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Pannella Marco - 20 maggio 1985
Pannella: no al decreto anti-referendum l'unica via è l'astensione
Il leader del Pr rilancia la sua proposta in una lettera al »Giornale

"»Sono pronto a dimettermi da deputato "

di Marco Pannella

SOMMARIO: Marco Pannella annuncia le dimissioni dal Parlamento se sarà ratificato un decreto contro il referendum del Pci sui quattro punti di scala mobile. Questo referendum è il coronamento di una politica irresponsabile e ricattatoria, cui, più che la risposta del voto, si deve quella dell'astensione.

(IL GIORNALE, 20 maggio 1985)

(Se il Parlamento dovesse ratificare un decreto per evitare il referendum sulla scala mobile, Marco Pannella si dimetterebbe da deputato: è quanto afferma il leader radicale in una lettera indirizzata a Indro Montanelli. »Vietare il suffragio popolare - scrive Pannella - costituirebbe una novità senza precedenti istituzionali e un precedente folle .

Pannella ribadisce quindi il suo punto di vista sul referendum, che egli giudica come il coranamento della politica »irresponsabile, sgangherata, ricattatoria del Pci . Un giudizio drasticamente negativo, che pone per diretta conseguenza il problema di come scongiurare il referendum. E a questo proposito, il leader radicale ripropone con forza l'appello che già aveva lanciato dalle colonne del »Giornale poche settimane fa. In pratica: sabotare il referendum, disertare le urne: »Quel che era fin troppo facile quando fu proposto - scrive Pannella - è

divenuto molto più difficile. Ma resta l'unica strada percorribile, democratica, costituzionale, legittima e vincente. Se non è troppo tardi. No al referendum. Gli si faccia mancare il numero legale, come prevede la Costituzione .)

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"Caro direttore,

se si scegliesse - come pare - la via del decreto per vietare al Paese di pronunciarsi sulla sciagurata politica del Pci-Msi-Dp a referendum indetto, e se questo decreto fosse dal Parlamento ratificato, mi dimetterò da deputato immediatamente. E se il presidente della Repubblica accettasse di controfirmarlo, si ferirebbero la Costituzione e la democrazia come nessuno ha mai immaginato si potesse fare.

Vietare il suffragio popolare a votazioni indette, con decreto dell'esecutivo, costituirebbe una novità senza precedenti istituzionali e un precedente folle. Basterebbe infatti far saltare un paio di stazioni ferroviarie o creare qualche giorno di caos per consentire domani ad un qualsiasi governo di far l'economia di elezioni già indette. Il passo non sarebbe lungo, rispetto all'oggi.

»Comparsi i voti del Pci e la sua riconoscenza alla vigilia delle elezioni presidenziali (»per non lasciar soli i comunisti ) dimostra quanto Facta e Kerenskj siano i soli antenati che tanta parte della classe dirigente, non solamente politica, meritano di vedersi riconoscere. Fatta salva la buona fede di quelli e la malafede loro. Costoro sentono infatti che la politica irresponsabile, sgangherata, ricattatoria del Pci può ritorcersi su loro stessi. Nei »pacta sceleris (e l" 'unità nazionale "ne è stato uno) spesso i responsabili »simul stabunt, simul cadunt . Reggono o cascano insieme. Tant'è che non hanno esitato a calpestare, per intanto, ogni tipo di legge e di diritti-doveri.

»Per legge da tempo avremmo già dovuto spiegare al Paese la verità di questo referendum sulle" Tribune elettorali. "»Per legge avrebbero dovuto consentire - per compiutezza ed imparzialità dell'informazione - ai Carniti, ai Bobbio, ai Valitutti, ai Matteucci prima, ed ora ai Baldassarre, agli Onida, ai Pizzorusso, ai Fois, agli Zagrebesky di dire la loro. Perché la gente conoscesse e quindi giudicasse sulla prospettiva del" no al referendum; "oltre che su quelle del sì" e del no, "che sono equipollenti nel referendum. Ed anche sugli aspetti costituzionali del decreto.

Invece, solo quello" Stato nello Stato "che è il Pci da un anno e passa fa la sua campagna - perfino ancora prima che il referendum fosse formalmente richiesto - anche grazie alla marea dei finanziamenti come quelli del Nuovo Ambrosiano. Nonché dell'esercito di funzionari e di pensionati abusivi, dei quali abusivamente dispone.

Sarebbero dunque sennati questi signori che hanno lanciato gridolini da" demi-vierges "dinanzi alla prospettiva della costituzionalissima e democraticissima campagna di condanna radicale della accettabilità della proposta referendaria del Pci-Msi-Dp? Questi signori che sin qui hanno impedito che si compisse il processo formativo della volontà popolare? E che lasciano dilagare l'attesa del" divieto di giudizio popolare "per non »isolare i comunisti , per non »lacerare la Cgil . Per non »vulnerare la solidarietà nazionale : quella dei partiti che erano insieme nel Cln, più qualche altro che s'è aggiunto a mensa nel frattempo.

La verità è che stanno facendo come non mai la campagna elettorale a favore del Pci. Devono compensarlo del male che

involontariamente gli hanno procurato, più per paura che per altro, il 12 maggio. E lasciamo stare i dissennati scenari di una Cgil (indirettamente del Pci) che, dopo aver impedito una seria riforma del costo del lavoro, dovrebbe ora - senza pagar dazio - esser convinta al non-voto.

No. Il Pci ha avuto ragione nell'affermare che il referendum deve giudicare delle scelte fatte nella »notte di San Valentino dello scorso anno, del governo che ha recepito l'accordo siglato anche dai comunisti (anche se non" a nome "del pci). Occorre ora giudicare se" in questo caso "abbiano avuto ragione Carniti, Benvenuto, Del Turco, la Confindustria, la Lega delle Cooperative, Craxi, De Mita. O l'abbiamo avuta Berlinguer e poi Natta, Lama »lamleto , Almirante e Capanna.

Solamente dopo si potrà passare alla grande riforma che il governo ha la responsabilità di aver attuato in modo troppo timido e limitato all'inizio, e di aver abbandonato in seguito. Non si riforma o si legifera sotto ricatto e per ricatto. Se questa fosse l'opinione della confindustria e di Lucchini, non avrebbero torto. Ma allora è necessario dimostrare che non intendono giocare al »tanto peggio tanto peggio , allo sfascio in concorrenza con una parte del Pci ed in convergenza con gli altri" sfascisti "dalla Repubblica. Come invece si è data finora l'impressione.

Quel che era fin troppo facile quando fu proposto dalle colonne del tuo giornale, caro direttore, anche se non da un tuo collaboratore - ora è divenuto molto più difficile. Ma resta l'unica strada percorribile; democratica, costituzionale, legittima e vincente. Se non è troppo tardi. No al referendum. Gli si faccia mancare il numero legale, come prevede la Costituzione. Si rispetti la legge, si vada allo scontro referendario. E parlino da oggi, senza limiti eccessivi, in nuova libertà, i sostenitori di tutte le risposte al Pci per il 9 giugno.

 
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