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Melman Seymour, irdisp - 1 settembre 1985
CONVERSIONE ECONOMICA: PERCHE'?
di SEYMUR MELMAN

IRDISP

Istituto di Ricerca per il Disarmo, lo Sviluppo e la Pace

Research Institute for Disarmament Development and Peace

INDUSTRIA BELLICA - SETTEMBRE 1985

Seymur Melman è professore di ingegneria industriale presso la Columbia university di New York, nonché membro del Consiglio di Presidenza dell'IRDISP

INTRODUZIONE

Seymour Melman non ci propone riflessioni generali di carattere morale. Come esperto di ingegneria industriale analizza l'impatto dell'industria bellica e delle spese statali per la difesa sulla struttura produttiva degli Stati Uniti. Nessuno ha infatti mai tentato di misurare con sufficiente approssimazione il costo complessivo per la società civile dell'impegno bellico. E questo onere non è rappresentato unicamente dal bilancio, in termini monetari, per la difesa. Quali sono infatti i beni e i servizi persi per la realizzazione di prodotti che non hanno una specifica utilità per la società civile? vi è aumento della produttività marginale del capitale investito nell'``azienda'' militare e cioè perfezionamento dei mezzi di produzione? qual è la ricaduta tecnologica delle conoscenze acquisite per lo sviluppo della tecnologia militare? quali sono le conoscenze acquisite dalla forza lavoro impiegata nell'industria bellica?

La valutazione di questo costo complessivo, secondo le cinque categorie che Melman identifica, porta ad affermare che l'impiego sempre più massiccio di capitale per il Pentagono contribuirà in maniera sempre più determinante al degrado del sistema produttivo degli USA. Il ``costo sociale'' del complesso militare-industriale aggrava notevolmente quello esclusivamente monetario, determinando così effetti negativi non immediatamente percepibili sull'economia del Paese.

In particolare Melman analizza uno degli elementi più distorcenti delle regole classiche della produzione manufatturiera determinato dalla produzione bellica. Mentre infatti l'industria civile tende, per rimanere nel mercato, a compensare l'incremento del costo del lavoro con la crescita della produttività e cioè con la modernizzazione degli impianti e il perfezionamento dei processi, quella bellica si limita invece a massimizzare semplicemente i costi. ``Ciò è possibile solo quando l'attività è realizzata sotto la tutela di uno stato, con risorse quasi illimitate procuratesi sfruttando i redditi di una società intera''. E il governo americano è disposto a pagare qualsiasi prezzo per mantenere l'equilibrio o la superiorità bellica. L'economia militare quindi prospera al di fuori di ogni vincolo di mercato drenando e assorbendo sempre maggiori risorse, in un circuito chiuso e obbligato che costringe quasi automaticamente all'incremento sempre più massiccio delle spese militari.

Una conferma di questa diagnosi viene proprio dalla decisione di uno stanziamento aggiuntivo di 26 miliardi di dollari per il famoso progetto di ricerca sulle ``guerre stellari''. Non è azzardato affermare che la maggiore spinta per il varo del progetto SDI venga proprio dall'esigenza del complesso militare-industriale di espandere progressivamente il suo controllo sui diversi e più avanzati settori di ricerca e produzione per tutelare e affermare il suo modello di sviluppo industriale.

Melman infatti afferma che la ripresa economica statunitense è determinata solo da ``un incremento del flusso monetario associato ad uno scarso processo produttivo''. E il flusso monetario è stato incrementato anche grazie all'aumento degli ordinativi militari. L'elemento portante del boom americano e d'altra parte il suo elemento di debolezza sarebbe quindi costituito dai massicci e necessariamente sempre più cospicui investimenti di capitale nel settore bellico. Le debolezze strutturali dell'industria civile e in particolare il mancato rinnovamento degli impianti sarebbe stato compensato attraverso il subappalto all'estero della produzione al fine di ridurre il costo del lavoro.

L'economia militare ha infatti contrastato, proprio perché opera fuori mercato, la creazione di quelle condizioni favorevoli che in altri paesi hanno consentito l'aumento della produttività e cioè la minimalizzazione dei costi dei macchinari, la disponibilità di capitali a tassi d'interesse bassi, la ricerca e sviluppo, il mantenimento di una produzione stabile.

Si potrà essere più o meno d'accordo con l'analisi di Melman, ma ciò che appare indiscutibile, anche analizzando il più modesto complesso militare industriale europeo, è il tentativo di coprire le debolezze strutturali di alcuni comparti industriali attraverso il massiccio intervento dello stato con gli ordinativi militari. E'il caso della cantieristica ma anche dell'industria aeronautica che sopravvivono solo grazie alle commesse militari. Il beneficio, anche occupazionale, è solo illusorio e precario perché impedisce di intervenire sulle cause strutturali della crisi di questi settori.

La conversione dell'industria bellica s'impone quindi per Melman innanzitutto al fine di contrastare la decadenza della competitività produttiva di molti settori industriali. Melman non fornisce ricette miracolistiche per la realizzazione della conversione ma, cosa essenziale, individua il settore verso cui dovrebbe indirizzarsi. E'proprio quello della riattivazione delle infrastrutture e della modernizzazione degli impianti di produzione che l'economia bellica ha in parte impedito.

Fin qui il professore di ingegneria industriale presso la Columbia University di New York. Ma dubitando probabilmente sulla capacità di contrastare la follia militare con analisi e proposte ragionevoli, Melman, nelle ultime pagine del suo saggio, sente l'esiqenza di ``sconfinare'' su un piano meno tecnico: potrebbero mai il governo sovietico e quello americano anche semplicemente giungere al congelamento delle armi nucleari e della produzione dei sistemi di lancio sapendo che ciò comporterebbe la perdita di 350.000 posti di lavoro? Se non vi è pianificazione della conversione dell'economia militare non potrà esserci nessun processo di disarmo. L'assenza di qualsiasi studio o tentativo da parte dei governi a questo proposito la dice lunga sulle reali volontà di giungere ad una riduzione degli armamenti. La conversione dell'industria bellica è quindi la cartina tornasole che le vere forze pacifiste debbono agitare per dare finalmente una connotazione concreta alla parola disarmo.

IRDISP

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CONVERSIONE ECONOMICA: PERCHE'

di Seymour Melman

La conversione economica è la pianificazione e l'attuazione del passaggio dall'applicazione militare a quella civile della ricerca industriale e delle relative strutture. Il concetto odierno di conversione economica è radicalmente diverso da quella che fu definita ``riconversione'' alla fine della seconda Guerra Mondiale. Allora le industrie che erano state convertite alla produzione militare per la durata della guerra, ritornarono alle loro attività originarie. Infatti esse furono in grado di riutilizzare i vecchi complessi e, quasi sempre, la stessa mano d'opera nella produzione d'origine, con le stesse materie prime ricavate ancora dai medesimi mercati. La situazione attuale è ben diversa perché i produttori principali di beni e servizi militari sono sorti in gran parte per specifiche esigenze militari e, quindi, non hanno esperienze precedenti d'impiego in campo civile. Quanto sopra si riferisce ovviamente a complessi industriali e ad entità fisiche, e non necessariamente a singoli individui. Ma è anche

vero che gran parte del personale assunto nel periodo della Guerra fredda (cioè dalla fine della seconda Guerra Mondiale ad oggi), che rappresenta una forza lavoro importante nei principali paesi industrializzati ed anche in paesi in via di sviluppo, ha svolto la propria carriera unicamente in operazioni intese a soddisfare esigenze militari. L'attuale conversione economica si prefigge due obiettivi: il primo è convertire gli impianti di produzione militare all'impiego civile, diminuendo di conseguenza direttamente la base di potere delle istituzioni belliche. Il secondo è di invertire il fenomeno di erosione di competenze esistente in seno all'industria civile, fenomeno provocato dall'espandersi della prassi di massimizzazione dei costi dalla sfera militare a quella civile.

Un ulteriore scopo della conversione economica è di offrire un'opportunità di lavoro al personale dell'industria bellica durante l'inversione della corsa al riarmo. Se tale opportunità non venisse offerta sarebbe naturale attendersi un atteggiamento di forte ostilità al processo di disarmo da parte del personale impiegato nelle industrie belliche, essendo il proprio immediato interesse economico in gioco. Qual è il significato della base di potere delle istituzioni belliche?

Negli Stati Uniti, 50 mila persone formano l'ufficio amministrativo centrale in seno al Dipartimento della Difesa (Department of Defense). L'ufficio amministrativo centrale è l'equivalente del vertice decisionale di una industria caratterizzata da più settori ed impianti. Un ufficio centrale formula la politica generale, designa i manager dei principali reparti e definisce linee politiche a livello di reparto, aderenti alla politica di base. In tal modo l'ufficio centrale amministrativo, collocato nell'ambito del Dipartimento della Difesa, ha una posizione, nei confronti dei suoi 37.000 fornitori, identica a quella dell'ufficio centrale amministrativo della General Motors nei confronti delle sue divisioni. E' il più vasto ufficio amministrativo centrale dell'economia americana e probabilmente anche del mondo.

Le istituzioni belliche hanno mobilitato la più numerosa forza lavoro specifica sotto un'unica direzione. Hanno il più alto numero di personale, sotto un'unica direzione, addetto alla Ricerca ed allo Sviluppo. Le sezioni R e D (Ricerca e Sviluppo) del Dipartimento della Difesa, e le agenzie connesse, dispongono dal 70 al 75% del bilancio totale per la ricerca e lo sviluppo del governo federale. E dobbiamo essere grati al Presidente Eisenhower di aver richiamato la nostra attenzione, nel suo discorso di addio del 7 gennaio 1961, sul fatto che per ogni anno del decennio precedente, le risorse finanziarie assegnate al Dipartimento della Difesa avevano superato il profitto netto globale di tutti i complessi economico-industriali americani. Questo fenomeno si è protratto ininterrottamente dal 1961 sino ad oggi per cui le istituzioni belliche hanno utilizzato il più grande fondo finanziario dell'economia americana. Dal 1946 al 1980 i bilanci del Dipartimento della Difesa hanno totalizzato 2.001 miliardi di dollari

. I bilanci approvati e quelli previsti per il periodo 1980-1988 dovrebbero essere un totale di 2.089 miliardi di dollari. Se il controllo dei capitali finanziari è uno strumento di potere decisionale, economico, politico ecc. ecc. allora è sin troppo chiaro che le istituzioni belliche degli Stati Uniti hanno goduto, e godono di un potere di decisione senza precedenti.

Un bilancio militare moderno è un fondo di capitali. Vi sono due generi di capitale in un'azienda industriale ordinaria: il capitale fisso e il capitale d'esercizio. Il capitale fisso è costituito dal valore monetario del terreno, degli edifici, delle attrezzature. Il capitale d'esercizio è il valore monetario di tutte le altre risorse indispensabili per far partire e far funzionare l'azienda. Un bilancio militare moderno, vale a dire l'impiego dei relativi fondi, mette appunto a disposizione un insieme di risorse che viene convenzionalmente identificato in capitali fissi e capitali d'esercizio. E ciò per una gamma di prodotti che hanno una caratteristica unica. Un bombardiere a reazione moderno, un caccia supersonico, un sottomarino od un missile nucleare, rappresentano eccezionali realizzazioni tecnologiche. Tuttavia, essi, qualsiasi lo scopo cui possono servire, non servono minimamente a contribuire ai consumi ordinari, e quindi non incidono sul livello di vita; né possono essere utilizzati per ulteriori

produzioni. Infatti, per quanto complesso possa essere un sottomarino a propulsione nucleare, nessuno può farci nulla di utile.

A causa di tale peculiarità dei prodotti militari il costo complessivo a carico dell'intera comunità di questo modo di impiegare le risorse finanziarie ha delle caratteristiche che sono quasi del tutto trascurate nei nostri testi di economia. L'onere per la società è rappresentato in prima istanza dalle risorse monetarie dirette assegnate alla Difesa. Un secondo genere di costi è rappresentato da tutti i beni e servizi civili destinati al consumo o alla produzione che vengono persi quando le risorse finanziarie sono usate per realizzare prodotti che non hanno alcuna utilità per la società civile. Dal punto di vista della comunità, tali costi economici sono approssimativamente uguali a quelli relativi alle varie poste del bilancio militare. C'è poi un terzo tipo di costo.

Quando delle risorse finanziarie vengono destinate ad una nuova produzione civile su base continua, subentra generalmente un perfezionamento dei mezzi di produzione. Diventano più adeguati ed efficienti. Funzionano meglio e sono più produttivi. Gli economisti chiamano questo fenomeno un aumento della produttività marginale del capitale. Quando invece le risorse vengono utilizzate per obiettivi che non possono condurre ad una ulteriore produzione, l'incremento della produttività marginale del capitale è perso per sempre.

Ma c'è ancora un quarto tipo di costo: un costo sociale per l'intera società. Una vasta quantità di conoscenza viene acquisita per la sola tecnologia militare e non può essere applicata altrove, come sarebbe possibile qualora l'R e D venisse sviluppata per scopi civili. Tali conoscenze vengono pure definitivamente perse. C'è finalmente un quinto costo, incommensurabile, ma molto importante. Poiché una vasta forza di lavoro è addestrata per esigenze militari, si abituaa lavorare non badando a minimizzare i costi, bensì a massimizzare ed a compensare i costi massimizzati con sussidi massimizzati. Ciò è possibile solo se l'attività è realizzata sotto la tutela di uno stato, con risorse quasi illimitate rese disponibili drenando i redditi di una società intera. Per conseguenza una forza lavoro addestrata in questo modo sviluppa ciò che venne genialmente chiamato da Thorstein Veblen una addestrata incapacità, in questo caso al lavoro civile. Manca infatti la competenza professionale ai fini dell'industria civile

e delle realizzazioni tecniche civili. Per quanto mi risulta non vi è mai stato alcun tentativo per pervenire ad una misurazione complessiva dei costi sociali secondo le cinque categorie che ho identificato. Ritengo che sia un problema di ricerca importante. Un paio di dissertazioni accademiche sono in attesa di essere sviluppate.

Ritornando all'idea di base del bilancio militare in quanto fondo capitale, è importante confrontarlo con un altro fondo capitale. Nelle statistiche dei conti nazionali di molti paesi esso appare come una categoria che viene chiamata Formazione di Capitale Fisso Domestico Lordo. Esprime semplicemente il valore monetario di tutte le nuove realizzazioni di capitale civile in un determinato anno - scuole, fabbriche, macchinari, strade, canalizzazioni, biblioteche ecc. ecc.. Dai dati forniti dalle Nazioni Unite sul reddito nazionale, è possibile calcolare il fondo capitale assegnato ai militari, in un certo numero di paesi in un determinato anno, per ogni cento dollari di capitale civile di nuova formazione (il valore monetario di nuovi macchinari industriali, edifici, strade, sistemi di rifornimento idrico provenienti sia da fonti pubbliche sia private). Queste le cifre per l'ultimo anno in cui sono disponibili i dati, il 1979: negli Stati Uniti, per ogni cento dollari di formazione di capitale lordo fisso civi

le, altri 33 dollari erano destinati alle spese militari; 32$ nel Reqno Unito; 26$ in Francia; 23$ in Svezia; 20$ in Germania Federale; 3,7$ in Giappone. Non vi sono dati ufficiali per l'Unione Sovietica, ma la mia valutazione, che sarò disposto a ritirare una volta che tali dati saranno forniti, è di 66$. Queste cifre sono significative. Il basso rapporto tra l'impiego militare di capitale e la formazione di capitale civile che si riscontra in Giappone ed in Germania Federale è segno sintomatico della modernità degli impianti e delle attrezzature industriali di tali paesi. E'soprattutto un elemento di conferma del rapido sviluppo, in tali, paesi, delle tecnologie civili nonché della loro capacità di sostenere il più rapido incremento dei salari al mondo e di essere economicamente capaci in campo industriale.

Un'ulteriore stima al riguardo è senza dubbio allarmante. E' basata sulle previsioni del bilancio militare degli Stati Uniti fino al 1988. Per ciò che concerne l'aspetto militare esiste un piano di bilancio di cinque anni (i piani quinquennali diventano americani quanto la torta di mele quando riguardano il Pentagono). Disponiamo quindi di cifre di bilancio militare attendibili per il 1988. Ho confrontato questi dati con una stima, derivata da una semplice estrapolazione statistica, della Formazione Capitale Fisso Domestico Lordo per lo stesso anno. Per il 1988 sono giunto ad un rapporto di 87/100. Se la tendenza attuale del riarmo militare continua, se l'uso intensivo di capitale per il Pentagono prevale, è molto probabile che la competenza dell'industria statunitense verrà irreparabilmente distrutta, che la qualità del sistema di produzione civile sarà a tal punto degradata da diventare un fattore importante nel raggiungere ciò che ho descritto in ``Profitti senza Produzione'' (Profits without Production)

come il punto di non ritorno.

Qui è cruciale capire che il bilancio militare è un fondo capitale. Si deve poi aggiungere la sua influenza sull'incremento della produttività. Per tutto il secolo 1865-1965, gli Stati Uniti hanno pagato i salari più alti del mondo e, contemporaneamente, le sue industrie sono state in grado di produrre articoli di una qualità ed un prezzo tali da consentire la vendita sia sul mercato interno sia all'esterno. Ciò era possibile perché gli alti salari venivano compensati da una progressiva meccanizzazione del lavoro e dal miglioramento nell'organizzazione del lavoro. Il risultato fu un aumento della produzione media per uomo-ora, cioè un incremento della produttività. Dopo il 1965, invece, in seguito ad un periodo di incremento dei bilanci militari, il tasso di aumento della produttività è nettamente calato negli USA. Secondo un rapporto del 31 dicembre 1984 del U.S. Bureau of Labor Statistics circa le tendenze della produttività industriale e del costo del lavoro in dodici paesi, per il periodo 1960-1983, gli

Stati Uniti, con una media annua del 2,6%, avevano il più basso tasso di incremento della produttività rispetto a tutti gli altri paesi industrializzati esaminati: Canada, Giappone, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia e Regno Unito.

Il rapporto tra l'impiego militare del capitale e quello civile ha avuto quindi gravi conseguenze, in quanto la meccanizzazione del lavoro e la modernità degli impianti industriali sono i requisiti fondamentali per una sostanziale accelerazione della crescita produttiva. Ma, non appena la minimizzazione dei costi viene soppiantata nell'industria militare dalla massimizzazione dei costi, il processo classico di ininterrotti miglioramenti specifici della produttività industriale si annesta. Il meccanismo funzionava come segue: i salari, uno dei costi più importanti, aumentano per vari motivi - tendenza del mercato, negoziati sindacali, etc.. In una microeconomia basata sulla minimizzazione dei costi, i datori di lavoro compenserebbero la crescita dei salari con la meccanizzazione e una migliore organizzazione del lavoro, nonché riprogettando i prodotti. Quando questo fenomeno si è verificato tra le industrie produttrici di macchinario industriale, ne è derivata la possibilità che i salari paqati da queste azie

nde e dai loro clienti aumentassero più rapidamente dei prezzi dei loro prodotti. A sua volta ciò significava che agli utenti del macchinario venivano offerte nuove e più efficienti attrezzature a prezzi sempre più convenienti. Così un processo continuo ha portato ad un uso sempre più ampio ed intensivo della macchina in sostituzione del lavoro manuale. L'effetto automatico che ne è derivato è stato un miglioramento nella produttività media del lavoro.

In un saggio precedente ``Fattori Dinamici nella Produttività Industriale'' (1956) ho dimostrato che questo modello era caratteristico degli Stati Uniti nonché della Gran Bretagna. Ora questo modello è stato sostanzialmente trasformato. Per gli Stati Uniti è avvenuto negli anni '70. Il modo per meglio rappresentare quanto sopra è offerto dalla seguente tabella in cui sono indicati i cambiamenti percentuali delle paghe orarie-medie dei lavoratori dell'industria e i cambiamenti percentuali nei prezzi delle macchine utensili per il periodo 1971-1978.

Paghe/ora Prezzi Macchine Utensili

US + 72 + 85

Germ. Fed. + 72 + 59

Giappone + 177 + 51

(Fonte: ``Profitti senza Produzione'' p. l74).

In Giappone la paga oraria media per i lavoratori dell'industria è aumentata del 177% mentre i prezzi delle macchine utensili del 51%. Questo è il modello classico. I produttori di macchine utensili si sono sforzati di compensare l'aumento dei salari con una maggiore efficienza interna alla fabbrica, cosicché l'aumento dei prezzi dei loro prodotti è stato del 51%. In Germania Federale le paghe orarie medie aumentano del 72% mentre il prezzo delle macchine utensili del 59%. La differenza è minore ma è ancora tale da indurre una ulteriore meccanizzazione del lavoro. Negli Stati Uniti l'aumento delle paghe orarie medie è ugualmente del 72% ma i Prezzi delle macchine utensili, sono aumentate dell'85%. Questi dati segnano la fine di un modo di vita industriale negli Stati Uniti. Segnano la fine del processo classico di minimizzazione dei costi da parte degli imprenditori statunitensi che provocava un aumento della produttività come effetto derivato. La conseguenza di questo mutamento è stata una diminuzione di in

teresse all'acquisto di nuove attrezzature per la produzione. Nel 1978 gli Stati Uniti avevano lo stock di macchinari metalmeccanici più vecchio di qualsiasi altro paese industrializzato. Tutto ciò era causato non solo dal fatto che il Dipartimento della Difesa era diventato uno tra i Principali acquirenti di macchine utensili e uno dei maggiori sponsor di ricerca e sviluppo nel campo, al punto che l'idea della massimizzazione dei costi aveva contagiato la prassi interna dell'industria delle macchine utensili. C'era anche una trasformazione generale nell'orientamento del management industriale statunitense, sempre meno interessato a una produzione competente e sempre più attratto dal puro far soldi con ogni genere di strategemma finanziario.

Ma il nodo del problema è questo: a pagina 180 di ``Profitti senza Produzione'' ho identificato la gamma delle condizioni favorevoli ad un aumento della produttività. Esse sono la minimizzazione dei costi delle industrie produttrici di macchinari e quella degli utenti delle macchine, crescita dei salari rapportata ai prezzi del macchinario, disponibilità di capitale a tassi d'interesse bassi, Ricerca e Sviluppo per promuovere nuovi mezzi di Produzione, mantenimento di una produzione stabile, presenza di un management orientato verso la produzione, disponibilità di una infrastruttura adeguata come supporto di base della produzione. Gli effetti dell'economia militare, nel suo normale processo operativo, hanno contrastato ciascuna delle suddette condizioni. In conseguenza le aziende americane sono state meno in grado di compensare gli aumenti dei costi e, quindi, non hanno potuto alimentare nemmeno il mercato nazionale a livelli accettabili di prezzi e di qualità. Nel 1980, il 27% delle automobili era importato

, così come il 25% delle macchine utensili (lo scorso anno il 42%), il 15% dei laminati, l'87% delle TV in bianco e nero, il 47% delle calcolatrici, il 22% dei forni e delle cucine a microonde, il 34% dei microcircuiti integrati, il 24% delle attrezzature a raggi X od altro tipo di radiazione, il 74% delle cineprese, il 51% delle macchine da cucire (lo scorso anno il 100% per il tipo casalingo), il 100% dei registratori e dei dittofoni (è impossibile, a qualsiasi prezzo, acquistarne uno Made in USA), il 100% delle radio (non esistono industrie di radio negli U.S.), il 22% delle biciclette, il 50% delle scarpe da uomo.

Ognuna di queste percentuali significa ugualmente che è sparita la stessa percentuale di occupazione nazionale in quelle industrie. Ciò significa la perdita di diversi milioni di posti di lavoro nell'economia industriale statunitense.

C'è un divario preoccupante tra i dati nazionali per l'occupazione pubblicati dal governo e le condizioni di vita in particolari industrie, città e regioni. Un effetto di aggregazione nasconde le diversità di esperienza nell'economia e nella società statunitense. L'economia militare prospera; condizioni di boom economico sussistono nelle industrie e in quelle regioni che utilizzano ingegneri e lavoratori specializzati a soddisfare le esigenze del Pentagono. Se ne possono trovare le prove negli annunci di offerte di lavoro nei giornali di Los Angeles, Boston e New York. Queste condizioni di boom non si ritrovano a Homestead, Pennsylvania, dove gli impianti della U.S. Steel Corporation sono fermi e dove gli impianti della Mesto Steel Company, una volta fornitrici di laminati all'industria americana, sono stati chiusi ed il macchinario venduto all'asta.

E' sempre più essenziale saper distinguere tra i dati statistici sulle attività economiche. Ad esempio il 22 dicembre 1984 un dispaccio dell'Associated Press riferiva che, secondo il Dipartimento del Commercio, gli ordini di beni durevoli facevano registrare l'incremento più alto degli ultimi quattro anni - un aumento dell'8,3% in novembre. Il paragrafo successivo aggiungeva: più della metà del incremento è da attribuirsi ad un aumento del 99,4% nella categoria degli ordini militari. In altre parole, il titolo era ``Aumento dell'8,3 negli ordini di beni durevoli'' e a caratteri più Piccoli era spiegato che di essi più della metà era rappresentata da ordini, prontamente manipolati, del Pentagono.

Nel capitolo 12 di ``Profitti senza Produzione'' ho trattato in modo esauriente le conseguenze per la base di supporto della produzione (chiamata di solito infrastruttura) che derivano dal funzionamento a lungo termine di una economia militare.

Ne risulta che la conversione economica è ulteriormente necessaria per rovesciare il processo di esaurimento di cui soffrono tante industrie statunitensi. Ciò non è accaduto solo nelle cosiddette ciminiere, bensì anche nelle industrie statunitensi ad alta tecnologia per automazione, quelle che producono computers. Un esempio istruttivo è costituito da uno degli elaboratori più importanti, più popolari e più venduti, il Personal Computer della IBM. Sul retro dell'involucro del tubo a raggi catodici c'è scritto ``Made in Taiwan'' o ``Made in Korea''. L'etichetta dell'involucro inferiore porta il marchio ``Made in USA'', ma l'unità disco è ``Made in Singapore'' o ``Made in Hong Kong'', dove la IBM ha una azienda in subappalto e le pastiglie di silicio (le cosiddette chips), Made in Japan, sono pure assemblate all'estero. La tastiera e l'unità di elaborazione sono fabbricate in Giappone. Quindi, ciò che resta per la produzione in USA sono l'involucro esterno e l'assemblaggio delle principali componenti. Tale sit

uazione mi preoccupa, non per spirito nazionalistico o per desiderio di autarchia in economia, ma perché so che una comunità deve produrre per vivere. Non esiste nessuna teoria dalla quale dedurre che è possibile su una base continuativa che la produzione per una comunità sia eseguita da un'altra. E in pratica ciò non è mai accaduto.

E' spaventoso dover constatare che la Catepillar Tractor Company non è più in grado di produrre bulldozer nei suoi impianti di Peoria, e che deve importare pezzi di motore e pezzi di macchinari: ne deriva che l'azienda si sta trasformando in un'azienda di assemblaggio. Industria dopo industria questo processo va avanti. I managers esportano capitale all'estero per evitare i problemi di compensazione dei costi posti dall'impiego di manodopera statunitense. In un primo tempo, la progettazione avviene in patria, anche se la produzione ha luogo altrove. Ciò significa che le possibilità di vita produttiva vanno diminuendo. Cosa devono fare i giovani (uomini e donne) che vivono nei pressi di Poughkeepsie e altre zone dello Stato di New York se l'IBM, che possiede impianti notevoli in queste zone, non produce il Personal Computer lì? Non possono certo emigrare in Messico, dove si dice che l'IBM stia sforzandosi di aprire una nuova fabbrica per produrre il Personal Computer.

Vi è inoltre, un altro problema di cui è responsabile l'economia militare. Il militare addestra ingegneri ed operai ad accettare l'inaffidabilità del prodotto. I prodotti militari sono diventati sempre più complessi, al punto a farne le spese è l'affidabilità. Ciò accade perché l'affidabilità di un insieme di componenti collegati fra loro è il prodotto dell'affidabilità di ogni singolo componente. Giacché nessun articolo fatto dall'uomo è affidabile al 100%, l'assemblaggio di sempre più componenti degrada l'affidabilità del sistema.

E'normale per i militari che per ogni cento F-15, il caccia di punta dell'Aeronautica statunitense, disponibili, in qualsiasi momento 45 di essi siano in riparazione. Tale è la media registrata negli ultimi anni. E, quando una serie di carri armati M-1 sono in manovra, ci si può aspettare che vengono fatti funzionare grazie agli eroici e massicci sforzai delle squadre di manutenzione, e all'immediata disponibilità di considerevoli quantità di pezzi di ricambio e di carburante - quasi 10 litri è il consumo (3,8 galloni al miglio). Sull'incrociatore contraereo Aegis il software ha un'importanza cruciale per le operazioni dei sistemi computerizzati Preposti al controllo dei sistemi d'arma; ma tale software ha un tasso di inefficenza molto elevato. E il tasso di funzionamento delle altre parti del sistema è solo del 45%. Tale inaffidabilità è ormai accettata dai militari, ma è assolutamente inaccettabile nel mondo civile.

Se un tram non funziona 45 volte su cento, se si ferma spesso in mezzo alla strada, se blocca il traffico e disturba un'intera comunità, il fatto viene notato. Non è lo stesso per il materiale militare, tenuto dietro filo spinato, su portaerei, sulle isole o su basi lontane e inosservate.

Quindi, quando la tecnologia aereospaziale e la sua struttura organizzativa vengono applicate alla produzione di vetture tranviarie (ed è esattamente quanto è avvenuto per la Boeing-Vertel Co nei pressi di Philadelfia - dettagli ulteriori si trovano nel capitolo 13 di ``Profitti senza Produzione'') ovviamente l'approccio fallisce. La Boeing-Vertel ha dovuto abbandonare il mercato delle vetture tranviarie perché si è trovata immediatamente impegnata in importanti processi legali mossi dalla Massachussetts Bay Transit Authority. Il tram aveva un bell'aspetto ed era piacevole viaggiarci quando funzionava, ma troppe cose non andavano. Molte disfunzioni non potevano essere rimediate: erano infatti debolezze intrinseche, il risultato dell'organizzazione tecnica e delle operazioni sistematicamente messe in pratica nell'industria militare, particolarmente nell'industria aerospaziale. Ecco perché la conversione economica, che comprende il riaddestramento del personale a competenze civili, è essenziale.

Una delle prassi normali nella sfera militare viene chiamata convergenza (concurrence). Nell'economia civile, quando viene concepito un nuovo prodotto, esso passa normalmente attraverso una serie di stadi funzionali. Alla base esiste un concetto. Viene eseguito un progetto. Un prototipo è costruito e viene sperimentato: sono individuati gli inconvenienti. Viene riprogettato e risperimentato una o più volte. L'ordine di produzione viene dato solo quando il prototipo risponde alle esigenze della prestazione richiesta. Non è così nel mondo del Dipartimento della Difesa. Qui vige la convergenza: è effettivamente sanzionata dai regolamenti del Segretario della Difesa. Convergenza significa realizzazione simultanea di tutti questi stadi. Significa che ci si butta a capofitto, saltando dal concetto e dal progetto alla produzione. Una volta che l'articolo è prodotto e utilizzato, si scoprono i difetti (ad esempio, ali di un aereo che cadono), allora si cambiano elementi del progetto con altri che devono ancora esser

e fabbricati e si modificano quelli già fatti. Di qualunque cosa si tratti, questo è probabilmente il modo più costoso di costruire qualcosa mai concepito dalla mente umana. Per cui se ciò diventa la prassi abituale degli ingegneri e dei managers, ed in parte degli operai, essi saranno preda di una radicata incapacità di produrre in seno ad un'economia civile. Essi sono realmente incapaci, non superficialmente bensì fondamentalmente. Le capacità che hanno dato loro da vivere sono inadeguate. Ne risulta che la conversione economica non è solo un'idea arbitraria: è un'idea indispensabile se gli occupati nel settore militare devono lavorare in settori civili della produzione.

I provvedimenti per una conversione economica sono necessari, ma non bastano. Le caratteristiche del management hanno svolto un ruolo distruttivo: l'interesse verso la produzione a lungo termine è stato soppiantato dalla voglia di far soldi nel breve periodo. Ogni giorno la stampa, la radio e la TV ci dicono che l'economia statunitense sta decollando. Questa immagine rosea deriva da una serie di provvedimenti basati sul volume del flusso monetario. Tuttavia è possibile avere un incremento del flusso monetario associato a uno scarso risultato produttivo. Il flusso monetario può essere incrementato generando una grande quantità di commesse militari anche quando una serie di industrie civili continua a soffrire di una decadenza progressiva nella propria capacità produttiva. Ed è esattamente ciò che sta accadendo.

Quali sono le componenti strategiche della conversione economica? In primo luogo, deve essere pianificata ben in anticipo: infatti, per stabilire un impiego alternativo per una azienda civile di qualsiasi dimensione, ci vogliono - solo per cominciare - almeno due anni. Tale è il periodo richiesto per selezionare nuovi prodotti, per impiantare nuove attrezzature di produzione, localizzare nuove fonti di materie prime, e addestrare le forze di lavoro. Nel caso di aziende con esperienze esclusivamente militari, la scelta della nuova produzione è cruciale. Quali prodotti civili competitivi possono essere prodotti efficientemente da individui o attrezzature finora utilizzati solo a scopo militare? In secondo luogo, la pianificazione della conversione deve essere decentralizzata. Se viene tentata da un centro nazionale è destinata all'insuccesso, in quanto è impossibile, da un centro decisionale distante soprintendere alla miriade di dati specifici che devono essere presi in considerazione in un piano concepito pe

r una data azienda. In terzo luogo, l'attività intera deve essere svolta senza stanziare sussidi in favore del management implicato. La continuazione dei sussidi significa continuare ad ammortizzare qualcosa che nelle attività civili sarebbe vera incompetenza. In quarto luogo è essenziale obbligare legalmente ogni impresa bellica a costituire un comitato per l'impiego alternativo, la cui metà dei membri deve essere scelta tra il management e l'altra metà fra il rimanente personale, con la responsabilità di pianificare prodotti e sistemi di produzione alternativi, adatti agli impianti. Questo provvedimento deve essere reso obbligatorio, altrimenti il management, ed anche qualche ingegnere o operaio della produzione, potrebbero rifiutarsi di intraprendere una tale iniziativa.

I manager devono essere riaddestrati. I manager di aziende belliche sono esperti a trattare politicamente e diplomaticamente con il Dipartimento della Difesa: non sarebbero in grado di guadagnarsi da vivere vendendo divani-letto a un grande magazzino. Gli ingegneri che sono stati addestrati a creare prodotti sempre più complessi devono imparare un nuovo approccio per la progettazione che punti alla semplicità e al contenimento dei costi nei limiti di prestazioni affidabili. La Ricerca e lo Sviluppo devono essere regolamentati in modo che gente abituata a sperperare le risorse del governo federale, scopra come si lavora in un ambiente civile. Alcuni operai dovranno essere riaddestrati, ma probabilmente in misura minore degli ingegneri e dei dirigenti.

Qual è l'ampiezza del problema? Visitando nel 1978 una fabbrica che produce bombardieri B-1, trovai 5.000 operai, 5.000 ingegneri e 4.000 impiegati. Che io sappia non c'è un'azienda civile dove ci sia un ingegnere per ogni operaio, o con una attività amministrativa pari a 4 su 5. Qualsiasi tentativo di competere sul mercato civile con un personale del genere fallirebbe: qualunque fosse il prodotto un suo concorrente anche vagamente simile lo renderebbe costosissimo e invendible.

E' quindi cruciale che la pianificazione di una conversione economica preveda un riaddestramento del personale. Deve comprendere anche fondi per attuare i trasferimenti, necessari per parte degli ingegneri. Inoltre, nonostante un piano di ripresa avveduto ed accurato, ci sarà sicuramente una sosta tra la fine della produzione militare e l'inizio di quella civile. Sarà quindi necessario un certo sostegno finanziario.

Queste attività saranno indispensabili in ogni sede dove è previsto un uso alternativo. I fondi per queste operazioni di transizione sono previsti nella proposta di legge per la converisone economica (n. 299 alla Camera dei Rappresentanti), attraverso fondi accumulati e amministrati dal Tesoro statunitense a questo scopo.

Cosa dovrebbero produrre le aziende precedentemente utilizzate per la produzione militare? Al principio si potrebbero esaminare le liste dei prodotti che vengono ora importati negli Stati Uniti e chiedersi: quali di tali prodotti sono realizzabili con le attrezzature esistenti? Tale produzione potrebbe aver luogo ad un prezzo e a una qualità accettabili? Entrare in concorrenza contro produttori competenti già presenti sul mercato rappresenta una sfida. Non v'è alcun dubbio poi che all'economia e alla società statunitense occorrono vasti programmi di investimento di capitali. Ecco un'indicazione di ciò che questo può significare. Nel 1982 ``U.S. News and World report'' considerava che le decadenti infrastrutture degli Stati Uniti potevano essere riparate al costo di 2.500 miliardi di dollari. Ma i bilanci militari statunitensi (spesi e previsti) per il periodo 1980-90 superano i 2.900 miliardi di dollari.

Nei miei precedenti libri, incluso ``The permanent war economy'' ho esposto al lettore una dimostrazione di possibili programmi di investimento di capitali. L'ultimo atto ufficiale dell'amministrazione Johnson fu di tracciare un programma di investimenti annuali a tempo indeterminato. Trattasi del cosiddetto ``Dividendo di Pace'', cioè il nuovo impiego del denaro in Precedenza destinato alla guerra del Vietnam. Ammontava a 39,7 miliardi di dollari annui. Stimolata dal pensiero di tutti quei soldi, la Camera di Commercio stese, quindi, propri programmi di investimento di capitali. I sindacati fecero la stessa cosa, così come la rivista Fortune e la Commissione economica del Congresso. Quando arrivai a scrivere ``Profitti senza produzione'' nel 1983 decisi: niente programmi. Perché? Perché i programmi rischiano di diventare troppo lunghi, perché il deterioramento degli impianti di produzione e delle attrezzature era divenuta generale e quello delle infrastrutture epidemica. Decisi di ricorrere a stime compless

ive ed eccone i risultati.

I dati che misurano la ricchezza nazionale degli Stati Uniti per il 1979 fanno apparire una cifra complessiva di 5.700 miliardi di dollari, quale ricchezza fissa, riproducibile e tangibile, che esclude però i beni durevoli di consumo e quelli militari. La ricchezza fissa è quella che non tiene conto dei beni militari e lascia da parte i frigoriferi, i fornelli, le automobili private, ecc. Assumendo che circa il 66% delle principali attrezzature e delle infrastrutture deve essere sostituito se la capacità produttiva e gli associati impianti e servizi devono essere portati a un livello di punta, è necessario impiegare un capitale pari a 2/3 della cifra di cui sopra, vale a dire 3.800 miliardi. Nel 1979 il costo medio del lavoro industriale per uomo/anno ammontava a 13.380 dollari. Tradotta in lavoro uomo/anno, tale ricostruzione richiederebbe l'impiego diretto ed indiretto di 14.000.000 uomini/anno, ogni anno per almeno 20 anni. Scrissi allora che era interessante, e probabilmente non era una coincidenza, cons

tatare che la stima una forza lavoro di 14.000.000 necessaria per la ricostruzione corrisponde alla somma dei disoccupati più il personale impiegato nell'economia militare per il 1982.

Quindi, i programmi di investimento di capitale saranno ovviamente vasti, ma è importante che siano tracciati.

La serie intera dei ``desiderata'' enumerata in questa sede è inserita in un testo proposto dal deputato Ted Weiss al Congresso statunitense. Nel 1984 venne chiamata H.R. 425, progetto di legge per agevolare la ripresa economica di comunità, industrie e operai mediante una riduzione delle commesse della Difesa e aerospaziali, delle attrezzature militari, dell'esportazione delle armi, ecc. Questa proposta è stata ripresentata quest'anno con un nuovo numero, H.R. 229, e sarà l'oggetto di una campagna di istruzione da una costa all'altra, intrapresa dal SANE e, spero, da altri gruppi pacifisti. Dovrebbe allora essere possibile riunire e coordinare il sostegno di centinaia di membri del Congresso alla proposta, che ha già 37 firme, sebbene nessun tentativo serio sia stato fatto per raccogliere altre firme.

L'importanza politica di questa campagna è duplice. Primo, per dimostrare alla gente che, dal lato economico, un lavoro coerente e costruttivo è necessario e urgente come alternativa alla corsa agli armamenti. In secondo luogo, dal punto di vista diplomatico, per dare una migliore possibilità al governo di negoziare l'inversione della corsa agli armamenti, grazie a tale programma di conversione.

Due anni fa, a Mosca discutevo dei programmi di un simposio USA-URSS, che si è poi svolto nel giugno 1984 sulla conversione dell'economia dal militare al civile. Nel corso della conversazione, uno dei miei colleghi sovietici chiese il perché di un tale simposio. Dopo tutto, egli disse, si tratta di un problema politico. Una volta che i governi giungono ad un accordo politico, possiamo passare agli aspetti economici. Gli ricordai che lo stesso Carlo Marx aveva richiamato l'attenzione sui rapporti tra politica ed economia, e ciò sembrò rispondere alla sua domanda. Ciononostante, la discussione proseguì in modo più diretto. Il governo sovietico si era dichiarato, pro forma e in linea di principio, a favore di un congelamento della produzione delle armi nucleari e dei sistemi di lancio. Chiesi quindi al gruppo se credeva che, in realtà, il governo sovietico annuncerebbe un tale congelamento, diciamo tre mesi prima dell'attuazione, qualora, nell'assenza di piani di conversione economica, il provvedimento comporte

rebbe il licenziamento di centinaia di migliaia di lavoratori? Confessai che ne dubitavo in quanto avrebbe implicato disordini civili. Ciò vale comunque anche per una amministrazione americana. E le cifre lo confermano: le stime statunitensi circa le conseguenze economiche di un congelamento prevedevano una perdita potenziale di 350.000 posti di lavoro. Né un governo sovietico, né un governo statunitense ritenebbero prudente dar seguito a tale proposta. Dunque, sostenni, la pianificazione della conversione economica è indispensabile per un accordo politico, e su ciò non si discute. E quello che era ragionevole allora, lo è oggi.

In conclusione, credo che affrontando simultaneamente il disarmo e la conversione economica, possiamo andare alla radice del più pericoloso processo politico dei nostri tempi. Cioè la ``cooperazione antagonistica'' attraverso la quale le istituzioni bel liche degli Stati Uniti e dell'URSS si sono rafforzate vicendevolmente generando così ingenti bilanci, più estese economie militari, quantità di armi sempre più pericolose. Conseguentemente, ciò ha accentuato il centralismo e l'autoritarismo nelle rispettive società. Non conosco alcun problema politico così cruciale per la sopravvivenza della società come quello del disarmo e della conversione economica.

 
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