LETTERA AL SEGRETARIOdi Angiolo Bandinelli
SOMMARIO: Nell'accettare la proposta di Giovanni Negri, di curare il supplemento "La Prova" A "Notizie Radicali", Bandinelli scrive al segretario del partito una "lettera aperta", che è appunto il testo pubblicato sul numero 1 del supplemento in guisa di editoriale. Bandinelli avverte come il partito di cui Negri è ora segretario sembri ora consumarsi "nella sua, sia pure piccola, dose di trionfalismo partitocratico", ben lontano da quel partito i cui testi e documenti appaiono - cita Bandinelli - nel testo "Il pugno e la rosa" curato da V.Vecellio. "Ho stentato a riconoscere nel partito di oggi quel partito di ieri", scrive Bandinelli, il quale cita, come indicazione prioritaria per riconoscere i valori del partito, il "Preambolo", con il suo "appello", la sua "pratica", nonviolenta. E' possibile che la "involuzione della nostra società" abbia appannato il volto del partito? Se così è, occorre reagire con fermezza, cercando di costruire davvero "la parte alternativa", per adesso con una "coraggiosa messa in
discussione di tutto". A questa esigenza, a questo proposito, secondo Bandinelli, anche lo strumento de "La Prova" potrà dimostrarsi utile.
(LA PROVA, Supplemento di discussione N. 1 - Notizie Radicali n. 3 del 10 gennaio 1985)
Caro Giovanni,
mi hai affidato, con una decisione che mi ha colto un po' di sorpresa, la responsabilità di curare questo "Supplemento" a "Notizie Radicali", che dovrebbe servire a "riflettere liberamente su un argomento", come scrivi sulla locandina del numero scorso. Per fortuna, con saggezza, aggiungendo: "Non giuriamo di riuscirci". Nell'accettare, anch'io non posso giurare di riuscirci, anche se mi sono messo subito all'opera, almeno "per provarci".
Non lo dico per schermirmi. Sarebbe molto facile. Il fatto è che l'esperimento, la "prova", è davvero difficile. Penso che anche tu sia convinto che nemmeno al Partito Radicale sono consentiti trionfalismi: persino quelli che in fondo echeggiano anche nel più semplice accorato appello alla iscrizione. In una recente riunione radicale, qualcuno ha fatto prova di umorismo tanto macabro quanto, purtroppo, inconfutabile, almeno ad una logica lineare: "In fondo - diceva - per risolvere i problemi del partito basterebbe si iscrivesse una sola persona, alla quota di un miliardo...". Perché diceva una quasi-verità? Perché penso che il Partito Radicale consuma anche esso la sua, sia pure piccola, dose di trionfalismo partitocratico: "Iscriviti - intima - basto io, il partito, a garantire. Garantisco tutto". E' un rischio grave, mortale. So, Giovanni, che tu lo sai benissimo, e lo temi. Siamo invece tutti, per la forza delle cose, per la drammaticità della situazione, immersi in una difficile ricerca. In fondo, io pen
so, anche negli altri partiti lo sono. Tutti riflettono, operano per dare un senso lineare alle loro e alle comuni contraddizioni. Che lo facciano nella direzione giusta, o che invece persistano nei vecchi errori, è altra cosa. Anche al Partito Radicale, dunque, compete la responsabilità di "riflettere liberamente" e non solo su "un argomento" come tu scrivi, ma proprio su tutto, a cominciare da se stesso. Altrimenti può apparire persino giusto il cristallino cinismo con il quale gli altri, troppo spesso, giustificano se stessi, il proprio modo di essere, le proprie inique azioni. Sanno che non c'è nessuno che stia lì, pronto, a contestarli. Nemmeno il Partito Radicale, se deve essere il partito per il quale solo l'iscrizione è un obbligo, e non la continua, arrovellata, "libera riflessione", su tutto. Per cercare di capire cosa dovessi e potessi fare, una volta accettata la tua offerta, sono andato a rileggermi un vecchio testo: "Il pugno o la rosa", curato da V. Vecellio per l'editore Bertani. Sono restato
sgomento. Quel libro era non solo "vecchio", ma proprio lontano, di una siderale lontananza dall'oggi. Ho stentato a riconoscere nel partito di oggi quel partito di ieri. Era un partito, quello, che aveva netta la percezione che lo scontro con il "regime" investiva, ad ogni momento, ogni fibra del suo stesso essere, e lo metteva a rischio di morte e di annullamento. E reggeva allo scontro con le iniziative, certo, ma soprattutto con la profonda fiducia di esprimere - esso solo - una ipotesi di politica come speranza: per tutti, prima che per i suoi militanti. Questi sapevano benissimo che pagare la tessera era il giusto prezzo per poter condividere tale enorme responsabilità. Perciò interessava.
Bisogna avere il coraggio di dire che troppo, di quanto è (non: fu) il patrimonio radicale ha visto affievolire la sua forza, corrosa da una sorta di scetticismo nemmeno cinico, ma solo irriflessivo e banale. Penso alla nonviolenza. Che cosa sarebbe il Partito Radicale, senza la nonviolenza? E ancora, senza lo spirito antiautoritario nel suo Statuto, o senza il preambolo allo Statuto? Io sono persuaso che in quelle indicazioni di metodo siano tesori di valori teorici, di spunti di prassi politica. Non mi convincerà nessuno che le teorizzazioni degli anni '60 fossero solo una trovatina intelligente e maliziosa. Per stare tranquillo con la mia coscienza oggi, a volte, provo a persuadermene, a convincermene. Ci ho provato. Ma sempre, il ragionamento (non i sentimenti) mi hanno portato ad una valutazione diversa di quella vicenda e quindi di quelle parole.
La crisi del nostro temo avanza minacciosa, investe tutti, mettendo a repentaglio il deposito antico dei valori dell'individuo (altro che nuovo individualismo!) prima ancora che delle istituzioni. E di fronte a questa crisi avverto la forza dell'appello del preambolo, l'antica forza liberale dell'appello, della pratica, nonviolenta. Eppure, chi è stato più sordo che non il tuo partito, Giovanni, davanti ai tuoi ultimi venti giorni di digiuno per la legge sulla fame? Queste cose meritano ben più che un dibattito. Personalmente, non le accetterei. O comunque, mi sentirei subito chiamato ad una riflessione sul rapporto che c'è tra la mia iniziativa e le istituzioni, quale sia il quoziente di salvezza che mi è consentito guadagnare, da quello che faccio, dal mio agire. Non è politica, questo? Allora vuol dire che politica è non l'azione ma il gesto che, come ci è stato insegnato, è il suo opposto. E' vero che, dopo e grazie al fascismo, la nostra epoca è l'epoca in cui si celebra il trionfo del "politico" inteso
come mero strumento, come strumentalità assoluta. Ma è anche vero che, mentre abbiamo avuto il coraggio di riconoscere al fascismo la grandezza di questa sua scoperta, sempre ci siamo schierati con chi testardamente al fascismo replicava che di fronte al fatto è necessario tener alti i valori, anche nell'apparente sconfitta.
Questa è l'eredità più preziosa, la scoperta più significativa fatta dal Partito Radicale, che proprio perciò si è prima costituito come "parte", piuttosto che come "partito". La distinzione non è secondaria, vorrei ricordarti: per me, anzi, è fondamentale, anche se non so risolvermi sulle priorità effettuali, se non logiche.
E' possibile che l'involuzione della nostra società, la morsa della partitocrazia siano riusciti ad appannare quel volto, così necessario, del Partito Radicale? Occorre reagire. Non ci si può contentare di essere epigoni. Se è giusto persino accantonare, liquidare il passato per evitarne gli equivoci, è però il Partito Radicale di oggi risponda ai requisiti che sono indispensabili alla lotta contro la partitocrazia. La partitocrazia è ben più che un meccanismo di cui, giorno per giorno, tu individui questa o quella magagna, questa o quella truffa, e questa scoperta ti basta.
Consentimi di dire con quella franchezza, Giovanni, che già è un modo per "riflettere liberamente", che forse nemmeno il Partito Radicale è attrezzato, è adeguato al compito. Non c'è nemmeno una delle iniziative che esso è venuto conducendo che sia inferiore al necessario, e penso soprattutto a quella eccezionale battaglia sullo sterminio per fame che davvero è una storica portata.
Ma c'è qualcosa di indefinibile, nel vissuto, nel quotidiano delle sue battaglie, che non crea persuasione. La persuasione è un'arte difficile che, vorrei dire, non si impara. E la prima persuasione di cui mi pare il Partito Radicale difetti è quella di rappresentare davvero, nel Paese, più che se stesso, più che la propria forma-partito, la parte antagonista, la parte alternativa al sistema partitocratico. Eppure, senza questa profonda persuasione, c'è il rischio di adagiarsi nella gestione di qualche piccolo margine di sicurezza. Dal momento in cui, giustamente, ha abbandonato la praticabilità dell'alternativa politica (l'"unità laica delle sinistre", no?) potrebbe accadere che esso si riduca a coltivare, per esempio, l'orticello del moderatismo nel quale può essere respinto e condannato ad ogni momento. A questo rischio occorre reagire, costruendo la parte alternativa, appunto. E questo lo si può ottenere solo se davvero si farà di ogni momento l'occasione per una messa in discussione di tutto. Ogni volta
di nuovo, con pazienza e coraggio.
Mi illudo di poter corrispondere alla fiducia che mi hai dimostrato, se non con intelligenza almeno con accanimento e rabbia. Non so se i risultati saranno quelli che da una parte tu, dall'altra io mi aspetto. Comunque puoi essere certo di una cosa. Io risponderò a te di quello che faccio: nel momento stesso in cui mi ritirerai la tua fiducia io lascerò l'incarico. Non un minuto più tardi.