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Pannella Marco - 10 aprile 1985
Referendum: non votiamo
di Marco Pannella

SOMMARIO: Il referendum "sui quattro punti di contingenza" non deve essere sottratto al diritto-dovere del paese di giudicare. Il referendum può essere battuto attraverso il non voto, come espressamente previsto dalla legge istitutiva. Questo referendum deve essere per il Pci quel che il 12 maggio 1974 fu per la Dc e per il mondo clericale: una lezione storica, civile, proficua per tutti, a cominciare dai perdenti. Al pettine gli errori storici del Pci e del sindacalismo comunista, di una politica di lotta ad ogni alternativa, di puri e cinici incontri di potere, di uso e abuso della fiducia popolare, che ha portato la sinistra a quarant'anni di subalternità, alla rottura, alla demagogia e irresponsabilità. Il vero problema, indicato, con i radicali, da Scalfari e De Benedetti, è quello della capacità di affrontare il debito pubblico, che grava come debito reale di decine di milioni sulle spalle di ogni famiglia italiana. Il problema è quello della riforma del costo del lavoro, della fine di una politica che

continua a privatizzare i profitti e socializzare invece bardature corporative torturando la nostra società.

(REPORTER, 10 aprile 1985)

Nessuno, a questo punto, può permettersi di togliere al paese il diritto-dovere di giudicare la richiesta di referendum, convalidato dalla Corte Costituzionale, a sessanta giorni, tutt'al più dalla sua tenuta. Difenderemo noi, come per il passato, come se fosse nostra, la richiesta controfirmata da un milione di cittadini. Non lasceremo passare leggi-bidone, come non abbiamo consentito o abbiamo tentato di non consentire in passato, in identiche condizioni. Se il PCI vuole usare come merce di potere la volontà dei cittadini che ha ingannato, è affar suo. Noi siamo sulla sponda opposta.

Ciò chiarito, ricordo che la stessa legge istitutiva del referendum che indirettamente ma chiaramente indica nel non raggiungimento del 50% dei voti degli aventi diritto una eventualità politica. E' questa eventualità che oggi deve esser colta, e diventare obiettivo.

Lo ripeto: è un obiettivo ultravincente. Politicamente, aritmeticamente. Dopo un anno di demagogia, di inganni, di sabotaggio per pure o sbagliate ragioni di bottega, il PCI deve pagare il conto, e con lui il suo compagno siamese da trent'anni, il MSI, e gli altri compagni di strada sulla via dello sfascio e del vacco delle istituzioni.

"Questo referendum deve e può essere quel che il referendum del 1974 è stato per la DC e per il mondo clericale: una lezione storica, civile, proficua per tutti, a cominciare dai perdenti."

Al pettine vengono i nodi di trent'anni di errori, di lotta ad ogni alternativa, di puri e cinici incontri di potere, di uso ed abuso della fiducia popolare, mantenuta grazie all'omertà di regime, partitocratica. Diffidiamo - come nel 1974 facemmo con il PCI -, oggi, la DC a cercare di salvare dal verdetto popolare ormai inevitabile e giusto il PCI. Occorre far fiducia a se stessi ed alla gente, come allora. Come allora, il pifferaio che era sceso a valle per suonare deve tornare suonato nelle sue montagne.

I conti sono presto fatti. Per annullare con decisione del popolo questo referendum basta aggiungere al 25%-30% di astensioni di base, assicurate dai cittadini che non fanno fiducia alla politica di regime partitocratico, un altro 25%-20% di ``rifiuto dell'avallo del voto'', a questa richiesta referendaria sfascista e ricattatoria, alla torva politica di potere di cui è espressione. Dunque sarebbe sufficiente che i partiti del ``no'' fossero seguiti da meno della metà poco più di un terzo del loro elettorato, per battere il referendum (quei partiti riscuotono infatti quasi il 60% dei voti). Ma non di questo si tratterebbe. Se CISL, UIL, la corrente socialista della CGIL, tutte o quasi le organizzazioni produttive e professionali, oltre ai partiti contrari al referendum, scendessero in campo, avverrebbe in campo comunista lo sfondamento che in campo antidivorzista si ebbe nel 1974. Quanto ad Almirante, se il 15% dei suoi elettori lo seguisse sarebbe già un miracolo. Come e più ancora che per il finanziamento.

Ad una sola condizione: che non si perda più tempo, che il PCI e la CGIL restino soli, davanti al paese, a mendicare la non tenuta della consultazione; o a prepararsi alla catastrofe e alla radicale liquidazione di una politica e di una classe dirigente che ha portato la sinistra a quarant'anni di errori, di subalternità, alla rottura, alla demagogia e alla irresponsabilità.

Basta con queste risse politiche indecorose e catastrofiche. Il vero problema è quello che meglio di ogni altro De Benedetti e Scalfari (con noi radicali, per la verità) da anni fanno indicando: occorre avere il coraggio e la capacità di affrontare nel subito il dramma del debito pubblico, che grava ormai con decine di milioni di debito reale di ogni famiglia italiana. Cercando di dare però a questo problema una risposta opposta a quella, illusoria e avventurista, del ``commissariamento della Repubblica'' che essi proseguono. Il problema è quello della riforma del costo del lavoro (e non di una controriforma), della fine di una politica che continua a vedere privatizzare i profitti e socializzare a tutte le bardature corporative che torturano la nostra società, della contemporanea promozione di una vita più umana e civile delle masse dei pensionati, dei disoccupati de sottoccupati.

Se si sconfigge il Moloch poi sta su questo fronte, come ieri quello clericale - sostanzialmente miscredente e blasfemo -, il paese conoscerà come nel 1974 un ``possibile'' diverso, opposto a quello desolante di oggi. E, questa volta, vigileremo meglio perché i risultati di questa speranza e di questa vittoria non siano - come allora - sequestrati e capovolti da chicchessia.

 
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