a cura di Adriano SofriSOMMARIO: Il Partito radicale raccontato da Pannella attraverso i volti della sua storia, attraverso le persone che ha amato. Vittorini: "siete gli unici copernicani della nostra politica tolemaica"; Pasolini: come nasce la storia del "Processo"; Rossi, Sciascia, Spinelli, Terracini, Gullo, Vidali...
Il Partito radicale dalla disobbedienza civile ad una "nuova obbiedienza". De Benedetti e Scalfari pensano al commissionamento della repubblica e sono perciò destabilizzatori.
(FINE SECOLO, 2/3 novembre 1985)
Occorre farsi venire un'idea per parlare dei radicali a congresso. L'idea è di intervistare Pannella. Ma va', direte voi. Un momento, possono esserci cose che Pannella non aveva ancora detto, e altre che voi non avevate sentito. Qui di seguito, ha deciso di rivendicare i suoi antenati prossimi e remoti, e altri più giovani congiunti, senza disdegnare di passare attraverso la cruna dell'ago dell'attualità e degli affari politici correnti. Del congresso, non si è parlato. Ancora ventiquattr'ore, e saprete com'è andata. Dagli altri giornali.
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"Si decide di dedicare un ``Fine secolo'' ai radicali e al loro congresso. Si cerca un'idea originale. Poi, si va a intervistare Pannella. Toccherà a lui evitare di ripetersi.
Lo incontro a Montecitorio, a governo vacante, e di sabato mattina. Il palazzo è deserto, e Pannella ci sta con la disinvoltura impaziente del padrone di una casa avita costretto a far posto per la stagione a inquilini grossolani o impacciati, e a vedere le suppellettili in malora e i cimeli più sacri adibiti agli usi più sconvenienti.
Non è sorprendente che Pannella, arrivato in Parlamento così tardi, abbia subito maneggiato magistralmente leggi e regolamenti? Mentre mi guida attraverso il palazzo, Pannella si ferma davanti alla galleria di ritratti dei presidenti della Camera dei Deputati, facce e nomi a me nella gran parte ignoti, e mi dice di averli mandati tutti a memoria. A casa sua, racconta, c'erano carte manoscritte di personaggi risorgimentali, custodite gelosamente, e che lui ragazzino decifrava con passione. Sento di star ricevendo la rivelazione della formazione di un Maestro della Procedura.
La visita comprende i gabinetti e la barbieria, recentissimo e temerario esempio di art déco in stile caro estinto. Pannella mi spiega quanto è costato, tanto. Poi passiamo dalle cassette per la corrispondenza, ciascuna col nome del titolare. Su buona parte delle serrature è infilata la chiave, e Pannella mi spiega con soddisfazione che fino a pochi anni fa tutti se la portavano dietro: finché lui ce la lasciò, e piano piano anche gli altri. Un'iniezione di fiducia.
Fine della visita guidata, inizio della conversazione. E' appena uscito il nostro inserto dedicato a Pasolini, è inevitabile cominciare da lì. Dico a Pannella che pubblicherò l'intervento di Pasolini al congresso radicale di Firenze di dieci anni fa, un po' il suo testamento. E' gran tempo, mi dice, di raccontare i rapporti col partito radicale di uomini come Pasolini, o Vittorini".
Vittorini
Quanti sanno oggi che Vittorini era presidente del partito? Nel marzo 1965, a Bologna, chiesi a Vittorini: "Siamo 150 in tutto, non contiamo niente, alle nostre iniziative non mandano neanche i cronisti, perché accetti?" "Perché siete gli unici copernicani della nostra politica tolemaica". Si toglie qualcosa a noi, ma anche a Vittorini quando si tace tutto questo. Nel '68, mi pare, intellettuali come Di Carlo, Carocci, Einaudi, tentarono un'operazione elettorale di indipendenti di sinistra a Milano, e Vittorini mi mandò un telegramma: "Ti comunico di aver posto come condizione alla candidatura la dizione di radicale o indipendente radicale". Bastò ad affossare l'operazione.
C'era un periodo in cui lo si vedeva poco, gli mandai una lettera di protesta, e ne ricevetti una da lui: "Mi sono reso conto della mia vecchiaia, perché fino a poco fa ti avrei risposto con 80 o 100 pagine".
Pasolini
Così con Pasolini: le lettere luterane hanno per un buon terzo i radicali come interlocutori. Soprattutto negli ultimi tre o quattro anni, Pasolini ci ha lanciato segnali umani e politici formidabili. Secondo De Mauro Pasolini non usava mai la locuzione "ti amo". Ma Pasolini ha scritto, sul Corriere, "Pannella sa quanto lo amo". Lui era disperato dove noi avevamo la speranza. Niente è peggio degli sforzi "di sinistra" per dimostrare il complotto contro Pasolini, del bisogno di ammazzare l'immagine vera per nobilitarne la morte e la vita. Hanno ricordato che nelle dieci pagine che avrebbe dovuto leggere da noi, nel novembre 1975, diceva di votare Pci. Ci fosse stato, si sarebbe candidato per noi, prima di Sciascia. Sono passati dieci anni, ed è giusto dargli quel che è suo, e a noi quel che è nostro. C'era stata quella prima pagina sul Corriere, nel 1974, in cui a un certo punto dell'articolo scriveva "per lealtà avverto che da qui in poi l'articolo diventa anche formalmente un volantino", e concludeva dando
gli indirizzi e le altre indicazioni utili per mettersi in contatto con noi.
Ora si può ricordare tutto questo: ancora fino a poco fa avrebbe significato, nell'opinione comune, dargli un quoziente di violenza, di indegnità, a lui, a Ernesto Rossi, a Vittorini - oggi non è più così.
Sai come nasce la storia del Processo di Pasolini? Era l'estate '74, lui era attonito per i comportamenti della stampa, e degli altri, verso di noi - ne soffriva, era angosciato. Alla fine di agosto Michele Tito, vicedirettore del Corriere, mi pubblica un articolo striminzito in cui dicevo che i sondaggi ci davano un risultato elettorale del 3 per cento. Era un lungo articolo tagliato, ma riusciva a dire che l'inveramento storico della nostra azione non sarebbe venuto dal Processo, un processo penale contro tutti i responsabili del potere. Un mese dopo Pasolini, rientrato dall'estero, mi telefona per sapere come sto - mi aveva lasciato nel pieno di un digiuno dei più impegnativi - io gli segnalo l'articolo sminuzzato sul Corriere. All'indomani mi telefona sconvolto, mi chiede che cosa è successo dopo quella proposta, si scandalizza del silenzio che l'ha accolta, dice che almeno nel fascismo c'era l'invettiva, la polemica. Gli dico: "prova tu, tu non sei riducibile a un'organizzazione, vedrai che scoppia il c
asino". Era come una scommessa, che con lui avrebbe funzionato. E lui scrisse le cose che sappiamo.
Oppure la storia del fascismo-antifascismo: Pasolini ne fu colpito leggendo la mia prefazione al libero di Valcarenghi, e scrisse che quello era il manifesto del radicalismo che mancava. E Pasolini non era smodato, eccessivo, paradossale magari, ma molto misurato, soprattutto quando scriveva da critico. E chiamò quella prefazione - ti ricordi, era quella in cui parlavo della linea antifascista Parri-Sofri - Manifesto del radicalismo. Subito dopo scrisse un articolo in cui si immaginava pedagogo di uno scugnizzo napoletano, e gli spiegava per la prima volta il
rapporto fra fascismo e antifascismo, e a piè di pagina mi citava. E guarda che citarmi in una sede "seria" era una vera coquetterie, perché nel mondo dei dotti io non esisto. Ricordo che gli raccomandai, quando diceva che l'antifascismo postfascista era erede del fascismo, di precisare `e non dell'antifascismo', senza di che si sarebbe esposto all'incomprensione e al linciaggio.
Nel 1964 facevamo i salti mortali per far uscire "Agenzia radicale", te lo ricordi, una ventina di pagine al giorno in 800 copie tirate al ciclostile, e i ragazzini dei bar intorno che venivano ad aiutarci a impaginare, bene, un giorno apro il Tempo, il settimanale, e trovo un articolo di Paolini che dice che ormai sempre più spesso è via dall'Italia, e anche quando torna si sente straniero, e lo sarebbe ancora di più "se non esistesse questo foglietto".
E' stato un dialogo continuo. Pensa alla "affermazione di coscienza", sai che noi diciamo affermazione, e non obiezione. Pasolini scrisse a proposito di un agente di custodia, che violando le consegne aveva permesso a un detenuto di stare con la fidanzata, e quello era scappato: l'agente di custodia si suicidò. Pasolini scrisse che la sua morte era un'affermazione, di umanità contro l'obbedienza formale, una proposta di vita (vedi che la poesia su Valle Giulia non era estemporanea) e concluse: "vedi dunque, caro Pannella, che bisogna mobilitarsi per il sì e non per il no" - e non si ricordava che due anni prima eravamo stati noi a dire "no al no".
Ricordo certi processi. Il mio grande cruccio, sai, è di non aver fatto l'avvocato - anzi ho due crucci, l'altro è di non avere una terrazza. Vedi che non sono cose così fuori portata. Anzi, domani mattina forse, grazie alla legge belga, potrò difendere in tribunale un giovane obiettore: devo sentirmi preparato, io sono un secchione, non credo alla difesa politica. Insomma, ricordo la viglia di un'udienza a Torino, eravamo incriminati io, Pasolini, tu, "e altri"; ricordo il terrore di Pier Paolo, un'angoscia kafkiana pura e semplice, non sapeva se venire, poi restò a Roma. Io scrissi al tribunale che l'imputazione era un'offesa alla magistratura, e che sarei stato presente in aula per volantinare il testo della mia lettera, ma contumace.
Si apre il processo, quando chiamano il mio nome il presidente dice "sì, sì, sappiamo dov'è", e dopo neanche un'ora rispedisce tutto al PM col pretesto di un espediente procedurale, ma di fatto bocciando l'istruttoria. Anche per questo non ci sto quando si parla indistintamente di anni di piombo - si poteva far altro anche allora, e si poteva trovare un ignoto presidente di tribunale come quello. E al tempo stesso, quelli che prendono la difesa postuma di Pasolini negando che fosse com'era, li ho avvertiti che si guardino, se anch'io ``finissi male'', dall'andare alla scoperta postuma delle centinaia di denunce e di processi che avevo ricevuto.
Gli ultimi dieci mesi
"Breve sosta, Pannella esce un momento, io mi affaccio alla finestra, alta sulla piazza: non avrà la terrazza, ma di qui la vista è straordinaria, con i profili successivi delle cupole e, bellissima, la cuspide di Sant'Ivo alla Sapienza, e lontano sul fondo, proprio di fronte, la magnifica struttura tubolare del gasometro ai piedi del quale sta la nostra redazione, fuori mano anche in questo. Rientro di Pannella, e accostamento all'attualità".
Qualcosa si è fatto davvero, è vero che l'Italia è uscita dagli esercizi provvisori, ma loro non credono neanche nei loro risultati, li ritengono marginali. Così Bettino rischia di avere come misura il confronto con Spadolini. Spadolini poi lo devi tenere, non farne marmellata, dopo che l'ha già fatto Reagan. Andreotti, un ministro degli esteri che, a parte l'eredità d'infanzia di Evangelisti, ha un cuore che batte per gente come Sindona e Caltagirone da noi, e all'estero per Assad (neanche Arafat, troppo romantico) e i sovietici. Gli piacciono, sono uomini di cui non si sa nulla, come di Sindona, l'inesistenza privata gli garantisce quell'integrità da barocco romano. Satana compreso, barocco anche lui, che è il suo modello. La politica come braccio secolare, e poi la schizofrenia di Dio e della messa alla mattina.
Sai chi è una persona che dovresti conoscere, senz'altro scopo, così come si va agli Uffizi? Il capitano Sankarà, il dittatore del Burkina Fasu, l'Alto Volta, un quarantenne accompagnato dalla tragedia, uno che ha chiamato i due figli Philippe e Auguste, forse saranno presto orfani, e all'Onu cita l'Enrico di Ofterdingen di Novalis, o Victor Hugo; una cultura tra Francia e Scolopi, uno sguardo grave, buono, non è un Savonarola, è un mite, e ingenuo anche. Burkina Fasu vuol dire "paese degli uomini giusti" - gli ho chiesto "e allora gli ingiusti, i diversi? Faremo rinascere ariani ed ebrei come giusti e ingiusti?" Eppure ha una forte passione per la giustizia. Fa fare ginnastica ai ministri, come faceva Starace, però lì sono anche compagni di scuola. Se un giorno, dopo avere ammazzato, non sarà stato ammazzato, e sarà in carcere, gli spedirò Voltaire, o qualche lettera di Giovanni XXIII, il primo a far arrivare Voltaire al mondo contadino.
Altiero Spinelli
Mi sono ritrovato alla fine con la gente con cui avevo cominciato, i vecchi elefanti che ho amato e che mi hanno voluto bene fino all'ultimo, Ernesto Rossi, Terracini, Fausto Gullo, Fidali. E, ben vivo, Altiero Spinelli - l'hai letto il suo bellissimo libro? Altiero voleva mandarlo in carcere a Franceschini, dopo aver visto l'intervista con Biagi.
In questi mesi può diventare irreversibile la nascita dell'Europa, o il suo affossamento. I nostri giornali non se ne accorgono neanche. Non solo loro: i repubblicani non dovevano poi faticare molto per vedere che se salta la politica europea salta anche quella mediorientale. Nessuno ha informato che, contro i governi, il parlamento europeo ha votato ancora per Spinelli. Là perfino i conservatori inglesi che, con tutto il sussiego e l'isolazionismo insulare, sono conservatori seri, si impegnano sul federalismo. La questione è semplice: se continuare coi vecchi Trattati, o varare un nuovo Trattato, che è la via scelta dal Parlamento europeo. Un organo senza potere, e tuttavia rappresentante di 300 milioni di persone. Il nuovo trattato prevede l'Unione Europea (delle repubbliche ecc., si poteva aggiungere, se non ci fossero le monarchie; noi volevamo chiamarli Stati Uniti d'Europa). Un'ora prima del voto europeo, la nostra Camera approvò una mozione che impegnava a ratificarlo. Fu abbastanza straordinario. Io
annunciai in aula, prima che fosse avvenuto, la soddisfazione di undici deputati non votanti che avevano visto approvato pressoché all'unanimità il mandato imperativo di dare attuazione al progetto che stavamo anche qua per approvare: il parlamento votò, e ratificò al buio un deliberato europeo che era ancora da venire!
All'inizio del suo semestre di presidenza, gennaio-luglio, il governo sembrò marciare, Craxi, e soprattutto il segretario generale della Farnesina, Ruggero, uno che conosceva il problema, era stato a Bruxelles, non è una mezza figura. Poi le cose si sono insabbiate, e la posizione degli Stati si è orientata verso la semplice riforma dei trattati esistenti. A Milano, in luglio, si votò che la riforma dovesse comunque avvenire sulla base del testo del parlamento europeo, e che una Conferenza intergovernativa la proponesse entro tre mesi ai parlamenti nazionali. Di fatto invece di dare autorità alla Conferenza l'hanno delegata alla diplomazia, preferendo ancora una volta la logica delle cose alla logica degli uomini.
L'altro giorno il Parlamento Europeo ha votato una mozione di deplorazione e di appello contro il mandato tradito - in Italia nessuno l'ha saputo, stavano tutti pensando ad Abbas. Dunque ora bisognerà passare alla non violenza per la Federazione europea.
("Mi fermo un momento, per sottoporre questo passaggio all'attenzione di chi si interroga sui prossimi bersagli dell'attività radicale").
Ma era di Altiero che volevo parlare, patriarca per volto, amori, figlie, adamantino, uno dei pochissimi veri timidi - pensa al pudore del libro, alla discrezione, così forti perché inavvertiti, non dichiarati - per la prima volta dal 1948, quando mi propose di dirigere la Gioventù Federalista Europea, e non accettai, per la prima volta mi dice ora con un'ombra di imbarazzo: "Marco, ma io ormai ho poco tempo: e allora, chi lo farà se non lo fai tu?"
Ecco, a distanza di quarant'anni io vedo dipanarsi ancora quel filo forte, degli anni '30, fatto di innocenza, di laicità intransigente e antisettaria. Rivedo anche tutto il repertorio delle accuse, quelle che già il Pci rivolgeva ignobilmente ai Rosselli: esibizionisti, vittimisti, attivisti, vitalisti, marionette dei servizi segreti, più pericolosi dei fascisti... Penso ai testi di educazione civica che non hanno mai conosciuto i nomi di Mario Ferrara, o di Niccolò Carandini, di Arrigo Cajumi, di Mario Paggi, di Achille Battaglia, altrettanti nomi che alla Camera non mi stanco mai di citare, a futura memoria, perché un giorno forse qualcuno verrà a frugare, e li troverà. Era una generazione che ha creduto alla forza della cultura, pronta a stare a corte - ma anche ad andare in galera - ed estranea e ignara del potere, che resta del sovrano, o del governo.
Sapevano di contare sulla forza personale, e di essere altro. I figli hanno scelto la mortificazione di idee e persone in cambio di potere, di potere sulle persone. I figli stanno ai padri come l'antifascismo secondo sta al primo. De Ruggiero, De Caprariis - pensa se Ingrao avesse letto, non dico chissà che, ma De Ruggiero. E invece crociani, anticrociani, ha prevalso acriticamente questo vincolo che ingiustamente si rinfacciava a Pasolini, con il mondo rurale, cattolico. Ma la conservazione è un'attività, una moralità, un fare, mentre per quindici anni non si poteva vedere se non la terra che tremava, e la gente che per esser vera doveva urlare in modo assordante.
Non è facile, arrivare agli ultimi tempi
E veniamo agli ultimi dieci mesi, e alle loro scansioni istituzionali: elezioni amministrative, referendum, elezioni presidenziali, e ora la crisi di governo. E' dal '67, a Firenze, che diciamo che siamo (non che dobbiamo essere) partito di governo. Allora era uno stratagemma semantico - come si parla di governare i sentimenti, le speranze, le leggi e le notti e le cucine, insomma tutto il lessico del radicalese. Ora la vecchia questione del governo e dell'opposizione è solo più in evidenza. Noi abbiamo `governato' i singoli problemi sui quali ci siamo di volta in volta impegnati. Quando digiunammo per l'applicazione dell'art. 81 alla Camera, e poi nel '67 riuscimmo, col solo appoggio di "ABC", ad avere il voto, la pregiudiziale di costituzionalità del divorzio - per 10 voti vinse una maggioranza che andava dai liberali al Pci, e aveva contro da Almirante alla Dc, sinistra dc compresa, invertendo maggioranze e minoranze politiche. Eravamo gli unici a conoscere il regolamento, ciò che si è ripetuto nel Parlam
ento europeo: e che vale a maggior ragione per l'economia, perché l'economia a livello dello stato è il diritto, e sappiamo quale ventaglio di rapporti possibili esiste fra diritto e società.
"C'è qui una breve interruzione, il tempo di ricevere un'agenzia che informa dell'ultimo sondaggio sulla popolarità rispettiva di Craxi e Spadolini".
Quest'anno, se abbiamo vinto sul referendum, è stato in buona parte perché avevamo costretto a fare le elezioni sul referendum, a mostrare il nesso fra le due scadenze. La sconfitta di quest'anno del Pci è stata più grave di quella della Dc nel '74, perché la Dc era più `cosa'. Carniti si scatenò, e non era sospetto: per vent'anni avevo accusato la Cgil di stare con Carniti, e per una volta la Cisl si affiancava alla CFDT, al sindacalismo neofabiano.
Alle elezioni, il punto da imporre era che le liste verdi venissero computate nella questione del sorpasso. Ci dicevano, diceva Alexander Langer, che il movimento verde non era maturo: ma si è sempre immaturi. Anche in politica conta il concepimento, l'attimo di impetus da cui deriva la vita, e noi l'abbiamo dato alla luce questo Verde, che non è detto che resti nella casa paterna, e non se ne vada per una sua miglior strada. E guarda che è grottesco ma non meno vero che il sorpasso si giocava su un uno e mezzo per cento in più o in meno: bastava quello a fare di una sconfitta clamorosa una quasi affermazione, con le conseguenze che ne potevano derivare per il referendum. Dopo di che, oggi i Verdi esistono, e magari i più antiradicali diventano pentapartito.
"Ce ne fossero..."
Ma non così. Ecco comunque un altro caso in cui abbiamo coinvolto tutti. E se fossimo davvero in democrazia, se io a Carniti avessimo potuto esprimerci al TG1, sarebbe passata l'astensione a furor di popolo.
E guarda che cosa succede con la democrazia lottizzata che ha sostituito la monarchia alla Rai: che prima, se riuscivi ad arrivare a Bernabei, al sovrano, 20 milioni di ascoltatori li trovavi; oggi, anche quando riesci a costringere i tenutari del bordello a darti la tua fiche, sono poi gli impiegati e gli uscieri a bloccarti.
Noi non intendiamo vivere di rimproveri e risentimenti contro la fisiologia partitocratica. Alla Camera, per un anno abbiamo indicato la luna, e guardavano il dito: "eh, voi non votate". Ora non più. Potremmo al limite andare al governo e continuare a non votare. Da questa esperienza, oltre che da quella storia antica, può venire la quadratura del cerchio fra Aventino e subalternità. Non è per amore degli slogan che diciamo che è possibile l'impossibile, non il possibile. Per la fame, sapevamo bene che saremmo dovuti passare anche attraverso il rischio dello sperpero per arrivare alla spesa ragionevole. Il punto è di legittimare il valore pratico della vita, di farne moneta corrente, contro la valorizzazione della morte, l'idea della morte giusta, che può servire. La legge sulla fame, ora c'è, e c'è Forte, e noi non l'abbiamo votata.
Nelle elezioni, è stata grave la sconfitta, non importante la vittoria. A quel punto hai Craxi che accetta Cossiga. Cossiga è uomo al quale non si può voler male. Ma il modo, quell'elezione consociativa, è una pessima ipoteca sul settennato. Bisognava rischiare il meglio, per la presidenza, Craxi non se l'è sentita. Carniti poi, sulla presidenza della repubblica, ha dimostrato definitivamente la propria incapacità, perché ha sbagliato di due mesi la data di nascita, e io sono sicuro che ce l'avremmo fatta a eleggerlo. E' un uomo laico, non è ricco, è arso di cristianesimo...
Gente come De Benedetti e Scalfari pensa da anni al commissionamento della repubblica, e sono perciò destabilizzatori: appena uno va bene gli danno addosso. Chiamano alla coscienza del nero a causa del nero della loro coscienza. Noi dobbiamo dimostrare che la democrazia può fare non sanguinosamente quello che si propone di fare il commissionamento. Io sono dal '64 uninominalista, maggioritario assoluto, antiproporzionalista, e oggi sempre più. Langer l'ha scritto sul Manifesto, in un articolo affettuoso, questo ci prepara una legge maggioritaria. In un certo senso è vero.
Il problema è il diritto. Tutti sanno che i risultati elettorali dipendono dall'informazione. C'è una commissione di vigilanza i cui interventi sono costantemente violati. Si dice che la legge non prevede sanzioni. Ma c'è una legge comune, e c'è in Italia l'obbligo dell'azione penale di fronte a un fatto criminoso notorio, basta intendere che la violazione della legge è un fatto sovversivo. Se io turbo la libertà elettorale assaltando un seggio o distribuendo alcoolici, sono colpevole di sovversione esattamente come quando diffondo informazione falsa, che è il fine comune delle dittature e dei colpi di stato. A questa magistratura per cui ogni reato è associativo, noi forniamo le prove, in senso proprio, e non si vorrà negare che ci si siano messi almeno in cinque a violare il diritto di conoscere per deliberare. Si troverà prima o poi un pretore che li arresti - magari sia spazzato via dopo.
Il PR muore, viva il PR...
Guarda, il Partito Radicale sta morendo, e forse è il suo trionfo. Pasolini aveva messo in guardia dal giorno in cui gli intellettuali si sarebbero buttati sui diritti civili, e li avrebbero trasformati in diritti contro le minoranze, i diversi, che poi insieme sono in realtà la grande maggioranza della società. Baget una volta ha detto di noi che siamo una minoranza che rappresenta le grandi maggioranze sociali. A questo punto, è innaturale il proseguimento della vita del Partito, e non della sembianza, di una morte non dichiarata e senza neanche gli onori. Io so che cosa devo fare da grande, e forse non lo farò mai, e forse rinuncerò a diventare grande. (Ti voglio dire dell'unica volta che ho visto Andreotti smarrito, è stato alla fine del giorno in cui gli mandammo tutto all'aria, e all'uscita gli dissi "non c'è malanimo da parte nostra, solo rammarico che lei continui a non chiedersi che cosa fare da grande", per un attimo l'ho visto turbato). Non è vero che gli uomini muoiono e le idee vivono. Quando mo
rì Che Guevara, all'Università di Roma io citai Garcia Lorca, "tu sei morto per sempre ed è perciò che siamo qui" . E l'avevamo detto per Grimau garrotato, quando si tenevano dappertutto grandi manifestazioni ufficiali, e noi andammo a parlare a Centocelle, con un camioncino, insieme al vecchio Armando Borghi, il grande anarchico. Per questo gli anarchici erano temuti, per il libero amore e i canti della vita, contro la linea della sinistra, nera, dei funerali.
L'importanza che noi possiamo avere, che abbiamo, è un piccolo miracolo laico, ai limiti dell'ingiusto. Se io ti posso raccontare cose così, e ignorare pudori sbagliati, perché possono finire col togliere qualcosa agli altri, davvero chiunque, concretamente, può. Giovanni Negri, quando voglio insultarlo gli dico che è più vecchio di me: quest'anno che il mestiere politico ce l'hanno riconosciuto tutti, spero che abbia imparato anche che col mestiere non costruisci niente, se non hai un concetto della professionalità - una volta si diceva serietà - come valore autonomo.
"Qui finiamo, e andiamo a pranzo, Marco, Giovanni e io. Nomi di evangelisti, tranne il mio. A pranzo non si prendono appunti, e si parlerà dei prossimi referendum, e di chi diventerà segretario al congresso: cose che leggerete sugli altri giornali".