di Enzo TortoraSOMMARIO: Una dura requisitoria contro la partitocrazia italiana. Unica "medicina", il Partito radicale.
(Notizie Radicali n· 7 del 9 gennaio 1986)
A quanti mi chiedono come sto, rispondo: »dipende da voi . E non è una battuta. Quando dissi che dal momento della mia autoconsegna la mia storia usciva da me stesso, diventando parametro e pendolo per misurare e scandire le storie della giustizia e di certa politica italiana, non intendevo affatto scherzare. Lascio ad altri il melanconico sport di velenose ironie (quelli che parlano di »show radicale per fortuna sono in vertiginosa diminuzione) e adesso vi guardo, da questo privilegiato osservatorio che è una detenzione voluta, ma non per questo indegna. Guardo questo paese, o meglio, ciò che resta di questo paese, con la convinzione profondissima che le grandi battaglie radicali possono essere la sua sola medicina. Nessuno ha posto, con tanta immediata chiarezza, non solo i temi dello sfacelo attuale (qualunque demagogo è in grado di elencarli: le lamentazioni, addirittura, sono l'esercizio retorico che costoro prediligono) ma anche, e soprattutto, la via per uscirne. E qui, capisco, come quando dalla dia
gnosi si passa alla necessità di una terapia, il discorso si fa duro da intendere per la partitocrazia, per i bojardi del potere corporativo (una certa magistratura, i potentati economici, una editoria tossica e tossicodipendente, delle strutture sanitarie diventate riserve di caccia lottizzate, delle amministrazioni locali appestate ed indegne, dei predicatori di pace che vendono armi all'universo mondo) e la loro stretta, l'isolamento attorno al Partito radicale rischia di farsi mortale. Lo è, di fatto. Non provvedessimo noi, con la radio, con quel po' di spazio informativo che riusciamo a strappare ad un inutile, ostile baraccone televisivo di Stato, del Partito non si avrebbe notizia, come di certi esploratori partiti nell'800 per l'Amazzonia. Condannati (ma qui anche il motivo del nostro orgoglio) a risalire le rapide, le correnti, le foreste più intricate con la sola forza della nostra volontà, e del nostro numero: non deve apparire strano, o tantomeno autolesionistico se talvolta, contando proviamo un
brivido. Leggevo pochi minuti fa che gli iscritti in meno, rispetto al 1985, sono, per il Partito comunista, ventisettemila. Perfino il grande pachiderma è in crisi. Ed è in crisi, a differenza del nostro partito, molto più gravemente perché è in crisi di produzione politica, di progettualità, come si dice in questo mondo, dove le parole, ahimè, rischiano di contare più delle cose. Per il Partito radicale, al contrario, di fronte ad una effervescenza e una ricchezza ideale forse mai vista prima (si pensi alle grandi battaglie sui rapporti Nord-Sud, e dunque sulla fame, sull'affermazione di coscienza, sui diritti civili, sulla vita del diritto, sull'ecologia, sulla libertà controllata della droga, sulla riforma del sistema elettorale che da arcipelago frantumato e rissoso ci riconduca a decente immagine di democrazie occidentale) ci troviamo, e non potrebbe che essere così, numericamente in pochi. Ma nessuno, nell'ultimo Congresso, ha parlato di viaggio facile nel sordo panorama politico italiano. Abbiamo pa
rlato di sfida e di storico sforzo. Se qualcuno desidera cantori di ninna nanna, si accomodi altrove. Ci sono partiti nati per distribuire biberon. Si dà il caso, felicissimo caso, che questo Partito radicale, in un paese uscito con eterni patteggiamenti da una condizione di servitù per precipitare, svagato in un'altra peggiore (mai come oggi penso alla rilettura di quegli »eroi frettolosamente sepolti e censurati ai quali alludeva Pannella nel suo intervento congressuale: i Silone, i Rosselli, i Parri, gli Ernesto Rossi, che sono sì i veri profeti disarmati di una Liberazione tradita, d'un Risorgimento finito in letame) rappresenti la sola riforma possibile in una terra che ha campato, sinora, di sola cultura controriformista. Di chiacchiere e di truffa, di ladroneccio e di sopraffazione. Ridar prestigio alla parola »politica , che ormai negli italiani, giustamente, eccita solo reazioni o di disgusto o di rigetto e di rifiuto, è il nostro compito. Non è necessario avere letto Mosca o Pareto per rendersi co
nto che di manovratori obliqui, di faccendieri loschi, di impettiti erogatori di parole, di mulini e vento siamo ormai da oltre un secolo stufi e nauseati. La politica come valore, e non come potere, è concetto che solo la mafia, solo la camorra possono considerare irrilevante, desueto, superato. Eppure, a giudicare dai risultati, lo sfascio che costoro hanno prodotto è immenso. Ma è sfacelo che isola, per così dire, i suoi stessi autori. Li presenta, finalmente nudi, davanti alla coscienza del paese. Che si sente presentare conti allucinanti, astronomici, vergognosi: i conti dei loro sciali, i conti della loro dolce vita parlamentare, i conti della loro irresponsabile stupidità. I conti, davvero, stanno cominciando a profilarsi. E la gente, la gente alla quale noi ci rivolgiamo in fretta con ostinata, onesta fiducia (lo »show radicale , appunto: e quello che è solare disturba sempre, i pipistrelli) comincia finalmente a capire. La necessità di cambiar musica, e con la musica, una buona volta, anche i suonat
ori, sta diventando inderogabile. In questo panorama di cinismo diffuso, di rassegnazione vile e gattopardesca, noi, radicali, in pochi, abbiamo il diritto di chiedere, a chi ci approva, uno sforzo ulteriore. Non possiamo, eternamente, essere quelli che si buttano dal ponte, in pieno inverno, per tirare a riva uno che sta affogando. Gli applausi della gente non ci servono. Anzi, in certi casi ci infastidiscono. »Grazie di esistere disse una volta un vicesegretario di un Partito, ospite del nostro Congresso. »Grazie di resistere , caso mai. La lotta sta diventando sempre più dura, e più feroce. La faccia libanese dell'Italia difende i suoi eserciti privati, i suoi privilegi di moschea con una sorta di furore islamico, divisa tra l'ironia, stolida quanto feroce, e il colpo basso, la prediletta coltellata alla schiena. E che noi si abbia ragione (una ragione che spesso ci addolora, perché è la denuncia di vergogne impensabili) lo dimostra la stessa virulenza dei loro goffi, sempre più goffi contrattacchi. E' s
tato per me particolarmente commovente ritrovare, sullo sfondo del congresso fiorentino, le due parole »Giustizia e Libertà , che siglarono il solo momento degno, alto, pulito, delle speranze del dopo guerra. Fu subito notte, o quasi. Fu subito spartizione, o quasi. Fu subito, in nome di un antifascismo di maniera, il riprendere la struttura, il metodo, la cultura e gli stili del peggior fascismo. Dovessimo erigere un monumento a questo ributtante fregolismo, o trasformismo nazionale, potremmo impiegarvi anni di inutile fatica. Ed eccoci qui, davanti a questa democrazia monca, irrisolta, nominalistica, avvilita. Eccoci qui, so che questo foglio, un po' come la mia personale condizione, scandisce tempi che diventano sempre più urgenti. E so che ognuno di voi, se radicale, non ci lascerà, ancora una volta, lanciare dal ponte per salvare una vita tra acque sempre più infette. Non siate tra quelli che applaudono, vi prego. Non siate fra quelli che ci dicono »grazie di esistere .
Provate ad esistere in proprio, una buona volta. Vorrei, per concludere, ricordare che nel mio saluto di Capodanno, come al momento del mio arresto, ho precisato ciò che i radicali intendono per »giustizia giusta . Non solo l'infamia di procedure penali aberranti, di codici medievali, di pentiti che disonorano una civiltà che è di tutti (e non solo di certi giudizi): io per »giustizia giusta intendo molto, molto di più. Intendo giustizia per chi è malato e viene curato a chiacchiere, per chi è pensionato e viene nutrito ad aria, per chi è sfrattato e gli si dice »aspetti , per chi è cittadino e viene considerato servo. Per chi, senza lavoro, vede passarsi, come estremo viatico, una raccomandazione, che è un insulto. Insopportabile. A questa Italia i radicali intendono dare l'addio senza rimpianti: perché su questa Italia, imbastardita e irriconoscibile, non hanno trafficato, speculato, tradito, e gonfiato le loro fortune.
Ma ora ho finito. O meglio, continuo semplicemente la nostra battaglia. Ma ricordate ciò che vi ho scritto all'inizio. Non possono esistere più alibi. »Come sto? . Dipende esclusivamente da voi. Perché significa »come staremo . »Come vivremo .