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Paissan Mauro - 19 luglio 1985
Radicali addio?
A Pr non piace più la sinistra, alla sinistra non piace più il Pr

di Mauro Paissan

SOMMARIO: Alcune scelte politiche compiute da Marco Pannella nei primi mesi del 1985, e in particolare l'autocandidatura del leader radicale a membro del governo ("sottosegretario agli esteri"), vengono discusse ed interpretate, in ambienti di sinistra (e sopratutto di "nuova" sinistra) come veri e propri capovolgimenti di fronte. Si apre così - proprio con l' articolo di Mauro Paissan e uno di Luigi Manconi pubblicati assieme il 19 luglio 1985 - una discussione che coinvolgerà altre firme di rilievo.

Presentando l'intervento di Manconi, Mauro Paissan ricapitola ed enumera i comportamenti fatti oggetto delle critiche e si chiede come mai, investiti di rilievi tanto pesanti, i radicali rispondano, in generale, con una "alzata di spalle" e non, per es., con "l'indignazione", giustificando così certa irritazione e un certo disprezzo che molti nutrono nei loro confronti. A tali atteggiamenti (del resto reciproci) - scrive Paissan - "noi vorremmo ancora preferire il dialogo", magari "la discussione, il dissenso".

(IL MANIFESTO, 19 luglio 1985)

(L'ostilità del Pci verso i radicali è di vecchissima data, coeva alla strumentalità del Psi nei loro confronti. Più recente, ma solo per ragioni anagrafiche, l'incompatibilità di pelle tra il Pr e quel che fu e quel che resta della nuova sinistra. Ma oggi i radicali riescono a scontentare, irritare e respingere anche chi, a sinistra, si sentiva loro in qualche modo vicino. E malumori percorrono anche il partito. Che cosa è successo? Quali le ragioni di quel che viene percepito come un mutamento di campo? E perché tutto ciò avviene con uno schieramento quasi militare, dunque sospetto, di grande parte del gruppo dirigente?)

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Marco Pannella che offre il suo appoggio alla giunta di pentapartito a Napoli, stretta alleanza con Flaminio Piccoli per la fame nel mondo, sempre Pannella che si autocandida a membro del governo Craxi (sottosegretario agli esteri), sostegno al decisionismo craxiano, volontà »egemoniche nei confronti delle liste verdi, il Pci individuato come nemico da battere nelle elezioni del 12 maggio, proposta dell'astensionismo seguita da un convulso e pasticciato pronunciamento per il no al referendum sulla scala mobile. E, in genere, un'attività politica esclusivamente interna al gioco politico-istituzionale, affida all'esile corpo del partito la sola funzione propagandistica rispetto al ceto »romano . Fatti e pronunciamenti che considerati nel loro insieme sembrano delineare una novità politica, un diversa collocazione (e ruolo) di quel partito.

A sinistra, anche in quella sinistra non accasata abituata in questi anni a considerare il Pr un »amico politico , seppur di cattivo carattere, si è reagito più con indifferenza che con manifestazioni di dissenso. Il dibattito, se dibattito c'è stato, è rimasto confinato dentro le sede radicali. Sedi tutt'altro che clandestine, ma dove la pubblicità è esposizione al pubblico, non reale apertura a interlocutori esterni.

Perché, di fronte a quello che viene avvertito, a torto o a ragione, come un voltafaccia politico, si reagisce con l'alzata di spalle e non - mettiamo - con l'indignazione? I radicali, spesso si dice, non meritano una seria considerazione; e così, più che delle loro posizioni politiche, si finisce col parlare delle ansie protagonistiche di questo o quel loro leader, della maleducazione e ambizione di questo o quel loro giovane dirigente. Anche la loro battaglia a favore di una »giustizia giusta viene svalutata a "Portobello" giudiziario.

Nonostante tutto, al disprezzo reciproco (dal quale i radicali sono tutt'altro che esenti) noi vorremmo ancora preferire il dialogo, la discussione, il dissenso. Oggi sul Pr pubblichiamo un'analisi di Luigi Manconi.

 
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