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Teodori Massimo - 1 dicembre 1985
P2: la controstoria (11) RIZZOLI ALLA P2: UNA SCELTA DEL REGIME LA SPARTIZIONE DELLE TESTATE DC PSI. L'ALLEANZA TASSAN DIN PCI, SIPRA E LEGGE PER L'EDITORIA
Fatti e misfatti, uomini, banche e giornali, generali e terroristi, furti e assassinî, ricatti e potere, secondo i documenti dell'inchiesta parlamentare sulla loggia di Gelli

di Massimo Teodori

SOMMARIO: "Molto si è scritto della P2 e di Gelli ma la verità sulla loggia e sul suo impossessamento del potere nell'Italia d'oggi è stata tenuta nascosta. Contrariamente a quanto afferma la relazione Anselmi votata a maggioranza a conclusione dell'attività della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, la Loggia non è stata un'organizzazione per delinquere esterna ai partiti ma interna alla classe dirigente. La posta in gioco per la P2 è stata il potere e il suo esercizio illegittimo e occulto con l'uso di ricatti, di rapine su larga scala, di attività eversive e di giganteschi imbrogli finanziari fino al ricorso alla eliminazione fisica."

La "controstoria" di Teodori e una ricostruzione di fatti e delle responsabilità sulla base di migliaia di documenti; è la rielaborazione e riscrittura della relazione di minoranza presentata dall'autore al Parlamento al termine dei lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta. Sono illustrati i contorni dell'associazione per delinquere Gelli-P2; si fornisce l'interpretazione dell'attività eversiva dei servizi segreti e quella dei Cefis, dei Sindona e dei Calvi; si chiarisce il ruolo della P2 nel "caso Moro" e nel "caso d'Urso", nella Rizzoli e nell'ENI, nelle forze Armate e nella Pubblica Amministrazione. Sono svelati gli intrecci con il Vaticano, il malaffare dei Pazienza, dei Carboni e il torbido del "caso Cirillo".

(SUGARCO EDIZIONI - Dicembre 1985)

CAPITOLO XI - RIZZOLI ALLA P2: UNA SCELTA DEL REGIME LA SPARTIZIONE DELLE TESTATE DC PSI.

L'ALLEANZA TASSAN DIN PCI, SIPRA E LEGGE PER L'EDITORIA

Angelo Rizzoli: »Era cominciata la manovra che è stata

di Cefis, di Calvi, di Gelli e, attraverso di loro, del potere

politico romano, per strapparci di mano il "Corriere"

La ricostruzione e l'interpretazione delle vicende Rizzoli-»Corriere della Sera sono essenziali per comprendere il carattere dell'espansione della P2. Con l'impossessamento del maggiore quotidiano nazionale gli uomini di vertice della P2, Gelli, Ortolani, Calvi e Tassan Din, compiono un salto di qualità nell'esercizio del potere sull'intera scena nazionale. Prima di disporre del »Corriere della Sera e degli altri mezzi di informazione della Rizzoli, la P2 agiva mediatamente attraverso affiliati alla loggia e »amici . Dopo, il gruppo centrale della direzione piduistica può disporre di uno strumento potentissimo per fare politica in proprio e per scambiare favori e intrecciare ricatti con il ceto politico.

La scalata al gruppo editoriale rappresenta il punto culminante dell'ascesa della P2: non vi è stato prima, e non vi sarà poi, altro settore di intervento piduista in cui più direttamente e più efficacemente gli uomini del vertice P2 abbiano operato singolarmente e congiuntamente con tanto successo. Dal 1976 al 1982 l'intera vicenda Rizzoli »Corriere della Sera , nell'intreccio con l'Ambrosiano e lo IOR, è tutta contrassegnata dai massimi esponenti della P2, con una continua e generale penetrazione nella proprietà dell'azienda, nelle sue finanze, nella sua gestione amministrativa e nei suoi aspetti editoriali e giornalistici. Ma ricostruire e interpretare la vicenda Rizzoli »Corriere della Sera solo in rapporto alla P2 e alle relative manovre finanziarie, gestionali e giornalistiche non è sufficiente. Occorre porla in rapporto con il contesto politico e partitico più generale per rispondere alle reali questioni di fondo:

a) come è stato possibile che la manovra a lungo e profondo respiro della P2, durata oltre un quinquennio, sia potuta andare in porto?

b) chi ha consentito, favorito e incoraggiato la manovra della P2 di impossessamento e controllo della maggiore impresa editoriale e del maggiore quotidiano del nostro paese, e quale è stato il comportamento delle forze politiche, di ostacolo o di sfruttamento, verso tale manovra?

c) quali sono stati i risultati dell'impossessamento e del controllo da parte della P2 e chi in definitiva se ne è giovato?

»Ci danno per spacciati? Vedremo, vedremo... Io dico che chi si aspetta di vedere Rizzoli in difficoltà, dovrà ancora aspettare molti anni. Chi scrive che abbiamo cento, duecento miliardi di debiti non sa assolutamente quale sia la nostra situazione. Un giorno, forse, pubblicheremo le partecipazioni del nostro gruppo, faremo l'elenco delle nostre proprietà, finiremo per dire che cosa c'è sotto quella punta dell'iceberg che si chiama gruppo Rizzoli, riveleremo anche l'estensione della base che oggi è coperta dall'acqua. E allora chi oggi ci dà per falliti, dovrà ricredersi .(1) Tali le dichiarazioni di Angelo Rizzoli a »Prima in un'intervista del febbraio 1976. Non consapevole di quel che andava dichiarando, la realtà a cui alludeva il giovane Rizzoli era ben diversa da quel che pensava: l'unica carta che aveva in mano era la trama di relazioni e di rapporti con i partiti e con gli uomini della P2. E di quale perfida trama si trattasse, se ne sarebbe accorto non molto più tardi.

I Rizzoli avevano comperato il »Corriere della Sera nel 1974 da Agnelli, dalla Crespi e da Moratti facendo affidamento sul sostegno finanziario di Eugenio Cefis, allora presidente della Montedison, il quale si offrì di contribuire a ripianare il 50% delle perdite previste mettendo a disposizione un finanziamento senza interessi della Montedison International di Zurigo. Questa offerta di Cefis, determinante per consentire ai Rizzoli di coronare la loro lontana aspirazione di entrare in possesso di un grande quotidiano, si inseriva nel 1974 nel piano di intervento politico e di assoggettamento della stampa che il presidente della Montedison, in rapporto con uomini della DC, ed in particolare con Fanfani, allora segretario del partito fino al referendum sul divorzio, stava perseguendo con decisione. Ben presto la situazione finanziaria del »Corriere si rivelò molto peggiore di quanto lo stesso acquirente avesse valutato al momento dell'acquisto del giornale, tenuto anche conto del fatto che il peso finanziari

o del gruppo del »Corriere era della stessa entità di quello dell'intera Rizzoli . »La Rizzoli fatturava 60 miliardi di lire l'anno dirà in seguito Bruno Tassan Din, già direttore finanziario amministrativo della Rizzoli fin dal 1973 ed altrettanto ne fatturava il "Corriere"; quindi la Rizzoli aveva acquistato un'unità grande come la Rizzoli facendo tra l'altro un debito a breve termine e senza avere programmato e pianificato un eventuale ricorso al medio termine .(2)

Le difficoltà finanziarie si accentuarono nel corso del 1975 sia in rapporto alle perdite del »Corriere sia in vista del pagamento del debito contratto per l'acquisto. Ed è proprio nella ricerca di finanziamenti e di crediti che ha origine lo stato di dipendenza della Rizzoli dalla P2 e dal potere dei partiti, interessati a condizionare direttamente il maggior quotidiano nazionale e gli altri strumenti editoriali e giornalistici concentrati nel gruppo. Solo alcuni anni più tardi Angelo Rizzoli si sarebbe accorto di quale perfido meccanismo si era messo in moto: »Era già cominciata la manovra, che è stata di Cefis, che è stata di Calvi, che è stata di Gelli e attraverso di loro, del mondo politico romano, per strapparci di mano il "Corriere" o per renderci talmente deboli da poterci condizionare con facilità. In fondo il filo conduttore per capire le vicende della Rizzoli in questi ultimi anni è proprio questo .

L'editore per ottenere finanziamenti si rivolge nel corso del 1975 a due istituti pubblici, l'IMI e l'ICIPU. Sia l'uno che l'altro, dopo lunghe istruttorie, negano l'apertura di credito alla Rizzoli per ragioni non soltanto di ordine finanziario-imprenditoriale. »Non dico che la chiusura finanziaria nei nostri confronti dipenda da tutti quanti i ministri economici della DC , dichiarava allora Angelo Rizzoli . »Nella DC, come in tutti i partiti, ci sono persone per bene e persone che perseguono solamente fini e utili personali. Anche nella DC ci sono alcuni esponenti a livello nazionale che non hanno alcun interesse per la libertà di stampa e che hanno cercato in tutti i modi di impedire che ci venissero dati finanziamenti equi .(4) Il ricatto politico finanziario su cui si inserisce e prospera la P2 ha inizio laddove il potere politico, nelle sue diverse articolazioni, instaura e rafforza un rapporto con la stampa fondato sulla dipendenza finanziaria. Il rifiuto di finanziamento da parte degli enti pubblici

procede di pari passo con lo stringersi dei rapporti con le segreterie e gli incaricati dei problemi della stampa di gran parte dei partiti (il ben noto »giro delle sette chiese romane: DC, PSI, PCI, PSDI, PRI) instaurati nel 1975 con l'insorgere delle difficoltà finanziarie e con l'assunzione diretta della gestione dei problemi finanziari della Rizzoli da parte dello stato maggiore Gelli, Ortolani e Calvi della P2.

E' in quella stagione che Ortolani, già in consuetudine con Andrea Rizzoli, entra decisamente in campo come procacciatore di finanziamenti e mediatore sia con gli ambienti politici romani che con determinati circoli finanziari. La sua carriera di faccendiere era ben consolidata sia con la DC che con alcuni enti pubblici e con un certo tipo di finanza che a ragione si può definire piduistica.(5) Ortolani, chiamato in soccorso dei problemi finanziari della Rizzoli, era ben consapevole che la loro soluzione, o meglio il loro sfruttamento in termini di potere, doveva derivare da ben orchestrate operazioni finanziarie che avessero un risvolto politico. Si trattava di favorire un mercato in cui potessero essere scambiati beni finanziari e beni politici e basato sulla disponibilità del bene »informazione da mettere a disposizione dei contendenti nella lotta per il potere. Per una simile manovra era essenziale coinvolgere direttamente Licio Gelli, non solo fratello massone ma anche suo compare nelle contestuali ope

razioni tese al salvataggio di Sindona e in operazioni affaristico-editoriali argentine. Alla fine del 1975 Ortolani aveva messo in contatto Angelo Rizzoli con Gelli per portare a termine un'operazione di fusione tra una società del gruppo Rizzoli argentina e la Julio Korn, un ben affermato gruppo editoriale strappato all'ebreo Civita, oggetto di persecuzioni da parte del regime argentino.

Alla fine del 1975, la consulenza e la gestione politico-finanziaria del gruppo Rizzoli da parte del duo Gelli Ortolani affrontano le prime impegnative prove »per reperire finanziamenti sulla base dei loro »rapporti con il mondo finanziario e politico .

»Per ottenere finanziamenti dei quali il nostro gruppo aveva bisogno ha affermato Angelo Rizzoli l'unica strada praticamente era quella di rivolgerci all'Ortolani , giacché quando »qualche volta tentavamo di ottenere finanziamenti senza passare attraverso l'Ortolani ed il Gelli ci veniva immancabilmente risposto di no .(6) Un primo incontro si tiene nel dicembre 1975 con la partecipazione oltre che dei due capi della P2, di Angelo Rizzoli e di Tassan Din, anche dei banchieri Alberto Ferrari, direttore della Banca Nazionale del Lavoro, Giovanni Cresti, governatore del Monte dei Paschi di Siena, e Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano. Dai tre istituti, capeggiati da uomini della P2, ed in special modo dall'Ambrosiano, sarebbero presto venuti i crediti alla Rizzoli con lo spossessamento della famiglia Rizzoli dalla proprietà editoriale.

Se dunque Gelli e Ortolani diventano la chiave di volta per il reperimento del danaro di cui la Rizzoli ha bisogno per sopravvivere, occorre domandarsi se ciò sia avvenuto solo in ragione dei collegamenti massonico piduistici con i banchieri al vertice di alcuni istituti di credito. Quale interesse avevano i Ferrari, i Cresti e i Calvi a salvare da una situazione disastrosa la Rizzoli, essendo a conoscenza che gli istituti pubblici negavano il credito perché sgradito al potere politico?

Il gioco delle parti è più complesso e va ben al di là della »solidarietà massonica e della stessa colleganza mafiosa piduistica. La spiegazione del meccanismo che si mette in moto la fornisce Angelo quando racconta ai magistrati che il direttore dell'ICIPU, Franco Piga, negò il finanziamento perché la direzione del »Corriere di Ottone era sgradita al ministro Emilio Colombo e contemporaneamente propose il proprio fratello, avvocato Marcello Piga, e Ugo Niutta, come le persone più adatte per creare nuovi contatti politici, in particolare con Rumor, Piccoli e Bisaglia.(7)

In sostanza il credito pubblico viene deliberatamente negato affinché Rizzoli debba ricorrere alle grazie dei politici e ai favori del credito piduista. Si crea così il meccanismo dell'asservimento della stampa attraverso lo strangolamento finanziario operato da professionisti della mediazione e del ricatto: Rizzoli si serve principalmente di Gelli (aveva una funzione »vagamente padrinale nel senso che interveniva allorché vi era qualche difficoltà ) e di Ortolani e, da parte sua, Calvi è interessato ad intervenire facendo dei favori che avrebbero potuto poi essere ripagati dai politici non certamente in termini finanziari. »Dovevo passare racconta ancora Angelo per Gelli e Ortolani. E ai politici andava benissimo così, che la Rizzoli fosse sotto la tutela di Gelli e Ortolani ... Diciamo le cose come stanno veramente. Per anni io ho sentito dire a Roma: però Gelli è una brava persona, però Ortolani è un grande mediatore. Per non parlare di Calvi .(8)

Si inseriscono nello sfruttamento della Rizzoli, insieme e d'accordo con i piduisti, oltre a Marcello Piga e Ugo Niutta, i Gaetano Liccardo, i Michele Principe, i Giancarlo Barberini, i Mauro Leone, solo per ricordare alcuni dei molti »consulenti retribuiti lautamente, per offrire pseudoconsulenze e procurare contatti e incontri con i politici.(9) »Procedevamo ricorda sconsolato Angelo Rizzoli a tutta una serie di esborsi di danaro in moneta contante alle persone più disparate dell'ambiente romano che ci promettevano interessamento ed aiuti per il reperimento dei finanziamenti dei quali avevamo particolarmente bisogno e che non venivano concessi in quanto i dirigenti degli organismi bancari pubblici »non potevano affrontare dei finanziamenti essendo bloccati da una sorta di veto delle forze politiche di governo nei nostri confronti (10)

L'espansione nel deficit sostenuto da DC, PCI e PSI. La spartizione delle influenze: »Corriere , »Mattino , »Lavoro , »Adige , »Piccolo , »Eco di Padova , »Giornale di Sicilia , »Gazzettino

La risposta della Rizzoli durante il 1976 alle difficoltà finanziarie e al pericolo dell'imminente collasso è una politica di espansione che è anche dilatazione del debito. Perché, dunque, invece di una gestione tesa a contenere il deficit, il gruppo rizzoliano, con la consulenza e la supervisione di Gelli e Ortolani, imbocca la via dell'acquisto e della concentrazione delle testate, con l'abnorme dilatazione dell'indebitamento?

Nel corso di quegli anni la Rizzoli acquista il 40% dell'EDIME editrice del »Mattino e di »Sport Sud di Napoli, il 60% della OTE, editrice (tramite la SET) de »Il Piccolo di Trieste e de »L'Eco di Padova , l'80% della Papiria, editrice del »Giornale di Sicilia di Palermo, l'80% della Cima Brenta, editrice (tramite la SETA) dell'»Alto Adige di Bolzano. Ancora altri interventi vengono effettuati con l'erogazione di finanziamenti poi destinati a non essere rimborsati: 1.955.406.000 (solo fino al 31/12/1976) all'»Adige di Trento, la cui società editrice appartiene alla Affidavit della DC; 4 miliardi (nel 1977) alla EDIME di Napoli per conto della società DC Affidavit; 1,5 miliardi alla SOFINIM del PSI per l'acquisto del »Lavoro di Genova. Il totale dei finanziamenti »in nero nel solo 1976 assomma a circa 10 miliardi a cui corrispondono operazioni in borsa »consigliate ed impostate da Umberto Ortolani e finanziate da Roberto Calvi, cioè dal Banco Ambrosiano .

Rizzoli e Tassan Din comprendono che l'unica maniera per ottenere danari è di scambiare il potere della stampa a loro disposizione con dei servizi da rendere ai partiti con gli orientamenti dei giornali rizzoliani e con l'acquisto di testate direttamente per i partiti o a disposizione dei partiti. Prende cioè forma quella che è la linea portante della direzione strategica piduistica nella Rizzoli di accattivarsi i tre maggiori partiti detentori del potere in quel momento, DC, PSI e PCI, al fine di assicurare la sopravvivenza e il potere dell'azienda, fondati sull'equilibrio instabile del debito crescente che avrebbe potuto essere sanato solo con il danaro pubblico.

Dichiara Rizzoli a »Panorama : »Sono stati alti dirigenti sia del PSI sia di altri partiti a insistere perché mi interessassi del "Mattino", per sottrarlo all'influenza dei Gava, in modo da garantire un'impostazione meno settaria del giornale ; e prosegue Giampaolo Pansa in "Comprati e venduti" »C'è anche il PCI napoletano a premere. E poi interverrà la sinistra democristiana, almeno quella che è raccolta attorno alla segreteria di Zaccagnini . Ancora, con le parole di Rizzoli: »Vada a parlare con il sindaco comunista della città, Valenzi, e vedrà che Rizzoli è più gradito alle sinistre che alla DC. Dovete smetterla di chiamarmi editore del regime .(11) Il regime, in realtà, che si delineava sullo sfondo della Rizzoli P2 era quello partitocratico comprensivo di tutti i maggiori partiti, ognuno interessato a compartecipare ad una fetta di controllo della stampa. E così come la DC, e in misura assai minore il PSI, rappresentavano fino ad allora le forze del governo, il peso del PCI diviene determinante, in s

eguito ai successi elettorali nelle amministrative del 1975 e nelle elezioni politiche del 1976. L'influenza comunista viene esercitata con la gestione diretta delle amministrazioni locali delle grandi città, anticamera al compromesso storico su scala nazionale. Alla DC, al PSI e al PCI non interessa la libertà di stampa ma il controllo della stampa attraverso una lottizzazione delle testate e delle influenze. E' così che la politica rizzoliana, controllata e gestita dalla P2, ne diviene il maggiore strumento.

La Democrazia cristiana fa la parte del leone: con la proprietà del »Mattino attraverso l'acquisto dell'EDIME e i finanziamenti dell'Affidavit con i finanziamenti in nero all'»Adige di Piccoli; con il controllo del »Piccolo di Trieste e dell'»Eco di Padova ; con il »Giornale di Sicilia ; e, più tardi, con le molte decine di miliardi al »Gazzettino di Venezia attraverso un finanziamento della Centrale di Calvi. Il PCI, dal canto suo, pone le premesse per la compartecipazione alla gestione della linea politica del »Mattino e l'ipoteca sul »Corriere della Sera . »In questa espansione fondata sul deficit con le parole di Pansa Rizzoli ha l'aiuto del PCI e di una parte della DC. In parole chiare, Rizzoli sta diventando l'editore del compromesso storico . A sua volta, Paolo Murialdi, allora segretario della Federazione della Stampa, osserva ne »il manifesto del 22 febbraìo 1983: »La maggiore cautela politica del "Corriere" e non pochi fatti espansionistici si possono collegare con il tentativo democrist

iano di recuperare la forza perduta dal suo sistema di potere nei primi annì Settanta e con il peso che, sotto la guida di Craxi, sta riacquistando il PSI; l'espansione, inoltre, soddisfa i sindacati di settore e, in fondo, anche il Partito comunista .(12)

Apporto determinante di Gelli per l'aumento di capitale. Tassan Din direttore generale. Con Stammati e Arnaud si intrecciano piduisti e politici

La politica espansionistica attuata nell'interesse dei partiti, i finanziamenti in nero per alcune decine di miliardi a uomini, partiti e giornali per ingraziarsi i politici, e infine la necessità di far fronte nel luglio 1977 alla scadenza dell'impegno assunto nel 1974 nei confronti di Agnelli, impongono al gruppo Rizzoli di affidarsi completamente alla finanza piduistica, cioè principalmente all'Ambrosiano di Calvi o ad altre fonti di finanziamento mediato da Gelli e Ortolani. L'aumento di capitale da 5,1 miliardi a 25,5 miliardi deliberato il 22 aprile 1977 »al fine di procurare mezzi finanziari che permettono alle Società del Gruppo di poter attuare i programmi di sviluppo nonché di alleggerire l'esposizione debitoria nei confronti del sistema bancario è condotto in porto direttamente da Ortolani. Non interessa seguire la complicazione dei giri finanziari che stanno dietro quell'operazione. In definitiva, quel che è rilevante è che l'Ambrosiano di Calvi entra in forze nella proprietà rizzoliana, che lo

IOR compartecipa a queste operazioni (come dalle note »girate nelle azioni Rizzoli e dalla clausola secondo cui il »gruppo finanziatore pretendeva che sul libro dei soci non vi fossero variazioni ) e che mutano anche le strutture del consiglio di amministrazione e della gestione. Nell'aprile 1977 Bruno Tassan Din viene nominato membro del consiglio d'amministrazione; in luglio si dimette Tassan Din ed entrano gli avvocati Giuseppe Prisco e Gennaro Zanfagna (incaricati da Calvi e dai misteriosi »finanziatori ); all'inizio del 1978 Tassan Din diviene direttore generale per volere di Gelli; ed infine, nell'ottobre 1978, entra in prima persona nel consiglio Ortolani.

La manovra d'impossessamento della Rizzoli da parte della P2 si realizza così in pieno. I registi sono Gelli e Ortolani, coadiuvati da Calvi e Tassan Din. Il 20 luglio 1977 Angelo Rizzoli scrive a Gelli: »Chiudendo l'operazione finanziaria

sul cui esito felice tu hai avuto un ruolo determinante, desidero esprimerti il mio fraterno ringraziamento e la mia sincera riconoscenza... certamente ora altri problemi ci attendono ma quanto tu hai fatto ha rappresentato il necessario presupposto per affrontarli con maggiore serenità... Per questo ti sarò sempre grato del tuo prezioso intervento... .(13) Nuove clausole dello statuto consentono ai finanziatori tramite i consiglieri di amministrazione e il diritto di veto nel frattempo istituito, di influire in maniera determinante sulla gestione del gruppo Rizzoli e in misura particolare sulla gestione dell'attività editoriale.

Ortolani dunque è l'ideatore delle operazioni finanziarie che fanno compiere il primo salto di qualità nel passaggio di proprietà della Rizzoli »Corriere della Sera verso Calvi e il collegato sistema vatican speculativo internazionale; Gelli è l'artefice »determinante delle stesse operazioni con la funzione di grande padrino; Calvi è lo strumento finanziario, e Tassan Din l'operatore e il gestore che tiene sotto controllo la situazione interna del gruppo. Ma le forze reali che hanno consentito la possibilità di realizzarsi delle varie operazioni stanno in quei partiti che avevano creato i presupposti dell'espansione fondata sul debito.

I partiti, o alcuni uomini dei partiti incaricati nei vertici della stampa, ben conoscono la manovra in corso del sistema P2; e il sistema P2 è ben consapevole di giocare una partita per e con il sistema dei partiti, a null'altro interessati che alla lottizzazione a proprio vantaggio. Forse ad alcuni uomini di partito e di governo e Gaetano Stammati era divenuto ministro del governo Andreotti dopo la campagna elettorale del 1976 con la diretta partecipazione dei piduisti Lorenzo Davoli e Giuseppe Battista fa comodo ignorare ciò che sta accadendo dichiarandolo pubblicamente, come fa il democristiano Gian Aldo Arnaud, indicato da Angelo Rizzoli come politico strettamente legato al giro di Gelli, Ortolani e dei piduisti della Rizzoli (Giorgio Rossi e Alberto Cereda) da cui percepisce finanziamenti neri.(14) Arnaud, sottosegretario alla presidenza del Consiglio per i problemi dell'editoria, scrive l'8 ottobre 1977 ai ministri del Bilancio, delle Finanze e del Tesoro: »Rizzoli mi ha assicurato che le voci son

o assolutamente infondate, ha negato che siano intercorsi mutamenti nell'assetto proprietario, che siano in corso trattative in Italia o all'estero per cessioni parziali o totali del "Corriere" .

Di Bella alla direzione del »Corriere per la designazione incrociata dei partiti e di Gelli

Per completare il quadro occorreva alla P2 un più diretto controllo anche nella direzione giornalistica del »Corriere che, nelle mani di Piero Ottone, manteneva un grado troppo elevato di autonomia dai condizionamenti della montante proprietà piduistica e dai crescenti appetiti partitici. Dopo che nell'ottobre 1977, eseguito l'aumento del capitale, erano intervenuti i misteriosi finanziatori ed era stato saldato il debito con Agnelli, Ottone si dimette dalla direzione del »Corriere e Franco Di Bella ne assume la succesione.

La nomina di Di Bella avviene per designazione incrociata della P2 e dei partiti. Molte sono le testimonianze che dimostrano la parallela e congiunta responsabilità dei vertici piduistici e di quelli partitici. La dipendenza del nuovo direttore del »Corriere e più in generale della Rizzoli dai centri di potere partitici e piduistici trova innumerevoli riscontri. Rizzoli e Tassan Din asseriscono formalmente che quella designazione avvenne dopo una consultazione con le segreterie politiche di tutti i partiti. Il comitato di redazione della Rizzoli »Corriere , in un dossier sulla P2, afferma: »Certamente c'è stato il "giro delle sette chiese". DC e PSI danno un assenso pieno ed entusiasta il PCI non ostacola (siamo nel clima della solidarietà nazionále) . Pansa scrive: »Per la DC dà il suo gradimento il segretario Zaccagnini... Con l'onesto Zac, altri capi democristiani sono chiamati a dire la loro: Andreotti, Piccoli e Fanfani che stanno diventando i totem politici del gruppo... Anche Craxi dà il suo assenso.

A lui piacerebbe un'accoppiata Ronchey Di Bella... Ed è d'accordo pure il PCI. A parole, le Botteghe Oscure non si pronunciano. Elio Quercioli, interpellato da Angelo, che a furia di incontrarlo è diventato suo amico, si trincera dietro un cauto "no comment". Ma è chiaro che il PCI preferisce vedere in via Solferino un tecnico scolorito piuttosto che un avversario tignoso come Alberto Ronchey... (15)

L'investitura ha anche il placet formale di Gelli, oltre che quello di Ortolani e Tassan Din ai vertici della gestione finanziaria e amministrativa del gruppo. Rizzoli porta Di Bella all'Excelsior di Roma per incontrare il maestro venerabile e sembra che questi abbia addirittura corretto la lettera contrattuale di assunzione. Tale strettissimo rapporto è confermato dalla pubblica confessione resa il 22 maggio 1981 da Di Bella ai giornalisti nella quale dichiarò di aver incontrato più volte il Gelli e che questi gli disse: »Guardi che se lei vuol rimanere a dirigere quel giornale, deve fare quello che le

dico ; oltre che dalle lettere dello stesso Di Bella a Gelli del 23 dicembre 1977 (»Ambirei moltissimo essere ricevuto da Lei ... sia per dissolvere qualche ombra, sia per rassicurarla più compiutamente sulla situazione e sulle prospettive... Mi creda, con rinnovata affettuosa devozione ) e del 20 marzo 1978 (»... I frutti del rinnovamento si stanno vedendo e quasi tutto si deve a Lei... ).(16)

Crisi finanziaria e rapporto di mutua assistenza con i partiti

Con Angelo Rizzoli e Tassan Din che mantengono continuamente i rapporti con i partiti romani, DC, PCI, PSI, PSDI e PRI; con Ortolani e Gelli alla barra del timone nella cabina di comando; con Calvi e i suoi compari del vertice finanziario vaticano che assicurano il flusso di danaro; con un Di Bella saldamente assiso sulla poltrona di direttore del »Corriere che mantiene un atteggiamento rispettoso verso il PCI; con questi che, a sua volta, garantisce il compromesso di potere aziendale tramite il comitato di redazione ed i poligrafici; il gruppo Rizzoli prosegue la navigazione, arricchito e niente affatto aggravato dalla spirale del debito che all'inizio del 1979 aveva raggiunto alcune centinaia di miliardi. I vari elementi si compongono in un equilibrio che, pur non eliminando la competizione di potere tra le varie forze in gioco, le mantiene in una sorda e ambigua disciplina di unità nazionale.

Nel lanciare »piani triennali , »progetti di risanamento e soluzioni finanziario gestionali, Tassan Din enuncia la filosofia di base della irresponsabilità rizzoliana: »Ho avuto in questi anni contatti con tutti i partiti. Nella stessa logica di difesa dell'indipendenza dell'azienda cercavo un equilibrio fra i partiti che potevano stare dietro la proprietà e quelli dietro il sindacato ,(17) cioè in parole povere del PCI. Più sinceramente e direttamente, nella confessione del dicembre 1983, Angelo ben sintetizza la natura dell'intreccio fra P2 e partiti, asse portante di tutta la vicenda rizzoliana: »La P2 ha intuito in un momento di grande crisi politica e finanziaria, che esisteva un potere economico e finanziario che non poteva sopravvivere senza le elargizioni e le concessioni del potere politico e viceversa. Da una parte cioè c'erano costruttori industriali, finanzieri e banchieri e dall'altra un sistema politico e partitico così complesso e frammentato da avere continuamente bisogno del danaro che gli

veniva dal sistema finanziario. Avere collegato queste due realtà è stata, secondo me, la trovata e la ragione del potere di Gelli .(18)

A fronte di una crisi finanziaria che diviene sempre più acuta durante il 1979, la soluzione viene ricercata in quel rapporto di mutua assistenza con i partiti nel quale fin dall'acquisto del »Corriere nel 1974 si era risolto il nuovo corso rizzoliano. E' per questo che l'erogazione ed i finanziamenti continuano. Nel febbraio 1979 risultano erogati alla SOFINIM del PSI altri fondi per effettuare il recupero dei finanziamenti erogati nel 1977 (700 milioni di lire) e per arrivare ad un nuovo accordo. A tutela del credito vengono acquisiti effetti cambiari per un importo complessivo pari al capitale e altri interessi maturati e maturandi per un totale di circa 2,4 miliardi di lire mentre per quello che concerneva la gestione del »Lavoro la Rizzoli si riserva il diritto di nominare il direttore anche con l'accordo del PSI tramite la SOFINIM.(19) Sempre nel 1979 vengono poi incrementati i crediti vantati verso la Democrazia cristiana con il subentro in una parte di credito (2,4 miliardi di lire) della Rizzoli F

inanziaria che li trasferisce alla Editoriale Adige »per una operazione urgente da compiersi entro brevissimo tempo .(20)

Il patto Piccoli Tassan Din del 17 aprile 1979

I primi mesi del 1979 segnano una stagione di profondo sommovimento politico: il governo Andreotti di unità nazionale è entrato in crisi e si sta preparando lo scioglimento anticipato delle Camere per affrontare le elezioni. Il sistema P2 è attivo e operante su tutti i fronti: dagli ultimi e pressanti tentativi di salvataggio di Sindona condotti da Gelli e Andreotti all'impostazione dell'»affare del secolo ENI-Petromin tutto in ambito P2, dall'entrata massiccia di Calvi nella Rizzoli alla truffa dei petroli fino all'assassinio di Pecorelli del 20 marzo. In questo ambito si colloca l'accordo formale firmato il 17 aprile da Flaminio Piccoli, segretario della DC, e da Tassan Din, direttore generale della Rizzoli, rinvenuto tra le carte di Gelli, che si riproduce qui di seguito:(21)

»La Democrazia Cristiana, in persona del suo Presidente On. Flaminio PICCOLI, preso atto e riconosciuto che:

1. Gli impegni assunti verso il Gruppo Rizzoli ammontano ad oggi in linea capitale, a:

a) AFFIDAVIT S.p.A.:

debito verso Novissima L. 4.000.000.000 (1)

operazione sanatoria su Banco

S. Spirito operata da Rizzoli

Finanziaria L. 150.000.000 (2)

b) EDITORIALE ADIGE:

debito verso Rizzoli Fin.:

con cambiali L. 610.000.000 (3)

non cambializzato L. 200.000.000 (4)

debito verso Rizzoli Editore L. 2.252.495.215 (5)

L. 7.212.495.215

Cui devono aggiungersi al 31.3.1979 i seguenti importi per interessi e spese:

su (1) L . 1.730 .000 .000

su (2) L. 77.000.000

su (3) L. 370 000.000

su (4) L. 114 000 000

su(5) L. 1.169.000 000

L. 3.460.000.000

per cui l'esposizione globale ad oggi ammonta a L. 10 miliardi e 672 milioni circa.

2. In data odierna vengono da Affidavit S.p.A. smobilizzate L. 2.400.000 milioni della propria esposizione debitoria verso Novissima con rilascio di effetti a diverse scadenze ma che il netto ricavo delle stesse viene da Rizzoli Finanziaria messo a disposizione dell'Editoriale Adige per un'operazione urgente da concludere entro la fine del corrente mese e pertanto l'esposizione debitoria globale di cui al punto 1 non varia nella sostanza; si impegna a studiare, d'accordo con il Gruppo Rizzoli, i modi ed i tempi che consentano di rientrare da tali esposizioni in un lasso di tempo sopportabile per entrambe le parti. In particolare riconosce che il Gruppo ha già, in via esemplificativa, individuato le seguenti direttrici su cui si potrebbe operare:

a) cessione del patrimonio immobiliare del Gruppo;

b) cessione delle partecipazioni non editoriali del Gruppo (in particolare compagnie di assicurazione);

c) acquisizione di altre partecipazioni editoriali cui il Gruppo può essere interessato.

La Democrazia cristiana riconosce che in tutte queste direttrici può offrire al Gruppo il suo appoggio e la sua intermediazione al fine di giungere a soluzioni vantaggiose per i1 Gruppo ed in tal senso assicurare fin d'ora il proprio interessamento al fine di giungere a sollecite definizioni nel comune interesse .

Questo patto suggella la reciproca dipendenza fra Democrazia cristiana e il gruppo Rizzoli a completa direzione piduista. La sua importanza non sfuggì a Gelli che nell'estate 1980 pretese da Angelo Rizzoli che gli venisse consegnata copia dell'accordo come condizione essenziale per condurre a termine un'operazione di ricapitalizzazione. Alla commissione d'inchiesta, Flaminio Piccoli dichiara: »Debbo dire che io avevo saputo che Rizzoli era della P2 e che Tassan Din era della P2, ma come l'avevano saputo tutti! E pure bisognava trattare con questi perché erano legalmente i rappresentanti... .(22) La lettura dei termini dell'accordo è rivelatrice: cosa significa l'»appoggio e l'»intermediazione della DC per »soluzioni vantaggiose per il gruppo e l'assicurazione »del proprio interessamento se non che il partito di governo si mette a disposizione di interessi privati con l'impegno di provvedimenti mirati? Si determina in questo modo un »comune interesse fra il partito che ha le leve del potere e il più gran

de gruppo editoriale italiano che è nelle mani della P2 ed esprime più direttamente di qualsiasi altra struttura la politica piduista.

Gli effetti dell'appoggio e dell'intermediazione non tardarono a farsi sentire nella legge per l'editoria, portata in discussione alla Camera dopo le elezioni del 1979, e negli accordi che la SIPRA, azienda di Stato per la pubblicità, stipulò per molti miliardi con la Rizzoli. Dal lato della Democrazia cristiana i debiti nei confronti della Rizzoli si accumulavano contribuendo al dissesto del gruppo editoriale: quando vengono alla luce gli imbrogli piduisti nel luglio 1981, il debito democristiano ammontava a circa 16 miliardi per cui venne emesso un decreto ingiuntivo.

Gli interessi della DC ricapitolati, per quel che riguarda »Il Mattino e »L'Adige , nel patto Piccoli Tassan Din non sono però i soli sostenuti dal piduismo rizzoliano. Se ne trovano documentati altri nelle carte della Rizzoli rinvenute nell'archivio di Gelli che ben sapeva quali fossero le operazioni importanti a cui partecipava da consigliere politico. Tra gli appunti dell'amministrazione segreta rizzoliana si legge:

Lettera del 4 giugno 1977 a Spadaccini sull'»Adige di Trento.

Esiste un impegno per acquisire il 50% dell'»Adige nel quadro di un accordo di razionalizzazione di »Alto Adige e »Adige che prevede »la preventiva messa in liquidazione dell'attuale società dell"'Alto Adige" e l'ottenimento di particolari agevolazioni finanziarie e opportunità industriali .

Operazione di natura riservatissima. Accordo Affidavit-Novissima lnterbanca.

Finanziamento di 5,5 miliardi a Novissima, di cui 4,3 miliardi a favore dell'Affidavit contro garanzie di tutti gli immobili della DC sul territorio nazionale, e 1,2 miliardi contro garanzie di suoi impegni. Prefinanziamento di 2 miliardi dal Banco Ambrosiano e di 2 miliardi dalla Banca Nazionale dell'Agricoltura.

Operazione Mestre. Contratto di gestione del »Gazzettino per 20 anni. Nel caso di compartecipazione nella società che loca la testata, la responsabilità gestionale, la scelta dei dirigenti e del direttore spettano al gruppo Rizzoli »Corriere della Sera con garanzie politiche alla Democrazia cristiana.

Quanto al »Gazzettino di Venezia, a cui si riferisce la "Operazione Mestre" molto si trattò fra Rizzoli e la Democrazia cristiana. Fin dal 1976 77, secondo Angelo Rizzoli, Bisaglia e Piccoli chiesero finanziamenti per il giornale. In un appunto di Sandro Meccoli a Tassan Din del 27 febbraio 1979 si legge: »Incontro con Anselmi e Erminero (morotei) sull'affare del Gazzettino che è passato all'intervento diretto della segreteria della DC . »Ciò significa che l'Anselmi e gli altri sunnominati, in quanto per l'appunto vicini alla segreteria nazionale, si sono investiti di una questione sino a qui appannaggio esclusivo di Ferrari Aggradi e Bisaglia ,(24) Il segretario DC del tempo, Benigno Zaccagnini, davanti alla commissione, afferma: »Devo dire di essermi occupato della cosa perché ad un certo punto questo giornale, che era in attivo, cominciò a mostrare delle pesantezze che conducevano verso il passivo... Feci una riunione di partito... Non poteva però essere il partito a nominare il direttore perché questo

era compito della società che deteneva le azioni del "Gazzettino"... non riuscendo a vederci chiaro fece una riunione alla quale invitai Bisaglia e Ferrari Aggradi .

Il contratto SIPRA Rizzoli di 15 miliardi per sette anni

Il primo pegno da pagare per la DC e gli altri partiti che avevano intrecciato i propri interessi con il gruppo Rizzoli è l'accordo SIPRA della primavera 1979. La società pubblica era una tipica struttura lottizzata fra i maggiori partiti dell'unità nazionale con al vertice di allora un presidente del PCI, D'Amico, un vicepresidente del PSI, Gennaro Acquaviva, e un direttore generale della DC, Gianni Pasquarelli.

In quella stagione i rizzoliani avevano un'estrema necessità di essere finanziati e un buon contratto con l'agenzia pubblica era un'occasione da non lasciarsi sfuggire. Si assicurarono un finanziamento con un gettito minimo di 15 miliardi per 7 anni, in quel momento indispensabile per realizzare il progetto del nuovo quotidiano popolare »L'Occhio , voluto da Gelli, Tassan Din e Maurizio Costanzo, come diretta espressione della P2. Tassan Din ha dichiarato a proposito: »Era notorio che per riuscire a concludere dei contratti con la SIPRA si doveva passare attraverso dei contatti con i partiti i cui esponenti erano al vertice della società ,(25) cioè, in parole chiare, la DC, il PCI e il PSI. Ancora una volta, uno degli intermediari con il potere partitico risulta essere stato proprio il Gelli. »Per l'affare SIPRA scrive Tassan Din nel suo memoriale Gelli mi parlò offrendomi il suo interessamento presso Cresci e presso Pasquarelli. Pasquarelli sicuramente andò diverse volte da Gelli al momento della conclu

sione dell'affare SIPRA .(26) Quale che sia l'attendibilità delle dichiarazioni del direttore generale, certo è che nella Rizzoli fu messa in atto un'intensa azione di pressione di cui erano protagonisti, da una parte, gli uomini della regia piduistica e, dall'altra, quei politici che avevano la possibilità di influire sulle decisioni.

Agli atti giudiziari vi sono testimonianze sui modi attraverso cui furono effettuate pressioni sui politici. Afferma Tassan Din: »Dei tre partiti rappresentati io che conducevo la trattativa fui contattato, anzi, per la precisione, ebbi contatti, con degli esponenti che non erano i dirigenti SIPRA, dei quali ho detto. In particolare ebbi contatti con l'onorevole Bubbico e con l'ingegner Rossetti di Ancona con esborso in contanti di 800 milioni da parte del ragionier Piana che diede materialmente la somma all'ingegner Rossetti (27): del resto »in passato tra Angelo Rizzoli e Bubbico vi erano stati rapporti di natura economica .

Per il PSI prosegue Tassan Din i contatti furono con l'onorevole Formica che »pretese il 3 per cento della rata del minimo garantito del primo anno e cioè 15 miliardi, ossia

circa 450 milioni con la specificazione che si trattava di »fornire delle prestazioni pubblicitarie gratuite fino a concorrenza dei 465 milioni .(28) E, come riscontro alle sue dichiarazioni, Tassan Din si riferisce a fatture, di cui sarebbero stati al corrente il ragionier Piana, Giorgio Rossi e Napoleone Jesurum. La testimonianza di Tassan Din trova peraltro riscontro nella parallela deposizione di Angelo Rizzoli del 19 febbraio 1983: »Esborso in aprile/giugno 1979 all'ingegner Rossetti di Ancona di contante per 800 milioni. L'esborso venne effettuato in correlazione alla conclusione di un importante contratto pubblicitario fra Rizzoli e SIPRA le cui trattative vennero condotte da Tassan Din. Costui mi informò che per la conclusione del contratto bisognava versare le somme in questione per la persona che operava, o comunque diceva di operare a quanto riferito dal Tassan Din, per conto di gruppi politici all'interno della DC, facenti capo all'onorevole Bubbico, responsabile per il partito del settore radio

televisivo. Il Tassan Din mi disse che sempre per la conclusione del contratto con la SIPRA, occorreva effettuare delle prestazioni pubblicitarie gratuite per un valore oscillante intorno ai 400 milioni, se ben ricordo, a favore della campagna elettorale del PSI; il Tassan Din mi specificò di aver trattato con esponenti della segreteria amministrativa del partito, se ben ricordo, o con Rino Formica o con Campironi, i due responsabili amministrativi del partito stesso. Nel nostro caso per il raggiungimento dell'accordo con la SIPRA occorreva un'autorizzazione della commissione parlamentare di vigilanza per le radioaudizioni, donde un intervento del potere politico .(29)

Le circostanze riferite da Tassan Din e da Angelo Rizzoli coincidono. Peraltro risponde al vero l'asserzione che occorreva un'autorizzazione della commissione parlamentare di vigilanza Rai Tv per realizzare il contratto, portato a termine a vantaggio di Rizzoli, perché la commissione parlamentare aveva assunto il 15 febbraio 1979 una delibera di »riconferma che la SIPRA, a partire dall'1 marzo 1979, e fino alla separazione dell'attività radiotelevisiva, non potrà porre in essere alcun nuovo contratto di gestione di pubblicità nel settore della stampa e delle emittenti radiotelevisive private .

Le dichiarazioni giurate davanti alla magistratura, confermate da Tassan Din di fronte alla commissione d'inchiesta,(30) hanno carattere di verosimiglianza e corrispondono, del resto, alla dichiarazione che per avere contratti SIPRA si doveva trattare con i tre partiti al vertice delle società e cioè DC, PSI e PCI. Per quest'ultimo Tassan Din entra in contraddizione in quanto, da una parte, afferma che occorreva »trattare con tutti i partiti al vertice della SIPRA e quindi anche con il PCI che esprimeva il presidente dell'ente e dall'altra aggiunge »non ebbi alcuna forma di contatto né di richiesta con esponenti del PCI . Una contraddizione che si può spiegare con la palese volontà da parte di Tassan Din, riscontrata nella lunga serie di sue deposizioni, di dire sempre verità parziali tutelando in particolare quel suo rapporto con il PCI delle cui »amicizie con alcuni rappresentanti Gelli soleva rimproverarlo.

L'accordo Caracciolo Scalfari Rizzoli Tassan Din

A pochi mesi di distanza dall'accordo Rizzoli Dc viene siglato un accordo fra il gruppo Rizzoli e il gruppo Caracciolo Scalfari.(31) Il 19 giugno 1979, a due settimane dalle elezioni, i vertici dei due gruppi si riuniscono per esaminare un testo precedentemente discusso facendo seguito a contatti e trattative in corso da tempo. E' questa una stagione di movimento negli equilibri politici e nelle manovre finanziarie ed editorial giornalistiche. La solidarietà nazionale che era andata avanti fino ai primi mesi dell'anno intorno ad Andreotti è entrata in crisi e non si sono ancora chiaramente delineati nuove prospettive e nuovi equilibri. La stampa ha più che mai un ruolo importante nell'orientamento del consenso a favore o contro la linea portante dell'incontro fra DC e PCI che ha dominato per oltre un triennio. »La Repubblica e il »Corriere , se pure con diverse sensibilità, avevano appoggiato l'incontro fra DC e PCI, rinsaldatosi con la vicenda Moro e la costituzione dello schieramento intorno al cosiddetto

»partito della fermezza . Problemi finanziari assillano non solo il gruppo Rizzoli ma anche gran parte della stampa; e all'orizzonte si delinea il grande affare ENI Petromin.

La legge per l'editoria è sul tappeto e le manovre dei vari gruppi editoriali, con in testa Rizzoli, si dispiegano nel rapporto di contrattazione con il mondo politico. La P2, in tutte le sue diramazioni è all'attacco: la sua pressione aumenta nel settore della stampa con l'intento non solo di controllare completamente il gruppo Rizzoli ma anche di allargare il sistema delle alleanze sulla base di tregue e di spartizioni monopolistiche del mercato. In questo quadro il 5 luglio viene firmato, da Angelo Rizzoli e Tassan Din da una parte e da Carlo Caracciolo ed Eugenio Scalfari, dall'altra, il patto che segue:

»I due Gruppi ravvisano degli interessi comuni nella difesa del pluralismo giornalistico, nel recupero del ruolo professionale dell'Editore e in una ripresa di efficienza del settore, e concordano che è loro comune interesse:

»a) realizzare congiuntamente e di comune accordo eventuali operazioni di acquisizione di testate locali, nel senso che ciascun partner offrirà all altro una partecipazione nei giornali locali di cui si sta trattando l'acquisto. Tale possibilità potrebbe essere ampliata alle testate locali di nuova realizzazione;

»b) mantenersi costantemente informati e se possibile agire congiuntamente nella risoluzione dei problemi particolari dell'industria giornalistica, quali la sistemazione di alcune grandi testate, studiando, laddove di comune interesse, iniziative congiunte;

»c) porre in atto la più ampia consultazione e la più stretta collaborazione nella risoluzione dei nodi strutturali del settore ed in particolare su alcuni temi di fondo quali la legge sull'editoria, il rapporto con le televisioni, il problema della distribuzione, le politiche federative, le politiche dei prezzi, ecc.;

»d) fare ogni ragionevole sforzo perché pur nel mantenimento della reciproca autonomia e nel rispetto delle libertà giornalistiche, i giornali di ciascun partner presentino le iniziative o i problemi dell'altro partner in modo obiettivo e non fazioso o deliberatamente ostile .

Dal patto scompaiono due clausole incluse in una precedente versione del 19 giugno(32) riguardanti: a) la costituzione, da mantenere riservata, di società paritetiche fra i due gruppi, la cui prima dovrebbe riguardare l'area veneta, e, b) l'impegno ad una consultazione almeno mensile di carattere segreto fra i quattro firmatari del patto. Il documento, quindi, che ne risulta è a tutti gli effetti un cartello di spartizione del mercato editoriale inteso ad aggirare e contrastare le norme sulle concentrazioni previste dall'imminente legge per l'editoria, e più in generale si configura come un'alleanza con caratteristiche »riservate per condurre un attacco ad altre aree editoriali, per esempio a quella controllata da Monti come emerge dalla deposizione di Caracciolo.

La singolarità del patto sta nell'accordo per un terreno segreto di trattativa e di alleanza dietro una facciata di virulenti attacchi da parte del gruppo Caracciolo Scalfari alla Rizzoli e al suo retroterra finanziario piduistico, notoriamente rappresentato da Calvi e da Ortolani che sedeva nel consiglio d'amministrazione. Se dunque si era sentita la necessità di mantenere il patto segreto, è ipotizzabile che l'accordo economico fra i due gruppi riflettesse un'intesa politica più sostanziale avente come riferimento proprio quegli indirizzi che avevano espresso e ancora tentavano di esprimere l'unità nazionale. Più d'uno ha voluto poi vedere nelle tangenti dell'ENI Petromin lo strumento con cui procedere alla sistemazione dei problemi della stampa, dei gruppi Rizzoli, Monti e Montedison con riflessi sul gruppo Scalfari-Caracciolo. Sono ipotesi non controllate e non controllabili. Certo è che con puntuale convergenza, non appena corrono le prime voci dello scandalo ENI Petromin, »la Repubblica e il »Corriere

della Sera si schierano accanitamente in difesa dell'affaire e della sua legittimità. Che fosse il primo risultato dell'accordo fra i vertici dei due gruppi?

La legge per l'editoria, banco di prova del sostegno ai rizzoliani. L'emendamento »cancelladebiti , le pressioni e la corruzione

Per oltre due anni, 1979 e 1980, la legge per l'editoria è stata al centro dello scontro politico in Parlamento con il gruppo Rizzoli fortemente mobilitato per trarne tutti i possibili vantaggi. Più ancora che con l'affare SIPRA, la Rizzoli voleva mettere a frutto e ottenere la ricompensa per i favori offerti ai partiti. Per la DC vi era con l'accordo Piccoli Tassan Din l'impegno formale di adoperarsi a favore dell'editore; per il PSI, il PRI e lo PSDI vecchi e nuovi legami ne vincolavano il comportamento a vantaggio del finanziatore dei giornali »amici ; per il PCI la politica di compromesso stabilita dagli incaricati stampa, prima Elio Quercioli e poi Adalberto Minucci, con Tassan Din e l'esplicito patto di sostegno fra comitato di redazione, poligrafici e proprietà inducevano ad un occhio di riguardo. E' così che il rapporto fra la Rizzoli a direzione piduista e il sistema di partiti si consolida ad un punto tale che sarebbe stato impensabile ad una qualsiasi altra lobby riuscire a esercitare tali e tante

influenze per strappare provvedimenti di molte centinaia di miliardi allo Stato

»A noi premeva dichiara Angelo che la legge sull'editoria contenesse una modifica al progetto originario. In particolare ci stava a cuore un emendamento che consentisse il consolidamento dei debiti dei quotidiani giacché avevamo interesse a trasformare in esposizione a medio termine a tasso agevolato quella a breve termine che caratterizzava la posizione debitoria della Rizzoli .(33) I punti cruciali sui quali il Parlamento restò a lungo bloccato, per opera dell'opposizione radicale, definita da molti ostruzionismo, furono le norme riguardanti la trasparenza della proprietà, l'inclusione delle Società in Accomandita Semplice, e un emendamento all'articolo 37 chiamato a ragione »cancella debiti . Tutti e tre i punti si riferivano alla situazione della Rizzoli e avevano a che fare con la sua condizione di gruppo che voleva sfuggire ai controlli sulla proprietà pretendendo, di contro agevolazioni e finanziamenti dallo Stato.

Sostanzialmente, pur fra alterne vicende e con diverse sfumature, tutti i partiti, con l'eccezione del radicale, erano disponibili ad accogliere l'emendamento pro Rizzoli. La norma che ripianava i debiti della Rizzoli con denaro pubblico non a caso era definita eufemisticamente dal »Corriere »attenua debiti e dalla stampa comunista »articolo chiamato impropriamente cancella debiti . Mentre la DC e il PSI scendevano in campo direttamente, non minore fu l'impegno del PCI. Di fronte agli indugi per le lotte intestine, l'incaricato stampa del PCI Minucci dichiarava in un'intervista al »Corriere della Sera del 19 aprile 1980: »Se la libertà di stampa, il pluralismo informativo e la stessa sopravvivenza di tante testate sono in gravissimo pericolo oggi in Italia, la responsabilità è tutta della maggioranza democristiana del preambolo e di un gruppo di potere socialista, che da quattro mesi stanno ricattando l'editoria con decreti su cui il governo non ha neanche il coraggio e la volontà di chiedere la conversio

ne alla Camera .

La mobilitazione della P2 e dei partiti, congiunta e parallela, fu dunque imponente: pressioni, ricatti e corruzione. La vera natura dello scontro sulla legge per l'editoria fu occultata e con esso furono occultati gli elementi di conoscenza, di giudizio e di valutazione sul caso Rizzoli e sulla competizione che nell'ambito del potere si svolgeva per il controllo della stampa. La sostanza vera della questione non venne mai alla luce. Solo le successive testimonianze hanno in parte squarciato alcuni veli. Secondo quanto riferisce Tassan Din e conferma Angelo Rizzoli, Ortolani venne incaricato della questione (con una provvigione di 150 milioni) perché aveva assicurato di essere in grado di interessare l'on. Sergio Cuminetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio per l'editoria, e di godere dell'amicizia del segretario del PSDI, Pietro Longo.(34) Fra i fondi della contabilità nera della Rizzoli risulta una "Operazione legge editoria" (Cum, per Cuminetti Longo) relativa ai mezzi finanziari adoperati per

esercitare pressione.

Ma la gamma degli interventi non si limita a qualche sottosegretario o a qualche piduista. Tassan Din ha esposto la lista dei rapporti intrattenuti per la soluzione dei problemi dell'azienda: PSI, Formica e Martelli; DC, Piccoli, Andreotti, Bisaglia, i vari responsabili del settore stampa ed editoria, Mastella, Mazzarino; PCI, Minucci, Quercioli, Cervetti e Peggio; PRI, Spadolini e Visentini; PSDI, Longo e Di Giesi.(36) Altrettanti riscontri sono le dichiarazioni in commissione dei leader politici: Piccoli: »Io fui uno tra i più tenaci sostenitori della legge sulla stampa ; Berlinguer: »So che i nostri compagni addetti ai settori della propaganda e dell'informazione avevano contatti normali con editori e ciò era in relazione alle sollecitazioni che venivano dai responsabili dell'editoria per ciò che si riferisce alla legge, alla sua approvazione e poi alla sua applicazione . Longo nega la pur evidente traccia documentabile affermando che »per quanto riguarda la legge sull'editoria e gli emendamenti, mai parl

ato di questi problemi e soprattutto mai avuto rapporti finanziari .

Grazie all'ostinata opposizione radicale, l'emendamento »cancella debiti infine non passò. Sulla sponda opposta, qualche mese più tardi, quando ormai l'emendamento pro-Rizzoli era stato bocciato, »Paese Sera , in un articolo del 20 marzo 1981 intitolato "Riforma dell'editoria mutilata", scriveva a proposito dell'art. 37 che »non cancellava o ammazzava i debiti per cattiva gestione od operazioni editoriali discutibili, come qualcuno vorrebbe dare ad intendere. Doveva invece servire ad attenuare quei deficit provocati dal duplice vincolo del prezzo imposto dei giornali e dall'analogo costo per la carta e dai ritardi nell'approvazione della riforma dell'editoria... Senza l'art. 37 la riforma risulta mutilata . Si sarebbero poi conosciuti quali erano i rapporti di dipendenza finanziaria del PCI dall'Ambrosiano di Calvi e l'enorme esposizione di »Paese Sera , garantita da Botteghe Oscure, nei confronti della »banca dei preti .

Tutta la proprietà alla P2 con il »pattone Gelli Calvi-Ortolani Tassan Din Rizzoli. Il »silenzio assenso di DC PCI PSI PSDI PRI

All'inizio del 1980 vi sono movimenti finanziari finalizzati a un nuovo assetto societario nel quale Calvi con l'Ambrosiano e gli altri uomini della P2 in prima persona, Gelli, Ortolani e Tassan Din, divengono anche formalmente proprietari del gruppo Rizzoli. Il punto di partenza dell'intera operazione è l'appesantimento debitorio del gruppo, consentito, anzi favorito, dalle autorità vigilanti sicché si rafforza uno stato di ricattabilità di cui possono giovarsi aspiranti proprietari e potenziali beneficiari politici. Rispondendo alla Camera a nome del governo il 6 aprile 1981, il sottosegretario DC Piergiorgio Bressani, incaricato dei problemi dell'editoria, sostiene: »Per quanto riguarda l'esposizione debitoria del gruppo, essa risulta controllata dall'Istituto di vigilanza, secondo i dati di centrale rischi costantemente aggiornati. Al riguardo mi riservo di fornire al Parlamento, non appena sarò posto in condizione di farlo, notizie sull'andamento relativo all'esposizione debitoria . Calvi, Gelli, Ortola

ni e Tassan Din possono così impossessarsi completamente della proprietà azionaria della Rizzoli perché vien dato loro via libera da parte dell'autorità politica che aveva il compito di vigilare, anche in forza dei dettami della nuova legge sull'editoria, da poco entrata in vigore.

Non vi è dubbio che gli ideatori di tutta la manovra finanziaria a favore della P2 furono Gelli e Tassan Din, come ha ripetutamente dichiarato Angelo Rizzoli: »Tassan Din ha operato al fianco di Gelli per tutte le operazioni dall'aprile 1980. Le ipotesi di ricapitalizzazione furono studiate esclusivamente tra Tassan Din e Gelli che praticamente aveva in pugno la situazione . Il progetto di ricapitalizzazione cioè di formale trasferimento della proprietà alle finanziarie del gruppo Ambrosiano, è contenuto in una proposta del luglio 1980 la cui attuazione viene rinviata prima al 15 settembre poi alla fine dell'anno »stante la situazione di progressivo deterioramento interno ed esterno derivante dal prolungarsi delle operazioni correlate al risanamento finanziario ed alla sistemazione del capitale . Quello che è passato alla cronaca con il nome di »pattone , firmato nel settembre del 1980 indicava le seguenti ripartizioni azionarie per il nuovo assetto proprietario della Rizzoli S.p.A.: Angelo Rizzoli 40%, Soc

ietà Istituzione Italiana, 10,2%; Fiduciaria (Centrale), 40%; Rothschild, 9,8%; ed inoltre prevedeva che »l'entità in possesso del presente documento stilato in unico esemplare è da considerarsi investita dell'incarico di attuare le ipotesi di cui ai documenti allegati e che inoltre »la controparte venditrice riceverà indicazione circa i tempi e i modi per le assicurazioni suddette anche per definire ogni particolare tecnico

accettando formalmente le eventuali variazioni possibili »tenuto conto delle altre finalità del progetto .(37)

L'entità altro non era che la persona di Gelli e depositaria delle »altre finalità non era altro che la P2 . Le firme del patto scellerato erano quelle di Gelli, Calvi, Ortolani, Tassan Din e Angelo Rizzoli. La concreta realizzazione del »pattone si compie fra il marzo e il maggio 1981, con un'improvvisa accelerazione dei tempi di conclusione in seguito al ritrovamento dei documenti a Castiglion Fibocchi (metà marzo 1981), alla conseguente fuga di Gelli, alla sparizione di Ortolani e all'inizio delle vicende giudiziarie di Calvi. Dopo complesse manovre di cui sono parte anche società come la Recioto di Ortolani e Tassan Din, la Bellatrix, la Astolfin, la Erin e la Belrosa, tutte assistite dalle lettere di patronage dello IOR, l'Ambrosiano Andino e l'Ambrosiano Nassau, la proprietà finale della Rizzoli S.p.A. risulta: Angelo Rizzoli 32,95%, Finriz 8,00%, Fincoriz 10,45%, La Centrale 40,96%, Rothschild 7,64% con un assetto sociale corrispondente quasi esattamente al progetto concordato fra Gelli, Calvi, Tass

an Din e siglato il 18 settembre 1980 anche da Ortolani e Angelo Rizzoli .

Del consiglio di amministrazione divengono presidente Angelo Rizzoli e amministratore delegato Tassan Din. Grazie a nuove norme statutarie, la società voluta dall' »Istituzione , la Fincoriz, diviene arbitra dell'intera Rizzoli. Sul carattere di quest'ultima è certo che si tratti di una società della P2, sia che venga assegnata direttamente alla gestione di Tassan Din sia che appartenga in parti uguali a Tassan Din, Calvi, Gelli e Ortolani, come hanno testimoniato Amedeo Ortolani, figlio di Umberto, e Angelo Rizzoli e come risulta da un appunto ritrovato presso le carte di Gelli.

Occorre a questo punto chiedersi come mai un'operazione di vera truffa e spoliazione compiuta in prima persona dal vertice P2 sia potuta andare in porto con il sostanziale consenso silenzio assenso dei tre maggiori partiti, DC, PCI e PSI. Tassan Din avverte DC, PCI e PSI che Calvi è divenuto proprietario del 40% delle azioni del nuovo capitale e nessuno ha nulla da obiettare tanto che sulla stampa si sviluppa un'accesa polemica . »Non si è espressa la DC , scrive Scalfari ne »la Repubblica del 3 maggio 1981, »e questo si può anche comprendere dati i rilevanti interessi che legano l'Ambrosiano alla finanza vaticana e dato che Calvi acquistò il "Gazzettino" di Venezia, lasciandone la direzione politica nelle mani della DC. Ma non si sono espressi neppure il PSI, il PCI, né liberali né repubblicani... I socialisti sono stati finora ermeticamente muti. Si dice che il PSI abbia ottenuto a suo tempo un finanziamento tuttora in piedi dall'Ambrosiano... Del PCI si dice che stia trattando con il gruppo Rizzoli i

l finanziamento attraverso le Coop di tre o quattro gazzette nell'emiliano... Anche qui sarebbe la soccorrevole mano di Calvi ad intervenire. E' vero? E' questa la ragione dell'inspiegabile silenzio del PCI su quello che a buon diritto si può definire uno dei più

grossi scandali di questi ultimi tempi? .

Agli interrogativi di Scalfari si può rispondere che nessun partito ha nulla da obiettare perché ognuno ha i suoi collegamenti con la situazione putrescente della Rizzoli addirittura garantita in sede governativa: i giornali in comune con la DC e il PSI, le garanzie di occupazione ai sindacati legati al PCI e al mantenimento dello status quo al »Corriere ; i prestiti per molte decine di miliardi dell'Ambrosiano ai tre partiti, a »Paese Sera e al »Gazzettino di Venezia; la ricattabilità di Calvi che costituisce una buona assicurazione per il potere in quanto per il presidente dell'Ambrosiano la Rizzoli rappresenta un utile non finanziario ma di scambio politico.

Il progetto di Calvi di dare il »Corriere ai partiti in cambio della salvezza

Il più recente capitolo della vicenda Rizzoli dominata dalla P2 va dalla carcerazione di Calvi nel maggio 1981 alla sua morte nel giugno 1982. In questo travagliato periodo in cui il controllo proprietario del gruppo è tutto nelle mani del presidente dell'Ambrosiano e dell'»Istituzione P2 tramite Tassan Din, ancor più che nel passato il »Corriere è usato come merce di scambio con i politici.

Abbondanti e concorrenti sono le testimonianze secondo cui Calvi, dopo la scarcerazione del luglio 1981, aveva messo in atto un progetto di scambi di favori e di corruzione, per ostruire il corso della giustizia in attesa del processo di appello: progetto in cui figurava l'ipotesi di pagare i politici con il »Corriere , di corrompere la magistratura e di manovrare nell'ambito dei rapporti con Vaticano e massoneria.

Anche le manovre che si dipanano intorno alle azioni della Rizzoli possedute dalla Centrale, che erano state private del diritto di voto e la cui ammissione dipendeva dalla Banca d'Italia e dal ministero del Tesoro, sono da intendere in chiave dello scambio che si poteva fare del »Corriere con gli uomini dei partiti e per i partiti. A più riprese Calvi affermò che la concessione del diritto di voto di quelle azioni gli avrebbe consentito di mettere a disposizione dei partiti il suo giornale. E nell'ambito di questo ambiguo intreccio di affari dello Stato e di affari di partito che avvengono gli incontri di Calvi e del suo »consulente Flavio Carboni con l'on. Giuseppe Pisanu, sottosegretario al Tesoro. Pisanu fu stranamente delegato dal governo a rispondere alla Camera dei deputati una prima volta nell'aprile 1982 alle interrogazioni sulla Rizzoli »Corriere e, una seconda volta, l'8 giugno quando fornì un panorama anodino e rassicurante sullo stato dell'Ambrosiano che sarebbe crollato dopo otto giorni. In

seguito alla conoscenza della natura dei suoi rapporti con Calvi e Carboni, Pisanu fu costretto poi a dimettersi da sottosegretario al Tesoro l'8 gennaio 1983.

A partire dall'autunno 1981 le grandi manovre per l'acquisto del »Corriere sono in pieno svolgimento con i partiti che patrocinano o fanno fallire i diversi tentativi di soluzione. A loro volta Calvi e Tassan Din li favoriscono o li ostacolano nella misura in cui possono servire a rinsaldare i rapporti con i partiti . Dapprima il sen. Bruno Visentini, presidente del PRI oltre che della Olivetti, tenta la scalata al »Corriere in sostegno di un qualche progetto di governo dei buoni tecnici e, poi, ripete il tentativo il finanziere Giuseppe Cabassi con l'assenso del PSI e di una parte della DC. Ma i socialisti insorgono contro l'ipotesi Visentini sì da arrivare nel settembre 1981 quasi a mettere in crisi il governo Spadolini con un ultimatum di Claudio Martelli; e, specularmente, nel periodo successivo, Tassan Din ostacola il progetto Cabassi enunciando la legge partitocratica che doveva guidare qualsiasi operazione: »non mi sembrava giusto vendere ad un solo partito, il PSI, che stava dietro Cabassi . In un

memoriale, lo stesso direttore generale della Rizzoli specifica la sua filosofia: »Mentre intrattenevo rapporti, stipulavo accordi con Gelli, Ortolani e Calvi, dall'altra parte contemporaneamente e per tutto il periodo considerato e cioè fino al 1982, avevo stretto legami e rapporti con la Banca Commerciale, con il prof. Visentini e, in campo politico, con alcuni esponenti del Partito comunista come, ad esempio, Adalberto Minucci e Gianni Cervetti .(38)

Fallite le diverse operazioni di vendita variamente patrocinate, verso la fine del 1981, Calvi arriva a ventilare anche la possibile ipotesi di una formale spartizione del »Corriere fra i partiti se questa estrema offerta avesse potuto risolutamente giovare alla sua posizione di fronte alla giustizia. E quel metodo di scambio politica finanza editoria giustizia che per anni aveva rappresentato la filosofia operativa dei Gelli, Ortolani e Tassan Din, viene riproposto da Calvi e dai suoi consiglieri e suggeritori Pazienza, Carboni, Wilfredo Vitalone con una soluzione formale che avrebbe consentito al presidente dell'Ambrosiano in disgrazia di incassare quell'utile non finanziario messo in rilievo al momento dell'acquisizione alla Centrale del 40% della proprietà del gruppo.

Si susseguono durante l'inverno 1981 82 riunioni, proposte e trattative sulla base di progetti spartitori. Ad alcune di queste manovre partecipa direttamente l'on. Giuseppe Pisanu, sottosegretario al Tesoro, da alcune testimonianze indicato come delegato di Piccoli e della DC a seguire la vicenda del »Corriere . Mentre si sviluppa allo stesso scopo un rapporto stretto con il PSI di Craxi e si cerca un aggancio con il PCI, Calvi mette sul piatto della propria salvezza, insieme a molti miliardi per la corruzione, anche il »Corriere , individuando nel PSI, nella DC e nel PCI gli interlocutori di sempre che potevano contribuire a ribaltare la sua precaria situazione di fronte alla giustizia e alle autorità di controllo e vigilanza finanziaria.

Certo quella di Calvi e dei suoi consiglieri era una visione paradossale e semplificata della realtà, magari distorta dall'ottica di chi si sentiva assediato. Ma, al fondo, corrispondeva alla natura dei rapporti instaurati negli anni precedenti fra il complesso piduistico e i partiti. Da parte loro, i partiti e i loro rappresentanti non fanno che confermare naturalmente in forme diverse da quelle immaginate da Calvi il loro interesse per il »Corriere , per il mantenimento o l'alterazione di determinati equilibri.

Il presidente del Consiglio, Craxi, di fronte alla commissione dichiara: »Per quanto riguarda la questione del "Corriere", c'è un punto fermo nel ragionamento di Calvi: che ogni soluzione che si possa prospettare definitiva per la sistemazione del futuro assetto del gruppo deve ottenere un vasto consenso politico di democristiani, di socialisti e di comunisti. E' ho ragione di ritenere, e ho ragione ben fondata e ben informata di ritenere, che tenesse su questo tema poi si è visto anche su altri, cioè sui finanziamenti che il Banco Ambrosiano erogava rapporti diretti con persone responsabili ed autorevoli di questi tre partiti... .(39) Tale ragionamento di Craxi converge con le valutazioni che, dall'altra sponda della questione, avanza Angelo Rizzoli: »La classe politica ci ha fatto molte promesse e non ne ha mantenuta nessuna, ma nel cuor suo aveva in mente una cosa, portarci via il "Corriere" e, questa, è l'unica promessa che ha mantenuto .(40)

Altre opinioni convergenti sono avanzate da protagonisti come Piccoli: »Mi occupai del "Corriere" come segretario della DC così come se ne occuparono i segretari di tutti gli altri partiti, perché tutti intervennero... ; mentre le smentite di Spadolini (»Ignoravo qualunque contatto con la società finanziaria per il nuovo gruppo del "Corriere"... Non ho mai chiesto niente, non ho ricevuto niente dal ''Corriere'' )(41) sono frontalmente contraddette dalla testimonianza di Angelo: »Spadolini quando era a Milano veniva tutti i lunedì di pomeriggio a trovarmi in ufficio per chiedere, per fare... Dopo di che, appena io sono uscito dal "Corriere", non si è fatto più vedere. Del resto è naturale: il rapporto con i politici è direttamente proporzionale al potere che hai... .(42) Dal canto suo, il PCI, attraverso suoi autorevoli esponenti, intrattiene rapporti privilegiati con Tassan Din e ciò in coerenza con il giudizio che nel luglio 1980 Adalberto Minucci, incaricato del settore stampa del PCI, dava sulla situazio

ne: »Il gruppo Rizzoli rappresenta ancora una editoria relativamente aperta al pluralismo e la mia personale convinzione è che questa sia la ragione perché si stia facendo il possibile per liquidarlo o minarne definitivamente l'autonomia .(43)

I progetti di vendita con patrocini e veti ed i rozzi tentativi di Calvi di spartizione del »Corriere fra i partiti non arrivano a termine perché interviene la morte di Calvi e la conseguente bancarotta dell'Ambrosiano. Anche dietro le lotte che segnano il passaggio dal vecchio al nuovo Ambrosiano si intravede il problema del controllo della Rizzoli, per il quale basta richiamare solo alcuni episodi. Il socialista Nerio Nesi della Banca Nazionale del Lavoro insorge contro il democristiano Piero Schlesinger della Banca Popolare di Milano perché propone un comitato di garanti non equilibrato, leggi non lottizzato adeguatamente dal punto di vista del PSI; a sua volta il sostegno portato dal PCI alle posizioni di Tassan Din, fino a quando la decenza lo ha consentito, segna l'attestarsi dei comunisti su una linea di difesa ad oltranza di un equilibrio facente perno sul direttore Alberto Cavallari (che sostituisce Di Bella nel giugno 1981), sostenuto in un primo tempo dal garante senatore Giuseppe Branca della Si

nistra indipendente e sulla forza contrattuale degli organismi sindacali dei giornalisti e dei tipografi.

NOTE

1. Intervista ad Angelo Rizzoli in »Prima , febbraio 1976.

2. Audizione di Bruno Tassan Din alla Commissione P2 del 27 ottobre 1983, in All. (T.), vol. III, tomo XIV, pp. 3 sgg.

3. "Adesso vi spiego come ho fatto a perdere tutto", intervista ad Angelo Rizzoli, in »Europeo , 26 novembre 1983, p. 27.

4. Ibid.

5. Tra i molti episodi del faccendiere Ortolani, si vedano gli interessi neri e le tangenti che aveva ricevuto dall'ICIPU per aver patrocinato il deposito di ingenti somme di denaro alle sindoniane Banca Unione e Banca Privata Finanziaria alla fine degli anni Sessanta. Dal rapporto della Guardia di Finanza alla Commissione parlamentare di inchiesta sul caso Sindona.

6 . L'intervista ad Angelo Rizzoli, pubblicata in tre articoli (del 26 novembre 1983, 3 dicembre 1983 e 10 dicembre 1983) dall'»Europeo , sintetizza i concetti espressi durante l'audizione in Commissione P2 e le numerose deposizioni rese di fronte ai magistrati, tutto materiale contenuto in All. (T.), vol. III, tomo XIII.

7. Interrogatori di Angelo Rizzoli ai giudici Dell'Osso e Fenizia nel febbraio marzo 1983, in All. (T.), vol. III, tomo XIII, p. 258.

8. Intervista ad Angelo Rizzoli, in All. (T.), cit., p. 537.

9. Interrogatori di Angelo Rizzoli, in All. (T.), cit.

10. Ibidem.

11. Giampaolo Pansa "Comprati e venduti", cit.

12 Paolo Murialdi »il manifesto , 22 febbraio 1983.

13 "Lettera di Angelo Rizzoli a Licio Gelli", allegata al "Memoriale Gelli", seconda parte, inviata dall'avv. Dean alla Commissione P2 il 15 giugno 1984.

14. Interrogatori di Angelo Rizzoli, in All. (T.), clt., p. 276.

15. Pansa, op. cit.

16. Dossier documentario preparato dal Comitato di redazione e dal Consiglio di fabbrica del »Corriere della Sera , pubblicato, per stralci, in All. (T.), vol. III, tomo XIV, pp. 183 201.

17. Audizione di Tassan Din, cit.

18. Intervista ad Angelo Rizzoli, in All. (T.), cit., p. 542.

19. Documenti del gruppo Rizzoli provenienti dall'archivio di Roberto Calvi alle Bahamas, inviati alla Commissione P2 dalla magistratura di Milano, in All. (T.), vol. III, tomo XIV, pp. 108 sgg.

20. Ibidem.

21. "Accordo Piccoli Rizzoli" il cui testo è stato rinvenuto a Castiglion Fibocchi presso l'archivio gelliano e tra i documenti dell'archivio di Roberto Calvi alle Bahamas. Pubblicato in All. (T.), vol. III, tomo XIV, pp. 106 107.

22. Audizione di Flaminio Piccoli alla Commissione P2 del 20 gennaio 1984

23. Archivio di Roberto Calvi alle Bahamas, in All. (T.), vol. 111, tomo XIV, pp. 116 sgg.

24. Ibidem, pp. 104 105.

25. Interrogatori di Bruno Tassan Din ai giudici Dell'Osso e Fenizia nel febbraio marzo 1983, in All. (T.), vol. 111, tomo XIV, pp. 317 371.

26. Memoriale Tassan Din redatto nell'agosto e settembre 1983, in All. (T.), vol. III, tomo XIII, pp. 547 sgg.

27 . Interrogatorio di Bruno Tassan Din ai magistrati Dell'Osso e Fenizia del 19 febbraio 1983, in All. (T.), vol. III, tomo XIII, pp. 326 sgg.

28. Ibidem.

29 Interrogatori di Angelo Rizzoli, in All. (T.), cit., pp. 231 sgg.

30. Cfr. Audizione di Tassan Din alla Commissione P2 del 27 ottobre 1973, cit.

31. Accordo gruppo Rizzoli Caracciolo Scalfari sequestrato a Castiglion Fibocchi il 17 marzo 1981 (reperto 8/A, busta 9), in All. (T.), vol .III, tomo XIII, pp. 134 sgg.

32. Ibidem.

33 Interrogatori di Angelo Rizzoli, in All. (T.), cit., pp. 231 sgg.

34. Interrogatori di Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din, in All. (T.), cit., pp. 231 sgg.

35. Ibidem.

36. Memoriale Tassan Din redatto nell'agosto e settembre 1983 in All. (T.), cit., pp. 547 624, confermato nell'audizione alla Commissione P2 del 27 ottobre 1983.

37. Documentazione per la definizione del gruppo Rizzoli sequestrata a Castiglion Fibocchi il 17 marzo 1981 (reperto 1/C) e pubblicata in All. (T.), vol. III, tomo XIII, p. 7 sgg.

38 Memoriale Tassan Din, cit.

39 Audizioni di Bettino Craxi alla Commissione P2 dell'8 febbraio 1984.

40. Intervista di Angelo Rizzoli all'»Europeo , cit.

41. Audizione di Giovanni Spadolini alla Commissione P2 del 31 gennaio 1984.

42. Intervista ad Angelo Rizzoli, »Europeo , 10 dicembre 1983, in All. (T.), cit., p. 541.

43. Intervista di Adalberto Minucci nel »Corriere della Sera , prima pagina, 9 luglio 1980.

 
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