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Dupuis Olivier - 27 gennaio 1986
Pensare la libertà
di Olivier Dupuis

SOMMARIO: Una lettera dal carcere di Olivier Dupuis a Giovanni Negri, segretario del Partito radicale, sulle iniziative trasnazionali del PR.

(Notizie Radicali n· 22 del 27 gennaio 1986)

Caro Giovanni, mi chiedi di scrivere, di fare una grande lettera aperta di riflessione di proposta, mi parli di un digiuno internazionale. Questo qualche giorno prima del processo di appello, e appena ala vigilia ti avevo inviato qualche riga. Ma vorrei che tu sappia, e con te tutti quelli che mi hanno gentilmente strapazzato nel corso di queste settimane, che ho accumulato minute, progetti di lettere, abbandonate poi perché qualcosa non andava, e non riuscivo a sapere cosa. Ma prima di andare avanti in questa che spero non resti allo stadio di progetto, vorrei citare qualche parola che ho scoperto per caso in una lettura, ben cosciente dei rischi che corro, dei pericoli che ci sono nel comparare, nel trasporre. »Viste da qui, le cose sono differenti. Non ti perdi nei dettagli, riesci a scegliere meglio i contorni, ma ne sai di meno. Privato dei dettagli, perdi il gusto del quotidiano. Alla fine di quattro mesi di isolamento non percepisci più il ritmo delle strade di Varsavia, né lo stato d'animo di persone

che hai frequentato per anni... Tieni conto di questo . Prendo questo da un meraviglioso libro nel quale i lettori di »Reporter troveranno dei paesaggi noti, il titolo in francese è »Pensare la Polonia , ed è scritto da qualcuno che è fantastico: Adam Michnik. Questa frase mi ha fatto del bene. Certo, non sono in Polonia e le condizioni di isolamento qui sono ben differenti da quelle che lui conosce. Io ricevo i giornali, ascolto la radio. Ma questo ritmo delle strade, delle riunioni, del partito, questi stati d'animo della gente, il tuo, quello dei compagni, io lo ricevo differito, smorzato, non lo sento più. Sono privato di quelle parole, di quelle due parole che ci si scambia alla lettura di un articolo, di quell'ammiccare di occhi, di quei sospiri e di quei sorrisi, di quegli insulti, magari, che ci si lancia nel fuoco delle cose che si fanno insieme, e che talvolta ti fanno capire più che un lungo discorso. Sono felice di poterti dire questo, non perché -tu lo sai- ho qualche oscuro desiderio di assol

uzione da parte tua, ma piuttosto perché, avendo ora compreso perché prima sentivo confusamente, penso di stare per portare qualche elemento di riflessione, forse anche qualche proposta per la nostra battaglia comune.

Dopo questa digressione che dirti? Intanto che non sono troppo contento di me al tribunale, mercoledì scorso. L'impressione un po' amara di non aver saputo reagire con sufficiente chiarezza al discorso brillante ma vuoto del Procuratore generale, di essere stato anche, una volta di più, vittima di questo difetto, troppo spesso mio, di dare le cose per acquisite. Lo svolgimento del processo ha ben dimostrato che, a livello politico, eccezion fatta per la contestazione dei tribunali militari, il senso del perché io ero lì, il senso del perché l'affermazione di coscienza, non è stato recepito dal procuratore militare. Non parliamo poi degli ufficiali o del Presidente... Molto semplicemente, le cose dette in prima istanza erano lontane dall'essere acquisite dalla corte d' Appello.

Detto questo, credo che il processo del processo di primo grado sia stato ben condotto, anche se troppo rapidamente, dagli avvocati. Non è certo un aspetto secondario che il criterio dell'automaticità della pena sia stato così fortemente rimesso in causa. E poi, c'è tutto il resto, c'è l'enorme lavoro di voi tutti. Ci sono i compagni venuti da lontano, e da molto lontano. I dissidenti sovietici che erano lì, quelli che hanno scritto, Sanguinetti, le interviste di Antonio, e poi l'adesione di Lech Walesa al Consiglio di amministrazione di Food and Disarmament International. Non puoi sapere come mi riempe di gioia tutto questo... ma poi no, non è vero, mi ricordo che tu conosci le mie ossessioni.

Vorrei palarti anche di Milena Jesenka, la Milena delle »Lettere a Milena di Franz Kafka, morta nel campo di concentramento di Ravensbrück, quindici giorni prima dello sbarco in Normandia. Giornalista, si batteva negli anni 30 per impedire l'Anschluss. Nel 1939, dopo la »celebrazione del cedimento francese a Monaco, scriveva una »lettera a Jules Romains . Ecco un breve estratto: »Caro Maestro, finché parlerete degli avvenimenti di settembre (Monaco) come una catastrofe che ha sconvolto la Cecoslovacchia, e non parlerete di una catastrofe che ha sconvolto la Francia, i vostri argomenti saranno senza oggetto. Voi avete gioito perché vi era permesso di vivere. Ma non noi. Noi piangiamo perché ci si impediva di morire per la nostra causa comune, quella dei Cechi e quella dei Francesi. Addio Jules Romains .

Alla lettura di simili parole, il circo ricomincia, il circo di queste domande infernali, di queste domande che cercano di scongiurare ciò che non si è evitato.

Non è vero allora, che l'Anschluss sovietico non è quello degli anni trenta, e lo sterminio degli etiopi, dei saheliani, e degli altri non appartiene allo stesso registro di quello degli ebrei, degli zingari, degli omosessuali, dei polacchi? Alla fine di queste domande, che aggrediscono così forte, giustamente, perché della domanda non hanno che la mera apparenza, sempre la medesima constatazione; come, a 30, a 40 anni di distanza, ha potuto la demenza riprodursi così impunemente, come può ingannare così massicciamente e profondamente »i cittadini liberi di libere democrazie? .

Ma c'è anche la gioia per un incontro con uno spirito libero, e questo è molto. Vorrei dire anche che più andiamo avanti, e più amo questa campagna per l'affermazione di coscienza. La amo in quello che ha di scostante, in quello che ci riporta al denominatore comune di tutte queste demenze: il cedimento delle nostre democrazie. Credo perciò -ma anche questo lo sai già- che bisogna far di tutto perché l'affermazione di coscienza non sia confinata nel terreno classico, ufficiale, della difesa quale noi la conosciamo oggi. C'è tutta una rivoluzione semantica che bisognerà ugualmente perseguire. Certo, so bene che non possiamo assolutamente cadere nel trabocchetto delle dichiarazioni di intenti, e rivendicare, in modo generico, un pacchetto di interventi, di nuove politiche a tutto azimut. Il difficile è tutto lì. Ma la forza dell'affermazione di coscienza, quello che ha di bello, il suo portato di speranza, risiede, ne sono convinto, in questo Ovest e in questo Sud riuniti nella stessa battaglia, battaglia per

più difesa, più sicurezza, più diritto, per più Europa, per l'Europa.

E ora... proposte concrete... Mi parlavi di un digiuno internazionale, dopo il 28 gennaio, mi pare. Questa sarà una magnifica occasione per aggiornare e utilizzare gli indirizzari internazionali di Roma, di Firenze e di Bruxelles, e per lanciarsi all'assalto di quei tedeschi, di questi spagnoli che, ne sono sicuro, non aspettano' che un po' di testi, di idee, di proposte...

Penso anche a un lavoro di studio sui costi e la fattibilità di una catena europea di radio verso differenti paesi dell'Est europeo. Idea antica, ma che potrebbe forse essere articolata in funzione di una risoluzione del Parlamento europeo. Alleanze mi sembrano impossibili. Forse anche i compagni della Radio sarebbero interessati, oltre agli abituè della problematica dell'Est.

Ma non dimenticare che mi mancano i »dettagli . Non so proprio nulla sul famoso colloquio di febbraio o di marzo che Emma e gli altri stanno mettendo in piedi, se non il solido e ambizioso programma che ho intravisto. E non ho ancora notizie del colloquio di Firenze sull'Affermazione di coscienza, quindi sulle idee, sulle iniziative in corso.

E non dimentico la Jugoslavia. Penso anche ai grossi processi che avranno luogo tra qualche tempo a Varsavia.

Ti lascio qui. Spero' di averti rassicurato un po' quanto ai rischi di soccombere alle differenti sindromi del prigioniero, ivi comprese quelle di cui non ti ho parlato. Sarà per una prossima volta. In ogni caso, a molto presto. Abbraccia tutti per me, e quando sentirai Enzo mandagli un grosso bacio

Olivier

 
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