di Olivier DupuisSOMMARIO: La dichiarazione resa da Olivier Dupuis, "affermatore di coscienza" belga davanti alla corte militare di Bruxelles. Afferma il suo diritto-dovere a partecipare alla difesa collettiva con mezzi diversi dalle armi.
(Notizie Radicali n· 271 del 5 dicembre 1985)
Prima di tentare di spiegare le diverse ragioni che mi hanno condotto a compiere il gesto per il quale compaio avanti questa Corte, vorrei fare una premessa senza la quale il senso stesso del mio gesto non potrebbe, a mio avviso, essere compreso.
Ho concepito il mio gesto non come una sfida alla giustizia, quella militare in particolare, né come una sfida alle forze armate belghe, ma come un tentativo reale di dialogo, fondato, per quel che mi riguarda, su una sincera volontà di pervenirvi. Tentativo di dialogo rivolto alle nostre istituzioni politiche, e in primis al Parlamento europeo e ai Parlamenti dei diversi Stati membri della Comunità, rivolto poi alla commissione della Comunità europea e ai governi degli Stati membri; ma anche rivolto al terzo potere, nella sua qualità di guardiano delle leggi e spesso anche di creatore del diritto.
Il mio è, voglio ricordarlo, un gesto »europeo : io affermo che la sola esistenza di condizioni drammatiche di »obiezione di coscienza in paesi come la Grecia, ma anche la Spagna e il Portogallo, costituisce già una ragione sufficiente per rifiutare di sanzionare ancora il vuoto giuridico che circonda la questione al livello europeo, soprattutto di fronte alla risoluzione Macciocchi, votata da una maggioranza schiacciante del Parlamento europeo nel 1983, che richiedeva un'immediata armonizzazione delle legislazioni nazionali sulla base di alcuni principi fondamentali.
Io sono convinto che la pace possa essere garantita meglio dal diritto che attraverso la forza. Questo potrebbe sembrare quasi un assioma, se la storia non ci avesse insegnato il prezzo crescente -una crescita peraltro esponenziale- che si paga per stabilire, o ristabilire, la pace con le armi, con la forza.
Il diritto civile alla difesa
Il punto di partenza del mio itinerario è dunque la mia volontà di partecipare a questa difesa fondata sul diritto, sulla difesa e la promozione del diritto per assicurare la pace e la difesa di tutti. In questa prospettiva, e stante l'organizzazione attuale della difesa, in Europa e in Belgio, una difesa fondata esclusivamente sul ricorso alla forza e/o sulla minaccia del ricorso all'uso della forza, il mio primo impegno è stato quello di rifiutare l'esclusione della difesa.
Se adottiamo un ordine cronologico, all'inizio sono stato portato a rifiutare il servizio civile e quindi lo statuto degli obiettori di coscienza. Questo soprattutto perché il servizio civile non costituisce un mezzo per partecipare alla difesa della società, ma è fondato sulla necessità di »occupare , di »inquadrare coloro che »pretendono un non ricorso alla forza e alla violenza, e che pure devono svolgere un servizio finché esiste il servizio nazionale obbligatorio. E' dunque attraverso il rifiuto di una discriminazione »positiva , quella cioè di esonerare dal servizio quelli che non si riconoscessero nella difesa armata, che è stato concepito il servizio civile. Questa interpretazione corrobora la giustezza del termine di servizio »sostitutivo applicato da lungo tempo al servizio civile. E nello stesso tempo spiega il perché del termine »obiezione di coscienza . Si obietta a qualche cosa, ciò che è molto differente da una »affermazione , come espressione di una libera scelta. E' incontestabile che il
servizio civile non è mai stato concepito come un mezzo differente, alternativo, di partecipare alla difesa; anzi, i compiti, le funzioni assunte da coloro che prestano servizio civile sono considerate dai più come funzioni che sono o dovrebbero essere »normalmente assunte dallo Stato.
Il servizio civile privilegio di classe
Se dunque la prima ragione del mio rifiuto è nella discriminazione di merito (i militari partecipano a pieno titolo alla difesa, gli obiettori a un surrogato di difesa), la seconda ragione è nella discriminazione formale. Questa discriminazione »negativa si manifesta in particolare nella durata dei tempi del servizio civile (spesso il doppio del servizio militare), nell'esistenza di una commissione »d'inquisizione che giudica la coscienza dei pretendenti al »titolo di obiettore (gli alti valori morali ed ideali necessari per beneficiare dello statuto di obiettore non sono richiesti invece per essere »militari ) e, ancora, nelle condizioni ineguali di pubblicità.
Queste condizioni di svolgimento del servizio civile, e di ottenimento dello statuto di obiettore, fanno oggi del servizio civile un privilegio di classe. E' un segreto di Pulcinella che gli obiettori di coscienza si »reclutano in maggioranza tra gli strati di persone con un istruzione media o superiore, giacchè essi godono del doppio vantaggio di questa istruzione: accesso facilitato all'informazione ed età più avanzata (gli studi permettono il rinvio). Tutto questo permette loro una riflessione impedita ai loro compagni di leva che non continuano gli studi, in mancanza dei rinvii necessari.
Sempre proseguendo l'ordine cronologico, non avendo richiesto lo statuto, sono stato convocato al Centro di reclutamento. Dopo essere stato riconosciuto idoneo, ho avuto l'opportunità di approfittare, in quanto membro di una famiglia numerosa (sei figli di cui tre maschi) dell'esonero. Ho rifiutato, notificando questa decisione all'ente preposto.
Appartenente dunque alle forza armate, sono stato chiamato alle armi il 15 febbraio scorso. Non ho raggiunto il mio battaglione: ho invece lasciato il Belgio per preparare, negli altri paesi d'Europa, questa campagna per l'affermazione di coscienza. Conformemente alle leggi, sono stato dichiarato disertore.
Solo le armi per la sicurezza
Se, dopo aver rifiutato sia lo statuto di obiettore sia l'esonero, ho ugualmente rifiutato il servizio militare, è perché credo che una difesa basata sul diritto sia l'unico mezzo per superare l'altra sola difesa coerente inventata dagli uomini fino a questo momento, cioè la difesa militare. Dico coerente, perché sono obbligato a constatare che, di fronte alle minacce oggettive costituite dall'accumulazione di armamenti da parte di un paese terzo, una risposta negli stessi termini ha costituito spesso la sola risposta atta a preservare la sicurezza.
Ho detto »ha costituito perché, da una parte, mi sembra relativamente poco interessante sapere se il passato avrebbe potuto essere diverso, e d'altra parte perché le condizioni dell'informazione, e dunque del controllo, così come le regole del diritto internazionale, sono, almeno al livello del loro stesso sviluppo, caratteristiche proprie della società.
Infine perché la storia recente, e soprattutto la seconda guerra mondiale, ha largamente dimostrato che i nuovi sistemi d'arma e di comunicazione hanno di fatto rovesciato tutte le regole della guerra e hanno eliminato ogni possibilità di distinzione tra popolazione civile e popolazione combattente, quando non anche quella tra paesi belligeranti e non-belligeranti.
Se esistono dunque quelle ragioni di »necessità , largamente invocata dai cosiddetti pacifisti, esistono anche ragioni di »efficacia che dovrebbero interessarci per prime, nel senso che senza questo elemento nessuna strategia di difesa è sostenibile, nemmeno quella militare. La linea Maginot è qui per ricordarcelo.
La giustizia la disobbedienza
I gesti che mi hanno condotto quest'oggi davanti a voi sono gesti di obiezione di coscienza, di disobbedienza civile. Obietto allo statuto di obiettore nella sua forma come nella sua essenza. nella forma perché è discriminatorio: nel merito perché istituzionalizzare, legalizzare gesti di obiezione, di obiezione »individuale , mi sembra un controsenso in democrazia. O lo Stato riconosce le ragioni di una messa in atto di una difesa civile come elemento del sistema di difesa (sia che ne costituisca la globalità, sia che coesista con un sistema di difesa militare), o non riconosce queste ragioni e continua allora a lasciar condannare coloro che disobbediscono, senza cambiare le leggi.
Il ruolo della giustizia, il vostro ruolo, signori giudici, mi sembra dunque estremamente importante, perché, qualunque sia il verdetto, le motivazione che ne darete costituiranno un modo di »dire il diritto , così come un interrogazione diretta degli organi legislativi, affinché essi modifichino, se è del caso, il quadro legale dell'organizzazione della difesa.
Io obietto al servizio militare, e cioè alla difesa quale è concepita e organizzata oggi, perché essa è potenzialmente fonte di morte, ma soprattutto perché, attraverso le risorse umane, finanziarie e tecniche che essa assorbe, partecipa allo sviamento delle risorse indispensabili alla risoluzione delle guerre in atto, la guerra alimentare innanzitutto, e quelle guerre che, in forza di uno stato d'assedio permanente, potremmo chiamare guerre »istituzionalizzate : quelle guerre che privano centinaia di milioni di esseri umani dei loro diritti fondamentali, dei diritti civili, politici e sindacali. E penso dunque all'Unione Sovietica, ai paesi del Patto di Varsavia in generale.
Tutto il problema è: quale difesa?
Credo che quando si parla della difesa della »patria , nella sua accezione non sciovinista o di bottega, si pensa non solo alla difesa di un territorio, ma anche alla difesa dei valori, di un sistema di valori, di una storia, di tradizioni, di linguaggi, tutto questo organizzato in un sistema politico, il solo che consente ad ogni individuo di tentare di vivere, di realizzarsi. Questo sistema è la democrazia.
Si parla di democrazia, si parla del diritto cioè degli individui contro i diritti o la ragion di Stato; questo è il fondamento di altri sistemi, quelli totalitari dai quali giustamente ci difendiamo.
300 milioni di oppressi
Diritti degli individui, diritti umani fondamentali, patrimonio delle grandi rivoluzioni borghesi, la rivoluzione americana e quella francese, patrimonio incessantemente minacciato ma anche poco a poco arricchitosi, nel corso dei passati due secoli, con successive riforme politiche e sociali. Diritti umani fondamentali: in primo luogo diritto alla vita, diritto al nutrimento e alla salute. Diritti umani fondamentali e quindi diritti alla libertà di pensiero, di espressione, di associazione, di circolazione...
Chi è il »nemico se non colui che rimette o può rimettere in discussione all'interno come all'esterno del proprio territorio, della propria »patria , questi principi, questi diritti?
Non sono i missili sovietici che li minacciano, ma il sistema sovietico stesso.
Ad un sistema americano dove esistono e funzionano meccanismi di contropotere, di controllo, ad un sistema dove ha potuto svilupparsi e vincere il movimento contro la guerra in Vietnam, ad un sistema che può generare le cose più demenziali e le più belle, giustamente perché è un sistema democratico, corrisponde un sistema sovietico senza contropoteri e senza controllo, senza opposizioni tollerate a qualunque livello, un sistema che ha prodotto l'invasione dell'Afghanistan, e prima ancora, dal 1921, quella dell'Ucraina, per proseguire con la Georgia, la Lituania, la Lettonia, l'Estonia, e poi ancora la Polonia, l'Ungheria, la Cecoslovacchia, la Bulgaria, la Germania dell'Est: passando per la Mongolia e l'Armenia, e forse ce ne dimentichiamo qualcuna. Un sistema che genera demenzialità perché è demenziale per sua stessa essenza.
Un sistema fondato sull'oppressione quotidiana dei 300 milioni di persone, un sistema dove la ragion di Stato, i »diritti inalienabili della classe operaia prevalgono sistematicamente sui diritti del cittadino. Un sistema fondato sulle purghe interne, sulle deportazioni, la schiavitù, lo sterminio di milioni di persone.
Ma oggi, di fronte al sorriso di Gorbaciov, parlare di queste cose significa essere tacciati di antisovietismo. Bene, allora, a rischio di urtare la sensibilità di qualcuno, in buona o in cattiva fede, io dico »sì, sono antisovietico . E peraltro, questo stesso Gorbaciov non rispetta forse i principi di non ingerenza? Certo, c'è l'Afghanistan; certo, è un po'' rude, ma lui, come hanno fatto i suoi predecessori, non si garantisce che la coesistenza pacifica.
Teheran e Yalta valgono bene Helsinki, le negoziazioni di Ginevra le assemblee dell'Onu, gli arrangiamenti a quattr'occhi valgono tutti i testi di diritto del mondo e Kabul non vale una messa tra supergrandi. Non oggi più di ieri, quando il diavolo nero e il diavolo rosso patteggiavano per concordare i reciproci appetiti. I francesi e gli inglesi allora si guardavano bene dal mostrare i denti, nell'illusione di ritardare di qualche settimana o di qualche mese la guerra che ritenevano, in tutto e per tutto, ineluttabile.
Oggi la non-ingerenza non è più un'idea vaga, è un principio solidamente stabilito con i suoi riti e i suoi rituali, i suoi summit e le sue riunioni preparatorie.
Certo, qualche volta è penoso rimanere seduti e muti, a un tavolo con simili truffatori. Allora Mitterand reclama Sacharov, Reagan brandisce le minacce economiche, s'immischia nel dominio »riservato dello sport. Gesti che non salvano niente, che non cambiano niente, se non darci un po'' di più il sapore della nostra impotenza.
Oggi, non meno che negli anni 30, il problema non può essere di arzigogolare sugli abusi di questo sistema mostruoso. Non più che negli anni 30, il problema non è quello di massacrare ogni giorno migliaia di ebrei, ma quello di tollerare che a qualche centinaia di chilometri da noi esista un sistema che permette che anche un solo ebreo sia ucciso.
Ma contro questa guerra d'oggi, non esiste la minima idea di una strategia di difesa. Le sue vittime continuano ad essere immolate sugli altari di una sempre più ipotetica pace futura.
Io sogno che si insegni il russo
Abbiamo dimenticato Norimberga, abbiamo dimenticato la condanna della non-ingerenza individuale, la responsabilità anche per omissione, la non sottomissione dell'individuo a ordini contrari alla coscienza.
Abbiamo dimenticato l'alleanza tedesco-sovietica, abbiamo dimenticato gli stermini staliniani di un regime che peraltro non è cambiato, che continua ogni giorno a spedire milioni di individui nei gulag. Abbiamo dimenticato Helsinki, che i sovietici hanno peraltro liberamente approvato.
Nulla di paradossale allora nella nostra politica di difesa. Essa è veramente intransigente, ferma; missili e sottomarini nucleari, carri armati contro carri armati, Nato contro Patto di Varsavia, le eterne negoziazioni di Ginevra dove si programmano le riduzioni dei sistemi di arma giudicati obsoleti.
E, nello stesso tempo, il grande commercio continua e si intensifica. Tutto si cambia e tutto si vende, non dispiaccia alle vittime. La tecnologia militare e quella nucleare...
L'Italia arma Gheddafi e si prepara a difendersi contro di lui. »Business is business . Il Belgio vende condotte per il gasdotto transiberiano, costruito dagli schiavi di un regime che dopotutto, in affari, è abbastanza corretto. E poi, in certi casi, il lavoro a qualunque prezzo.
Qualche mese fa, la Francia vendeva all'Urss 150.000 tonnellate di grano grazie al concorso del milionario rosso, Doumang; ogni anno, è istituzionalizzato, gli Stati Uniti vendono decine di milioni di tonnellate di grano all'Urss, la Cee fa lo stesso con milioni di tonnellate di burro spesso a prezzi inferiori della metà rispetto al loro prezzo reale. Neanche il Terzo mondo riceve simili regali. Ma la politica agricola comunitaria viene prima di tutto.
Gli ambienti liberali europei dell'inizio del secolo urlavano contro le esazioni degli zar, contro il loro regime repressivo che pure non reggerebbe il confronto con quello sovietico di oggi. E non parliamo di Stalin. Si urlava meno, all'epoca, contro il famoso indebitamento russo. Solo Juarés aveva capito che portava alla guerra. Oggi nulla è cambiato, i debiti del blocco orientale portano e continueranno a portare con sé la guerra. Nulla è cambiato se non la sorte di alcuni, lontani, ben lontani da noi, in Afghanistan...
E io sogno che si insegni il russo nelle nostre scuole.
Abbiamo dimenticato Norimberga
Contro un tale nemico, e non solo contro una simile minaccia, quali armi possiamo opporre se non quelle della coerenza, che possiamo fare se non mettere in opera una politica di aggressione democratica, con una politica di aggressione nonviolenta, per restituire l'Est alla democrazia e sopprimere con ciò il principale fondamento della minaccia e dello stato di guerra, per non ripetere gli errori di ieri, per accordare infine i violini dei fini e dei mezzi.
Politica per l'informazione, organizzata e messa in opera dagli Stati (e non da radio libere), o meglio dall'unione degli Stati, perché si tratta, si tratterà di un'arma del nostro sistema di difesa, comune alle nostre democrazie.
Informare, cosa è altro se non far sapere ai russi, ai polacchi, a tutti i popoli dell'Est, che non ci sottomettiamo a tutto questo che ci viene presentato come ineluttabile. Informarli per convincerli e per convincerci che un futuro differente è possibile per noi e per loro, come avrebbe potuto essere possibile per i tedeschi degli anni trenta, se glielo avessimo fatto sapere.
Ritrovare la forza della parola, dell'informazione. Ritrovare la forza della »Voce della Francia libera , di »Radio Londra , del »Falsosera , dei volantini che i nazisti temevano ben più che gli attentati.
Inventare, creare politiche di boicottaggio, esigere il rispetto degli accordi liberamente sottoscritti, esigere di controllare.
E' in qualche misura ciò che siamo condannati a fare se non vogliamo sempre più rinforzare l'alleanza ogni giorno più obiettiva, ogni giorno più mostruosa tra l'Est e l'Ovest, del Nord contro il Sud, al prezzo della perpetuazione della guerra per fame, dello sterminio per malnutrizione e per sottosviluppo che fa ogni anno più di trenta milioni di morti. In nome del diritto all'autodeterminazione dei popoli -che non è una riformulazione del principio di non-ingerenza, adattato ai paesi del Terzo mondo, eredità la più ipocrita della decolonizzazione perché consacra e perpetua l'impossibilità a disporre di se medesimi- in nome di questo diritto i nostri Stati ricchi violano ogni giorno il diritto fondamentale, il diritto alla vita, perpetuano i conflitti locali, detti nazionali, garantendo così sbocco e banco di prova alle loro industrie belliche, controllano il prezzo e l'approvvigionamento delle materie prime, assicurano la pace al Nord.
Ci si mantiene così nell'illusione che i diritti fondamentali sui quali si fondano le nostre democrazie non possano, non saprebbero, essere imposti da queste nazioni più giovani, senza tradizione di diritto. Si è anche inventata la specificità africane e quella musulmana, le tradizioni tribali o altro per tentare di dimostrare che la democrazia, nata in Occidente, non corrisponde a queste culture differenti, e dimentichiamo d'un colpo le nostre origini, la nostra storia, tribale, dispotica.
Beneficiamo dunque della coesistenza pacifica. Il sorriso di Hitler a Daladier e Chamberlain è stato rimpiazzato da quello di Gorbaciov a Reagan. Gli oppositori del regime di Hitler, gli ebrei, i polacchi hanno lasciato posto a centinaia di cittadini sovietici senza diritti, di africani e di asiatici, di sudamericani ogni anno sterminati.
Avremo ancora valori da difendere?
L'aereo di Gorbaciov aveva 15 minuti di ritardo, la signora era molto elegante, Reagan sembrava in forma. I giornalisti erano tutti lì, gli articoli sono stati esaurienti. Il summit non ha prodotto niente di nuovo. Ma torniamo in un clima di fiducia. Dieci cittadine sovietiche, mogli di americani, potranno emigrare. L'anno prossimo si farà qualche sforzo per alcune migliaia di ebrei. Il principio della libera circolazione degli uomini e delle idee non è dunque un principio vuoto.
Prima della guerra, non c'è guerra.
Ma ci sarà ancora qualcosa da difendere? Ci sarà qualcuno da difendere contro l'ipotetica aggressione per la quale gli Stati affilano le armi a colpi di migliaia di miliardi?
Ci sarà ancora qualcosa da difendere se la necessaria austerità resta il solo ideale della nostra società, se le sole risposte alle tragedie del Sahel, dell'Africa e dell'Asia in preda alla fame restano quelle dell'inazione degli Stati, dell'impotenza degli individui, se le immagini di Beirut in fiamme o dell'Africa del sud restano il solo mezzo per farci gustare il prezzo della pace, della nostra pace, se emarginiamo ogni giorno sempre più vecchi, sempre più disoccupati, stranieri, drogati, che hanno come unico orizzonte la disperazione, se lo, sport e la televisione sono ogni giorno sempre più violenza e sfollamento, se, se, se...
Se bisogna oggi fare la guerra alla guerra per fame, per il diritto e per il primo dei diritti, il diritto alla vita, se bisogna fare la guerra al totalitarismo, e a quello sovietico per primo, per evidenti ragioni strategiche e geopolitiche, guerra al non-diritto, guerra alla ragion di Stato contro il diritto dell'individuo, se bisogna fare la guerra alle guerre regionali che hanno accumulato 20 milioni di morti dal 1945, è soprattutto per preservare, per difendere i valori fondamentali sui quali riposare le nostre democrazie, e senza i quali esse sarebbero condannate a consumarsi e infine a scomparire.
La conquista quotidiana di un gesto europeo
Il termine di »difesa è peraltro inesatto, almeno incompleto. Come per certe strategie di difesa militare, anche in questo caso la miglior difesa è l'attacco, perché la difesa delle democrazie non deve essere limitata a respingere le aggressioni che ne minacciano i fondamenti, perché la democrazia non è una conquista definitiva, realizzata nel 1789 o nel 1848, o in un momento preciso della storia, la democrazia è conquista e riconquista quotidiana, riconquista dei diritti antichi, consumati talvolta dall'uso, conquista di diritti nuovi nati dalla necessità di organizzare la produzione del genio o della follia dell'uomo, creazione incessante sulla tela dei diritti fondamentali.
Questa campagna sull'affermazione di coscienza vuol dunque essere »annunciatrice di nuovi diritti, per iscriversi nel diritto positivo, per dare forza di legge al dovere di ingerenza nonviolenta, per il rispetto, dappertutto, del diritto alla vita, dei diritti umani fondamentali, anche se questo dovrà misurarsi con profonde revisioni di certe concezioni giuridiche, per creare meccanismi di sanzione contro le omissioni dei responsabili politici, contro ciò che si potrebbe definire »mancata assistenza dello Stato a persona in stato di pericolo ...
Questa campagna per l'affermazione di coscienza è enunciatrice di un nuovo perimetro del diritto. Contro l'Europa solo del burro e del latte, dei regolamenti e dei sistemi di compensazione e contro la nuova Europa multiforme della cooperazione industriale, per l'Europa fondata sull'abbandono delle sovranità... una direttiva europea per regolamentare l'organizzazione della partecipazione alla difesa, e, perché no, l'intera organizzazione della difesa civile. Un piccolo passo in questa direzione dell'Europa fondata sul diritto.
L'abbiamo fatto al Parlamento europeo, al Parlamento belga e italiano, dove risoluzioni e leggi sono state votate, e in genere con maggioranze schiaccianti. Risoluzioni e leggi che prevedano la realizzazione d'urgenza ai piani di intervento massicci, per attaccare simultaneamente, in zone determinate, i tassi di mortalità, per rimediare all'inefficacia strutturale della politica di cooperazione, largamente dimostrata da due decenni di cooperazione allo sviluppo.
Lo abbiamo fatto con personalità del mondo intero, con oltre 80 premi Nobel, con centinaia di vescovi, con migliaia di sindaci di tutta Europa, con decine di migliaia di cittadini d'Italia, in Francia, in Belgio, con le parole di Giovanni Paolo II, di Sandro Pertini, di Cheysson e di altri, con i rapporti Brandt e Carter, con i consigli e gli incoraggiamenti di organizzazioni internazionali e spesso, troppo spesso, con l'opposizione delle burocrazie europee e nazionali della cooperazione, Pisani in testa, contro i terzomondisti e tutti coloro che vogliono perpetuare il sacrificio di generazioni intere sull'altare di uno sviluppo futuro, sull'altare di uno sviluppo a lungo termine. E a medio termine, nei prossimi 25 o 30 anni, un miliardo di persone saranno state sacrificate, se nulla sarà fatto.
La spada di bronzo, la spada di ferro
E queste risoluzioni, queste leggi non sono state applicate. Il Re Baldovino, nel dicembre '83, davanti al consiglio della Fao e all'indomani del voto della »Loi Survie , vantava il nuovo approccio e l'importanza dei mezzi impegnati, parlando di 200 milioni di dollari, ma il governo belga in generale e il ministero della Cooperazione in particolare, si ostinano a non capire cosa sia l'urgenza. Su 10 miliardi di franchi belgi, nemmeno 300 milioni sono stati spesi e non 1 franco è stato speso nell'ottica di salvare delle vite. Nel frattempo il Sahel conosce una siccità senza precedenti.
Sul fronte dell'Est, abbiamo ugualmente tentato di resistere, d'inventare, di proporre, anche davanti all'accettazione del socialismo realizzato. E' stata una resistenza antica: già nel 1968 Marco Pannella e altri manifestavano contro l'invasione della Cecoslovacchia. Nell'82 in cinque capitali dell'Est manifestavamo per ricordare a questi paesi le loro responsabilità nell'olocausto per fame, per ricordare loro le Carte e le Convenzioni dei diritti dell'uomo che avevano approvato. In questa occasione, io stesso ho passato alcuni giorni in carcere a Praga con un compagno italiano e uno francese, e abbiamo ricevuto 5 anni di espulsione dalla Cecoslovacchia. Nell'83 altri compagni tornavano a manifestare a Praga. Nell'agosto '85 in 14 capitali del mondo, a Mosca, Praga, Varsavia, Ankara, manifestavamo ancora perché il giorno dell'anniversario di Hiroshima non fosse solo pretesto per la commemorazione ma occasione per ricordare le guerre in atto e il dovere dei nostri Stati di farsene carico. E a settembre abbia
mo distribuito volantini in 14 città yugoslave, »Per una Yugoslavia fondata sul diritto, sulla democrazia, sulla libertà, aderente alla Cee . Perché la Comunità europea renda ufficialmente nota la sua volontà di vederla un giorno aderente a pieno titolo a questa futura Unione europea. Noi respingiamo sia questo anticomunismo ipocrita sia il pacifismo fondato sulla paura, sull'equivoco »russi o americani, è la stessa cosa e questa strategia allo stesso tempo minimalista e irrealista, con il suo rifiuto dell'armamento nucleare »moderno , il suo sì a tutto quello che costa, alla struttura militare e alle fabbriche di armi, sì all'armamento convenzionale. No ai missili. E perché? Ce ne sono, come il generale Rogers, che arrivano a provare che tutto è necessario, che la risposta deve essere graduale, potremo telefonarci prima di lanciare i nostri missili e i loro. E allora perché tutto fuorché i missili? Per permettere la carica eroica della cavalleria polacca contro i blindati tedeschi, ci sarà ben stato qualc
he ufficiale polacco che avrà convinto gli altri della risposta graduale della Wermacht e della cortesia degli ufficiali tedeschi?
Ma, certamente, non siamo per i missili. La sola cosa che io constato, è che in una logica di difesa militare, da cui i pacifisti sfuggono senza uscirne, la sola strategia possibile passa attraverso una superiorità qualitativa dell'armamento. Storia vecchia come quella della spada di bronzo contro la spada di ferro. E non si risolve questo problema facendo credere che è possibile rifugiarsi nell'illusione, nella dimissione neutralista, ritirarsi dal gioco.
La storia recente è piena di queste illusioni. La guerra del 1914 consacrò lo scacco della politica pacifista di Guesde, malgrado i tentativi di Juarés di trasformare queste alleanze di rifiuto in un movimento europeo per la conquista di più diritto al lavoro, di maggiori diritti sociali. La guerra del '40 ha consacrato la disfatta dei differenti movimenti pacifisti europei, disfatta infatti già consumata nell'accettazione dell'eliminazione di migliaia di oppositori tedeschi, di ebrei, di »devianti , zingari, omosessuali, dell'annessione dei Sudeti, dell'Austria, della Polonia...
Solo il neutralismo bancario sopravvive alla prova dei tempi. Ma il tributo in termini di moralità politica è sempre più elevato, così greve di egoismo, conservatorismo e provincialismo sfrenato. Avviso agli amatori.
Sì a questa nuova difesa, difesa e promozione del diritto, del diritto alla vita innanzitutto, difesa e promozione della democrazia. No al pacifismo e al militarismo così opposti, differenti e nonostante questo così simili nel medesimo sacrificio del presente in nome del futuro.
Abbiamo bisogno di più difesa, di più sicurezza. Dobbiamo riarmarci unilateralmente, nelle nostre coscienze. Bisogna disarmare per meglio riarmarsi.
Un nuovo Eureka non chiede che di essere messo in opera. Una risoluzione del Parlamento europeo dell'82 non chiede che di essere attuata perché siano salvate 3 milioni di persone, 5, 10... minacciate dalla morte per fame, mentre la Yugoslavia non attende che una richiesta per entrare nella Comunità, la risoluzione Macciocchi non attende che una direttiva europea che la renda obbligatoria nei paesi membri, il rapporto Spinelli attende anch'esso nient'altro che una volontà politica, le leggi non attendono che di essere effettivamente applicate...
Sperando di essere riuscito a comunicarvi il mio pensiero, le ragioni del mio gesto fondato sullo »stato di efficacia prima ancora che sullo stato di necessità, sperando dunque di non avere abusato della vostra pazienza, signori giudici, vi assicuro della mia serenità, qualunque sia il vostro verdetto.