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Cesaroni Vittorio - 23 ottobre 1984
IL CASO ITALIA: (47) Le condanne dello Stato supremo italiano dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo su ricorsi del cittadino
a cura dell'avv. Vittorio Cesaroni - LO STATO DELLA GIUSTIZIA IN EUROPA - I· CONVEGNO

STRASBURGO, 23.24 OTTOBRE 1984 - PARLAMENTO EUROPEO

SOMMARIO: Gli atti del convegno su lo stato della giustizia in Europa "Il caso Italia".

Con questa prima iniziativa, parlamentari di tutte le correnti politiche comunitarie intendono verificare lo stato della giustizia in Europa.

Deroghe nei confronti di alcune garanzie democraticamente poste a tutela dei diritti della persona, sanciti dai trattati comunitari e dalle costituzioni nazionali, si registrano in diversi paesi della comunità europea. Molto spesso queste violazioni delle fondamentali libertà civili sono state giustificate dall'insorgere di forme violente di contestazione politica, dall'esplosione di fenomeni terroristici o dal rafforzamento delle organizzazioni criminali.

Avviare il processo di ristabilimento democratico della legalità compromessa, rappresenta l'impegno dei promotori di queste iniziative.

Il primo caso che viene esaminato è quello italiano. In due giorni di discussione a Strasburgo il 23 e 24 ottobre.

("IL CASO ITALIA", Lo stato della giustizia in Europa - I· Convegno - Strasburgo, 23-24 Ottobre 1984 - Parlamento Europeo - A cura del Comitato per una Giustizia Giusta - Cedam Casa Editrice Dott. Antonio Milani, Padova 1985)

LE CONDANNE DELLO STATO SUPREMO ITALIANO DINANZI ALLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO DI STRASBURGO SU RICORSI DEL CITTADINO

La Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come è noto, è stata firmata proprio in Italia a Roma il 4 novembre 1950 ed è entrata in vigore il 3 settembre 1953.

Due anni dopo è stata finalmente ratificata nel nostro ordinamento con legge 4 agosto 1955 n. 848, tuttora vigente.

Ma l'approvazione da parte del nostro Paese della clausola facoltativa, prevista dall'art. 25 par. 1 della Convenzione - circa la possibilità di ricorso individuale (e non solo interstatale) da parte di chi lamenti una violazione dei diritti dell'uomo riconosciuti dalla Convenzione stessa - risale soltanto al 1973. Essa ha validità temporanea, ma finora è stata sempre puntualmente rinnovata dal governo italiano.

Nonostante proprio lo scorso anno, dunque, si sia celebrato in una solenne cerimonia a Roma in Campidoglio il XXX anniversario dell'entrata in vigore della Convenzione europea, è solo da poco più di un decennio che il cittadino italiano può adire direttamente gli organi giurisdizionali di Strasburgo per la tutela dei fondamentali »diritti dell'uomo .

Per di più, la scarsa conoscenza delle facoltà accordate e dell'esistenza stessa della Convenzione, da parte degli operatori del diritto italiani - oltre alla non profonda attitudine e sensibilità a tematiche sovranazionali - fa sì che l'Italia sia tra gli Stati che si distinguono per il minor numero di ricorsi individuali presentati.

Né ciò può ragionevolmente indurre a ritenere che l'ordinamento italiano, e soprattutto il suo sistema di giustizia, sia indenne dal violare i fondamentali principi riconosciuti nella Convenzione e nei suoi protocolli aggiuntivi.

Al riguardo, è sufficiente rilevare che nei pur pochissimi casi giunti dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, l'Italia è risultata sempre condannata per violazione dei precetti della Convenzione, spesso con conseguente condanna altresì al risarcimento equitativo previsto dall'art. 50 Conv. a favore del ricorrente.

Le violazioni, oltretutto, riguardano incongruità e disfunzioni del nostro sistema di garanzie giurisdizionali di non poco rilievo, in alcuni casi da ritenersi addirittura essenziali per poter ancora parlare di effettiva »giustizia coerentemente con l'ordinamento democratico.

Le condanne finora subite dallo Stato italiano, infatti, concernono principalmente casi di violazione del diritto alla libertà personale del cittadino (art. 5 par. 1 Conv.), del diritto ad un giusto processo entro un lasso di tempo ragionevole (art. 6 par. 1), nonché del diritto ad una difesa reale nell'ambito del procedimento giurisdizionale (art. 6 par. 3).

La violazione del diritto ad un'effettiva difesa è stata riconosciuta in relazione al »caso Artico e al »caso Goddi .

In merito al primo - che ha portato alla prima sentenza di condanna dello Stato italiano (13 maggio 1980) - la Corte europea ha riconosciuto la violazione dell'art. 6 par. 3 lett. c della Convenzione (diritto all'assistenza giudiziaria gratuita in assenza del difensore di fiducia della parte), poiché gli organi giudicanti, in un procedimento penale a carico del ricorrente, non hanno assicurato l'assistenza giudiziaria gratuita all'imputato, dopo che l'avvocato incaricato in precedenza aveva dichiarato di non potere più annullare il mandato.

Nella recente sentenza 9 aprile 1984 relativa al »caso Goddi si è ravvisata ugualmente una violazione del fondamentale diritto ad un'effettiva difesa per l'imputato, il quale non è stato messo in condizione, durante un procedimento penale, di presentarsi all'udienza e di avere il patrocinio del proprio difensore di fiducia; nonché di essere difeso in maniera adeguata dall'avvocato d'ufficio. In quest'ultimo caso, tra l'altro, il ricorrente per la prima volta dalla istituzione della Convenzione, ha potuto partecipare, su espressa richiesta, alla procedura dinanzi alla Corte, in virtù dell'importante innovazione contenuta nel nuovo regolamento.

In entrambi i casi, quindi, relativi a processi di carattere penale, la Corte ha dovuto constatare da parte dello Stato italiano la violazione dell'elementare diritto ad una difesa in senso reale dell'imputato, per l'ingiustificabile inerzia dimostrata dagli organi giudicanti nel nominare il necessario difensore d'ufficio ovvero nel concedergli (anche senza richiesta) possibilità di svolgere in modo efficiente la difesa del proprio assistito.

Nel »caso Guzzardi , invece, è il fondamentale diritto alla libertà personale del cittadino, riconosciuto nell'articolo 5 par. 1 della Convenzione, ad essere arbitrariamente violato. Il caso prende le mosse dall'assegnazione del ricorrente al soggiorno obbligato nell'isola dell'Asinara sul presupposto che esso costituisca una delle più incivili e degradanti forme di carcerazione, nella quale l'individuo viene di fatto privato di alcuni fondamentali diritti umani. Il Guzzardi, infatti, è costretto a soggiornare non in Comune abitato, bensì in un »pezzo di terra circondato dal mare, ove di fatto non gli è consentito lavorare, né curare i propri affetti e interessi familiari. La Corte europea, con sentenza del 6 novembre 1980, accoglie sostanzialmente le deduzioni del ricorrente, ritenendo che l'assegnazione al soggiorno obbligato in una isola ove l'individuo possa muoversi solo in una zona estremamente esigua, sotto costante sorveglianza e nella quasi totale preclusione di contatti sociali, costituisce senz'a

ltro manifesta violazione dell'art. 5 par. 1 della Convenzione, che garantisce la libertà personale del cittadino.

Quanto al problema, purtroppo intrinseco nel nostro ordinamento di giustizia, della eccessiva durata dei procedimenti giurisdizionali, esso è stato affrontato dalla Corte con riferimento al »caso Foti ed altri ed al »caso Corigliano .

Con le due sentenze coeve del 10 dicembre 1982 la Corte ha ritenuto violata la norma dell'art. 6 par. 1 della Convenzione europea, che sancisce il »diritto ad un'equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole , in casi di procedimenti penali che non giustificavano affatto (in base sia alla non complessità delle cause, sia al comportamento delle parti ricorrenti e delle autorità italiane) lungaggini procedimentali.

Tali decisioni hanno trovato all'epoca vasta eco negli organi di informazione poiché la questione della eccessiva durata dei procedimenti giurisdizionali rappresenta uno dei malesseri »storici del nostro sistema di giustizia, specie con riferimento ai processi penali, laddove si accompagna sovente alla delicata questione della detenzione preventiva dell'imputato, con evidente vanificazione del principio di presunzione di innocenza del cittadino statuito sia nell'art. 6 par. 2 della Convenzione europea, sia nell'art. 27, 2· comma, della nostra Costituzione. La violazione del diritto ad un equo processo entro un termine ragionevole, peraltro, è stata recentemente riconosciuta, nei confronti dello Stato italiano, anche con riferimento alla durata del procedimento giurisdizionale civile (»caso Pretto ed altri ).

Va rilevato che in tutti i casi riportati la Corte europea ha altresì accordato il diritto al risarcimento equitativo di cui all'art. 50 della Convenzione, previsto a favore del ricorrente qualora venga condannato lo Stato (tale misura risarcitoria è stata quantificata dalla Corte da lire un milione fino a cinque milioni di lire).

Queste le principali condanne subite dallo Stato italiano su ricorso individuale negli ultimi undici anni dinanzi alla Corte europea di Strasburgo, ma la Convenzione europea dei diritti dell'uomo è sempre più spesso invocata, in quanto legge dell'ordinamento nazionale in virtù della ratifica del 1955, dagli operatori del diritto, giudici ed avvocati, per censurare violazioni dei principi fondamentali anche nell'ambito stesso dei procedimenti giurisdizionali interni.

a cura dell'avv. VITTORIO CESARONI

 
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