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Taradash Marco - 10 novembre 1984
STAMPA DI REGIME: QUALCHE ECCEZIONE, TUTTE CONFERME
di Marco Taradash

SOMMARIO: L'"Espresso" accusa sostanzialmente il Partito radicale di avere barattato il caso Cirillo con la legge Piccoli. E' solo un esempio di come viene accolto il congresso radicale e la poderosa e inusuale presenza dei partiti ufficiali. Si torna a parlare, nonostante l'evidenza dimostri il contrario, di un partito che non tesaurizza le conquiste ma le disperde, che non massimalizza i vantaggi ma li dissipa. E' confermato appieno il comportamento della "grande" stampa nazionale, vile di fronte a tutto ciò che non è rito di regime.

(NOTIZIE RADICALI N. 72, 10 maggio 1984)

Eugenio Scalfari l'aveva spiegato chiaramente, nominando Giovanni Valentini alla direzione dell'"Espresso: Repubblica" è l'ammiraglia, "Espresso" e "Panorama" sono le corazzate che la scortano. "Panorama" ha fatto obiezioni (compensate dalla volontaria adesione alla flotta dell'"Europeo"), "L'Espresso" naviga obbediente. Così il suo articolo sul congresso radicale ("Fame di amici - Dieci mesi fa Piccoli era per i radicali un simbolo del male. Adesso viene accolto al congresso del Pr quasi come un santo. Come mai? Di mezzo c'è una legge...") è sostanzialmente un atto di accusa contro il Pr che avrebbe barattato la polemica sulle complicità relative al caso Cirillo con la legge firmata da Piccoli. E' un articolo menzognero e vile, pieno di insinuazioni, sottintesi, mezze verità, stupori, il più esemplare compendio di quel giornalismo preconcetto e denigratorio, sleale e intrigante, che tace dolosamente o colposamente fatti essenziali, descritto con intelligenza e condannato da una recente sentenza di Cassazion

e.

Tace "L'Espresso" - fra l'altro, ma basto questo a sbugiardarlo - che il Pr da solo ha denunciato (poche settimane fa) le omissioni e le menzogne della relazione approvata all'unanimità dal Comitato interparlamentare sui servizi segreti (comitato interpartitocratico, in realtà composto soltanto da Dc, Pci, Psi, Msi e Pri) sotto due profili: il silenzio sugli esponenti politici coinvolti (da Piccoli a Rognoni a Mazzola a Spadolini a Lagorio...) e l'invenzione di un Sismi "deviato" parallelo a quello legale, in realtà inesistente.

Per il resto, della stampa italiana sui cinque giorni del congresso radicale, va segnalata insieme la scarsa malevolenza e la scarsa brillantezza. Pare quasi che giornali e giornalisti non sappiano esercitare verso i radicali l'intelligenza, o almeno il "mestiere", se non in termini antagonistici e di derisione. Quest'anno le cronache sono state più o meno (a seconda delle testate) precise e corrette ma costrette senza scampo dentro schemi rigidi e indifferenti alla "segnaletica" radicale (l'arresto sul palco della presidenza di Sandro Ottoni, latitante per obiezione di coscienza, l'iscrizione e l'elezione nel Consiglio federale di Emilio Vesce, l'inesistenza di correnti eccetera).

Così tutto ciò che risulta dalle cronache sono le lusinghe della partitocrazia, l'anticomunismo radicale, il conflitto tra "base" e "vertice", quello tra pannelliani e Melega, il ruolo non più di demiurgo ma di suggeritore occulto di Pannella. E' questo che appare in superficie a chi segue - di malavoglia, si deve pensare - un congresso radicale, sacrificando una settimana dell'onorata professione a quell'anomalia scocciante e petulante che è il Pr? Può darsi, non lo so, ma un giornalismo di cronaca senza curiosità e senza gusto critico è - evidentemente - quanto di meglio sia sperabile ottenere dal grado di "indipendenza" attuale della stampa italiana.

Che, oltretutto, colloca le cronache spesso nelle pagine interne, più spesso a piè di pagina, senza minimamente investire - tranne quattro casi: Luigi Manconi sul "Messaggero", Orazio M. Petracca sul "Sole 24 Ore", Salvatore Sechi sul "Secolo XIX" e Mauro Paissan sul "Manifesto" - in una riflessione di maggiore spessore su un'esperienza politica unanimemente giudicata, in quei quattro interventi (dove peraltro non mancano le critiche alla gestione interna), "anomala" e ricca.

"Un partito che sfugge a tutti i modelli di organizzazione del sistema politico italiano" scrive Manconi "un partito nomade, che non tesaurizza le conquiste ma le disperde, non massimizza i vantaggi, ma li dissipa"; un partito - scrive Petracca - che si confronta con "la difficoltà di dare un'autentica forma politica alle iniziative su certi temi - quello della fame è solo il caso più emblematico e drammatico - che sono altrettanto essenziali per la "liberazione" dell'uomo nella società contemporanea quanto sono impervi da praticare come terreno di lotta politica".

Un partito che ha posto la sinistra italiana di fronte a se stessa - osserva Mauro Paissan su un "Manifesto" che per il resto ha trattato il congresso con ottusità e sufficienza: "Se la sinistra, la sinistra comunista innanzitutto, avesse compiuto meno esami genetici e più riflessione politica e culturale sulle singole opzioni radicali, avrebbe forse evitato i ritardi e le rincorse che hanno costellato questi anni"; che - scrive Salvatore Sechi - "con undici deputati, un senatore e tre europarlamentari, una radio e una televisione, riesce ad imprimere scosse telluriche ad un sistema governato dalla feroce e potente disciplina della partitocrazia".

Positività, onestà, forza politica: tutte ragioni che spiegano e "giustificano" l'atteggiamento della "grande" stampa nazionale, il suo minimizzare, rimuovere e, nel caso dell'"Espresso", diffamare.

 
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