Camera dei deputati - Proposta di legge d'iniziativa dei deputati Stanzani Ghedini, Aglietta, Calderisi, Crivellini, Melega, Pannella, Roccella, Rutelli, Spadaccia, Teodori
n. 2616 - Presentata il 5 marzo 1985
SOMMARIO: Ponendo sullo stesso piano l'interesse del singolo e della collettività per quanto riguarda l'attività di emissione di programmi radiofonici e televisivi, la proposta di legge dei deputati radicali - primo firmatario Sergio Stanzani - disegna un sistema in cui possano coesistere da una parte il servizio pubblico radiotelevisivo, attribuito ad un Ente Pubblico, e dall'altra i gestori di emittenti locali, reti nazionali e circuiti di emittenti locali.
La proposta di legge definisce minuziosamente i criteri di attribuzione delle frequenze lasciando quindi minima discrezionalità alla pubblica amministrazione.
L'Ente pubblico radiotelevisivo, che si finanzia esclusivamente attraverso sovvenzioni dello Stato e quindi non trasmette messaggi pubblicitari, risponde del suo operato direttamente al Governo e, attraverso quest'ultimo, al Parlamento. Vengono disciplinate in maniera dettagliata tutte le forme di accesso diretto delle forze politiche all'informazione radiotelevisiva privata e pubblica e rese più rigorose le norme sulla diffamazione e il diritto di rettifica. Le norme per impedire condizioni di oligopolio nell'abito dell'emittenza privata.
(ATTI PARLAMENTARI - CAMERA DEI DEPUTATI - N. 2616)
RELAZIONE:
Onorevoli Colleghi!. - Può destare sorpresa che venga sottoposta al vostro esame una proposta di legge per la regolamentazione del sistema radiofonico e televisivo, pubblico e privato, proprio ora, quando da pochi giorni il Governo, dopo anni di latitanza, ha deciso di »costituirsi e ha presentato un suo disegno di legge alla Camera.
La nostra iniziativa può così apparire tardiva e, in quanto tale, un richiamo superfluo e distraente della vostra attenzione.
Questa non è la nostra convinzione.
Al contrario, abbiamo ritenuto necessario cogliere l'occasione della presentazione del progetto di legge del Governo per compiere il tentativo di sollecitare la comune riflessione su aspetti essenziali di una riforma - perché di questo si tratta - dell'intero sistema radiofonico e televisivo che la iniziativa del Governo dovrebbe far ritenere essere prossima e che, correttamente impostata, potrebbe - finalmente - aprire un filo di speranza in un settore tanto dissestato e di indiscussa importanza per il nostro paese.
Si tratta di aspetti che, indipendentemente dal punto di vista e dall'interesse specifico di parte, dovrebbero indurre alla riflessione tutti coloro che siano ancora animati da effettiva volontà riformatrice.
Sono aspetti inoltre che né il dibattito sviluppatosi fino ad oggi tra le forze politiche, né il disegno di legge del Governo hanno affrontato o, quanto meno, non lo hanno fatto con la necessaria limpidità e precisione.
Il Governo, o più correttamente il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, con il disegno di legge ha in effetti corrisposto ad una richiesta, alle volte pressante, avanzata da più parti - non da noi che, sempre, abbiamo indicato nel Parlamento e nella sua iniziativa il percorso più idoneo - la richiesta di colmare in un breve lasso di tempo un vuoto protrattosi per anni. Vuoto non casuale, ma voluto, anzi, gradito a molti. Si tratta di un vuoto entro il quale si sono, via via, calate tutte le forze politiche, incapaci - nella più favorevole delle ipotesi - di riempirlo con proposte adeguate e coerenti, ricche quindi di forza effettiva. Più in generale, molti partiti sono stati, al contrario, portatori di interessi ai quali proprio quel vuoto era indispensabile per determinare la situazione di fatto attuale. Situazione nei confronti della quale, anche di recente, le forze politiche hanno lamentato una capacità di pericolo tale da ritenerla destabilizzante, ignorando la propria connivenza fino a de
monizzare l'iniziativa individuale o l'ineluttabilità del profitto.
Il disegno di legge del Governo non poteva non risentire di tali trascorsi, tenuto anche conto dei fattori contingenti che l'hanno determinato: un'urgenza pesantemente condizionata non da volontà riformatrice, ma dalla pressione contraddittoria di interessi precostituiti, economici, finanziari e di potere. Situazione quindi poco favorevole per colmare in un breve lasso di tempo un vuoto di anni con soluzioni consapevoli e adeguate, quali sono richieste dall'interesse generale del Paese.
E' comunque certo che se alcuni pretori non si fossero mossi come si sono mossi, saremmo lì a gingillarci e a lamentarci con molti, pienamente soddisfatti della riprovata impotenza delle istituzioni, felici, da un lato, del bearsi del paese con »Dallas , divenuto simbolo del riaffermato diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, e, dall'altro, di potersi godere con Pippo Baudo e la Carrà il mito di una RAI-TV, intatta e intoccabile, roccaforte di privilegi e di potere, più o meno equamente ripartiti.
I pretori tuttavia si sono mossi e ancor oggi non ci è dato sapere il cui prodest: la lotta si è scatenata, come sempre, nel segreto delle segreterie dei partiti e nelle anticamere dei ministeri. All'esterno, il diversivo delle grida, quelle in difesa del diritto leso, quello del cittadino di Roccapriora privato di »Dallas e geloso del cittadino di Mestre che invece non lo è stato, o le grida vivamente preoccupate per un probabile collasso della RAI-TV, ormai ridotta sul lastrico da Berlusconi (proprio lei, la RAI-TV, più volte vantata come gioiello di iniziativa privata, anche se abbondantemente rimpinguata di denaro pubblico).
L'esito della lotta sembra ancora incerto, forse siamo ancora in tempo per intervenire efficacemente. Ce lo auguriamo.
Prima che i potenti, gli interessi di parte, quelli economici e quelli corporativi si accordino tra loro, definitivamente, al di fuori del Parlamento, e gravino pericolosamente sul paese, tentiamo, quindi, insieme di definire norme chiare e precise che, in una prospettiva di crescita politica, culturale, economica, civile del sistema di emittenza radiofonica e televisiva non si limitino a ratificare un accordo già preso ma stabiliscano, nel rispetto dell'interesse generale e del diritto del singolo, una corretta distinzione di ruoli tra pubblico e privato, e promuovano una proficua competizione tra iniziative effettivamente autonome, sia pure diverse tra loro, e tra operatori indipendenti.
A questa chiarezza di fondo intendiamo contribuire con il nostro progetto che propone una soluzione completa nelle sue linee generali e dettagliata nelle parti di maggior rilievo.
L'obiettivo della chiarezza ci ha imposto delle scelte anche di fronte ad alternative per le quali la decisione ha comportato l'esclusione di soluzioni non solo possibili e proponibili, ma accettabili. Il campo offre quindi soluzioni diverse, accettabili o meno, ma altrettanto chiare e precise; pronunciarsi a favore o contro dell'una o dell'altra è per molti aspetti condizione essenziale per evitare il pericolo vero, quello più grave, che non è tanto quello di una scelta sbagliata, quanto quello di non dare una soluzione ben definita, lasciando l'intero settore alla mercè dell'incertezza del prepotere del mercato e di quello politico.
* * *
Nessuno, neppure gli avversari più accesi del privato, intende più negarne il diritto all'esistenza o sottacere la rilevanza di quanto è stato realizzato in otto anni in questo campo, e, d'altro canto, neppure i più accesi sostenitori della emittenza privata negano la necessità di una seria e rigorosa regolamentazione. Pochi - per non dire pochissimi - osano sostenere apertamente che la regolamentazione debba limitarsi al riconoscimento dell'esistente, così come è avvenuto con la conversione del decreto-legge 6 dicembre 1984, n. 807. Sarebbe, d'altronde, fatica inutile sostenere che la situazione esistente non contraddice, se non altro per alcuni aspetti di non poco conto, princìpi e limiti di rilevanza anche costituzionale.
Tuttavia, desta curiosità, se non sospetto, che nessuno nel delineare l'intervento da produrre in sede legislativa per mettere ordine nel settore, avverta l'esigenza di porsi - col proposito di una chiara risposta - un importante quesito preliminare, che riguarda la natura e i caratteri del passaggio dal regime monopolistico, con l'emittenza radiofonica e televisiva totalmente riservata allo Stato, ad un regime da tutti definito »misto e che in quanto tale riconosce il diritto autonomo del privato ad usufruire dei mezzi e delle condizioni per l'emissione di programmi radiofonici e televisivi.
Nessuno pare avverta l'esigenza di una risposta chiara alla domanda, se questo diritto del privato - oggi, per legge, riconosciuto anche per l'ambito nazionale col solo limite di non operare in condizioni di oligopolio, divieto che sappiamo dovuto, innanzitutto, ad una disponibilità contenuta di frequenze - non comporti necessariamente un mutamento dell'ambito riservato allo Stato e di conseguenza della natura e del carattere dell'organismo ad esso preposto.
A questo primo quesito se ne aggiunge un secondo, pure questo essenziale e preliminare e anche questo finora curiosamente trascurato o ignorato: riconosciuto il diritto e l'interesse per la collettività della presenza del privato nel settore della emittenza radiofonica e televisiva, non vi sono, forse, precise condizioni la cui esistenza deve essere preliminarmente verificata dal legislatore al fine di evitare l'instaurarsi di situazioni di oligopolio?
E' un fatto che le proposte di regolamentazione - ultimo il disegno di legge del Governo - eludono questi quesiti, forniscono risposte equivoche, spesso contraddittorie ed imprecise, determinando un quadro normativo incerto, inidoneo a delineare un orientamento e un fondamento sicuro al diritto e ai doveri del cittadino e al suo rapporto con la collettività e lo Stato.
Nel porci entrambi i quesiti, in primo luogo occorre osservare come nell'opinione comune sia radicata la convinzione dell'intangibilità della RAI-TV nella sua attuale configurazione. Nessuno sembra dubitare che un organismo istituito - legittimamente - in condizioni di monopolio, potrebbe non essere più legittimo e comunque inidoneo a rispondere alle esigenze del servizio pubblico in un sistema misto, in concorrenza con il privato.
Quali le ragioni e gli argomenti addotti a sostegno della conservazione, immutata e immutabile, della RAI-TV?
Certamente non lo erano quelli addotti all'epoca della cosiddetta riforma attuata con la legge del 14 aprile 1975, n. 103.
Lo sono forse le argomentazioni ora esposte alla Camera, in occasione dei recenti dibattiti sui decreti?
Crediamo che raramente ragioni e argomenti siano stati originati da interessi così chiaramente preconcetti o dovuti a interessi di parte e di potere o, nella migliore delle ipotesi, di natura corporativa. Valga l'esempio della scappatoia - perché di questo si tratta - del ricorso all'articolo 2461 del codice civile per legittimare, nel decreto-legge di recente approvato, la natura »privatistica di una RAI-TV, teoricamente, ed ora anche formalmente, amministrata dal solo Parlamento. L'essersi affrettato il Governo a cogliere il suggerimento fornito in extremis da chi, su posizioni ben diverse e più coerenti, sempre si è distinto - con sottile acume giuridico - nella strenua difesa del monopolio dello Stato, è una esplicita conferma di esitazioni ed incertezze molto più radicate e diffuse di quanto non si dica o si voglia far credere di non sapere.
Se già ieri, in regime di monopolio pubblico, era di dubbia legittimità il fatto che lo Stato, dopo aver riservato a se stesso l'attività radiotelevisiva la concedesse ad un privato, oggi, in regime misto, imporre con la legge la concessione ad un privato del polo pubblico è un nonsenso. Significa abdicare alla funzione di alternativa al polo privato, a quel »confronto tra fonti notiziali che costituisce invece il presupposto dell'obiettività dell'informazione e quindi, in ultima analisi, significa violare l'articolo 21 della Costituzione che tale principio impone.
L'ibrido di una società privata i cui organi gestori vengono nominati non solo dallo Stato, ma da un organo politico e irresponsabile qual è la Commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, viola sotto altro aspetto i princìpi costituzionali. Se con la concessione lo Stato si spoglia dell'attività e della relativa responsabilità, con l'ingerenza indiretta nell'attività della società concessionaria condiziona in maniera ambigua quest'ultima pur restando imperseguibile e comunque insindacabile. Il diaframma della persona giuridica provata impedisce di risalire agli effettivi detentori del poter d'indirizzo, al modo in cui tale potere è stato esercitato.
D'altro canto, anche a volere equiparare la concessione ex lege alla RAI-TV ad un vero atto istitutivo di un ente pubblico, tale identificazione sarebbe frutto di un'operazione interpretativa la quale, pur riuscendo a bollare di ambiguità la definizione governativa, non costituisce certamente un succedaneo valido di una soluzione chiara adottata dal legislatore.
Inoltre, pur configurando la RAI-TV come ente pubblico, non si può affidare il controllo su quest'ultimo ad una Commissione bicamerale di dubbia legittimità, la quale, oltretutto, lo esercita in via surrettizia attraverso il collegamento personale con i membri del consiglio di amministrazione.
La preoccupazione tuttavia prima che giuridica e legislativa è politica ed è di portata grave.
Avanzare solo l'ipotesi di un servizio pubblico radiofonico e televisivo, dotato di tutte le attribuzioni e i mezzi che si ritengono necessari e utili, affidato correttamente a un ente pubblico - autonomo, ma sotto vigilanza del Governo e quindi sotto controllo politico del Parlamento - desta tanta avversione e timore da non poterne fare neppure un cenno, non solo da parte delle forze che si collocano all'opposizione, ma anche, senza distinzione alcuna, da parte di quelle di maggioranza e di Governo.
Come non si può non vedere in tutto ciò la riprova di una situazione generale, politica che, come avviene in altre molteplici circostanze, è sempre più condizionata e determinata da regole, le quali o sottacciono o disconoscono i princìpi e le norme fondamentali della Repubblica e che pertanto ne contraddicono i presupposti di legittimità democratica, prefigurando di fatto un regime »eversivo , sempre più privo della propria originaria qualità democratica?
Qui corre inevitabile il richiamo alla RAI-TV di Bernabei, quando per combattere un regime di monopolio, non solo governativo, ma in effetti democristiano, ci siamo impegnati nella lotta politica con la non violenza per ottenere garanzia del diritto non solo nostro ma di tutti, senza richiedere una più »equa lottizzazione o equivoche corresponsabilità di potere.
D'altro canto come può ritenersi che una legge capace di determinare un effettivo riordino dell'intero settore, assicurando la presenza del privato, prescinda da una convinta volontà riformatrice, capace se non altro di risolvere l'equivoco di una RAI-TV, azienda privata, amministrata dal Parlamento, in concorrenza coi privati sul mercato pubblicitario e alimentata da una fonte propria di pubblico denaro.
Si potrebbe sì prospettare la tesi di una RAI-TV azienda a partecipazione statale che opera sul mercato in concorrenza coi privati per promuoverlo, orientarlo, alimentarlo o comunque per garantire alla collettività una presenza adeguata di mezzi, di competenze, di professionalità, di specializzazioni. Ma in tal caso come sostenere da un lato il canone e dall'altro il tetto alla pubblicità?
Infatti se si volesse scegliere per il servizio pubblico l'ambito privato e la via del confronto diretto col mercato sarebbe ancora più evidente l'impossibilità di cambiare le carte in tavola, per meglio barare al gioco, pur con la riserva di colmare sotto il controllo del Parlamento le eventuali perdite con i fondi di dotazione pagati dalla collettività. Non è certo ammissibile in tali condizioni sottrarre l'impresa al preciso giudizio dei risultati conseguiti, inclusi quelli economici e finanziari, e vantarne la capacità e l'efficienza, dopo averne occultata - così come avviene oggi - la perdita con il mantenimento del canone.
Che si direbbe, se per assurdo, l'Alfa Romeo potesse usufruire direttamente degli introiti della tassa di circolazione, essendo vincolata nella quantità o nel prezzo del prodotto?
Queste considerazioni dovrebbero essere ampiamente sufficienti per indurre tutti ad un esplicito e chiaro confronto che porti ad una scelta responsabile e meditata: ente pubblico o azienda privata.
L'ambiguità delle varie formule fino ad oggi adottate poteva reggere se fosse stata sorretta, al di là delle soluzioni impiegate, da qualche evidente risultato positivo. Quale è il risultato che può sostenere e giustificare, ad esempio, una Commissione parlamentare che ripete stancamente da anni gli stessi indirizzi con l'identica mortificante conclusione di parlare al vento? Una Commissione che è preposta ad un controllo impossibile perché - tra l'altro - non voluto; una Commissione incapace perfino di adempiere al compito di rendere più decente l'estensione del processo di lottizzazione che ne ha costituito l'unica effettiva ragione di esistenza?
L'ambiguità cade così nell'equivoco e genera, più che sospetti, ragioni fin troppo evidenti di degrado delle istituzioni per poterle ignorare e sottacere.
A questo punto va aggiunto il secondo dei due quesiti preliminari che condizionano l'esame e la valutazione dell'intera questione: il divieto che si deve, e che tutti dicono di voler imporre al privato di operare - sia in ambito locale che in ambito nazionale - in condizioni di oligopolio (oltre alle norme che certamente si possono e si devono prevedere per vincolare tutti i soggetti che intervengono sul mercato) trova o no ostacoli di ordine più generale - indipendenti dalla volontà dei soggetti stessi - e che possano precluderne di fatto il rispetto?
E' noto che vi sono due condizioni che, qualora non siano soddisfatte, producono, come conseguenza inevitabile, situazioni di monopolio o di oligopolio. La prima si verifica quando la capacità del mercato non è tale da alimentare con risorse finanziarie adeguate la redditività delle imprese, tenuto conto degli investimenti e dei costi che queste devono sostenere per operare con efficacia ed efficienza. La seconda quando l'accesso alle risorse tecniche indispensabili per il funzionamento dell'impresa siano comunque vincolate.
Ebbene per il settore della emittenza radiofonica e televisiva il rischio che entrambe le condizioni si verifichino è molto elevato. Tutti lo sanno, e non è casuale il silenzio generale. Il disegno di legge del Governo con il suo silenzio ne è la riprova più recente ed evidente.
Non si teme forse, con questo silenzio, che la considerazione e la valutazione di questo rischio riproponga l'attualità dell'articolo 43 della Costituzione, con conseguente riserva del settore radiotelevisivo allo Stato?
La verifica della prima di queste due condizioni, guarda caso, ci porta ancora una volta all'intangibilità della RAI-TV, così come è, rinvigorita dall'ultimo decreto-legge. Bastano poche cifre per avere l'ennesima conferma del comportamento incredibile delle forze politiche e del Governo. Se le cifre fossero false o inattendibili resta il fatto che essendo note a molti, nessuno finora le contesta o si sente in dovere di fornirne di più vere o attendibili.
L'ammontare complessivo del mercato pubblicitario per l'intero settore radiofonico e televisivo si aggira - in virtù della crescita prodottasi negli ultimi anni - intorno ai 1600 miliardi (fonte UPA). Di recente in sede di Commissione per l'indirizzo e la vigilanza è stato concordemente affermato che non sono attesi aumenti consistenti, oltre a quelli dovuti all'inflazione, per il 1985 e i prossimi anni. Anzi vi è chi ritiene probabile una flessione. Di questi 1.600 miliardi, circa 150 sono di pertinenza radiofonica. Ne restano per l'emittenza televisiva circa 1.450. La RAI-TV, che nel 1984 ha usufruito di un tetto di circa 550 miliardi, chiede per il 1985 un aumento minimo del 15 per cento, quasi 80 miliardi; se l'aumento della disponibilità complessiva del mercato sarà nel 1985 del 20 per cento, restano in tutto per la emittenza televisiva privata circa 1.100 miliardi.
Qual è il fabbisogno finanziario necessario a sostenere una rete televisiva privata nazionale, ad esempio Canale 5? E' opinione di molti che tale fabbisogno sia tra i 500 e i 600 miliardi all'anno.
Se le cifre sono attendibili, è evidente che sul mercato non possono vivere più di 2 reti nazionali e che per sostenere tutte le emittenti televisive locali restano solo 100 miliardi, nella più favorevole delle ipotesi.
E' doveroso chiedersi, di quale utilità sia discutere animatamente sulle norme antioligopolio, se la situazione è quella posta in evidenza da queste cifre. Con tale prospettiva è lecito chiedersi se sia consentito riservare alla RAI-TV, al servizio pubblico, un terzo della disponibilità complessiva del mercato pubblicitario o non si debba invece precludergli questa fonte di finanziamento, per garantire all'emittenza privata condizioni che facciano ritenere credibile quella situazione priva di oligopoli, da tutti conclamata e ritenuta essenziale. Un diverso comportamento come può non essere considerato un comportamento truffaldino e doloso? E che dire del Governo che col suo disegno di legge prevede di consentire allo stesso soggetto di avere la proprietà di ben due reti televisive private nazionali?
La seconda condizione preliminare necessaria per impedire il precostituirsi di situazioni di oligopolio investe direttamente per questo settore la disponibilità di frequenze.
Anche qui c'è da chiedersi su che basi si prospettano finora soluzioni credibili, quando nessuno sa o, non ponendo il problema, fa credere di non sapere in che cosa consista in concreto questa disponibilità.
Il disegno di legge del Governo demanda la soluzione del problema, in tutto e per tutto, al Ministro e al Ministero, limitandosi a prevedere un »parere delle Commissioni parlamentari, praticamente a cose fatte.
Il problema della disponibilità delle frequenze si traduce, in termini concreti e comprensibili, nel numero di programmi radiofonici o televisivi che, con le bande di frequenza assegnate all'Italia, il cittadino, l'»utente , accendendo la radio o ponendosi avanti al televisore può ascoltare o vedere »contemporaneamente e senza disturbi . Si tratta quindi di stabilire quanti di questi programmi si possono ricevere sul territorio nazionale e su ciascuno dei »bacini di ascolto , nei quali il territorio nazionale sarà diviso.
Ebbene quale sia questo numero oggi nessuno lo sa; per saperlo bisogna »fare il piano . Nessuno naturalmente fino ad ora si è preoccupato di dire in che cosa consiste e come e chi lo può e lo deve fare. Il disegno di legge del Governo dice che lo fa il Ministro e il Ministero, sentendo ovviamente alcuni pareri.
Noi abbiamo tentato di fare presente, in occasione della discussione sul decreto, che questo è un punto, un nodo essenziale per poter risolvere correttamente la questione e che per scioglierlo ci vuole tempo e lavoro, mezzi ed esperti. Si poteva quindi iniziare fin dalla approvazione del decreto, partendo dal censimento che il decreto prevede; certo non al buio, così come pretende il Governo, ma precisando, almeno nei termini essenziali, la metodologia e indicando gli organismi dei quali può e deve avvalersi il Ministro, al quale è giusto sia affidata la responsabilità di garantire lo svolgimento del lavoro.
La risposta da parte di tutti è stata che sia le precisazioni che le indicazioni erano premature, che bisognava rifletterci, che era meglio prima approvare la legge.
Il disegno di legge del Governo ignora ogni precisa norma e indicazione in merito e attribuisce al Ministro e al Ministero la più ampia discrezionalità.
Per quanto riguarda il merito di questa seconda condizione preliminare un elemento è certo: la disponibilità di frequenze è tale da consentire la presenza del privato, ma questa disponibilità non solo non è infinita, ma è sicuramente molto più limitata di quanto non si sia o non si voglia oggi far credere. Tecnici qualificati e di collocazione diversa, pubblica e privata, concordano che con un lavoro di pianificazione accurato e ben fatto, nel rispetto delle norme internazionali, il numero presumibile di programmi televisivi che l'utente potrà ricevere contemporaneamente e senza disturbi sul territorio nazionale, e sui bacini, sia compreso tra dodici e diciotto programmi televisivi. Anche di recente si è sostenuto che alla RAI-TV non si possono porre limiti anche per quanto riguarda il numero dei programmi e delle frequenze. Ammettiamo tuttavia che la RAI-TV si accontenti dei tre programmi televisivi di cui dispone attualmente (le tre reti) e che quindici sia il numero complessivo dei programmi disponibil
i: ne restano dodici. Quanti ne dobbiamo riservare alle emittenti locali in ciascun bacino, tenuto conto che da ogni parte ci si affanna a sottolineare la indispensabilità e i meriti? Ammettiamo di riservarne otto. Ne restano quattro per le reti nazionali.
Si tratta di oligopolio?
Il disegno di legge del Governo consente ad un solo soggetto privato la proprietà di due reti nazionali, cioè di due programmi.
Due più due fa quattro, l'oligopolio in questo caso è non solo assicurato, ma perfetto.
* * *
Anche se la nostra proposta è diversa nell'impostazione e nelle soluzioni, per la stesura dell'articolato si siamo attenuti per quanto possibile allo schema adottato dal disegno di legge del Governo, per renderne più agevole il confronto.
Il TITOLO I, DISPOSIZIONI GENERALI, mette subito in evidenza la differente impostazione da noi seguita. Senza alcuna enfasi, ma anche senza timori, la nostra proposta pone sullo stesso piano (articolo 1) l'interesse del singolo e quello della collettività. Si tratta di interessi entrambi essenziali, ciascuno con la propria specifica finalità, il primo per l'esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, attraverso il mezzo radiotelevisivo, il secondo per il soddisfacimento di essenziali esigenze della collettività. E' dalla soddisfazione di entrambi che ci si può e ci si deve attendere l'assicurazione e la garanzia di vitalità e di sviluppo ordinato e coerente per l'intero settore.
L'impostazione da noi seguita rifiuta quella riserva generale allo Stato che, se mantenuta col venir meno del monopolio, entrerebbe in una sostanziale e insuperabile contraddizione con i presupposti che hanno portato l'ordinamento a riconoscere il diritto del privato a emettere programmi radiofonici e televisivi. Tale riconoscimento è dovuto anche alla convinzione che l'apertura alla libertà d'iniziativa privata si risolve, attraverso il confronto tra le varie voci, nell'interesse generale della collettività.
Quest'impostazione è - a nostro avviso - quella che meglio si presta al riconoscimento della reale portata e incidenza che il mezzo radiofonico e televisivo ha assunto nella lotta per la conquista quotidiana della democrazia nel nostro paese. Siamo consapevoli, e lo siamo da sempre, dei rischi inevitabili, ma necessari, che tutto ciò comporta per un paese civile.
Diversa, ma altrettanto decisa ed esplicita, è anche la nostra scelta di attribuire il servizio pubblico ad un ente pubblico. Tanto diversa da suonare, per le conseguenze che comporta, provocazione per molti. In effetti questa scelta introduce elementi indiscutibili di rigore e di chiarezza, indispensabili a chi persegue il fine di porre basi sicure e solide all'ordinamento del settore. Ente pubblico significa ristabilire il normale sistema di controlli, giacché l'ente è sottoposto al potere di vigilanza del Governo e non più alla Commissione parlamentare. Controlli non soltanto giudiziali (qualunque atto diventa sindacale, non essendo più possibile trincerarsi dietro l'intervento della Commissione parlamentare di vigilanza, organo politico i cui atti sono stati ritenuti insindacabili dalla Cassazione) e di legittimità (è previsto un costante controllo di legittimità da parte della corte dei conti attraverso la »presenza di suoi delegati), ma anche politici. Il Governo risponderà davanti al Parlamento de
lla sorveglianza sull'ente.
Abbiamo la fondata speranza con questa scelta di indurre altri - che certamente ci sono - a rompere indugi ed esitazioni, comprensibili, nei confronti dell'esistente, per ciò che rappresenta in termini di interessi costituiti e di potere. Altri che sono, come noi, consapevoli che l'esistente non è altrettanto idoneo in termini di diritto, di interesse generale per il paese e di interesse specifico per lo stesso servizio pubblico. Tanto più oggi che all'esistente non soccorre neppure l'argomento di costituire un valido contenimento alle degenerazioni, che pur si sono verificate, nell'ambito dell'emittenza privata. Al contrario, questi operatori trovano nell'ambiguità e nella insicurezza del comportamento dell'emittenza pubblica, che alle volte si trasforma in prepotenza, stretta com'è nell'equivoco di assurde contraddizioni, un valido sostegno. Questi operatori sono infatti consapevoli di una dimensione economica e finanziaria del mercato che è sempre più condizionata dall'ingerenza del servizio pubblico e
che è oggettivamente inadeguata a fornire ragionevoli prospettive a presenze imprenditoriali molteplici e differenziate. Essi già pretendono, a loro esclusivo favore, una regolamentazione contraria agli interessi generali del Paese e a quelli specifici del settore, come è facile tra l'altro riscontrare nel disegno di legge del Governo.
Gli obiettivi, il finanziamento e l'ordinamento dell'ente pubblico radio televisivo sono oggetto del TITOLO V della proposta.
Stabilita la coesistenza dell'interesse individuale e di quello collettivo e fatta la scelta dell'ente pubblico radiotelevisivo, la proposta di legge stabilisce (articolo 2) l'obbligo per lo Stato di intervenire nel campo delle radiofrequenze. Tale obbligo è dovuto al numero limitato di frequenze di cui è possibile disporre sulla base degli accordi e dei regolamenti internazionali. La proposta, in questo Titolo, indica in generale i provvedimenti da adottare, nonché la loro successione, elementi questi tutti necessari per garantire l'obiettivo finale di non precostituire proprio con la legge condizioni inaccettabili di oligopolio nell'ambito della emittenza privata.
E' questa l'impostazione e sono queste le scelte che costituiscono il cardine della nostra proposta.
Il TITOLO II, ACCORDI INTERNAZIONALI E PIANIFICAZIONE DELLA EMITTENZA PUBBLICA E PRIVATA, stabilisce anzitutto (articolo 3) per la ratifica degli accordi e dei regolamenti internazionali in materia di radiocomunicazioni l'autorizzazione con legge, in osservanza di quanto disposto dall'articolo 80 della Costituzione. Con legge deve anche essere approvato (articolo 4) il Piano Nazionale di Ripartizione delle Bande di frequenza che, tenuto conto degli impegni assunti con l'approvazione degli accordi e dei regolamenti internazionali, ripartisce tra gli utilizzatori pubblici e privati, col diretto intervento dei Ministri interessati, l'intero patrimonio di radiofrequenze del Paese, di cui solo una parte sono quelle riservate alla emissione dei programmi radiofonici e televisivi e ai collegamenti necessari per il loro trasferimento sul territorio nazionale.
La proposta prende in considerazione (articolo 6) solo le frequenze utilizzate per la radiodiffusione sonora nelle bande delle onde ultracorte e quelle utilizzate per la radiodiffusione televisiva e rinvia espressamente (articolo 5) ad altri eventuali provvedimenti legislativi la regolamentazione nelle altre bande (onde corte, medie e lunghe).
Successivamente il TITOLO II affronta e risolve in termini precisi ed esaurienti il problema della disponibilità di risorse di ascolto che costituisce il vero nodo da sciogliere per effettuare la pianificazione delle frequenze.
Si tratta cioè di conoscere il numero di programmi radiofonici e televisivi che in concreto è possibile emettere sul territorio nazionale e su parti dello stesso, in modo tale che i residenti possano riceverli con i loro apparecchi contemporaneamente e senza disturbi.
Conoscere questi parametri, questi numeri, è condizione preliminare e indispensabile per poter decidere a ragion veduta quale sia la ripartizione più opportuna dei programmi, in primo luogo tra l'ente pubblico e le emittenti private, quindi tra le emittenti private che operano sul territorio nazionale e quelle che operano in ambito locale. Solo così è possibile verificare se concretamente vi siano obiettivi vincoli tecnici tali da determinare condizioni preliminari di oligopolio.
Nessuno oggi conosce questi parametri o è in grado di determinarli tempestivamente, in tempo utile. Per determinarli è necessario porre in atto un procedimento iterativo non indifferente, con modalità e criteri che la legge non può ignorare senza lasciar campo aperto alla discrezionalità che si tradurrebbe poi inevitabilmente in arbitrio, così come in effetti è facile prevedere avverrebbe in base a quanto disposto dal disegno di legge del Governo.
La nostra proposta di legge, al contrario, definisce compiutamente, in termini precisi ed esaurienti, il procedimento attraverso il quale si deve pervenire alla determinazione delle risorse di ascolto disponibili (articoli 7, 8, 9).
Lo strumento essenziale a tale scopo è il Piano Nazionale di Assegnazione delle Frequenze agli Impianti di emissione dei programmi radiofonici e televisivi. Questo piano determina anzitutto le aree di servizio degli impianti di emissione. Il piano deve cioè stabilire quali sono i luoghi o, più correttamente, le »postazioni sui quali è consentito installare gli impianti e deve definire le caratteristiche tecniche degli stessi, fissarne il numero che è consentito installare con quelle caratteristiche tecniche su ciascuna postazione e assegnare infine ad ogni impianto una frequenza. Si perviene in tal modo alla determinazione di una area di servizio, - cioè di una zona di territorio »illuminata - per ogni postazione e per gli impianti in essa collocati. Da ogni postazione sia il servizio pubblico che le emittenti private, locali e nazionali, con l'impianto e la frequenza che saranno successivamente loro assegnati, dovranno poter emettere il proprio programma sulla stessa area di servizio, contemporaneament
e e senza disturbi.
Il Piano deve inoltre suddividere il territorio nazionale in bacini di ascolto che, mediante l'aggregazione di più aree di servizio, costituiscono ciascuno il limite massimo per la diffusione dei programmi delle emittenti che intendono operare in ambito locale. L'area di ciascun bacino di ascolto deve essere determinata dal piano sulla base dell'area del territorio di ciascuna regione, per l'emittenza televisiva, e di ciascuna provincia, per l'emittenza radiofonica, nel rispetto delle caratteristiche etnico-culturali delle popolazioni da servire e tenuto conto della configurazione orografica del territorio. L'area del bacino può essere modificata per conseguire una più equilibrata ripartizione del territorio nazionale in considerazione del numero degli abitanti e del reddito medio pro-capite e potrà, quindi, comprendere anche più regioni, o parti di esse, per l'emittenza televisiva, e più province, o parti di esse, per l'emittenza radiofonica.
Il Piano Nazionale di Assegnazione delle frequenze è adottato dal Ministro delle poste e delle telecomunicazioni con decreto del Presidente della Repubblica.
Il Piano è predisposto da due Commissioni tecniche istituite con decreto del Ministro stesso e composte da esperti designati anche dall'ente pubblico e dalle associazioni nazionali delle emittenti private, sia di quelle nazionali che di quelle locali. Tra gli esperti designati dalle emittenti private prevalgono quelli designati dalle emittenti locali.
Il criterio di preferire le emittenti locali è stato adottato, oltre che per tener conto oggettivamente del fatto che queste emittenti sono molto più numerose, anche per assicurare maggiori garanzie al mantenimento di quella molteplicità e diversità di presenze sul mercato che è l'espressione più concreta della ragione che ha portato a riconoscere il diritto di emittenza ai privati; molteplicità e diversità che trovano proprio nelle emittenti locali le maggiori possibilità di manifestarsi e di esprimersi. E' questo un ulteriore aspetto che distingue la nostra proposta, in coerenza con una esigenza da molti, se non da tutti, più volte riconosciuta e sostenuta, e che non trova nel disegno di legge del Governo alcun preciso e concreto riscontro.
Nel predisporre il Piano, le Commissioni tecniche per determinare le aree di servizio si dovranno avvalere di ogni accorgimento tecnico inteso a massimizzare la disponibilità delle risorse di ascolto e a tal fine, tra l'altro, potranno anche consentire sovrapposizioni delle aree di servizio nell'ambito dello stesso bacino e dovranno rispettare per ciascuna area un minimo di densità di popolazione. Inoltre le due Commissioni nel dar corso al processo di determinazione delle aree di servizio partiranno, in prima ipotesi, dalla configurazione delle postazioni attualmente utilizzate sia dal servizio pubblico che dalle emittenti private, così quale risulterà dal censimento già avviato con il decreto-legge adottato dal Governo in questi ultimi mesi.
Per quanto riguarda la delimitazione dei bacini di ascolto la proposta di legge prevede che il Piano predisposto dalle due Commissioni tecniche sia sottoposto al parere delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e ne fissa, comunque, un numero limite inferiore: quindici per i bacini televisivi, quaranta per quelli radiofonici.
Una volta che le risorse di ascolto disponibili siano state determinate dal Piano di Assegnazione sarà necessario ripartirle anzitutto tra l'ente pubblico e l'emittenza privata, quindi tra le emittenti private nazionali e quelle locali. A tale scopo la proposta di legge fissa in due tabelle, l'una per le emittenti radiofoniche e l'altra per quelle televisive, il numero dei programmi da assegnare, sul territorio nazionale e per ogni bacino d'ascolto, all'ente pubblico e alle emittenti private nazionali. Le due tabelle fissano il numero dei programmi da ripartire per un intervallo di lavori probabili entro il quale potrà cadere quello che sarà determinato dal Piano di Assegnazione, nel rispetto delle norme internazionali. In tale modo, noto il risultato al quale sarà pervenuto il Piano Nazionale di Assegnazione, per l'emittenza televisiva e per quella radiofonica, la ripartizione dei programmi sarà automatica. I lavori delle due tabelle sono riferiti al numero minimo assoluto di programmi che il Piano asseg
nerà a tutti i bacini di ascolto, in modo da garantire una ripartizione uniforme dei programmi sull'intero territorio nazionale tra ente pubblico e emittenti private. Per quei bacini di ascolto, ai quali il Piano dovesse assegnare un numero di programmi maggiore di quello minimo, la differenza è attribuita a favore delle emittenti locali.
La proposta di legge al TITOLO II stabilisce poi (articolo 10) che la localizzazione degli impianti, determinata dal Piano di Assegnazione, equivale a dichiarazione di pubblica utilità. L'esproprio dei terreni, la realizzazione delle opere civili e degli allacciamenti sono demandati alle regioni, mentre l'onere relativo è assunto a carico dello Stato.
La proposta stabilisce infine (articolo 11) le norme per l'aggiornamento del Piano Nazionale di Assegnazione delle Frequenze agli Impianti.
I criteri e le modalità del procedimento di pianificazione delle risorse di ascolto, definite dalla nostra proposta, consentono, prima di assegnare gli impianti e le frequenze all'ente pubblico e di attribuirli alle emittenti private, di pervenire ad una precisa ed inequivocabile determinazione e, quindi, alla esplicita conoscenza di tutte e sole le postazioni sulle quali sarà consentita l'installazione degli impianti, partendo dalla allocazione attuale per poi modificarla in sede tecnica, fino a massimizzare la utilizzazione delle frequenze disponibili. Consente inoltre, di conoscere e determinare il numero degli impianti che sarà consentito installare su di ogni postazione con caratteristiche tecniche ben definite e con la frequenza che ciascun impianto dovrà impiegare, rendendo in tal modo determinato e preventivamente noto il numero dei programmi che sarà possibile e consentito emettere, contemporaneamente e senza disturbi, su ciascuna area di servizio e, di conseguenza, su ciascun bacino di ascolto e
sull'intero territorio nazionale.
Le successive fasi di assegnazione e di attribuzione degli impianti e delle frequenze agli aventi diritto saranno in tal modo non solo facilitate, ma potranno effettuarsi con evidente limpidità, senza lasciare margine alla discrezionalità di chi dovrà decidere o, quanto meno, contenendo i margini di errore e consentendo inoltre l'esame più rapido e diretto dei ricorsi di chi si ritiene ingiustamente danneggiato.
La scelta da noi fatta si propone anche - come già si è detto - lo scopo di consentire al legislatore, a tutti noi, di decidere sulla base di dati certi e di quesiti chiari.
E' quindi necessario porre ben definiti e precisi limiti ai successivi interventi in sede di predisposizione tecnica del procedimento di pianificazione, interventi che, sebbene essenziali, devono rimanere immuni da scelte e responsabilità politiche che spettano unicamente al legislatore.
Un esempio: a lungo, in molteplici e diverse sedi è stato posto il problema dei bacini di ascolto, o di utenza, e della loro determinazione senza mai chiarire se e perché il risolvere questo problema fosse compito e responsabilità tecnica o politica, ma limitandosi, come ancor oggi fa il disegno di legge del Governo, a demandarne la soluzione al Ministro, senza nulla o ben poco dire sui presupposti tecnici che è necessario conoscere per poter poi decidere, in sede politica. Nel disegno governativo non è chiaro neppure l'orientamento politico da fornire in sede tecnica per impostare e risolvere i relativi presupposti.
Il procedimento che abbiamo definito e precisato nella nostra proposta di legge - allo stato l'unico espresso, e, per quanto ci consta, l'unico attuabile - distinguendo chiaramente gli aspetti tecnici (le aree di servizio) da quelli politici (i bacini di ascolto), conserva intatta la sua validità anche nel caso s'intendessero adottare soluzioni politiche sostanzialmente diverse da quelle che hanno condizionato le nostre scelte.
Ad esempio il procedimento è unico, nelle sue implicazioni tecniche, sia per il servizio pubblico che per l'emittenza privata, e, in tal modo, garantisce una utilizzazione delle risorse disponibili, una volta determinate, ottimale nel suo complesso, superando una situazione in atto squilibrata e dispersiva. Sia le implicazioni tecniche che i risultati resterebbero immutati se la decisione politica relativa al servizio pubblico fosse di segno opposto a quella da noi scelta.
Nel TITOLO III, ORGANI DEL SISTEMA, la proposta di legge prende in considerazione tre momenti essenziali in ordine alla predisposizione, gestione e controllo del sistema. Si istituisce infatti il Comitato Nazionale per l'Emittenza Radiofonica e Televisiva, la Commissione per la rilevazione dei dati di ascolto ed infine l'organizzazione per la pianificazione a carattere privato, a supporto degli organismi istruttori per la pianificazione delle risorse di ascolto.
Il Comitato Nazionale per l'Emittenza Radiofonica e Televisiva (articolo 14) è l'organo al quale sono attribuiti tutti i compiti previsti per legge relativi alla gestione ed al controllo del sistema: dai pareri richiesti per l'adozione dei piani nazionali, a quelli concernenti il modello di bilancio per le emittenti ed il regolamento di attuazione relativo alle agenzie di informazione, alla tenuta del Registro Nazionale delle Imprese radiofoniche e televisive private. Il Comitato delibera altresì sulle domande di autorizzazione per la installazione degli impianti e l'esercizio delle emittenti, effettua i controlli tendenti ad accertare il rispetto delle condizioni imposte alle emittenti private ed infine delibera decadenze, revoche e sospensioni cautelari delle autorizzazioni.
L'articolo 12 ne definisce anzitutto la composizione (quindici membri, di cui cinque nominati dal Consiglio dei Ministri per l'Ente pubblico, cinque dalle emittenti private, di cui tre da quelle locali e due da quelle nazionali, ed infine cinque direttamente dal Presidente della Repubblica). Vengono precisate inoltre le incompatibilità e la retribuzione. L'articolo 13 individua poi la struttura e i poteri necessari all'espletamento delle funzioni del Comitato.
La presente proposta di legge abolisce, come si è detto, la Commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, coerentemente con la scelta effettuata di attribuire il servizio pubblico ad un ente pubblico che è sottoposto al normale circuito di controllo Governo-Parlamento, oltre ai controlli di legittimità.
La proposta di legge non prevede un organo di garanzia, come è invece stabilito nel disegno di legge del Governo, convinti come siamo che il massimo livello di garanzia si può e si deve ottenere dalla precisione, dalla completezza e dalla chiarezza della legge stessa. Diversamente la legge si presta a coprire aree incontrollabili di discrezionalità. Una volta ottenuto il massimo livello possibile di garanzia attraverso lo strumento legislativo, è necessario tutelare l'organo preposto alla gestione e al controllo del sistema da pericolose ingerenze partitocratiche: la soluzione da noi proposta affida ai diretti interessati (servizio pubblico e imprenditori privati) e al Capo dello Stato questo compito. E' a nostro avviso, la soluzione migliore nell'attuale situazione.
La presente proposta di legge accoglie poi (articolo 15) quella esigenza, riconosciuta anche nel disegno di legge del Governo, che impone la creazione di un organismo preposto alla rilevazione, all'analisi, alla pubblicizzazione e alla diffusione dei dati di ascolto, sia radiofonici che televisivi, dell'Ente pubblico e delle emittenti private. Per assolvere a tale esigenza è prevista l'istituzione di un Commissione composta anch'essa di quindici membri, di cui cinque nominati dall'Ente pubblico, cinque dalle emittenti private (due da quelle nazionali e tre da quelle locali) ed infine cinque dal Comitato Nazionale per l'Emittenza Radiofonica e Televisiva. La Commissione provvede ad effettuare le rilevazioni e le elaborazioni dei dati di ascolto, nonché gli studi e le indagini ritenuti necessari sull'andamento del mercato, mediante l'apporto sistematico e continuativo dei servizi specializzati dell'Ente Pubblico e/o di organizzazioni private. Gli oneri sono posti a carico della Presidenza del Consiglio,
A tutti è nota la »guerra dei dati tra la RAI-TV e le grandi emittenti private; guerra che prosegue nonostante l'accordo raggiunto sotto l'egida del sottosegretario onorevole Bogi per la costituzione di quell'organismo privato (l'AUDITEL) che non solo avrebbe dovuto portare la pace tra i grandi, ma anche la giustizia per i più piccoli e la »verità per tutti. Noi riteniamo che anche in questo campo, quello dell'affidabilità dei dati sugli ascolti, si ravvisi un interesse più generale che impone allo Stato di intervenire a garanzia di rilevazioni e risultati che grande influenza hanno sulle possibilità che il settore evolva non in contrasto con le condizioni ed i limiti posti dalla legge. La guerra dei dati è guerra di denaro. In questo settore si compra o si vende »ascolto . Necessita quindi una misura di questo pur sempre delicato e rischioso prodotto; una misura il cui metro è affidato a rilevazioni ed elaborazioni statistiche, con margini di incertezza inconsueti, tale pertanto da esigere il massimo d
i garanzia e continuità di controllo e che, per quanto possibile, sia al di sopra, se non al di fuori, delle parti. Per questi motivi noi riteniamo necessario attribuire allo Stato la gestione dell'organismo preposto a questo compito, con modalità e mezzi, anche finanziari, che assicurino la possibilità di agire tempestivamente e compiutamente, mediante quanto esiste di meglio, sia nell'ambito del servizio pubblico radiotelevisivo che nell'ambito privato. La proposta di legge prevede per la sua istituzione ed il suo funzionamento una disponibilità che arriva a 5 miliardi di lire, posti inizialmente a carico del Ministero del tesoro.
La situazione attuale, ancora una volta, si manifesta attraverso il contrasto tra i mezzi ed i procedimenti impiegati dal servizio pubblico e quelli introdotti dai privati: la realtà vera è che sia gli uni che gli altri sono del tutto inadeguati a interpretare ed a valutare con sufficiente approssimazione l'intero panorama del settore.
La fidabilità dei risultati è, in entrambi i procedimenti, orientata secondo le esigenze dei grandi operatori, i più piccoli ancora una volta sono affidati al caso, senza garanzie e possibilità di intervento.
Contro di loro sta l'interesse preminente e prevalente dei potenti. A questo si unisce l'onere da sostenere se si vuole - come si deve - estendere ed approfondire le indagini fino a renderle significative e fidabili anche per l'ambito locale. Fino a quando l'organismo al quale spetta il compito di fornire e garantire i dati sull'ascolto è affidato al privato, il maggior onere da sostenere per le esigenze delle emittenti locali costituisce un barriera insuperabile. Affidato questo compito allo Stato, non solo il sistema avrà maggiori possibilità e garanzie, nel suo complesso, ma le emittenti locali potranno finalmente disporre di elementi sufficienti e adeguati a sostegno e difesa dei loro legittimi interessi. Sarà, tra l'altro, meno facile »semplificare il fenomeno a vantaggio di »professionalità non sempre disinteressate.
La proposta di legge prevede poi all'articolo 16 che il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni promuova la costituzione da parte dei privati di un'apposita organizzazione che sia di supporto tecnico agli organismi istruttori per la pianificazione delle risorse di ascolto. L'organizzazione dovrà fornire principalmente alle Commissioni tecniche di cui al Titolo precedente l'apporto di parte privata per la gestione dei problemi comuni riguardanti i criteri di pianificazione del settore e le interazioni tra pianificazione dell'emittenza pubblica e di quella privata.
Il TITOLO IV, DISPOSIZIONI COMUNI, equipara (articoli 17, 18 e 21) l'attività radiotelevisiva a quella della stampa in relazione al reato di diffamazione, al diritto di rettifica e, più in generale, ai limiti legittimamente apponibili.
E' una precisazione doverosa stante l'atteggiamento della Corte Costituzionale incline a giustificare il diverso regime tra i due mezzi e ad ammettere la ragionevolezza di una discriminazione fondata su una presunta maggiore pericolosità della stampa (Corte Costituzionale, sentenza n. 168 del 1982).
Così, per il diritto di rettifica, il progetto riprende sostanzialmente la formulazione dell'articolo 42 della legge 5 agosto 1981, n. 416, che, innovando la disciplina prevista dalla vecchia legge sulla stampa n. 47 del 1948, non solo si distacca profondamente dalla normativa dettata per la rettifica televisiva dell'articolo 7 della legge 103, del 1975, ma rappresenta l'ipotesi più avanzata nella tutela della personalità del soggetto coinvolto dalla notizia.
Nella nuova formulazione della rettifica trova infatti spazio il pieno riconoscimento della tutela della propria immagine che il soggetto ha il diritto di »restaurare , attraverso una trasmissione »equivalente , anche se la notizia diffusa è vera.
La previsione esplicita dell'utilizzabilità della procedura d'urgenza di cui all'articolo 700 del codice di procedura civile in caso di omessa o incompleta rettifica serve a completare il quadro garantistico, dissipando ogni dubbio sull'esperibilità dell'azione civile anche in presenza di una fattispecie penalmente sanzionata.
In relazione alla prevista trasmissione coatta ed immediata (articolo 19) di comunicati da parte di tutte le emittenti, pubbliche e private, è sembrato opportuno limitare siffatta ipotesi ai gravi casi di urgente necessità pubblica e conseguentemente legittimare il Governo a siffatto intervento, in quanto organo costituzionalmente abilitato a far fronte alle situazioni di emergenza. Non si è esteso tale potere ad altri Presidenti, o perché privi del potere di messaggio, o perché, pur possedendo siffatto potere, come può dirsi per il Presidente della Repubblica, questo può essere adeguatamente esercitato avvalendosi della sola emittente pubblica, senza coinvolgere, anche fuori da situazioni di emergenza, la libertà delle emittenti private.
D'altro canto l'emittente pubblica, proprio perché costituita come »ente pubblico , nonostante l'autonomia di cui gode, non può sottrarsi al potere d'intervento del Governo che del messaggio presidenziale costituisce l'istituzionale portatore.
Sui film e sulla tutela dei minori (articolo 20) è sancito l'avvertimento costante del divieto ai minori di 18 anni.
Mentre l'aggancio alle decisioni della Commissione di censura cinematografica è inevitabile (non potrebbe ammettersi altrimenti una qualsiasi forma di censura privata sulle opere altrui), l'estensione del nulla-osta ai film destinati alla televisione risponde ad un'esigenza fin troppo ovvia di ragionevole equiparazione ai film destinati alle sale cinematografiche.
Il TITOLO V, ENTE PUBBLICO NAZIONALE RADIOTELEVISIVO, della proposta di legge ne ribadisce anzitutto (articolo 22) l'istituzione dell'Ente e nel contempo ne definisce i compiti, i fini e gli obiettivi.
All'Ente, in conformità all'impostazione da noi prescelta, è attribuita personalità giuridica di diritto pubblico con natura economica.
I compiti sono quelli di assicurare nel territorio nazionale - mediante l'installazione e l'esercizio degli impianti e delle frequenze attribuiti all'ente dal Piano Nazionale di Assegnazione delle Frequenze - servizi di informazione, cultura, educazione e spettacolo nel settore dell'emittenza radiofonica e televisiva.
Il fine è di realizzare i princìpi di obiettività e apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali.
I primi obiettivi dell'Ente sono quelli di garantire la ricezione dei programmi e il diritto dei cittadini alla più completa e imparziale informazione, favorendo la molteplicità delle opinioni e degli orientamenti culturali. L'Ente deve poi provvedere alla diffusione di programmi didattico-educativi nel rispetto dei diversi indirizzi, trasmettere servizi informativi sul Parlamento e l'attività delle forze politiche e sindacali e assicurare l'assoluto rispetto del principio paritario alla propaganda elettorale. Inoltre all'Ente è affidato il compito della sperimentazione tecnica nel campo delle trasmissioni radiofoniche e televisive, al fine di assicurare il progressivo e continuo adeguamento tecnologico, strutturale e organizzativo alla propria presenza sul mercato.
All'Ente, anche in relazione alla sua natura di Ente economico, spetta infine il compito di cedere, sia in Italia che all'estero, i programmi prodotti o acquistati sul mercato per svolgere la propria attività; la cessione dei programmi deve essere effettuata nel rispetto delle condizioni economiche offerte dal mercato. La cessione dei programmi, che non siano relativi alla cronaca di qualsiasi genere o alla attualità politica culturale ed educativa, alle emittenti italiane non può avvenire prima che siano trascorsi 2 anni dalla loro messa in onda da parte della emittente pubblica. I proventi della vendita dei programmi devono essere destinati alla sperimentazione e al rinnovo degli impianti, per evitare che questa attività commerciale possa assumere aspetti tali da snaturare, i compiti e le finalità dell'Ente.
L'Ente si sostituisce alla RAI-TV (articolo 23), acquisendone tutte le azioni, ed è sottoposto all'indirizzo ed al controllo del Consiglio dei ministri, al quale trasmette mensilmente informazioni dettagliate sulla propria attività. Il Governo, a sua volta, ne risponde al Parlamento, sollecitandone il controllo con una relazione semestrale a ciascuna Camera.
La proposta di legge istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (articolo 24) il Centro di documentazione sulla attività dell'ente pubblico. Il Centro dispone di tutte le informazioni sull'attività dell'Ente che, su richiesta, provvede anche ad elaborarle. L'accesso e la richiesta di informazioni è consentita a tutti, è gratuita per i membri del Parlamento e del Governo ed è a pagamento per chiunque altro. Sono previsti i tempi entro i quali deve avvenire la consegna delle registrazioni dei programmi trasmessi dall'Ente. La struttura e l'organizzazione del Centro saranno determinate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e l'onere è posto a carico dello stato di previsione della stessa Presidenza del Consiglio.
L'Ente non può trasmettere messaggi pubblicitari (articolo 25) e viene direttamente ed esclusivamente sovvenzionato dallo Stato.
La proposta di legge delega al Governo (articolo 28) la definizione delle modalità di attuazione per il finanziamento dell'ente precisandone i princìpi e i criteri direttivi. Gli stanziamenti annuali a favore dell'Ente devono essere tali da consentirgli di assolvere a tutte le funzioni attribuitegli in maniera competitiva con l'emittenza privata. Gli stanziamenti sono composti da una quota fissa che non può da sola garantire la sopravvivenza dell'intero apparato dell'Ente e da una quota variabile. La quota variabile deve essere commisurata al rapporto tra gli indici di ascolto raggiunti, separatamente e con valore decrescente, dai programmi di informazione, culturali-educativi e di evasione dell'Ente e da quelli delle reti nazionali private.
Il Consiglio di amministrazione dell'Ente è composto (articolo 26) da nove membri nominati dal Consiglio dei ministri, previo parere del Parlamento ai sensi della legge 24 gennaio 1978, n. 14. La proposta di legge ne precisa attribuzioni, durata e incompatibilità dei componenti. Tra l'altro il Consiglio di amministrazione nomina il direttore generale e su sua proposta i direttori delle reti e delle testate. Giacché gli atti dell'ente sono sottoposti al regime di diritto privato, lo sono anche i rapporti con i dipendenti e con i collaboratori che vengono pertanto disciplinati nel rispetto degli accordi sindacali.
La gestione operativa dell'Ente è affidata (articolo 27) ad un Comitato esecutivo composto dal Presidente e da due membri del Consiglio di amministrazione, nominati dal Consiglio stesso.
Il controllo della gestione è affidato (articolo 28) ad un collegio di cinque revisori dei conti, uno nominato dal Ministro del tesoro, uno dal Ministro delle poste e delle telecomunicazioni e tre estratti a sorte da una rosa di nominativi designati dal Presidente del Consiglio. Il controllo di legittimità viene effettuato (articolo 29) dalla Corte dei conti a norma dell'articolo 12 della legge 21 marzo 1958, n. 259, e quindi attraverso la presenza di »delegati della Corte dei conti all'attività degli organi di amministrazione dell'Ente.
La disciplina organizzativa di completamento sarà adottata (articolo 30) entro sei mesi con regolamento governativo.
La proposta di legge infine disciplina compiutamente (articolo 31) le trasmissioni relative alle campagne per le elezioni politiche, europee, regionali e amministrative che interessino almeno un terzo degli elettori, precisando, anzitutto, i tempi che l'Ente è tenuto ad assicurare per ogni rete a ciascun partito rappresentato in Parlamento e a ciascuna lista presente con lo stesso contrassegno in almeno i due terzi dei collegi interessati alle elezioni. E' anche stabilito che l'ordine di successione delle trasmissioni elettorali è estratto a sorte; che deve essere osservato comunque il principio della eguaglianza dei tempi tra le forze politiche aventi il diritto all'accesso; che è fatto divieto all'Ente di diffondere sondaggi di opinione e di trasmettere interviste o dibattiti con candidati o di diffondere le loro immagini nel corso dei notiziari; l'esclusione infine dalle altre trasmissioni di ogni riferimento alla campagna elettorale. Durante la campagna elettorale il Centro di documentazione si attrez
za per la rilevazione e l'elaborazione delle informazioni relative alle esigenze di controllo per l'emissione dei programmi elettorali anche per le reti e i circuiti privati. La consegna delle elaborazioni ai richiedenti deve avvenire in tempi dimezzati rispetto a quelli di norma previsti.
La disciplina delle trasmissioni preelettorali è estesa (articolo 32), con le opportune modifiche, alle campagne elettorali relative ai referendum nazionali (abrogativo e costituzionale).
Il TITOLO VI, EMITTENZA PRIVATA, consta di tre parti:
il Capo I, Disciplina per l'esercizio dell'emittenza privata;
il Capo II, Impresa radiofonica e televisiva privata, disciplina della concorrenza;
il Capo III, Impianti ripetitori di programmi radiofonici e televisivi esteri.
Per quanto riguarda la Disciplina per l'esercizio dell'emittenza privata la nostra proposta di legge coerentemente al principio-guida secondo il quale, nel comparto privato vige la regola della libertà d'iniziativa, non prevede, in alcun caso, la concessione per consentire al privato l'emissione di programmi radiofonici e televisivi, ma unicamente l'autorizzazione, sia per l'ambito nazionale che per quello locale. L'autorizzazione è prevista esclusivamente per consentire allo Stato il controllo sul rispetto dei vincoli derivanti dalla limitatezza delle frequenze e dalla necessità di contemperare l'interesse del titolare dell'emittente con quello della collettività che riceve le trasmissioni.
Pertanto chiunque intenda installare impianti ed esercire emittenti di programmi radiofonici e televisivi deve ottenere (articolo 34) l'autorizzazione dal Comitato Nazionale per l'Emittenza Radiofonica e Televisiva di cui al titolo precedente.
L'autorizzazione ha per tutti la durata di sei anni, è rinnovabile e non è trasferibile.
L'autorizzazione istituisce, sia nel campo radiofonico che in quello televisivo, un sistema (articolo 35) per il settore privato che si articola su tre specie o categorie di emittenza: le emittenti locali, le reti nazionali e i circuiti. Ciascuna categoria svolge nel sistema una differente funzione, con facoltà e obblighi distinti, accogliendo in tal modo indicazioni positive emerse dal mercato in questi anni e che tuttavia necessitano di puntuali riscontri legislativi per poter coesistere, assicurando molteplicità e diversità di presenze sia per dimensione che per carattere dell'impresa, senza costituire condizioni di ingiustificato favore delle une rispetto alle altre.
Per le emittenti locali l'autorizzazione è rilasciata per uno o più impianti all'interno di un bacino di ascolto fino a un numero massimo di impianti sufficiente a servire con un programma radiofonico o televisivo l'ottanta per cento delle aree di servizio comprese nel bacino stesso.
Questo limite è stato imposto per impedire che le richieste di servire l'intero bacino, una volta accolte, esauriscano le disponibilità di risorse di ascolto assegnate dal Piano Nazionale, precludendo ogni margine alle emittenti che vogliono coprire con il loro programma in un bacino ambìti locali più limitati e circoscritti.
Ciascuna emittente locale, una volta acquisita l'autorizzazione, è tenuta ad emettere - sull'insieme degli ascoltatori - il proprio programma per un minimo di otto ore al giorno e sessantatre alla settimana programmi autoprodotti (che costituiscono l'espressione tipica di quella libertà di manifestazione del pensiero che, a sua volta, costituisce il titolo di legittimazione costituzionale per la privatizzazione del settore) devono essere in misura non inferiore al quindici per cento delle ore di emissione settimanali, mentre i messaggi pubblicitari (che costituiscono manifestazioni economiche limitabili in quanto tali) non devono avere una durata superiore al tredici per cento delle ore emesse nella settimana, con non più del diciassette per cento in ciascuna ora effettiva di emissione.
Lo stesso soggetto non può ottenere (articolo 40) più di tre autorizzazioni per le emittenti televisive o più di cinque per quelle radiofoniche, ciascuna in un bacino diverso e che non siano fra loro contigui. Il titolare di un'emittente locale può ottenere anche l'autorizzazione per una emittente radiofonica nello stesso bacino di ascolto, purché vi sia disponibilità di risorse.
Le emittenti locali possono acquisire pubblicità, limitatamente all'ambito del bacino di ascolto in cui operano, anche mediante una propria concessionaria.
Per le reti nazionali l'autorizzazione è unica ed è rilasciata per un numero di impianti sufficienti a servire con un programma almeno i quattro quinti dei bacini d'ascolto definiti dal Piano Nazionale di Assegnazione e a servire almeno il sessantacinque per cento e non più dell'ottanta per cento delle aree di servizio di ciascun bacino per il quale l'autorizzazione è rilasciata. Il limite dell'ottanta per cento imposto per ogni bacino risponde alla stessa esigenza che ha indotto ad imporlo alle emittenti locali, mentre quello inferiore del sessantacinque per cento, nonché quello dei quattro quinti imposto al numero di bacini nei quali la rete deve essere presente con il proprio programma, è fissato per garantire che l'autorizzazione sia rilasciata a chi si propone di operare effettivamente su una dimensione nazionale, possedendo anche requisiti e capacità adeguate. I limiti imposti sono tuttavia tali che, se da un lato tendono ad assicurare il rispetto della dimensione nazionale della rete - sia essa rad
iofonica che televisiva - dall'altro evitano di costringere l'imprenditore privato alla copertura dell'intero territorio nazionale, con oneri eccessivi e per lui impropri, e lasciano in ciascun bacino sufficienti margini di flessibilità e di scelta alla sua iniziativa.
La rete nazionale è tenuta ad emettere il proprio programma per durate minime superiori a quelle fissate per le emittenti locali (14 ore e 105 rispettivamente nella giornata e nella settimana); anche l'incidenza dei programmi autoprodotti è superiore (30 per cento delle ore di emissione nella settimana), mentre per i messaggi pubblicitari i limiti sono gli stessi.
La rete nazionale è inoltre impegnata non solo ad emettere, come le emittenti locali, contemporaneamente su tutte le aree di servizio, oggetto dell'autorizzazione, lo stesso programma, ma anche gli stessi messaggi pubblicitari, con il conseguente divieto di emettere comunque programmi e messaggi pubblicitari diversi su una o più delle aree servite.
Per le reti nazionali lo stesso soggetto non può ottenere più di una sola autorizzazione.
Le reti nazionali possono però non solo raccogliere, anche mediante una propria concessionaria, pubblicità per il proprio programma, ma anche per un circuito di emittenti locali.
L'autorizzazione sia per le emittenti locali che per le reti nazionali, comporta anche l'attribuzione dei collegamenti necessari per trasferire il proprio segnale dagli studi ai relativi impianti di trasmissione e da questi a tutti gli altri impianti che ripetano il programma sulle aree di servizio oggetto dell'autorizzazione.
Tutte le emittenti, locali o reti nazionali, oltre a poter emettere ciascuna un solo programma, lo possono emettere su più aree di servizio solo in contemporanea, mediante interconnessione. Solo a tali condizioni infatti è possibile assicurare il rispetto effettivo dell'ambito e della specificità che hanno motivato la richiesta e l'accoglimento dell'autorizzazione stessa.
Il circuito è istituito (articolo 42) quando più emittenti locali, autorizzate ad emettere il proprio programma ciascuna in un bacino diverso, richiedano, d'accordo tra loro, al Comitato Nazionale anche l'autorizzazione ad interconnettersi per emettere contemporaneamente lo stesso programma su tutte le aree da loro servite.
Ad ogni emittente locale può essere rilasciata una sola autorizzazione per collegarsi in un circuito e la durata massima dell'autorizzazione è stabilita in tre anni ed è rinnovabile. L'autorizzazione comporta anche l'attribuzione dei collegamenti radioelettrici necessari per interconnettere gli impianti delle emittenti richiedenti. Una emittente locale può recedere da un circuito ed aderire ad un altro anche prima della scadenza del termine di validità dell'autorizzazione.
Il circuito può emettere il programma comune per una durata non superiore alle sei ore al giorno e per non più di due ore tra le ore 20 e le ore 23. Durante questi periodi il circuito non può emettere programmi diversi su una o più delle aree servite dalle emittenti che ne fanno parte, le quali sono anche tenute, durante i periodi in cui trasmettono il programma comune, a non emettere programmi pubblicitari diversi l'una dalle altre per più del cinquanta per cento della durata di tali periodi. In altri termini, le emittenti di un circuito non possono inserire pubblicità locale durante il programma comune per più della metà della durata di questo programma; l'altra metà del tempo occupato dal programma comune interconnesso è riservata all'inserimento di messaggi pubblicitari che interessino un ambito più vasto di quello locale, coincidente con l'insieme di tutte le aree servite dalle emittenti che fanno parte del circuito, il quale può anche arrivare a coprire l'intero territorio nazionale.
Il sistema così articolato in emittenti locali, reti nazionali e circuiti non solo offre garanzie di certezza in ordine ai compiti assegnati alle diverse iniziative, precisandone limiti e facoltà e definendo un quadro normativo che consente a ciascun operatore di muoversi con sicurezza nel campo prescelto, ma favorisce anche un rapporto più equilibrato tra le forze in campo.
Le reti nazionali, cioè i maggiori operatori, trovano un esplicito riconoscimento e spazi adeguati, ma trovano anche un preciso divieto al mantenimento della situazione oggi esistente, oggettivamente inaccettabile.
Spazio adeguato è loro fornito con la possibilità che la proposta offre ad ogni rete nazionale di distribuire programmi e di raccogliere pubblicità anche per un circuito di emittenti locali. In termini di mercato ciò equivale a disporre di due reti con la differenza che tale maggiore potenzialità è posta al servizio, e non a danno, delle emittenti locali, come invece oggi avviene.
L'abbinamento di una rete con un circuito è la proposta per risolvere il nodo più grave che la situazione attuale presenta: le tre reti private esistenti raccolte in una sola mano e l'offerta di programmi e di pubblicità nazionale per le emittenti locali raccolta, di fatto, solo in un'altra. E' questo il cerchio che è necessario spezzare se non si vuole distruggere (in caso contrario ne siano chiare le responsabilità) l'emittenza locale, riducendola a supporto di comodo per operatori nazionali o a inutile sagra paesana.
Il Capo I del TITOLO VI (Disciplina per l'esercizio dell'emittenza privata), precisa anche (articolo 36) quali siano i requisiti soggettivi richiesti per il rilascio delle autorizzazioni. L'apertura alle società prive di personalità giuridica, alle associazioni, ai partiti, risponde all'esigenza di garantire a tutti, secondo i principi costituzionali, la fruizione delle libertà di manifestazione del pensiero anche attraverso il mezzo radiotelevisivo.
D'altro canto, la preoccupazione di favorire concentrazioni oligopolitiche - attraverso l'esclusione degli ordinari controlli statutari di cui tali soggetti beneficiano - dovrebbe essere fugata dalla particolare normativa antitrust che la presente proposta di legge prevede. Le relative regole gravano infatti su tutte le emittenti, qualunque sia il soggetto che ne è titolare.
Se le associazioni, riconosciute o non, vorranno utilizzare il mezzo radiotelevisivo per diffondere le proprie idee dovranno sottostare a tutte le regole di »limpidezza , e quindi di pubblicità, previste dalla legge.
D'altro canto, non si può nemmeno cancellare con un colpo di spugna l'esistente dove, in particolar modo, nel settore radiofonico, pullulano emittenti gestite da associazioni di diversa estrazione.
Sempre in questa parte la proposta di legge definisce con molta puntualità e precisione le modalità da seguire per l'emanazione dei bandi di concorso (articolo 38) relativi alle autorizzazioni che possono essere rilasciate ai privati.
I bandi sono emanati dal Comitato Nazionale per l'Emittenza Radiofonica e Televisiva disgiuntamente per l'emittenza radiofonica da quella televisiva e per l'emittenza locale disgiuntamente da quella nazionale.
Con altrettanta puntualità vengono precisati i contenuti della domanda e degli allegati (articolo 39) che i richiedenti di autorizzazioni sono tenuti ad inoltrare al Comitato Nazionale. Qualunque sia il concorso al quale si intenda partecipare, il richiedente deve dichiarare che i dati esposti nella domanda corrispondono a verità. Chi espone dati non conformi al vero è punito a norma del primo comma dell'articolo 483 del codice penale.
La proposta di legge definisce quindi (articolo 41) anche il procedimento per la verifica e la valutazione delle domande presentate per il rilascio delle autorizzazioni.
Il Comitato Nazionale per l'Emittenza Radiofonica e Televisiva, verificato il possesso da parte dei richiedenti dei requisiti soggettivi previsti per ottenere l'autorizzazione, procede alla valutazione delle domande, anzitutto sulla base di un criterio preferenziale comune a tutte le emittenti, radiofoniche, televisive, locali o nazionali. Questo criterio è costituito dalla richiesta di autorizzazione a servire, con il proprio programma, il maggior numero di aree di servizio consentito.
E' parso conveniente preferire gli operatori pronti ad assicurare un servizio più esteso e completo alla collettività, anche perché tale criterio permette un più razionale impiego delle risorse di ascolto disponibili. Solo in caso di parità di condizioni sono previsti criteri aggiuntivi per la comparazione delle domande. Tra questi, la priorità è stata assegnata all'esperienza nel settore. Nell'attribuire gli impianti e le frequenze agli aventi diritto all'autorizzazione, il Comitato Nazionale deve tenere conto delle preferenze manifestate dal richiedente, perché fondate sull'esperienza maturata nell'area di servizio di ciascun impianto. E' parso opportuno, se e quando ciò non costituisca pregiudizio per gli altri, consentire alle emittenti operanti da tempo in quell'area il mantenimento delle frequenze precedentemente impiegate.
Concludono il Capo I del TITOLO VI altri nove articoli, dal 42 al 50. Il primo disciplina l'autorizzazione per l'emissione di programmi comuni da parte di circuiti di emittenti locali nei termini di cui si è già detto, il secondo l'autorizzazione per l'installazione di impianti non inclusi nel Piano di Assegnazione, ma utilizzabili - quando siano compatibili con l'attuazione del Piano stesso - per l'emissione di programmi radiofonici e televisivi in zone più limitate e secondarie. Il terzo disciplina i programmi autoprodotti. I quarto articolo, non soltanto ribadisce i limiti alla pubblicità già descritti nei precedenti articoli, ma vieta - in generale alle imprese concessionarie di raccogliere pubblicità per più di una rete e per più di un circuito e, in ambito locale, per più di un bacino di ascolto. Il quinto articolo tratta dell'obbligo per i titolari di autorizzazione di tenere un registro su cui annotare i dati relativi ai programmi e i messaggi pubblicitari trasmessi e di conservare per almeno un m
ese le registrazioni. Il sesto, il settimo e l'ottavo articolo riguardano i casi di decadenza dall'autorizzazione, il relativo procedimento e l'estinzione. Il nono e ultimo articolo (articolo 49) disciplina le trasmissioni preelettorali relative alle emittenti private.
Le reti nazionali e i circuiti televisivi sono tenuti a riservare a ciascun partito o gruppo politico che partecipa alle elezioni, l'accesso gratuito per un tempo complessivo di 86 minuti, di cui 56 nella fascia oraria tra le 20,30 e le 23, secondo precise modalità. Le emittenti locali devono invece riconoscere a ciascun partito e gruppo politico l'accesso gratuito per 30 minuti nella stessa ora, nella fascia oraria tra le 20,30 e le 23. E' peraltro stabilito che sia le reti e i circuiti che le emittenti locali televisive possano riservare alla propaganda elettorale a pagamento non più di un terzo del tempo complessivo giornaliero utilizzato per la pubblicità commerciale. Il tempo offerto dev'essere ripartito in parti uguali tra i partecipanti alla competizione elettorale a tariffe e condizioni uguali. Le trasmissioni elettorali, se a pagamento, devono dichiararlo in sovraimpressione. Le emittenti radiofoniche sono tenute ad osservare norme analoghe a quelle stabilite per le emittenti televisive locali, i
n fasce orarie che tengano conto del diverso andamento dell'ascolto. Al Ministro dell'interno è affidato il compito di controllare l'osservanza delle norme avvalendosi anche del Centro di documentazione sull'attività dell'Ente pubblico che, nei periodi riservati alle campagne elettorali, provvede anche a seguire i programmi delle emittenti private. In caso di inottemperanza alle prescrizioni ripristinatorie e nell'ipotesi d'infrazione accertata dopo lo svolgimento della campagna elettorale, il Ministro dispone la chiusura dell'emittente fino ad un massimo di cinque giorni. Il criterio-guida per la disciplina delle trasmissioni preelettorali è quello di garantire equità e parità di trattamento per tutte le forze politiche che vi partecipano ed anche di contenere la spesa elettorale, sia per i partiti che per i candidati.
Il Capo II (Impresa radiofonica e televisiva privata - Disciplina della concorrenza) del TITOLO VI ha per oggetto alcune regole fondamentali che concorrono, unitamente alle linee-guida del progetto, ad evitare la concentrazione delle imprese titolari di autorizzazioni.
E' un obiettivo imprescindibile, non soltanto perché deriva da un categorico comandamento della Corte costituzionale, ma anche perché risponde al dovere d'intervenire su una situazione di fatto già pericolosamente »concentrata nel settore televisivo, la cui irreversibilità, peraltro, è solo apparente.
Le norme previste si concretizzano nell'istituzione di un registro nazionale nel quale debbono iscriversi non soltanto tutte le imprese radiotelevisive titolari di autorizzazioni, ma anche le cosiddette imprese di servizi, cioè tutte quelle imprese che in vario modo supportano e possono condizionare l'attività radiotelevisiva.
Registrazione è sinonimo di »trasparenza che costituisce il presupposto di ogni normativa anti-trust.
Sempre in chiave di trasparenza è stata prevista la »personalizzazione dei partecipanti alle imprese del settore.
Inoltre si è imposto un obbligo di pubblicità anche a tutte le imprese che in qualunque modo esercitino un controllo sull'impresa autorizzata. La possibilità di rendere effettivo tale obbligo è affidata all'attività inquisitiva del magistrato penale giacché sono previste pesanti sanzioni nell'eventualità che il soggetto controllante tenti di eluderlo.
Un ulteriore intervento per realizzare la trasparenza è quello diretto sul bilancio. Questo dovrà rispondere ad un modello predisposto di concerto tra il Presidente del Consiglio e il Comitato per l'Emittenza radiofonica e televisiva, che s'ispira all'esigenza di dare la massima pubblicità a tutte le fonti di finanziamento.
A garanzia della veridicità di tutti i dati imposti ed esposti nel bilancio, qualora l'ammontare dei mezzi amministrati superi i tre miliardi, è prevista la »certificazione , dello stesso da parte delle società a ciò autorizzate.
Inoltre, di regola, sono vietate partecipazioni di emittenti nelle società di servizi e viceversa, al fine di evitare indebite pressioni esterne nella conduzione delle emittenti radiofoniche e televisive private.
Il Capo II del TITOLO VI definisce anzitutto, come è stato or ora precisato, aspetti prevalentemente tecnici di una condizione più generale che la proposta di legge si propone di garantire al settore della emittenza radiofonica e televisiva, quella di evitare ed impedire la concentrazione e l'oligopolio.
Si tratta di una condizione che la nostra proposta ha voluto garantire fin dall'inizio con la propria impostazione e con le scelte fatte in merito all'articolazione predisposta per il sistema, nonché con i procedimenti che ne regolano il funzionamento, ancor più di quanto si ritenga possibile assicurare attraverso accorgimenti e norme di carattere tecnico.
Come si è avuto occasione di sottolineare più volte, l'attribuzione del servizio pubblico ad un Ente pubblico, con la conseguente uscita dal mercato pubblicitario, costituisce una prima essenziale garanzia a favore di una maggiore e più diretta concorrenzialità nel campo riservato all'iniziativa privata.
Il procedimento di pianificazione delle risorse d'ascolto, per determinarne e renderne nota l'effettiva disponibilità, così come è stato formulato, costituisce, a nostro avviso, una seconda fondamentale garanzia.
La precisione con la quale sono definite le facoltà ed i limiti stabiliti per le reti nazionali, per le emittenti locali e per i circuiti, nonché le disposizioni sancite per dar luogo ad una articolazione puntualmente determinata del settore, dotata anche di margini elevati di flessibilità, costituisce una terza, non meno importante, garanzia.
In questa parte della proposta di legge - come si è detto - sono anche considerate (articolo 54) le imprese di servizi.
Si tratta di imprese che in vario modo supportano l'attività delle emittenti radiofoniche e televisive e ne condizionano in termini rilevanti l'autonomia e le capacità operative. Si tratta in particolare delle agenzie di pubblicità, delle concessionarie di pubblicità, delle imprese che esercitano attività nel settore della produzione e distribuzione di programmi, delle agenzie giornalistiche specializzate nell'informazione radiofonica e televisiva e delle imprese autorizzate ad installare ed a gestire reti di collegamenti.
Diverse disposizioni che riguardano la regolamentazione dei rapporti tra queste imprese e le emittenti sono state già incluse in altre parti della proposta, ma sono qui richiamate per offrire un quadro, nel suo insieme, completo.
Tra le imprese di servizi abbiamo ritenuto fosse corretto inserire anche le agenzie di pubblicità, in generale da tutti escluse. A nostro parere, si tratta di operatori molto influenti e determinanti sul settore. La loro esclusione è infatti indice di »protezione , del loro effettivo potere che consente, quasi sempre, a questi operatori di non apparire, di rendere meno esplicita ed evidente l'influenza ed il peso che hanno sul mercato e sulla ripartizione ed assegnazione del complesso dei proventi pubblicitari alle emittenti. Il ruolo delle agenzie è infatti quello di acquisire il budget pubblicitario dal committente, di »pianificarlo e, di fatto, distribuirlo sul mercato, al riparo di una propria »qualità professionale , neutrale per definizione, ma forte di un proprio potere economico e finanziario che spesso arriva da molto oltre le nostre frontiere.
L'esclusione delle agenzie pubblicitarie dalla normativa prevista per le altre società di servizi è da molti giustificata dal fatto che non entrano direttamente in rapporto con le emittenti, ma solo con il committente, da un lato, e con le concessionarie, dall'altro. Ma di quale autonomia godono le concessionarie nel ripartire ed assegnare la pubblicità alle emittenti? Il loro interesse è infatti condizionato unicamente dall'importo complessivo del fatturato, dovuto all'automatismo degli indici di ascolto, determinati - come si è detto trattando del TITOLO III - unicamente dalla logica dei grandi numeri.
In questa situazione »l'indice di ascolto è compatibile e congeniale esclusivamente con l'interesse dei grandi operatori - siano questi i committenti o gli utilizzatori - e la professionalità »semplificatrice delle agenzie costituisce - se non altro per ragioni di controllo - lo stimolo più efficace ed il supporto più agguerrito della concentrazione.
Per queste ragioni riteniamo corretto sottoporre anche le agenzie di pubblicità alla regolamentazione prevista per le altre imprese di servizi ed, in particolare, precludere loro la possibilità di attribuire allo stesso destinatario, sia una concessionaria, una rete, un circuito o una emittente locale, in un anno più del 60 per cento del budget pubblicitario dello stesso committente e riteniamo questa una garanzia specifica, essenziale per evitare la concentrazione e l'oligopolio.
Altra norma che ha importanza significativa, sempre a questo fine, è quella che vieta alle imprese che producono o distribuiscono programmi radiofonici o televisivi di riservare i diritti di emissione alla stessa emittente per più di due anni consecutivi, salvo che l'emittente non abbia partecipato direttamente al finanziamento della produzione del programma per almeno un sesto dell'intero importo.
Salvo quanto già previsto per le emittenti locali e per le reti nazionali, in riferimento alla facoltà loro riconosciuta di partecipare anche in maggioranza alle imprese concessionarie di pubblicità ed a quelle distributrici o produttrici di programmi, viene qui ribadito il criterio che impedisce in generale alle emittenti di avere partecipazioni, anche di minoranza, nelle imprese di servizi.
La violazione degli obblighi previsti per le imprese di servizi comporta per l'imprenditore la reclusione da 1 a 5 anni e la multa da 10 a 100 milioni di lire.
Questa parte della nostra proposta sancisce (articolo 55) l'esigenza per l'emittenza radiofonica e televisiva privata di disporre dei servizi giornalistici di agenzie specializzate nel settore per poter esercitare non solo il proprio diritto all'informazione, ma rispondere e soddisfare anche all'esigenza della collettività di essere, con il diritto riconosciuto al privato, più compiutamente e adeguatamente informata.
Alle agenzie giornalistiche che si specializzino nel settore e vi operino diffondendo i propri servizi ad almeno 15 emittenti locali che emettano i loro programmi in almeno 5 bacini di ascolto diversi, il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni deve assicurare l'uso dell'indispensabile servizio di interconnessione ed eroga contributi per un importo complessivo annuo di 1.500 milioni di lire. Il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, sentito il parere del Comitato Nazionale per l'Emittenza Radiofonica e Televisiva, emanerà il relativo regolamento di attuazione secondo i criteri e l'orientamento espressi nella proposta di legge.
Anche con il tema delle agenzie giornalistiche, che è indubbiamente di interesse generale, la proposta vuol considerare con particolare attenzione la condizione delle emittenti locali e le difficoltà che queste incontrano per poter essere un punto di riferimento, il più vicino possibile all'interesse dei propri utenti, ma senza divenire, nel contempo, mezzo di isolamento e di separazione.
Il Capo III del TITOLO VI (Impianti ripetitori di programmi radiofonici e televisivi esteri) tratta della installazione e dell'esercizio di impianti ripetitori di programmi radiofonici e televisivi diffusi da organismi esteri sul territorio nazionale.
Di fronte all'alternativa di non consentire la ripetizione di tali programmi o di consentirla vietando l'inserimento a qualsiasi titolo di qualsiasi forma di pubblicità, la soluzione da noi adottata prevede di consentire sia la diffusione dei loro programmi che l'inserimento della pubblicità, ma in modo che queste emittenti possano costituire apertamente un aiuto alla scelte che il mercato offre alle emittenti locali, oltre che un possibile arricchimento della scelta di programmi offerta ai cittadini. L'autorizzazione (articolo 57) è tuttavia rilasciata solo se le risorse disponibili siano tali da esaurire preventivamente tutte le richieste delle reti nazionali e delle emittenti locali.
Abbiamo già fatto notare come uno degli aspetti più delicati del sistema dell'emittenza privata sia quello di consentire alle emittenti locali il massimo di possibilità di accedere alla pubblicità nazionale mediante l'istituzione di circuiti, per fare in modo che queste emittenti possano integrare i proventi provenienti dalla pubblicità raccolta nel solo ambito del proprio bacino, spesso insufficiente a garantire loro una esistenza autonoma e significativa.
La proposta di legge pone come prima condizione che i programmi radiofonici o televisivi per i quali si richiede l'autorizzazione per la loro ripetizione sul territorio nazionale siano diffusi da organismi esteri, sia pubblici che privati, regolarmente autorizzati in base alle leggi dei rispettivi paesi e purché tali organismi non siano stati costituiti al solo scopo di diffondere i programmi sul territorio italiano, al fine di escludere la possibilità di pretestuose e illecite interferenze sul nostro Paese.
L'autorizzazione è concessa, con decreto del Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, dal Comitato Nazionale se nei bacini di ascolto oggetto della richiesta siano già state soddisfatte tutte le richieste inoltrate in risposta ai bandi emanati e residui un adeguato margine di risorse d'ascolto determinate dal Piano Nazionale di Assegnazione.
L'autorizzazione può essere rilasciata unicamente per l'ambito locale e per non più di un terzo dei bacini d'ascolto e ha la durata di tre anni, è rinnovabile e non è trasferibile. L'autorizzazione deve rispondere alle norme previste per le autorizzazioni alle emittenti locali e può essere rilasciata a persone fisiche e giuridiche con la cittadinanza o la nazionalità italiana, dotate degli stessi requisiti richiesti per le altre autorizzazioni, o a soggetti stranieri purché appartenenti a Stati membri della Comunità economica europea che praticano il trattamento di reciprocità.
L'autorizzazione comporta l'impegno ad eliminare dal programma estero tutte le parti che, sotto qualsiasi forma, abbiano carattere pubblicitario e ad osservare quanto previsto dalla proposta di legge per le emittenti locali, in relazione sia alla durata dei programmi che all'inserimento di pubblicità raccolta sul territorio italiano.
L'autorizzazione consente al titolare di istituire, d'accordo con altre emittenti locali, un circuito negli stessi termini consentiti ai titolari delle emittenti locali nazionali.
I titolari delle autorizzazioni sottostanno agli obblighi, divieti e sanzioni previste per i titolari di autorizzazioni per l'ambito locale e per i circuiti.
Le Norme transitorie contenute nel TITOLO VII hanno lo scopo di garantire il processo di conversione del sistema attuale in sistema regolamentato, tentando di ridurre gli inevitabili inconvenienti che in fasi di questo genere si verificano.
L'articolo 60 prevede che dalla data di approvazione della presente proposta di legge fino al rilascio delle autorizzazioni vengano bloccate le variazioni degli impianti a tale data in funzione e obbliga i titolari all'aggiornamento delle dichiarazioni effettuate in base al decreto-legge 6 dicembre 1984, riconoscendo pertanto soltanto per gli impianti in funzione alla data del 1^ ottobre 1984 un regime di autorizzazione provvisoria sino al rilascio delle autorizzazioni previste dalla legge.
Riteniamo che questa sia l'unica strada per evitare il già recentemente verificatosi accaparramento di nuovi canali e frequenze nel breve periodo che precede l'approvazione della legge.
In previsione dei tempi tecnici necessari alla conversione del sistema, e quindi dei singoli impianti, dall'attuale assetto a quello definitivo, e, nello stesso tempo, per garantire che queste operazioni siano realizzate entro un periodo definito, ciascun bando, secondo un ordine di priorità di cui tener conto nella definizione degli interventi, deve indicare i tempi di trasformazione per gli impianti di ciascun bacino, specificati nell'articolo 59.
Per quanto concerne la prima definizione del Piano di Assegnazione delle frequenze si dovrà procedere (articolo 61) ad una ridefinizione del piano di Ripartizione delle frequenze allo scopo di garantire la possibilità di realizzare i collegamenti radioelettrici necessari alla distribuzione dei programmi tra gli impianti previsti dallo stesso Piano di Assegnazione. Si prevede pertanto che l'approvazione per legge del Piano di Ripartizione sia comunque preceduta da un controllo, da parte del Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, di compatibilità tra il Piano di Ripartizione e il sistema dei collegamenti necessario alla realizzazione del Piano Nazionale di Assegnazione.
Tra le Disposizioni varie del TITOLO VII, acquista particolare rilevanza la previsione dell'articolo 63, laddove si prevede che l'autorizzazione all'emittente assorbe la necessità di chiedere la concessione edilizia necessaria per l'alloggiamento delle apparecchiature e degli impianti, nonché quelle di sostegno delle antenne di trasmissione. Con questa precisazione, in negativo, si esclude che ogni manufatto che possa appartenere all'emittente (gli uffici, ad esempio) possa essere sottratto alla concessione edilizia. L'esecuzione copre infatti soltanto quelli strettamente e tecnicamente necessari alla trasmissione del segnale.
Tale limitazione, inoltre, mira ad escludere la possibilità d'invocare l'autorizzazione radiotelevisiva per evitare l'assoggettamento ad ulteriori condizioni che fossero legittimamente imposte per l'esercizio di attività commerciali, anche se realizzate con il mezzo radiotelevisivo (ad esempio le aste).
Per quanto concerne il finanziamento del settore radiotelevisivo, la previsione di canoni gravanti sulle emittenti private che ottengono l'autorizzazione (articolo 65) trova immediata giustificazione nell'occupazione da parte di queste ultime delle frequenze che costituiscono beni che gli accordi internazionali attribuiscono agli Stati, e che quindi costituiscono beni pubblici.
Invece, l'abolizione del »canone sull'apparecchio non è soltanto una scelta coerente ma costituisce anche un merito del progetto radicale.
Si elimina così la tassa sul possesso dell'apparecchio che mortificava la libertà dell'utente, costretto a pagare un corrispettivo alla RAI-TV anche se non voleva ricevere i programmi da quest'ultima diffusi.
Caduto con il canone il rapporto di corrispettività fra utente e servizio pubblico radiotelevisivo, il carattere esclusivamente pubblico dell'emittente radiotelevisiva di Stato ha comportato, da un lato, l'integrale sovvenzionamento a carico di quest'ultimo e, dall'altro, il reperimento sul bilancio dello Stato delle risorse finanziarie necessarie al funzionamento dell'Ente radiotelevisivo. Tali risorse sono state considerate mediante riduzione del capitolo n. 4677 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per un importo equivalente a quello degli stanziamenti già previsti per l'ex società concessionaria al capitolo 3980 dello stato di previsione del Ministero delle finanze e mediante riduzione degli stanziamenti dei capitoli 4011, 4031, 4051 dello stato di previsione del Ministero della difesa, rispettivamente per lire 150, 200 e 250 miliardi in ragione d'anno.