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Melega Gianluigi - 9 aprile 1985
Radicali al governo? Sarebbe ora!
di Gianluigi Melega

SOMMARIO: L'ingresso dei radicali al governo è visto come possibile correttivo ad "una delle malformazioni del sistema politico italiano, la sostanziale immobilità della nomenklatura". Il blocco "moderato" per ben due volte ha associato i partiti della "sinistra storica" al governo - nel 1961 (centrosinistra col PSI) e nel 1975 (compromesso storico e astensione comunista) - ma le due operazioni sono servite solo ad assorbire "senza eccessivo trauma" le spinte di cambiamento; cita una battuta che chiarisce la logica di queste operazioni: "I democristiani ammettono al governo i socialisti, a patto che non facciano i socialisti". E infatti "in venti anni" nulla della cultura socialista è diventato "patrimonio politico collettivo". L'ipotesi dei radicali al governo è interessante, se si eviterà il pericolo che il sistema possa aprire loro le porta "a patto che non facciano i radicali". Si può cominciare con la gestione della lotta alla fame affidata a Marco Pannella; potrebbero poi seguire il Ministero della dif

esa, e sottosegretari alla giustizia (delega per le carceri) e all'informazione pubblica.

(LA REPUBBLICA, 9 aprile 1985)

I radicali al governo? Sarebbe ora! Se è vero che una delle malformazioni congenite del sistema politico italiano è la sostanziale immobilità della "nomenklatura" e della cultura di governo durante quarant'anni, se è vero che tutti denunciano da tempo l'approssimarsi del collasso (»L'autunno della Repubblica , di Eugenio Scalfari, è del 1969), perché non provare quest'ultima speranza di adrenalina democratica?

Il blocco storico moderato stravincente il 18 aprile 1948 ha associato in due fasi al proprio modo di governare i partiti della sinistra storica: nel 1961, col centro-sinistra dell'apertura ai socialisti (con il celebre »Da oggi siamo più liberi! , di Pietro Nenni: un augurio che da allora continua sarcasticamente ad accompagnare nei processi e nelle carceri decine e decine di cattivi amministratori Psi); nel 1975, col compromesso storico e i governi Andreotti sostenuti dall'astensione comunista.

Col senno di poi si possono trarre due conclusioni. Primo: le due operazioni sono servite ad assorbire senza eccessivi traumi le spinte al cambiamento politico, garantendo sostanzialmente la pace sociale a prezzo dell'immobilismo. Secondo: questo doppio sforzo di rappezzo e accomodamento, durato due volte dieci anni, ha consentito di rinviare le soluzioni dolorose o autoritarie dei problemi, ma ha portato il sistema all'orlo dell'esplosione. Alludo, per fare esempi concreti, a situazioni come quella di Napoli o come quella della Sanità: ma gli esempi sono decine. Come una vecchia caldata mai sostituita e tenuta insieme negli ultimi anni col filo di ferro, il sistema Italia minaccia ora di esplodere da un momento all'altro.

Perché è successo così? Un acuto commentatore politico degli anni Sessanta, Umberto Segre, era solito ironizzare: »I democristiani ammettono al governo i socialisti, a patto che non facciano i socialisti . Se si escludono la nazionalizzazione dell'energia elettrica e lo Statuto dei lavoratori, nient'altro della cultura socialista è diventato in vent'anni patrimonio politico collettivo. Al contrario, una gestione privatistica da parte della Dc, e poi anche del Psi, delle strutture portanti pubbliche, dall'amministrazione statale e regionale alle industrie di Stato, dai grandi enti pubblici alle banche, ha cumulato e diffuso i difetti del uno e dell'altro sistema economico, trovando riparo soltanto nel perpetuare l'occupazione delle poltrone.

Il bilancio del compromesso storico, dal punto di vista di chi avrebbe voluto cambiare le cose, è ancora più deludente. Basti pensare alla gestione Rai, quando l'azienda era lottizzata anche ai comunisti. In che cosa erano diversi i telegiornali di allora da quelli di oggi?

I radicali al governo diventa a questo punto un'ipotesi da laboratorio politico molto interessante, ben al di là dei numeri parlamentari. Ed è possibile, e diversa dalle altre, perché da sempre il Partito radicale ha adottato il metodo di lottare per problemi specifici e non per schieramenti politici o pregiudiziali ideologiche.

Il partito è minuscolo, profondamente libertario, non ha appetiti da soddisfare e gode di credibilità almeno su due punti: i pochissimi esponenti che può mettere in campo sono preparati, efficienti e, se la storia di vent'anni conta qualcosa, assolutamente onesti; le specifiche battaglie che ha intrapreso, ispirate a grandi valori collettivi, sono state da esso condotte con grande determinazione e, presto o tardi, vinte.

Il pericolo è che il sistema, non soltanto la coalizione di partiti al governo in Italia, chiami in aiuto i radicali »a patto che non facciano i radicali .

La risposta dei radicali deve essere, al contrario, quella di essere democraticamente pronti ad aggiustare in corsa la caldaia, a patto che l'intervento radicale sia qualitativamente di altissima importanza: tale, cioè, da determinare un vero e proprio mutamento genetico, anche se parziale, nella cultura di governo. Il Pr, in una parola, dovrebbe garantire a tutti i cittadini che sui tre, quattro, cinque punti sui quali i radicali s'impegneranno a governare, le cose cambierebbero veramente.

Se si procede per esempi pratici, si capisce meglio. Si può benissimo cominciare con la gestione della lotta contro lo sterminio per fame, affidata a Pannella. Se poi, dall'esperimento »ad personam , si vorrà andare all'esperimento col partito, ecco tre punti concreti su cui affidare compiti ai radicali: ministero della Difesa, per la graduale e accelerata trasformazione delle industrie belliche in industrie di pace e per un programma di disarmo unilaterale; sottosegretario alla Giustizia, con delega per le carceri, per una trasformazione celere e globale del sistema penitenziario; sottosegretario per l'informazione pubblica.

Può sembrare campato in aria che un'operazione politica del genere sia persino concepibile. Ma il sistema al collasso, o troverà una via d'uscita democratica, ma nuova, di questo tipo, o piomberà nel caos e nell'autoritarismo. Per questo dico: i radicali al governo? Sarebbe ora!

 
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