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Negri Giovanni, Rutelli Francesco, Pannella Marco - 14 maggio 1985
RAI-TV - ATTENTATO AI DIRITTI POLITICI
denuncia di Giovanni Negri, Francesco Rutelli e Marco Pannella

SOMMARIO: Esposto in data 14 maggio 1985 a firma Negri, Rutelli, Pannella, indirizzata al Procuratore capo Marco Boschi, relativa alle violazioni messe in atto dalla dirigenza RAI in occasione delle elezioni del 12 maggio 1985. Reati ipotizzati: attentato ai diritti politici del cittadino (art. 294 c.p.), associazione per delinquere (art. 416 c.p.), associazione sovversiva (art. 270 c.p.), interesse privato in atti d'ufficio (art. 324 c.p.), abuso innominato in atti d'ufficio (art. 323 c.p.).

Viene denunciata la parzialità dell'informazione televisiva con conseguente censura, ostracismo, falsificazione, associazione sovversiva e per delinquere, interessi privati in atti d'ufficio, attentato ai diritti politici del cittadino, abuso innominato in atti d'ufficio. In particolare:

1) Interesse privato: si favoriscono sotto elezioni in particolare taluni partiti o candidati.

2) Attentato ai diritti politici del cittadino: la dolosa alterazione e soppressione di informazione durante la campagna elettorale costituisce un attentato ai diritti politici del cittadino. Lo spazio concesso al partito radicale è venti volte meno che ad altri partiti. La Tribuna Elettorale dev essere paritaria perché gestita dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza. Si chiede la revoca della concessione da parte del Governo alla RAI.

3) Associazione per delinquere: il servizio radiotelevisivo viene usato con evidente finalità di perseguire interessi diversi da quelli pubblici ed in caso di elezioni col fine di manipolare la volontà dei cittadini nell'esercizio del diritto di voto. Il dato della costante discriminazione informativa nei confronti di alcune forze politiche e di alcuni esponenti politici evidenzia l'esistenza di una costante, preordinata e programmata e concertata volontà di perseguire quelle finalità penalmente illecite come sopra descritte (art. 416 c.p.). Denuncia contro Sergio Zavoli Presidente RAI, Biagio Agnes Direttore Generale, Pio De Berti Gambini Direttore RAI 2, Giuseppe Rossini Direttore RAI 3, Luca di Schiena Direttore TG3, Salvatore Sant'Agata Direttore GR1, Palmisano Direttore GR2, Pinzauti Direttore GR3.

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CAMERA DEI DEPUTATI

Roma, 14 maggio 1985

Prot. 567.85

Al Signor Procuratore Capo

MARCO BOSCHI

Procura della Repubblica

Roma

Signor Procuratore Capo,

è unanimemente riconosciuta la "parzialità" della informazione radio-televisiva della RAI.TV, regolata da apposite leggi, direttamente governata da "indirizzi" del Parlamento, delegata ad assicurare diritti costituzionali, diritti costituzionalmente garantiti, diritti politici previsti dai codici, nonchè i diritti alla immagine ed alla identità della persona, responsabile del corretto funzionamento delle norme che garantiscono il gioco democratico nel settore cardine della manifestazione del pensiero e della lealtà della informazione.

Tale "parzialità", che è diventata regolare censura, ostracismo, falsificazione, assume da anni, e sempre più, carattere assolutamente doloso, tende consapevolmente a falsare il gioco democratico, a sovvertire le regole fondamentali sancite dalla Costituzione e dalle leggi, a pregiudicare i risultati della dialettica politica ed elettorale.

Tali fatti sono di pubblica notorietà e non possono essere più a lungo ignorati senza con ciò stesso ignorare "notitiae criminis", o notizie suscettibili di esser tali.

In fatto, le denunce pubbliche del Partito Radicale hanno sempre trovata assoluta conferma. In diritto si è continuato ad ignorare il carattere necessariamente associativo sia dell'unico disegno volto a realizzare i fatti suddetti, sia delle diverse e puntuali azioni delittuose. In tal modo ci si è arroccati sulla mancanza di sanzioni di alcune delle leggi violate, mentre ci si è genericamente trincerati dietro un preteso carattere non pubblico o pubblicistico della RAI.TV.

Le chiediamo quindi di voler esercitare l'azione penale conseguente nei confronti dei responsabili della RAI.TV e di quanti con loro abbiano concorso nei reati di associazione per delinquere, associazione sovversiva, interessi privati in atti di ufficio, attentato ai diritti politici del cittadino, abuso innominato in atti di ufficio, riservandoci per quanto ci riguarda di attivare i procedimenti connessi alle violazioni dei diritti tutelati dai codici in relazione a violenze private, lesioni alle nostre immagini e identità.

Signor Procuratore Capo,

il nostro Paese ha subito e subisce tragedie e drammi ad opera convergente di associazioni per delinquere annidate non di rado fin nei vertici dell'Amministrazione dello Stato e di altre, terroristiche, mafiose, camorristiche; oltre che dalla diffusa corruzione connessa all'usurpazione partitocratica delle funzioni istituzionali dello Stato.

Ma forse nessuna di queste tragedie è di tale portata quanto quella che ha impedito sistematicamente che esse vengano sin dall'inizio denunciate e scongiurate, almeno nelle loro conseguenze più nefaste.

L'opera criminosa della RAI.TV ha per esempio impedito che sin dal 1977 il Paese fosse informato delle denunce parlamentari e politiche che il Partito Radicale compiva nei confronti della P2, delle reciproche connivenze e convergenze fra organizzazioni segrete nello Stato e organizzazioni terroristiche, delle sempre più gravi connessioni fra criminalità comune e criminalità finanziaria e politica.

L'ostracismo dato alle iniziative non violente ha fatto privilegiare in generazioni intere violenze e indifferenze.

Oggi, ancora e sempre più, l'opera della RAI.TV è costantemente volta a "controllare" e "predeterminare" i risultati politici ed elettorali e - a questo fine - sono infinite le prove di azioni criminose, che vengono liquidate come appartenenti alla sfera privata del malcostume e della parzialità (ancorchè questa fattispecie abbia acquistato rilevanza penale e di legge).

In occasione delle elezioni del 12 e 13 maggio c.a., tali comportamenti sono stati tali da costringere gli elettori membri degli organi esecutivi e parlamentari del P.R. a non recarsi alle urne per non convalidare procedure e risultati assolutamente illegittimi.

Voglia gradire, Signor Procuratore Capo, i nostri migliori saluti.

Giovanni Negri

Segretario P.R.

Francesco Rutelli

Presidente Gruppo Parlamentare Radicale

Marco Pannella

Deputato radicale

Ritengono gli esponenti che i fatti sopra esposti, a titolo meramente esemplificativo, integrino gli estremi di più fattispecie criminose; e che in generale essi evidenzino come il servizio pubblico radiotelevisivo operi da tempo nella più piena e palese illegalità.

Esso infatti, contravvenendo ai principi di completezza ed imparzialità dell'informazione, che ne costituiscono il fondamento ed anzi il presupposto istituzionale, viene quotidianamente e deliberatamente gestito con l'evidente finalità di cancellare - sotto il profilo della informazione che ne viene data ai cittadini - alcune informazioni politiche ed alcuni esponenti politici, e di sottrarre dunque al cittadino, nel momento cruciale di una consultazione elettorale, la concreta possibilità di conoscere per poter liberamente e consapevolmente esercitare il proprio diritto di voto.

In particolare:

1) Interesse privato in atti di ufficio. E' di tutta evidenza che la obiettiva ed incontestabile discriminazione di alcuni esponenti politici o di alcuni partiti politici operata dal servizio pubblico televisivo soggiace a motivazioni e ragioni estranee - ed anzi contrarie - alle finalità pubbliche del servizio esercitato; e che tale discriminazione si traduce - particolarmente in periodo elettorale, nel quale le forze politiche sono tra di loro in concorrenza - nel favorire illegittimamente gli altri partiti e gli altri esponenti politici concorrenti.

Che pertanto i dirigenti del servizio pubblico radiotelevisivo si siano resi (e quotidianamente si rendono) responsabili del reato di cui all'art. 324 c.p., non par dubbio.

Si tratta, come è noto, di reato che presuppone nell'agente la qualità di pubblico ufficiale.

La natura di "pubblici ufficiali" dei dirigenti RAI è controversa in dottrina, mentre la prevalente giurisprudenza li considera "incaricati di pubblico servizio".

Tuttavia, con l'avvento della legge di riforma n.103 del 14 aprile 1975, che ha accentuato e maggiormente definito la natura pubblica del servizio informativo svolto dalla RAI-TV e conseguentemente delle funzioni che i dirigenti della Concessionaria sono chiamati a svolgere, si è rafforzata in autorevoli ambienti della dottrina pubblicistica l'opinione che a questi ultimi debba essere finalmente riconosciuta la qualità di pubblici ufficiali.

La questione, d'altronde, merita di essere finalmente affrontata e risolta, giacché appare sempre più forte ed improcrastinabile - soprattutto di fronte al dilagare di fenomeni di malcostume quale quelli ora esposti - l'esigenza, di ordine pubblico, che gli atti ed i comportamenti dei dirigenti RAI nell'amministrazione del servizio pubblico radiotelevisivo possano essere ascrivibili a responsabilità di natura e gravità adeguatamente corrispondente alla natura di quelli.

Quanto, invece, agli elementi materiali del reato ipotizzato, non pare ai sottoscritti possano esservi ragionevoli dubbi.

Con riferimento infatti al reato di cui all'art. 324 c.p., la Suprema Corte ne ha definito con assoluta chiarezza e precisione i profili costitutivi, affermando che il pubblico ufficiale "direttamente o per interposta persona o con atti simulati, prende un interesse privato in qualsiasi atto della pubblica Amministrazione presso la quale esercita il proprio ufficio " allorquando:

1) viola l'obbligo di astenersi da un atto ogni qualvolta venga a conoscenza che questo è destinato a realizzare un interesse privato (Cass. 26 novembre 1969);

2) l'atto o il comportamento lede il prestigio della P.A., prestigio che costituisce in via primaria l'oggetto giuridico del reato e che viene tutelato colpendo e reprimendo lo stesso sospetto di uno sfruttamento dell'ufficio da parte del p.u. (Cass. 18/2/1970 e 19!11/1973);

3) l'atto o il comportamento lede il principio dell'imparzialità della P.A. e quindi la fiducia del cittadino nell'Amministrazione e nei suoi organi (Cass. 10/2/1971).

Con particolare riferimento al terzo dei principi affermati dalla Corte di Cassazione, è appena il caso di ricordare che il principio dell'imparzialità (assieme a quelli della completezza e della correttezza) è posto alla base della legge di riforma n. 103/1975 del servizio pubblico radiotelevisivo, rappresentando un vincolo giuridico fondamentale al quale deve attenersi ed ispirarsi l'amministrazione di questo servizio.

Quanto alla nozione di interesse privato, la Suprema Corte ha più volte affermato la non necessarietà della coincidenza tra questo e l'interesse "personale" del pubblico ufficiale, ed infatti: "L'art. 324 sancisce un principio fondamentale del diritto pubblico italiano, il principio cioè della illegittimità di agire in modo che l'atto d'ufficio sia compiuto anche nell'interesse privato onde non è necessaria l'interessenza personale del pubblico ufficiale. Non v'è coincidenza tra il concetto di interesse privato, di cui parla la formula dell'art. 324 c.p., e quelle di interesse personale, e ciò perchè l'interesse privato può essere costituito anche dal fine di arrecare, attraverso l'atto d'ufficio, vantaggio ad un terzo, a chi cioè non sia interposta personale del pubblico ufficiale che agisce" (Cass. sez. III, 9/7/1965, Giust. pen. 1966, II, 217, n. 163). "L'interesse privato non deve essere inteso come interesse esclusivamente personale o proprio, di carattere patrimoniale con corrispondente pregiudizi

o dell'ufficio, bensì in senso più ampio di utilità, di qualsiasi natura, anche non patrimoniale, o puramente affettivo, quale la semplice finalità di favorire un parente o un amico" (Cass. sez. III, 26/11/1956 in Riv. it. dir. pen. 1957, 81).

Più sintetica e definitiva la Suprema Corte nella sentenza del 25 giugno 1971, secondo la quale l'interesse privato sta ad indicare "tutto ciò che si contrappone all'interesse pubblico".

Irrilevante, infine, è che l'agente abbia effettivamente tratto profitto dalla propria illecita attività, a proprio o altrui vantaggio, essendo il reato in questione un reato di pericolo (Cass. 26 novembre 1969).

2) Attentato ai diritti politici del cittadino

Non v'è dubbio che l'elettorato attivo sia un diritto politico (v. per tutti, sul punto, SPASARI M., Attentato ai diritti politici, in Encicl. Dir. v. III, Giuffrè 1958, p. 973), anzi, costituisce il primo e più fondamentale dei diritti politici del cittadino. Non v'ha bisogno in questa sede, anche per la loro notorietà, di ripercorrere le tappe dell'affermazione del diritto elettorale e ricostruirne i lineamenti. Basti sottolineare come il momento elettorale sia considerato da tutti i giuristi (e si omettono le citazioni di ciò che facilmente si rinviene in ogni manuale di diritto costituzionale) uno dei momenti - se non il momento - centrali dell'esplicazione della volontà popolare su cui si fonda l'ordinamento costituzionale di questo Stato.

L'esercizio dell'elettorato attivo avviene materialmente attraverso la regolare indicazione sulla scheda elettorale del simbolo e dei candidati prescelti; ma è evidente che tale indicazione nasce da una scelta che, per quanto soggettiva, ha un suo fondamento logico e razionale ("le elezioni si risolvono nell'atto elettivo, ma l'atto elettivo non compendia le elezioni": FERRARI G., Elezioni (Teoria generale), in Encicl. Dir. v. XIV, Giuffrè 1965, p. 620). La scelta avviene, in genere, sulla base di supposte coincidenze (o, quanto meno, punti di coincidenza) fra le preferenze e le aspettative. E' evidente che quanto più saranno note tali proposte, tanto più gli elettori saranno in grado di valutare se esse corrispondono ai propri bisogni.

La dolosa alterazione e soppressione di informazioni durante la campagna elettorale (intesa in tutta la sua ampiezza, e cioè a partire dal giorno dello scioglimento delle Camere) costituisce senz'altro, ad avviso degli esponenti, un attentato ai diritti politici del cittadino; e ciò per diversi motivi e sotto vari profili.

Innanzi tutto, essa appare in materia palese rivolta a favorire taluni dei concorrenti alla competizione elettorale, addirittura in modo clamoroso attraverso la ossessiva presenza, sotto le vesti più svariate, di taluni personaggi in alcune trasmissioni. Tale trattamento di favore appare determinato unicamente dall'appartenenza di questi partiti e personaggi alla maggioranza governativa e al maggiore partito che di tale maggioranza non fa parte; non certo a caso tutti questi partiti (e solo questi) sono rappresentati nel Consiglio di Amministrazione della RAI nel quale agiscono per mezzo di loro mandatari, badando a favorire sé stessi in una sorta di "conventio ad excludendum" rivolta contro chi non vi fa parte, ed anzi svolge una diuturna azione di opposizione.

A tale sfacciato favoritismo fa riscontro una sistematica censura di quanto viene fatto o detto da chi di questa congrega non fa parte, primo fra tutti, il Partito Radicale e, in queste competizioni elettorali, le "Liste Verdi": si tratta di un ostracismo che non ha alcun fondamento logico o giuridico: in campagna elettorale un programma, un giudizio, una iniziativa, un comizio hanno la stessa valenza indipendentemente da chi ne sia l'autore; per intendersi: la presentazione del programma e dei candidati ha lo stesso rilievo quale che sia la dimensione ed il peso politico del partito; altrimenti opinando, si darebbe per predeterminati il risultato elettorale e la maggioranza di governo ad esso conseguente (ma forse è proprio questo che si vuole), dimenticando che le elezioni sono indette proprio per verificare "ex novo" consistenza e rappresentanza dei partiti. Lo stesso dicasi per i principali comizi, le iniziative qualificanti e così via. Volendo proporre un esempio, avviene come se nei giochi olimpic

i ai vincitori delle precedenti edizioni fossero dati meno metri da correre o meno peso da lanciare dei loro avversari.

Il principio della parità di posizione e trattamento fra tutti i contendenti è principio cardine delle elezioni democratiche. Ciò è espresso in maniera categorica dalla Corte Costituzionale nella sua sentenza n. 48/1964, nella quale, proprio a riguardo della propaganda elettorale, ha affermato che la legge tende "a porre tutti in una posizione di parità: ad assicurare, cioè, che in uno dei momenti essenziali per lo svolgimento della vita democratica, questa non sia di fatto ostacolata da situazioni economiche di svantaggio o politiche di minoranza".

Tale orientamento è pienamente condiviso dalla migliore dottrina la quale chiarisce che "è democratico il metodo elettivo quando sia data applicazione alle disposizioni espresse ed ai principi inespressi, che conferiscono democraticità all'organizzazione elettorale ed al procedimento elettorale", fra cui v'è in primo luogo l' "obbligo dello Stato-persona di organizzare tutte le consultazioni popolari, deducendone il principio della statualità dell'organizzazione elettorale, con conseguente emersione, a non dir altro, dei principi di legalità, d'imparzialità, ecc." (FERRARA G:, op. cit., p.622).

Non v'è dubbio che la necessaria uguaglianza giuridica fra i concorrenti non possa essere imposta con criteri d'ordine fiscale, e che vi possono essere dei margini di discrezionalità dovuti alla imponderabilità della materia politica. Ma quando si assiste ad una così radicale abrogazione della immagine politica di un partito al quale viene attribuito venti volte meno spazio che ai suoi diretti concorrenti, consentendogli di comunicare, per di più in via mediata, le proprie posizioni in una manciata di secondi nell'arco di settimane, non ci si trova più di fronte alla discrezionalità ma al mero arbitrio.

A rendere meno grave la situazione non varrebbe per contro sostenere che vi sono apposite trasmissioni di "Tribuna elettorale" nelle quali i partiti pariteticamente svolgono la loro propaganda, perchè tali trasmissioni sono decise e regolate dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza e quindi non sono da attribuirsi alla RAI, la quale invece tiene ben diverso comportamento; e d'altro canto la pariteticità in alcune trasmissioni (da altri soggetti decise) non legittima l'arbitrio in tutto il resto della programmazione.

Pare superfluo esporre alla S.V. le ormai radicate teorie sugli effetti dell'informazione sugli orientamenti politici dei cittadini. Il rapporto di causa/effetto tra informazione e decisione è oggetto di innumerevoli studi scientifici: anche se esso non costituisce l'unico fattore determinativo della volontà, è certamente fra i più rilevanti. Ciò è tanto più vero nei fatti in questione dove le informazione diffuse da una medesima fonte raggiungono circa la metà dell'elettorato.

Va peraltro chiarito che gli esponenti non intendono sostenere che sol perchè si è faziosi, si è faziosi e parziali in una campagna elettorale, si attenta ai diritti politici del cittadino. Se così fosse si dovrebbe ritenere illegale ogni forma di propaganda elettorale. Cioè, non sarebbe seriamente ipotizzabile la fattispecie all'art. 294 c.p. qualora il soggetto attivo fosse l'organo ufficiale di un partito: esso eserciterebbe un proprio diritto politico partecipando direttamente alla campagna elettorale.

Ben diverso è il discorso nei riguardi della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo: ad essa non solo i comportamenti addebitatigli sono proibiti comunque, durante o fuori la campagna elettorale, in base alle sentenze della Corte Costituzionale n. 225/1974, 202/1976, alla l.103/1975, alle innumerevoli delibere della Commissione Parlamentare di Vigilanza (di cui si produce l'ultima, relativa appunto alle presenti elezioni), ma essi assumono natura delittuosa quando, per il momento in cui si verificano, per l'autorità e l'autorevolezza che deriva dalla natura di servizio pubblico, per la particolare capacità di persuasione (riconosciuta le dalla Corte Costituzionale nella sua sentenza n.148/1981) essi siano suscettibili di influenzare fraudolentamente l'esito elettorale. Per altro, a riprova della veridicità di tale assunto si producono due sondaggi d'opinione condotti nelle scorse settimane dai quali risulta con chiarezza il grande peso che la televisione di stato ha nel determinare l'orien

tamento elettorale.

In poche parole: alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo non è consentito fare campagna elettorale a favore o contro alcun partito; la inosservanza del rigoroso principio di parità tra tutti i contendenti costituisce una criminale sovversione delle fondamentali regole costituzionali, ed un inquinamento del libero gioco democratico; la concessionaria del servizio pubblico non ha propri diritti politici da esercitare in campagna elettorale ma solo doveri da osservare con la più scrupolosa esattezza.

Il comportamento della Rai-Tv giustificherebbe pienamente la revoca della concessione da parte del Governo. Se ciò non avviene è sol perché Rai-Tv e Governo vedono ai propri vertici esponenti designati dagli stessi partiti, per cui i due soggetti sono legati da comuni interessi politici. Ma l'omissione di attività di controllo da parte della P.A. non può in alcun modo esonerare l'Autorità Giudiziaria da un suo intervento, anzi lo rende più necessario e urgente.

Con ciò si intende sgombrare il campo da taluni possibili equivoci: non è qui questione della natura dei rapporti intercorrenti tra RAI e P.A., dei poteri della Commissione Parlamentare di Vigilanza e la qualificazione ed efficacia dei suoi atti. Nemmeno è in gioco quel diritto all'informazione il cui fondamento costituzionale è sostenuto e dibattuto da autorevole dottrina.

Si tratta solo di accertare il carattere fraudolento (anche perchè in violazione sia del principio di parità che di espresse disposizioni normative) dell'attività posta in essere; la idoneità di tali comportamenti ad indurre gli elettore (o anche uno solo di essi) ad esercitare il diritto di voto in modo difforme dalla propria volontà (per inganno "s'intende ogni attività fraudolenta diretta a determinare un errore del soggetto passivo attraverso la proiezione nella psiche di questi di false ragioni di convincimento": SPASARI M., op. cit., pag. 975).

Gli esponenti, per altro, non si addentrano nel grave problema se il reato in questione sia un delitto di attentato (e quindi sono sufficienti per la sua consumazione gli atti univoci ed idonei; v. per questa tesi GALLO E., Attentato, in N.mo Digesto, Appendice v.I, UTET 1978, P.560) oppure se sia necessario l'effettivo conseguimento dell'inganno: infatti, anche a voler accettare questa tesi, sarebbe penalmente rilevante il tentativo (v. conf. SPASARI M., op. cit., p. 975; ANTOLISEI F., Manuale - parte speciale, v. II, Giuffrè, 1977, p. 961).

Inoltre gli esponenti ritengono che i fatti esposti, poichè sono indirizzati nei confronti della generalità del corpo elettorale, siano inquadrabili della fattispecie prevista dell'art. 294 c.p. anzichè nella previsione speciale di cui all'art. 97 del D.P.R. 30 marzo 1957 n. 36 (Testo unico delle leggi per la elezione della Camera dei Deputati) proprio per la gravità ed estensione dell'attentato.

Gli esponenti non ignorano che in tema di attentato ai diritti politici del cittadino la giurisprudenza è assai scarna e riguarda fattispecie diverse, relative a diritti sindacali e all'accesso ai pubblici uffici. Non possono, peraltro, esimersi dall'osservare che proprio la giurisprudenza più recente (C. Assise Padova 6 marzo 1980 in Foro It. 1980, II, 440) insiste particolarmente sulla necessaria interpretazione dell'art. 294 c.p. alla luce dei principi costituzionali introdotti successivamente alla emanazione del codice penale "allargando qualitativamente e quantitativamente la sua orbita di applicazione secondo il moderno concetto di diritto politico", con particolare riguardo al "rispetto del principio di uguaglianza (che) costituisce uno dei modi operativi dello Stato democratico ed un mezzo irrinunciabile per la sua realizzazione in termini evolutivi" (v. SPASARI M., op. cit., p. 974).

3) Associazione per delinquere.

E' fatto notorio che la costituzione degli organi dirigenti del servizio pubblico radiotelevisivo (Presidente, Direttore, Direttori di reti e di testate Tg, etc.), avviene secondo espliciti criteri di c.d. "lottizzazione" fra i partiti politici di maggioranza, ed alcuni partiti di cosiddetta opposizione.

Ciò equivale a dire - coerentemente al significato politico-sociologico del termine "lottizzazione" - che il servizio pubblico radiotelevisivo viene costituito con la evidente finalità di perseguire interessi diversi da quelli pubblici, e - con particolare riferimento al periodo delle consultazioni elettorali - con il fine di manipolare la volontà dei cittadini all'esercizio del diritto di voto.

D'altro canto, il dato - obiettivamente e scientificamente riscontrabile - della costante discriminazione informativa nei confronti di alcune forze politiche e di alcuni esponenti politici evidenzia senza possibilità di dubbio la esistenza di una costante, preordinata e programmata e concertata volontà di perseguire quelle finalità penalmente illecite come sopra descritte.

Non pare pertanto agli esponenti temerario, ma invece ragionevolmente fondato, prospettare alla valutazione della Autorità Giudiziaria l'ipotesi che in relazione ai fatti sopra esposti - e che la S.V. dovrà accertare e approfondire - sia configurabile nella condotta dei responsabili del servizio pubblico la fattispecie criminosa di cui all'art. 416 c.p.

Gli esponenti, sulla base dei fatti sommariamente esposti, e alla luce delle considerazioni ora formulate di diritto, chiedono che la Procura della Repubblica di Roma apra un'inchiesta volta ad accertare, sulla base dei rilevamenti d'ascolto disponibili, la sussistenza degli estremi per inviare l'azione penale nei confronti dei Sig. Sergio Zavoli, Presidente della RAI-TV, Biagio Agnes, Direttore Generale della RAI-TV; Emanuele Milano, Direttore della Rete 1 della RAI-TV; Pio De Berti Gambini, Direttore della Rete 2 della RAI-TV; Giuseppe Rossini, Direttore della Rete 3 della RAI-TV; Albino Longhi, Direttore del TG1; Ugo Zatterin, Direttore del TG2; Luca Di Schiena, Direttore del TG3; Salvatore D'Agata, Direttore del GR1; Aldo Palmisano, Direttore del GR2; Mario Pinzauti, Direttore del GR3; per i reati di cui agli artt. 416, 324 e 294 c.p., e per ogni altro reato che la S.V. riterrà sussistente.

Chiedono altresì che in via preliminare la S.V. voglia disporre l'audizione, in qualità di teste, della Direttrice del Centro d'Ascolto-Radio Radicale, signora Valeria Ferro, Via Principe Amedeo, 2; tale struttura infatti è in possesso dei dati di ascolto relativi alle reti televisive e radiofoniche del servizio pubblico, elaborati in termini di raffronto tra tutti i partiti politici e tra i principali esponenti degli stessi, dal ... a tutt'oggi.

Con osservanza

 
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