Fatti e misfatti, uomini, banche e giornali, generali e terroristi, furti e assassinî, ricatti e potere, secondo i documenti dell'inchiesta parlamentare sulla loggia di Gellidi Massimo Teodori
SOMMARIO: "Molto si è scritto della P2 e di Gelli ma la verità sulla loggia e sul suo impossessamento del potere nell'Italia d'oggi è stata tenuta nascosta. Contrariamente a quanto afferma la relazione Anselmi votata a maggioranza a conclusione dell'attività della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, la Loggia non è stata un'organizzazione per delinquere esterna ai partiti ma interna alla classe dirigente. La posta in gioco per la P2 è stata il potere e il suo esercizio illegittimo e occulto con l'uso di ricatti, di rapine su larga scala, di attività eversive e di giganteschi imbrogli finanziari fino al ricorso alla eliminazione fisica."
La "controstoria" di Teodori e una ricostruzione di fatti e delle responsabilità sulla base di migliaia di documenti; è la rielaborazione e riscrittura della relazione di minoranza presentata dall'autore al Parlamento al termine dei lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta. Sono illustrati i contorni dell'associazione per delinquere Gelli-P2; si fornisce l'interpretazione dell'attività eversiva dei servizi segreti e quella dei Cefis, dei Sindona e dei Calvi; si chiarisce il ruolo della P2 nel "caso Moro" e nel "caso d'Urso", nella Rizzoli e nell'ENI, nelle forze Armate e nella Pubblica Amministrazione. Sono svelati gli intrecci con il Vaticano, il malaffare dei Pazienza, dei Carboni e il torbido del "caso Cirillo".
(SUGARCO EDIZIONI - Dicembre 1985)
CAPITOLO XII
LA POLITICA DEL »CORRIERE PIDUISTIZZATO*
Con la nomina di Di Bella completo il controllo P2 sulla Rizzoli »Corriere della Sera
Con la nomina di Franco Di Bella alla direzione del »Corriere nell'ottobre 1977, il controllo della P2 sulla Rizzoli e sul suo maggiore giornale è completo: proprietà azionaria, regia finanziaria, direzione generale, gestione amministrativa e, infine, direzione giornalistica, sono in mano di piduisti collegati fra loro e quindi in grado di esercitare un influenza sulla linea del gruppo e particolarmente sul »Corriere della Sera .
E' perciò decisivo per comprendere cosa sia stata la P2, quali i suoi obiettivi e i suoi strumenti, analizzare il modo in cui fu usato il »Corriere , quale politica seguì e quali atti qualificanti furono compiuti durante la direzione di Franco Di Bella. Il »Corriere della Sera rappresenta pertanto la più importante cartina di tornasole per la scoperta dei meccanismi con cui la P2 ha acquisito ed esercitato potere.
Una prima direttrice di lettura dell'influenza e della presenza della P2 nel giornale è data dagli interessi dei vertici piduistici e degli uomini che possono essere definiti membri delle diverse direzioni strategiche di settore. Il Sudamerica diviene, dalla fine del 1976, un terreno riservato all'informazione addomesticata dal momento che in quel continente operano, intrecciati con quelli politici, gli interessi economici, finanziari e speculativi di Ortolani, Gelli, Calvi e di Rizzoli e Tassan Din. Nel giugno 1977 Giangiacomo Foà, corrispondente da Buenos Aires, scomodo per le dittature argentine viene trasferito a Rio de Janeiro con motivi pretestuosi. Da allora, quei pochi articoli pubblicati sull'Argentina sono sollecitati da Giorgio Rossi, P2, messo a capo delle relazioni esterne del gruppo. Il 12 giugno 1979 viene pubblicata in terza pagina una lunga intervista di Roberto Gervaso a Somoza, dittatore del Nicaragua, in rapporti finanziari con l'Ambrosiano di Calvi. Il 19 dicembre 1979 appare un'intera p
agina di pubblicità dell'Uruguay, commissionata direttamente a Tassan Din. Il 4 ottobre 1980 è la volta di un entusiastico articolo sulla designazione del generale Viola come successore del dittatore Videla.
Altro terreno dove si manifesta l'intervento piduistico è il settore dell'economia, per cui viene creata la figura dell'»assistente editoriale che scavalca anche i direttori delle testate e collega i settori dell 'economia dei diversi giornali. Nel corso del 1979 appaiono una serie di articoli siglati »CS che servono per operazioni orientate nell'interesse della proprietà o dei suoi amici. Alcuni tra i titoli significativi: "Interrogativi sull'attacco IFI all'Immobiliare / Il rischio delle scorrerie del gruppo Agnelli in Borsa; La Borsa torna ad essere palestra di operazioni corsare / Dietro il mistero CIGA troppe »mani poco credibili; Dall'iniziativa di Sindona a quella dei Beni Immobili / L'OPA come strumento di borsa non può basarsi sulle soffiate"; e poi, usando una copertina de »Il Mondo del 4 luglio 1980 viene scatenata la guerra del gruppo Rizzoli al gruppo FIAT, che si risolve con una visita di pacificazione di Gianni Agnelli e Luca di Montezemolo a Rizzoli e Tassan Din il 15 luglio 1980.
Ancor più evidente è l'uso del »Corriere per sostenere e consolidare la rete degli amici piduisti dislocati nei diversi settori della vita nazionale, degli apparati dello Stato e direttamente nella politica. Il 10 gennaio 1980 sulla prima pagina del »Corriere in notevole evidenza compare la notizia »L'Ammiraglio Torrisi [P2] nuovo capo di S.M. della Difesa con foto e una biografia peana siglata F.Ca., cioè Fabrizio Carte, alias Trecca, uno dei più importanti capigruppo della P2. A Torrisi più in generale non viene lesinato lo spazio e il 1· maggio 1981 (oltre un mese dopo il ritrovamento delle liste P2!) »Il Mondo dedica una fotografia a piena copertina per l'inchiesta »I Nuovi militari/Sono più affidabili? . L'attenzione ai vertici delle Forze Armate e dei corpi di polizia a disposizione delle manovre P2 non cessa mai. Il 2 agosto 1980 è pubblicata in prima pagina un'intervista lunghissima con il capo della Guardia di Finanza, generale Raffaele Giudice, pervenuta al giornale già confezionata e senza fir
ma, con un titolo in grande evidenza: "Il 71 per cento dei finanzieri a caccia di evasori. Il restante personale è in addestramento o è addetto ai servizi logistici. La smilitarizzazione sembra inopportuna." Il febbraio 1981 appare un'intervista al comandante dei carabinieri, generale Umberto Cappuzzo, a firma »CS (si disse che l'avesse fatta lo stesso Di Bella) pubblicata vistosamente in apertura del giornale con il titolo "Il generale Cappuzzo: si può sconfiggere il terrorismo Strategia globale e ruolo dei »pentiti E' necessario riportare nel sistema, con un rilancio culturale, quei giovani che rifiutano il metodo democratico."
Massiccio, articolato e costante è del resto l'appoggio offerto dalla stampa rizzoliana a uomini politici »amici , molti dei quali appaiono anche formalmente nelle liste della P2: ecco alcuni esempi in occasione della campagna elettorale del 1979. Gustavo Selva (DC) merita una speciale attenzione con "Il voto per l'Europa non è di serie B" (4 maggio), "Discorso di Selva sul terrorismo" ( 18 maggio) ed ancora con notizie del 6 maggio e dell'8 giugno; anche Claudio Villa (P2) che rinuncia alla candidatura il 7 maggio ha diritto ad una notizia ripresa il 16 maggio quando deve recarsi per una tournée in Argentina. Il 17 maggio appare un pezzo di apertura sul PSDI con frase di Longo in sommario; il 20 maggio, nella presentazione dei candidati di Firenze, sono abbondantemente citati Sergio Pezzati e Giampaolo Cresci; il 23 maggio nell'articolo "Difficile flirt fra sport e politica", si trova la maniera di citare nel sommario Francesco Cosentino (DC) che torna di nuovo alla ribalta come »manager del turismo l'8
giugno. Ancora una presenza di Cresci (DC) nella rubrica »Parlano i protagonisti del 28 maggio, di De Carolis (DC) il 31 maggio fra »gli eretici nei partiti , di Silvano Labriola (PSI) in un articolo »di rigore del 1· giugno, dell'ex ministro Mario Pedini con un articolo a cinque colonne nel maggio 1979.
Altri uomini della P2 hanno un trattamento di rispetto: durante il 1980, Pietro Longo merita interviste con cadenza quasi mensile, nel »Corriere della Sera e »Corriere d'Informazione il 6 gennaio, il 4 aprile, il 3 giugno, il 7 giugno e il 24 giugno, il 16 dicembre nella tribuna di Maurizio Costanzo il leader del PSDI parla di »questione morale, libertà d'antenna nomine bancarie e scandalo petroli , e ancora il 2 gennaio intervistato da Alberto Sensini; il deputato DC di seconda fila Emo Danesi (P2) ha anch'esso un'ottima presentazione alla vigilia del congresso DC (Dopo Zac, arriva Dan, nella »Domenica del Corriere del 31 ottobre 1979); Giancarlo Elia Valori, ex socio di Gelli e Ortolani, è ricordato come autore di un libro su "L'eredità di Mao" recensito su esplicita richiesta da Di Bella; Rolando Picchioni, sottosegretario DC (P2), ha l'onore di un articolo e di un intervista, Enrico Manca, allora ministro del Commercio estero, PSI, compare sulle pagine economiche del 14 marzo 1980 con il titolo "M
anca prende le distanze dal gasdotto siberiano: »Non dobbiamo dipendere dai rubinetti russi ." Interessanti anche le interviste che sono affidate alla fine del 1979 a Roberto Gervaso, uomo di punta della P2. La serie si apre con Andreotti il 7 ottobre ("Non sono un incendiario") e prosegue con Fanfani, Spadolini, Longo Zanone, Piccoli, Forlani, Pajetta, Almirante, poi con Craxi e Bisaglia nei primi mesi del 1980, e quindi con Claudio Signorile l'8 settembre 1980 in pieno scoppio dello scandalo ENIPetromin e solo un mese prima dell'intervista del 5 ottobre che l'altro giornalista di punta della P2, Maurizio Costanzo, raccoglie da Licio Gelli.
L'ascesa dei giornalisti piduisti. L'intervista di Gelli
La struttura di potere della P2 opera anche a livello giornalistico effettuando pressioni, determinando trasferimenti e immissioni, ponendo le persone giuste nei ruoli chiave. I piduisti si avvalgono del potere proprietario, gestionale e di direzione per assumere controllo e influenza in tutti i punti chiave dove si confeziona l'informazione giornalistica. Roberto Ciuni (P2), assunto come inviato a Napoli nel 1977, diviene nell'aprile 1978, con un ordine di servizio di Di Bella, redattore capo e nel novembre dello stesso anno assume la direzione del »Mattino , a proprietà e gestione comune DC-Rizzoli. Nel dicembre 1978 Roberto Gervaso (P2), che Di Bella aveva riportato al »Corriere come collaboratore fisso, diviene a tutti gli effetti articolista, con funzioni sempre più di rilievo per i personaggi intervistati (i suoi libri sono dedicati a Silvio Berlusconi, a Di Bella e Alberto Sensini, ad Adolfo Sarti e Mario Valeri Manera, e a »L.G. , cioè al maestro venerabile).
Nel giugno 1978 Massimo Donelli (P2) conduce un'inchiesta sulle Tv private . Il 10 ottobre 1979 esce il primo numero de »L'Occhio pubblicato grazie al contratto SIPRA e diretto da Maurizio Costanzo, che diviene la voce diretta della Loggia esprimendo il massimo della sua linea politica un anno dopo in occasione del caso D'Urso, quando si invoca l'instaurazione della pena di morte. Anche nei settimanali l'operazione di normalizzazione piduistica va avanti a tappeto. Nel gennaio 1977 Gian Luigi Melega era stato licenziato in tronco dalla direzione dell'»Europeo per aver promosso e fatto pubblicare una serie di documentati articoli sui beni immobiliari vaticani e le relative speculazioni edilizie della Santa Sede.
Nel gennaio 1978 Maurizio Costanzo assume la direzione della »Domenica del Corriere con la immediata pubblicazione di un articolo diffamatorio nei confronti dei radicali "Sindona Junior: con i soldi di papà può salvare Pannella" (19 gennaio 1978), rivelatosi poi documentalmente un coacervo di insinuanti falsità. Segue quindi un servizio elogiativo sulla massoneria: "I massoni: vogliamo per tutti un mondo migliore" (16 aprile) nel quale per la prima volta si parla entusiasticamente di Licio Gelli, maestro venerabile della »potente loggia P2 . Alla direzione di Costanzo segue nel novembre 1979 quella di Paolo Mosca (P2), che fa pubblicare a Roberto Gervaso un ammiccante elzeviro su Andreotti: "Giulio, dove vai quando sparisci?"
Nel settembre 1980 in seguito alle dimissioni del capo della redazione romana, Luigi Bianchi, la responsabilità viene affidata ad Alberto Sensini (il giornalista molto vicino a Spadolini che aveva fatto domanda d'iscrizione alla P2 mantenendola poi in sospeso) con l'attribuzione contemporanea delle funzioni di »rappresentante del gruppo Rizzoli a Roma , e di »delegato del gruppo ai rapporti con i partiti oltre che di capo della redazione romana, sostituendo di fatto l'editorialista per la politica interna Gianfranco Piazzesi. Il 5 ottobre 1980, al culmine del controllo piduista della Rizzoli e del »Corriere viene lanciata l'intervista prefabbricata e confezionata di Costanzo a Gelli, ripresa anche dalla »Domenica del Corriere . Gli altri intervistati della stessa serie, »Il fascino discreto del potere nascosto , sono Arcangelo Lobianco, presidente della Coldiretti (14 ottobre), Onelio Prandini, presidente della Lega delle Cooperative (8 ottobre) e Ugo Zilletti (P2), vicepresidente del Consiglio superiore d
ella Magistratura (3 ottobre). Il 14 dicembre 1980 prende il via »Contatto , il telegiornale nazionale di Costanzo, che avrà una breve ed effimera vita.
Secondo Di Bella, attenzione ai »partiti dell'arco costituzionale , cioè alla partitocrazia, con i poli DC e PCI
L'influenza della P2 si esercita lungo quattro direttrici: gli interessi dei vertici della Loggia; il sostegno agli uomini della P2 in diversi settori dello Stato, della pubblica amministrazione e di altri enti; i favori e l'attenzione per i politici »amici , iscritti o non alla Loggia; e le manovre a favore dei giornalisti più fidati. Per valutare quale sia stata la linea del »Corriere lungo un quadriennio occorre seguirne le grandi scelte di politica giornalistica giacché si intrecciavano con gli interessi del mondo piduistico anche la tradizione del passato, la continuità dell'immagine e gli orientamenti derivanti dai rapporti fra direzione, proprietà e mondo politico.
Il »Corriere di Piero Ottone era stato il quotidiano che aveva espresso la spinta di liberazione della società italiana dalla cristallizzazione e dagli immobilismi dei vecchi equilibri. Su di esso avevano reagito, in una combinazione molto spesso felice, la cultura liberal del direttore e gli spostamenti massicci dell'opinione pubblica di quegli anni, misurati clamorosamente dal referendum del 1974 nonché successivamente registrati dall'avanzata del PCI nel 1975 e nel 1976. Era stato sì il giornale che aveva contribuito a determinare il successo della parte moderna del paese sul divorzio e che aveva guardato con attenzione l'evoluzione democratica del PCI ma che aveva mantenuto anche una notevole dose di autonomia dal potere politico e partitico, come dimostra la collaborazione di Pier Paolo Pasolini, così eterodossa ed iconoclasta rispetto al »Palazzo .
Con la direzione di Franco Di Bella che ha alle spalle una Rizzoli piduistizzata, le cose cambiano radicalmente. Non perché il giornale perda una sostanziale attenzione al PCI e, più in generale, al rapporto fra i due maggiori partiti DC e PCI che va saldandosi nel compromesso storico, ma in quanto tutto ciò che riguardava un'ottica di politica e società si trasforma in un rapporto fra politica e potere. Il compromesso con il potere diviene la linea portante della gestione Di Bella. E ciò corrisponde alla filosofia di fondo della P2: presentarsi formalmente come un sostegno ad operazioni moderate o reazionarie ma sostanzialmente perseguire il compromesso con il potere, da chiunque sia rappresentato.
Tale atteggiamento è già presente nella dichiarazione di insediamento del nuovo direttore, designato congiuntamente da Gelli e dai partiti. »Dichiariamo la più totale fedeltà alla Costituzione repubblicana scrive Di Bella il 30 ottobre 1977 e al patrimonio morale che si ispira ai valori della resistenza e della democrazia parlamentare... particolare cura all'azione dei partiti dell'arco costituzionale e ai loro travagli, con onestà e rispetto, senza pregiudizi ma senza ambigui conformismi... . Già in questo concetto è contenuto il leit motiv della nuova linea: il punto di riferimento è la mitologia dei partiti dell'»arco costituzionale , un concetto tanto ampio, generico e generalizzato da essere assolutamente vago. O, meglio, da rappresentare un ossequio al potere partitocratico nella misura delle diverse forze che lo compongono.
Nello scenario (1979 1981) preparato come documento interno della Rizzoli nell'estate del 1978 il riferimento al sistema partitocratico è esplicito. I due partiti maggiori continueranno ad essere gli elementi portanti del sistema e quindi il riferimento del giornale. »Il polo maggiore rimarrà la Democrazia cristiana: da sempre forte, occupando quella posizione di centro moderato che ha una sua eccezionale e anomala continuità in un paese come il nostro che non ha mai avuto una rivoluzione religiosa o borghese... Il secondo polo continuerà ad essere il Partito comunista, sempre caratterizzato da una solida organizzazione ramificata e da una robusta e articolata presenza sociale... .
Di Bella è un »tecnico consapevole che l'editore vuole, in un primo momento, una direzione più spostata verso il settore moderato rispetto a quella di Ottone, mentre l'obiettivo più generale è il sostegno alla politica di solidarietà nazionale di Andreotti. Come nella tradizione che vuole gli uomini di destra gestire le politiche con la sinistra per renderle gattopardescamente vane, è Andreotti a tessere il rapporto con il PCI e dev'essere Di Bella a continuare, rettificandola, la gestione dell 'appoggio del »Corriere all'unità nazionale . E' una tattica sperimentata quella per cui politiche di apertura possono essere realizzate solo da chi vi si dovrebbe opporre. E la sostanza del mutamento nella direzione del »Corriere emerge in alcuni dei momenti cruciali che il quotidiano affronta in quegli anni: caso Moro, ENI Petromin, caso D'Urso.
Caso Moro: »E' morto perché questa Repubblica viva
Il primo momento della verità è il caso Moro, intervenuto meno di sei mesi dopo l'insediamento di Di Bella. Il mondo giornalistico si lacera sulle posizioni da assumere in quei tragici giorni, dal rapimento di Aldo Moro il 16 marzo al suo assassinio il 9 maggio 1978.
Non vogliamo entrare nel merito del »caso : interessa qui cogliere le linee di fondo dell'atteggiamento del »Corriere e della sua direzione. Il 18 marzo il »Corriere spara un titolo in prima pagina: "Caccia casa per casa alla prigione di Moro - Andreotti studia con i capi partito un piano contro le BR. Si parla di trattative segrete, ma il Viminale smentisce". Il tono è quello del sostegno alla efficienza dello Stato che non c'era affatto e di appoggio incondizionato al governo e alla linea scelta dal PCI di Pecchioli e dalla DC di Andreotti. Nessun dubbio nutre il »Corriere sulle istituzioni parlamentari che sono state messe in mora a favore delle trattative e dei conciliaboli tra i partiti; anzi sono proprio questi ad essere esaltati. L'informazione giornalistica appoggia quel potere reale e sostitutivo dei partiti e dei loro vertici che ha esautorato i meccanismi e le procedure democratiche a cui pure ripetutamente l'onorevole Moro in prigionia si appella. Il potere partitocratico è il punto di rif
erimento di Di Bella a scapito della legalità democratica. Quando poi si tratta di scegliere fra una linea d'informazione che avrebbe facilitato il dialogo per la salvezza e una linea di chiusura, Di Bella non ha esitazioni. Quel giornale e quel direttore, che pure avevano tante volte amplificato i truculenti messaggi delle BR riproducendoli con gran rilievo, questa volta imboccano la strada della cosiddetta »fermezza . Il 21 marzo il fondo del giornale in occasione del primo comunicato dei brigatisti è intitolato "Brigate Rosse e mass media Un caso di coscienza" e così recita: »L'immagine di un uomo che i suoi rapitori si ripromettono di martirizzare in una di quelle tragiche farse cui danno il nome di processi; e ciò per far durare più a lungo la sfida alla democrazia italiana e all'onore di questa Repubblica. Ma per far questo hanno bisogno che giornali e Tv si trasformino in casse di risonanza dei loro farneticanti messaggi. Questo è, purtroppo, accaduto .
Moro comincia quindi ad inviare delle lettere che propongono l'intelligente e umanissimo tentativo di tenere aperto il dialogo fra sé e la classe politica e quindi anche di guadagnare tempo con i suoi carcerieri. Il »Corriere è in prima fila nell'opera di denigrazione e di stravolgimento della verità di Moro e su Moro, descrivendolo come un uomo che ha la capacità di intendere e di volere uno strumento impazzito nelle mani di burattinai e, in definitiva, come un uomo non più padrone di se stesso. Il 30 marzo titola a caratteri cubitali "Le Brigate Rosse hanno costretto Moro a proporre con una lettera uno scambio"; e, sotto il fondo, »Ma la Repubblica non sarà mai loro prigioniera ; a cui fa seguito un commento: »Chi ha scritto questa lettera? L'ha scritta Aldo Moro... o l'ha scritta un uomo che ha lo stesso nome e lo stesso volto, ancora Aldo Moro, ma ridotto all'impotenza da una crudele prigionia, isolato, forse stordito da droghe o altro nel suo stesso controllo psichico? La seconda ipotesi sembra la più
probabile; anzi autorizza la certezza . Il 31 marzo viene enunciata la linea del giornale: "La risposta della DC: non è possibile accettare il ricatto delle BR", e nella stessa pagina: "Rigido il PCI nel rifiuto di ogni trattativa". L' 11 aprile viene data voce all'opinione di Paolo Emilio Taviani destinatario di una lettera: "Ecco il testo dello scritto su Taviani Gli amici: un Moro irriconoscibile"; ed ancora il 25 aprile, dopo un'altra lettera a Zaccagnini: "Un condannato a morte che pare scrivere sotto dettatura".
Non passa giorno in cui l'organo rizzoliano non colga l'occasione di accreditare che le forze dell'ordine, i servizi segreti e gli apparati dello Stato stiano facendo il massimo possibile, falsando la realtà che è poi clamorosamente emersa. Negli ultimi giorni di prigionia, allorché più intense si fanno le iniziative per trovare una via d'uscita, il »Corriere accentua la sua collocazione partigiana e il tono lapidario. Il 21 aprile: "Trattare o no: dopo l'infame ricatto il dilemma minaccia di spaccare il mondo politico; chiesto alla DC e al governo uno scambio di prigionieri"; sottotitolo: »La reazione dei comunisti: ogni cedimento non potrebbe essere tollerato dal popolo italiano Possibilista il PSI: primo dovere dello Stato è quello di salvaguardare la vita dei cittadini ; il concetto espresso nel fondo è: "La Repubblica non si baratta". Ancora qualche titolo del 27 aprile: "Un assurdo trattare con i brigatisti", del 7 maggio: "I poliziotti chiedono: niente mediazioni con le BR; una vedova di via Fani:
se li liberate mi do fuoco", e poi: "La DC è ferita, ma non cederà mai". Il 10 maggio, con un Moro assassinato, il fondo firmato da Di Bella, "E' morto perché questa Repubblica viva", è un vero programma.
Alla prova del fuoco di quelle settimane che hanno segnato una svolta radicale nel regime e con la stampa che vi ha contribuito in maniera determinante, la linea del »Corriere della Sera si è strettamente accorpata alla politica delle forze sostenitrici dell'unità nazionale di Andreotti e in particolare alle tesi del PCI. Del »partito della fermezza il »Corriere è divenuto l'avanguardia e il maggior pilastro. Di Bella lo rivendicherà a suo merito allorché si confessa il 22 maggio 1981 davanti ai giornalisti dopo lo scoppio dello scandalo P2: »Vi siete sentiti offesi quando, durante il "caso Moro", ci siamo eretti a difensori della fermezza, facendo una scelta difficile che ci ha lacerato le coscienze e ci ha provocato degli insulti... .
ENI Petromin: l'affare deve farsi ad ogni costo. Terrorismo per provocare la paura della mancanza di petrolio
Il secondo momento della verità interviene con il caso ENI Petromin. Il sostegno del »Corriere all'affare è decisissimo. Il 17 maggio 1979 in prima pagina a quattro colonne compare il titolo: "Arabia e Italia: un accordo in vista per il petrolio senza le sette sorelle". Si parla dell'incontro fra Andreotti e il principe saudita Fahd esaltando le possibilità di un negoziato diretto fra i due paesi; il 7 giugno si mette in risalto la grande convenienza del contratto: "Dall'Arabia avremo più petrolio Nessun aumento per la benzina". Qualche mese dopo diviene noto negli ambienti politici e giornalistici che l'affaire è controverso e costituisce anche un terreno sdrucciolevole per governi e partiti. »Il Mondo rizzoliano vorrebbe anticipare lo scandalo con un servizio da pubblicare il 19 ottobre intitolato "Odore di tangenti I ministri degli Esteri, e delle PP.SS., e la presidenza del Consiglio indagano sulla fornitura di petrolio che l'ENI ha ottenuto in Italia. Sta per scoppiare un nuovo scandalo?", articol
o che viene bloccato da un intervento di Andreotti su Rizzoli per evitare che sia stampato. Il »Corriere getta acqua sul fuoco e accredita la liceità delle tangenti; il 27 ottobre titola "Petrolio saudita: »Autorizzata la tangente ENI "; l'8 novembre viene lanciata la tesi che l'eventuale blocco dell'affare danneggerebbe grandemente la credibilità internazionale dell'Italia: »Occorre evitare che polemiche di incerta origine possano nuocere alla credibilità internazionale del paese, col rischio di pregiudicare la copertura del fabbisogno energetico .
Mentre cominciano a emergere i retroscena della vicenda in seguito all'intervento della magistratura e del Parlamento, la funzione del »Corriere è quella di difendere ad oltranza l'affare e i suoi protagonisti come accade quando il 28 novembre vien dato grande spazio alla smentita di Umberto Ortolani: »Sarebbe auspicabile che a questa prima smentita seguano anche quelle degli altri personaggi chiamati in causa. Questa prima smentita, comunque, può essere forse l'inizio di un procedimento atto a far luce sull'effettiva consistenza della vicenda, la cui origine appare sempre più ambigua. Reportages e articoli giornalistici fondati su documenti anonimi non possono e non devono essere considerati fonti documentarie... Una pericolosa insidia alla credibilità del paese sui mercati esteri dell'energia .
All'inizio di dicembre dalle pagine del quotidiano si agita lo spettro minaccioso della mancanza di petrolio: "Da domani iniziano i blackout: dovremo cominciare a vivere per novanta minuti senza luce, senza ascensore, senza frigorifero, senza stufetta elettrica (2 dicembre) e "Blackout da irresponsabilità di una classe politica" (6 dicembre); fino a giungere, il 7 dicembre, a chiedere le dimissioni del ministro Siro Lombardini, con uno stile assolutamente inedito per un giornale come il »Corriere : "Le dimissioni unica via di salvezza per il ministro per le Partecipazioni" e ancora l'8 dicembre: "Ma l'impeachment è uguale per tutti?", e "Rilevata l'ingiustizia della punizione per il tecnico (Mazzanti) e non per i politici (Lombardini ma anche Bisaglia)".
Con una impressionante progressione il »Corriere abbandona qualsiasi funzione informativa e agisce come soggetto attivo di un potere, sempre meno occulto, il quale effettua pressioni, lancia avvertimenti, mette in atto ricatti. Il 10 gennaio in prima pagina "Per le tangenti ENI Formica attacca Stammati ed Andreotti" in cui si riportano dichiarazioni del senatore Rino Formica con riferimento al gruppo Rizzoli, al gruppo Monti e al »Messaggero che dovevano essere sistemati con l'operazione ENI Petromin, subito corrette dai contrattacchi di Stammati e La Malfa. L'11 gennaio appare un corsivo Ai lettori non firmato in cui il gruppo Rizzoli scende direttamente in campo: »Sconcerta davvero che a personaggi simili (Formica) sia stata affidata la gestione amministrativa di un grande partito: è su tale gestione che si dovrebbe fare chiarezza di fronte a rilevanti esposizioni bancarie e a oneri finanziari superiori per ammontare a tutti i contributi previsti dalla legge dello Stato . E' l'avvertimento mafioso di Gel
li, Ortolani e Calvi nei confronti dei finanziamenti erogati dall'Ambrosiano al PSI. Ed ancora, il 12 gennaio, in prima pagina "Dura smentita di Andreotti: Formica ha detto il falso" in cui si riportano le smentite di Andreotti, Stammati, Battista, Davoli, tutti iscritti alla P2, naturalmente con l'eccezione dell'ex presidente del Consiglio.
L'atteggiamento del »Corriere sul caso D'Urso
Il terzo e ancor più importante rivelatore della politica del »Corriere è il caso D'Urso tra la fine del 1980 e l'inizio del 1981. I circoli politici ed economici sono percorsi da diffuse spinte a governi »diversi e »di tecnici come reazione alle disastrose condizioni economico finanziarie, al terrorismo, alla montante rivolta contro la corruzione e alla serie di scandali che hanno investito partiti e istituzioni. La P2 è al massimo della sua attività e baldanza come testimonia l'intervista del »Corriere a Gelli del 5 ottobre, una clamorosissima proclamazione pubblica degli intenti del maestro venerabile. In questo quadro si colloca il 12 dicembre il sequestro da parte delle Brigate Rosse del magistrato Giovanni D'Urso e lo scontro politico che su di esso si sviluppa, riproponendo alla pubblica opinione e al ceto politico tutte le drammatiche scelte del caso Moro.
L'atteggiamento del »Corriere , con un ulteriore salto di qualità rispetto al caso Moro, non rappresenta tanto la scelta di una linea giornalistica sull'informazione quanto la dimostrazione che il giornale è ispirato e diretto da un potere occulto, la P2, che intende determinare fatti come presupposto di operazioni politiche. La politica informativa della Rizzoli P2 coincide tout court con la ricerca di soluzioni autoritarie coinvolgenti anche le componenti di sinistra del »fronte della fermezza .
Il conflitto in atto era fra chi, da una parte, intendeva far di tutto per salvare la vita del magistrato, usando al massimo le risorse del dialogo e dell'informazione, e chi, dall'altra, dietro lo schermo della »fermezza rifiutava di utilizzare qualsiasi spiraglio per impedire che si arrivasse allo stesso tragico esito del caso Moro. L'atteggiamento della stampa risultava determinante per una scelta politica di qualsiasi tipo dal momento che il più importante strumento in gioco era proprio l'informazione sulle vicende che si svolgevano intorno al »caso .
Il 6 gennaio, nel bel mezzo dello scontro, il »Corriere pubblica in prima pagina una nota: »La Direzione del "Corriere della Sera", d'intesa con la Direzione generale del gruppo editoriale e informato il Comitato di redazione, ha deciso oggi il completo silenzio stampa sulle richieste dei terroristi rapitori del giudice D'Urso... Siamo convinti che il silenzio stampa è l'unica strada per tentare di sottrarre il giudice sequestrato alla tortura di un baratto che non avrebbe mai fine. Così come sanno rifiutarsi nella denuncia della corruzione, degli scandali e dei colpevoli ritardi nei soccorsi per il terremoto alle pressioni di un potere costituito che vorrebbe le cronache a sua immagine e somiglianza, la Direzione del "Corriere della Sera" e la Direzione generale del gruppo editoriale rifiutano oggi, con la stessa coerenza, gli ordini di chi vuol diventare padrone della stampa sulla pelle dei sequestrati, per seppellire la Repubblica e la libertà .
Per la prima volta, fatto inedito, l'ordine perentorio per le decisioni giornalistiche viene direttamente non tanto dal direttore Di Bella quanto dal direttore generale del gruppo Tassan Din; e non si tratta tanto della scelta di non pubblicare i comunicati delle BR, comune a »la Repubblica e a »l'Unità , quanto dell'imposizione del »silenzio stampa contro il quale protesta perfino il comitato di redazione, a direzione dei sindacalisti comunisti. Di Bella arriva a ritirare l'inviato che era già partito per resocontare le notizie dal carcere di Trani, provocando un'ulteriore ribellione dei giornalisti: »noi [comitato di redazione] dovevamo chiedere, con un intervento ufficiale, la pubblicazione di queste notizie perché sarebbe stato un atto di grave censura e molto pericoloso per le istituzioni e la libertà di stampa... . Il comunicato della redazione, pur orientato a maggioranza nel senso del »fronte della fermezza commenta a posteriori: »noi abbiamo condotto una doppia battaglia, una per rivendicare il d
iritto di non subire il ricatto delle BR e una seconda contro l'azienda e il direttore o comunque contro, secondo noi, la P2 che cercava di instaurare in quel momento la censura sulle notizie .
Ma la P2 non si interessava tanto alla censura quanto cercava di provocare attraverso il cadavere di D'Urso l'occasione scatenante per determinare una svolta autoritaria in una qualche combinazione con coloro che erano attestati sul »fronte della fermezza . La verità sugli obiettivi del pesante gioco effettuato in presa diretta dagli uomini della P2 la si ha con il fondo dettato da Costanzo, per »L'Occhio del 5 gennaio: »Siamo in guerra: tanto vale prenderne atto e agire di conseguenza. Il codice di guerra va rimesso in vigore... Rendiamoci conto che abbiamo il nemico in casa; è perciò necessario rinunciare temporaneamente ad alcune garanzie costituzionali per snidarlo e neutralizzarlo. E' un prezzo altissimo, addirittura mostruoso, ma va pagato . L'articolo, già in bozza, viene modificato in tipografia da un giornalista del comitato di redazione »dopo una breve e concitata consultazione con Costanzo .
Ecco la rivelazione del vero programma della P2 che si innesta e reagisce con quello del »fronte della fermezza per il quale si doveva esser pronti a utilizzare il terrorismo per l'emergenza e le relative svolte autoritarie, in termini di leggi eccezionali, di sospensione delle garanzie costituzionali e magari di nuove combinazioni governative. Ecco l'uso ormai senza più veli dei giornali della Rizzoli per far politica in prima persona con i comunicati della »Direzione generale del gruppo editoriale e con la richiesta di pena di morte da parte dell'»Occhio ; ecco l'intervento pesante sui non allineati come con il tentativo di sospendere la pubblicazione del »Lavoro dove il direttore Giuliano Zincone, avendo assunto un atteggiamento diverso, fu costretto a dare le dimissioni. Ecco l'espressione più genuina della P2 e del suo progetto politico in quella stagione.
* Tutti i dati a cui si riferisce questo capitolo sulla politica del »Corriere della Sera sono tratti dalla documentazione preparata dal Comitato di redazione e dal Consiglio di fabbrica del »Corriere e inviata alla Commissione P2. Pubblicata, per stralci, in All. (T.), vol. III, tomo XIV, pp. 183 262.