SOMMARIO: Dà conto delle ragioni che lo hanno guidato nello scrivere "Il sicario e la signora", il testo teatrale rappresentato a Spoleto. Afferma di essersi sempre interessato ai temi della giustizia, un po' come Gide. Talvolta, ha cercato di "vedere da un punto di vista diverso e opposto" certe situazioni giudiziarie, e da questo atteggiamento è nata l'opera presente.
(NOTIZIE RADICALI, 18 GIUGNO 1985)
Ho dedicato sempre molta attenzione al problema della giustizia, dell'amministrazione della giustizia. Posso anche confessare che, in determinati momenti,ne sono stato e ne sono ossessionato. Come al presente. Con una certa assiduità seguo le cronache criminali e giudiziarie, quelle che i francesi chiamano dei "fatti diversi" e che Gide, a un certo punto della sua vita, dopo la sua esperienza di giurato in Corte di Assise, andava raccogliendo nei libretti, che Gallimard pubblicava, in una collana che si intitolava "Non giudicate".
Ma tra le cronache di delitti e processi - a parte quelle in cui si intravedono i possibili e probabili errori polizieschi e giudiziari - qualche volta ho indugiato con l'immaginazione su quelle che era possibile rovesciare, vedere da un punto diverso e opposto, mutare l'identità dei colpevoli e delle vittime.
E per almeno due volte questo gioco dell'immaginazione è trasmigrato sulla carta, è diventato racconto o parte iniziale di racconto: nel "Contesto" e in "Gioco di società". Quest'ultimo racconto, immaginato sulle cronache di un processo famoso, è diventato facilmente teatro.
E dico facilmente perchè già, in effetti, lo era, svolgendosi tutto in dialogo. Ho preso un diverso titolo - il sicario e la signora -: ma non per nascondere il fatto che già esisteva come racconto, ma perchè più pertinente, più consono all'oggi, a questi nostri anni in cui signore e signori con più facilità di prima trovano e mandano sicari.