, da qualsiasi parte venisse. Si è scelta invece, la via della resa. Così il P.m. è riuscito ad escludere dal Collegio chi era contrario alla sua tesi. Come è possibile immaginare che il giudice, andat

o a sostituire la dott. Conforti, si sia sentito libero di agire secondo coscienza ed intelligenza? Osservazione interessante: il grave fatto è stato portato a conoscenza sia delle autorità che hanno l'iniziativa disciplinare nei confronti dei magistrati sia del Consiglio superiore della magistratura sia di chi ha il dovere di vigilanza sull'attività dei sostituti procuratori della Repubblica, ma a tutt'oggi non si è avuta alcuna reazione.

Esempio ben triste ma eloquente del modo come viene amministrata la giustizia nel nostro Paese.

V. Modo di conduzione del dibattimento

In molti processi (specialmente in quelli politici) il dibattimento è condotto in spregio alla normativa posta dal sistema.

Porto alcuni esempi.

Nel processo cosiddetto Colp (comunisti organizzati per la liberazione proletaria) a Sacco Lanzoni - pilastro dell'accusa - è chiesto se ricorda il nome di battaglia di una certa persona. L'imputato risponde negativamente: »no, nessun nome di battaglia . Interviene, allora, il presidente per domandargli se il nome di battaglia di questa persona fosse Quinto o Fabio. Sacco Lanzoni risponder »Quinto Fabio veramente era il Cornaglia . Interviene allora il P.m. e domanda: »ricorda se si chiamava Carlo ? A questo punto l'imputato risponder »sì mi sembra di sì .

Pochi istanti prima - come abbiamo sottolineato - aveva detto che non ricordava nessun nome di battaglia di questa persona.

All'imputato Graziano Bianchi, il P.m. ricorda quanto egli ebbe a dire in istruttoria e, fra l'altro, »che per un certo periodo »fece parte »della cosiddetta commissione informatica dei Colp anche un ragazza »Lea Stanizzo ; »essa usava il nome di battaglia Simona . Dopo questa premessa, il P.m. domanda: »era chiamata Simona all'interno del gruppo? C'è qualcuno che si meraviglia se la risposta è: »sì, mi sembra di sì . E all'imputato Oggiano - dopo aver chiesto »di porre la massima attenzione ai suoi ricordi - il P.m. domanda se conferma che »all'attentato non realizzato in danno dell'autoparco della Lancia vi erano: lui, Bianchi, Rotaris, la Mascheroni, il Fabiano ed Anselmi . E dopo avere insistito, dicendo: »questo è il suo ricordo preciso , chiede: »è questo il suo ricordo ? La risposta è: »sì, in questi termini . E così si continua, con domande che costituiscono una ferma indicazione, specialmente per i cosiddetti pentiti. E se, ad un certo punto, l'imputato esprime un'incertezza (»non ricordo se c

'era anche la Mascheroni ) il P.m. - che sostanzialmente dirige l'udienza - interviene deciso: »il dubbio è di adesso, cioè lei conferma quello che ha detto in istruttoria. Ed immediatamente gli legge l'interrogatorio istruttorio; dopo di che dice: »cioè, in sostanza, lei conferma l'interrogatorio ? La sconsolata risposta è: »sì, sì .

E di questo eloquente modo di condurre l'udienza non occorre proprio dire altro.

Non si può dimenticare, tuttavia, la costante ed assillante ripetizione di domande nei confronti di chi ha già risposto. L'esperimento riguarda, soprattutto, la domanda relativa ai nomi dei correi, rivolta a chi ha già detto di non volere fare i nomi. Ci sono imputati cui i nomi vengono richiesti molte volte, piazzando la ripetuta domanda in diversi punti dell'interrogatorio.

Ciò incide fortemente sul diritto dell'imputato a non rispondere o a rispondere come crede, sempre che non cada nella calunnia. La ripetizione della domanda, infatti, non può non avere che un solo scopo: far affermare all'imputato ciò che egli non intende dire.

Il che - essendo contro legge - è scorretto.

Ed ora un esempio di domanda fortemente emotiva.

»Voglio sapere - chiede il P.m. all'imputato Giorgio Ferrante, »se allora cioè al momento del terribile scontro avvenuto in quel di Siena ed in cui, purtroppo, persero la vita due carabinieri, »o adesso lei ha mai immaginato (sic) »ai carabinieri uccisi come animali . Chiedo se non era elementare dovere del difensore, opporsi ad una domanda, oltreché priva di chiarezza, ricolma di emotività e suggestività, anche se non vi fosse (come, invero vi è) un divieto legislativo (art. 349 c. 1· c.p.p.). Tanto più che, in conseguenza di una disposizione categorica (art. 348 c. 1 c.p.p.) completamente ignorata nel processo di cui si tratta, gli interrogati devono essere sentiti »sui fatti (dicasi: fatti) »per cui si procede »utili all'accertamento della verità . Legittima, quindi, l'opposizione difensiva.

Né sembra valere l'osservazione, scarsamente pertinente, del presidente che obietta: »noi dobbiamo cercare e tentare di conoscere e approfondire la conoscenza di questi imputati o no? . Al che non potei non risponderei »fino a un certo punto. Non certo al punto da poter decidere delle loro convinzioni, perché qui si comincia a discutere ed a decidere delle idee delle persone, tant'è vero che nella contestazione si contesta l'ideazione, il che non si faceva neppure nel regime fascista, per la verità e l'obiettività .

A tutti i poeti (ed io non sono un poeta) manca un verso. Ed a me - lo riconosco - mancò un verso essenziale che avrei dovuto ricordare (e penso che sarebbe stato decisivo) come il processo alle idee sia stato tipicamente quello stalinista.

Non lo ricordai; me ne rammarico perché il presidente respinse l'eccezione e formulò la domanda. Ma tutto ciò non è nuovo.

Infatti, in altro processo (P.L.-CoCoRi) il P.m., giunse (sia pure inutilmente) ad un tasso di pressione tale da costituire un autentico pericolo per la verità. Infatti - dopo che l'imputato Merendino aveva rilasciato le sue dichiarazioni - il P.m. interviene, sottolineando che quanto detto dall'imputato sarebbe stato »enormemente riduttivo rispetto a quello detto in istruttoria. Pertanto il P.m. sottolinea che l'imputato »o ha mentito in istruttoria o oggi in dibattimento (quasi che l'imputato fosse tenuto a dire la verità). Il P.m., quindi ricorda all'imputato che »qui è in ballo il suo destino processuale (applicazione della legislazione premiale per i delatori) e conclude dicendo: »chiedo spiegazioni precise perché da queste, il P.m. e la Corte trarrà le debite conseguenze . L'uso del singolare nel verbo dimostra come il P.m. si senta tutt'uno con la Corte. Ed inutilmente, l'imputato ricorda che nell'istruttoria - interrogato dal G.i. - aveva detto esattamente quello riferito in udienza, essendoci div

ario solo con quanto detto nel primo interrogatorio per una »sovrapposizione di ricordi, di discorsi, di fatti per »un accavallarsi di molte cose .

Merendino, quindi, non si piegò di fronte all'intimidazione, ma mal gliene incolse. Il P.m., infatti, per lui chiese 22 anni e 7 mesi e la Corte lo condannò a 21.

VI. Conclusione

Ritengo di aver dato una prova - sia pure molto parziale - del modo come attualmente viene amministrata la giustizia in Italia. Si pensi che i richiami al sistema riguardano, in genere, i codici e la legislazione fascista. Facile da ciò trarre a quale punto di crisi sia giunta la giustizia sostanziale e formale.

Purtroppo la legge non costituisce più un baluardo insuperabile per i diritti della persona. Ormai siamo alla mercé dei magistrati, spesso insufficientemente preparati, talora addirittura prevenuti e inguaribilmente ammalati di protagonismo. E' giunto il momento che i competenti organismi internazionali facciano sentire la loro voce autorevole ed obiettiva.

Note

(1) CORDERO, Procedura penale, Milano, 1981, 10.

(2) MANZINI, Trattato di diritto processuale penale italiano, Torino, 1972, IV, 201.

(3) CORDERO, op. cit., pagg. 17-18.

(4) CAMPO, Interrogatorio dell'imputato in Enc. del Diritto XXII, 342 e ss.

(5) LEONE, Trattato di Diritto processuale penale, Napoli, 1961, II, 254.

(6) MANZINI, op. cit. 1970, III, 395.

(7) MUSATTI, Elementi di psicologia della testimonianza, Padova, 1931, 1972.

(8) MANZINI, op. cit.

Allegato

TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI MILANO

Milano, 28 marzo 1984

Alla Procura della Repubblica - sede - alla cortese attenzione del P.M. dott. Spataro.

Come disposto dal Presidente di questo Tribunale, dott.ssa A. Conforti, si invia l'allegato fascicolo per il suo parere sull'impugnata ordinanza del G.i. di Milano.

TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI MILANO

Milano, 19.4.1984

Al Sig. Presidente del Tribunale - Sede -

Signor Presidente

la reazione manifestata dalla procura della Repubblica - aldilà e al di fuori dei legittimi strumenti processuali di impugnazione - riguardo alla deliberazione adottata, da un Collegio da me presieduto, in sede di riesame del mandato di cattura per partecipazione a banda armata, emesso dal G.i. nei confronti dell'imputato Veronese Giovan Battista, mi pone in uno stato di grave disagio.

Ancorché, infatti, il provvedimento contestato fosse collegiale, sono stata fatta segno personalmente delle aspre critiche del P.m. requirente; dapprima attraverso una violenta aggressione verbale, telefonica, quindi attraverso una richiesta di intervento da parte Sua, cui è seguito il colloquio - dai toni estremamente pacati - avuto con Lei il 17 aprile n.s. alla presenza del presidente della Sezione, dott. Chiavolla.

Poiché - in base alle tabelle di composizione dei Collegi del c.d. Tribunale della Libertà da Lei predisposte - dovrei partecipare, in veste di presidente del Collegio, alla decisione sull'impugnazione proposta da Verga Ivano - imputato di partecipazione a banda armata, avverso l'ordinanza di rigetto della libertà provvisoria pronunciata dal G.i. e poiché l'identità della natura delle imputazioni e della persona del P.m. requirente rispetto al caso precedente potrebbero riproporne la sgradevole situazione già determinatasi, mi sento privata della serietà necessaria per giudicare.

Ritengo, pertanto, doveroso esternarle, ai sensi dell'art. 63 c.p.p., la mia volontà di astensione dal decidere.

Con osservanza

Anna Conforti

APPENDICE

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