di Marco PannellaSOMMARIO: Senza una riforma del sistema elettorale di tipo maggioritario sarà impossibile risolvere i maggiori problemi dello Stato italiano e in particolare quello del debito pubblico.
(Notizie Radicali n· 24 del 29 gennaio 1986)
Gli ottocentomila miliardi di debito pubblico consolidato, la cinquantina di milioni di debito a testa per ogni cittadino della Repubblica, neonati e disoccupati inclusi, non sono ormai più solo il prodotto di una politica irresponsabile, ma conseguenza obbligata di una struttura politica, istituzionale, economica e sociale che di per sè crea e aggrava quel debito, questa bancarotta sempre più fraudolenta.
Solidarismo clericale e pseudo-cristiano, statolatrismo peronista e pseudo-rivoluzionario della sinistra dominante e del sindacato trasformista e demagogico, assistenzialismo e clientelismo dell'immenso esercito burocratico e parastatale della partitocrazia, tutti uniti contro le esigenze dello Stato di diritto e della democrazia politica e parlamentare, tutti estranei e nemici degli ideali liberali e del socialismo fabiano o riformista, hanno rappresentato gli ingredienti che ci hanno portato e ci inchiodano in una prospettiva di disastro, tanto più grave quanto più ignorata, negata, nascosta.
L'imprenditorialità -anch'essa- ciancia di liberismo, e pratica la legge della giungla contro il possibile affermarsi di una economia di mercato, ed essa per prima impone una politica economica interventista e protezionista dello Stato, scaricando su un ceto politico che comprensibilmente disprezza, responsabilità che il pudore consiglierebbe piuttosto di condividere nel silenzio, se non nella liberatoria autocritica.
Viene il sospetto che la motivazione per l'unico merito che dovrebbe essere riconosciuto a tutti costoro, un certo europeismo, sia dovuto all'illusione di poter trasferire la bancarotta, annullandola, nell'Unione europea che riconoscono per quello che è: non un'ipotesi, ma una necessità urgente e assoluta.
Ma se questo del debito pubblico consolidato deve essere il tema massimo di impegno di governo della nostra società (e proprio per questo di tutt'altro ci si occupa e su tutt'altro si discute concretamente, in termini di programma) è perché senza una riforma istituzionale e una nuova classe dirigente il regime italiano non potrà risolverlo; se non illudersi di risolverlo con quel »commissariato della Repubblica che De Benedetti e Scalfari sempre più coscientemente e con alleanze e procedure prudentemente gestite ma di per loro follemente imprudenti, hanno cercato di provocare e assumere.
Risale al governo Spadolini il merito di avere cercato di porre un freno nella discesa di questo precipizio: ma applicandosi ingenuamente solo ad alcuni effetti del precipitare tristemente, si trovò a dovere constatare che il »tetto di contenimento dell'incremento del disavanzo era stato sfondato di oltre il 40% grazie anche all'ignoranza dell'entità del disastro e delle sue cause da parte dell'amministrazione dello Stato.
Da allora la tendenza non si è né rovesciata, né contenuta; si è, anzi, aggravata. Il pentapartito di governo e il tripartito di »opposizione (Pci, Msi, Dp), se si considerano i documenti e i fatti al di là delle chiacchiere, sono su questo fronte e con questo parametro una sola cosa; una sola »forza culturalmente e politicamente interna e subalterna alla logica e alla necessità di spesa, di bancarotta, di espulsione dell'Italia dall'area dei paesi che investono le proprie energie -nel presente- per concepire e dominare il futuro.
La crisi è per certi aspetti comune -nell'immediato- ad altri paesi occidentali di democrazia politica. Ma in nessun altro paese questa crisi è quantitativamente così grave da dover coinvolgere, come un'altra faccia della stessa medaglia, ogni aspetto del diritto in particolare, ma non solo, della giustizia in tutte le sue branche: amministrativa, civile, penale.
Il bilancio dello Stato è poco più che una finzione contabile; la legge finanziaria è una testimonianza dell'incapacità anche solo di concepire una via di uscita e di sviluppo. L'economicismo dei politici, accompagnandosi magnificamente con il loro ideologismo, distrugge economia e politica; come l'apoliticismo apparente di gran parte del ceto imprenditoriale e il politicismo vieto di quello sindacale.
La verità è che in questo De Benedetti -oltre che altri, in politica: se permettete proprio i radicali- aveva (inutilmente e sterilmente) ragione: mai questo sistema partitocratico, costretto ad un drammatico accatto di voti come fondamento della propria legittimità di lottizzatori e di usurpatori delle istituzioni, avrà il coraggio di chiedere fiducia al paese su una politica che non potrà non far gravare anche sulla povera gente, e sui ceti sindacalmente più protetti e forti (nel senso individuato 80 anni fa da Gaetano Salvemini), l'operazione di saldo e di riassorbimento rapido del debito pubblico di almeno il 60% del suo totale.
Con l'efficientismo da dilettanti che provoca nella storia i più gravi disastri, l'idea era e forse è ancora di ottenere l'avallo del Pci (in cambio di una certa quale forma di inserimento nel governo commissariale) e la sostituzione della Dc in quanto tale come forza massima di potenza e come centro di raccolta delle maggioranze di governo, proponendosi o comunque conquistando una sorta di potere dittatoriale romano, »buono insomma, per effettuare la necessaria operazione storica, per poi tornarsene da nuovi Cincinnato, salvata la Patria, ai loro campi...
Di quell'ingenuo o folle disegno resta poco: per alcuni resta soprattutto l'odio contro socialisti e contro radicali, il disprezzo per liberali e per socialdemocratici, che consapevolmente o inconsapevolmente hanno in varia misura fatto fallire prima il disegno piduista che stava per realizzarsi se si fosse potuto contare sull'assassinio del magistrato D'Urso da parte di Senzani, che si trovò invece costretto a cercare di offrire il feroce e ignobile surrogato dell'assassinio del generale Galvaligi, rivelatosi insufficiente; poi sul successo della continua campagna sfascista, andata definitivamente in fumo con il risultato civilissimo del referendum sulla scala mobile, e -anche- con quello delle elezioni amministrative di quest'anno.
Non per questo, ovviamente, il problema è stato risolto. E' anzi più drammatico che mai; a tal punto che rischia di provocare prima o poi il successo di meno elaborati e prestigiosi disegni eversivi, frutto di disperazione più che di calcolo o di demiurgiche volontà negative.
Una strategia contro l'indebitamento
Una strategia che sia anche di piena, esplicita risposta a questo flagello dell'indebitamento e della bancarotta della nostra società, cioè del suo modellamento su strutture e soluzioni giuridicamente ed economicamente insostenibili, è pienamente immaginabile e praticabile.
Ma occorre volerla e adottarla. O saremo oggetto, anziché soggetto, di mutamenti storici incalzanti, già in corso sul piano delle strutture della società e della stessa natura. Certo è che non possiamo fare l'economia di questa responsabilità che comunque è di questa generazione, e non di altre. La vita ha più fantasia del più fantasioso di noi, certo. Ma non per questo possiamo vivere, continuare a vivere da struzzi, o illudendoci di poter ingessare la crisi, rimandarne la soluzione o l'esplosione con palliativi e surrogati di riforme degne di questo nome.
Io non credo che l'esaurirsi della carica politica e programmatica del governo in carica sia dovuta alla conflittualità interna del pentapartito, o alla pur certo fallimentare qualità e forza dell'opposizione ufficiale. Questi sono effetti, non causa. Per quanti meriti vi siano, essi hanno potuto finalmente curare alcuni sintomi e malesseri che stavano di per loro contribuendo ad affaticare la società italiana, e a fungere da detonatore di rivolte e di incendi.
La realtà dello Stato nazionale, in genere, è letale di per sé, in Europa, perché non rappresenta né può rappresentare un quadro adeguato per far fronte ai problemi tecnologici, di difesa e di sicurezza, di sviluppo o di nuova qualità dello sviluppo, di crisi di culture e di civilizzazioni che andiamo vivendo. Occorre scegliere, e non a parole dimezzate. Chi, come noi, sceglie la riforme occorre che cominci con il riformare se stesso, prima di pretendere di riformare gli altri, o altro.
Allora »riformiamo i partiti, questi partiti. Un po' come si »riforma al servizio di leva. Riformiamoli tutti, assieme e d'imperio. D'imperio democratico, naturalmente.
Un mezzo c'è; e altri ancora. Ma quell'uno lo conosciamo; gli altri, no.
La riforma del sistema elettorale
Passiamo alla riforma del sistema elettorale, adottando quello uninominale secco, anglosassone. Chi arriva prima, combattendo ad armi legali pari, è l'eletto, e basta. Così i candidati saranno candidati all'elezione e al governo, non alla candidatura e alla »rappresentanza di un apparato o di un'ideologia.
Conosco la folla di obiezioni e di paure: ma sono con Maranini, anche se è possibile che sia senza Sartori; con Duverger e -per una volta- non con Mendès-France. Sono con la democrazia anglosassone, non con quella continentale, nelle diverse sue incarnazioni quasi tutte in crisi ciclica o continue da troppo tempo, specie quelle più proporzionaliste. Insomma per una democrazia di governo e non di »rappresentanza . Per la funzione la libertà delle »grandi leghe fabiane o dei »grandi movimenti dei diritti civili; non per la sorte piccola dei gruppetti parlamentari, mezzo di finanziamento e di parastatalizzazione di tutto e di tutti, per mosche cocchiere o per sette ingrassate, che vanno e mandano in fumo rivoluzioni ideologiche perenni e ogni fermento e movimento civile, mentre consumano funzioni e pasti di regime per conto di quei »grossi che credono di combattere o di condizionare.
Da una parte occorre pure cominciare: certo il sistema elettorale e l'assetto di democrazia politica di governo e di alternanza e alternativa, non sono tutto, non coprono da soli le necessità »globali di riforma... Ma se non cominciavamo con il »modesto divorzio...
Una forza sociale
Sono quasi certo che, fra tutti i partiti, se si arrivasse davvero a dover scegliere su questa proposta, fra quelli che possono contare in maniera determinante, il solo Pci si opporrebbe ferocemente. Il solo apparato del Pci, che -per potente e immenso che sia- in certi casi non riesce che a »seguire , alla fine, se non i suoi iscritti, almeno la gran parte dei suoi elettori: divorzio, aborto, presidente Leone insegnano.
I referendum e i sondaggi ci dicono -d'altra parte- chiaramente quanto l'elettorato sia poco irreggimentabile se si trova dinanzi a scelte chiare, alternative, coraggiose e con un minimo di democraticità dello scontro; e quanto sia invece »vischioso e atono dinanzi a scelte generiche, di bandiera -se non in momenti di rivolta e di rifiuto, negativi comunque se restano tali.
Questa proposta di riforma sarebbe immediatamente recepita e compresa nella sua letterale semplicità, da tutti. E coloro che avessero avuto il merito di proporla e di imporne la presa in considerazione, di impersonarla sarebbero certamente ricompensati e riconosciuti come i meglio atti a gestirla, a realizzarla. Per questo non si tratta minimamente di puntare ad essere »terza forza ma »prima forza . In un assetto democratico-radicale di democrazia politica, anglosassone, non vi sarebbe spazio storico per questo Pci, e in parte nemmeno per questa Dc, anche se di riformato rito avellinese.
Sono i partiti laici, se ritrovano o puntano sul loro laicismo, che a nostro avviso dovrebbero e potrebbero puntare su questa riforma, ed a chiedere forza per realizzarla e impersonarla. Per Pli, Pri, Psdi, Psi e Pr rinunciare alla difesa un po' triste e grottesca dei loro minimi averi attuali, o dell'incremento da rendita di posizione, per dar corpo a questo nuovo, significherebbe anche offrire la leva, il mezzo per affrontare in termini storici immediati, in termini politici reali il problema di una forza sociale, politica e civile per l'asportazione necessariamente traumatica del tumore del debito pubblico, con tutte le sue metastasi e anche le sue cause cancerogene.
Una intesa tra partiti laici
Con elezioni di questo tipo non oltre il 1990/1991, noi potremo andare -oltretutto- a proporre e vincere democraticamente e stabilmente, con il consenso amplissimo necessario, con un programma e un nuovo ceto (perché in gran parte scomposto e diversamente ricomposto) di governo, anche alla promulgazione di una grande riforma sistematica dei codici e dell'amministrazione della giustizia.
Con un sistema di tre partiti »aperti , elettorali, di governo, due dominanti nell'immediato, l'altro di concreta e attiva riserva (e i giochi non sarebbero assolutamente fatti per la conquista dei rispettivi ruoli fra le tre famiglie politiche a confronto) il gioco democratico diverrà immediatamente agibile, sarà tecnicamente attuabile (al contrario di oggi) e leggi semplici, certe, potranno essere usate, anziché abusate, per percorrere alvei civili e responsabili nella vita istituzionale e politica. Il ruolo dell'informazione, pubblica e non, si troverebbe certo agevolato in senso democratico e di sana, o più sana, imprenditorialità. Si porrebbe anche in Italia la proponibilità (teorica, non astratta) di estendere il carattere democratico di tutti i poteri con l'elezione diretta (piuttosto che con la lottizzazione e la corruzione culturale) perfino di funzioni di giustizia e di polizia.
Partiti »aperti , dicevo. Si: e sono convinto che in meno di un decennio avremo quella profonda ridistribuzione di impegno e di organizzazione politica, oltre che elettorale, preziosa per la nostra società con inquinamenti e tradizioni settarie, »libanesi , poco laiche.
A chi dicesse, una volta di più, che sogniamo, rispondo che solamente l'impossibile è oggi possibile, mentre quel che appare possibile, o come tale viene presentato e vissuto, è divenuto assolutamente impossibile. Concepire weberianamente il nuovo possibile, anziché consumare quello già consumato fin oltre l'osso, è il solo metodo che vale probabilmente la pena o la felicità di seguire.
Ringrazio l'Avanti! e i compagni del Psi di avermi così consentito di avanzare non più solamente una riflessione ma una proposta: non so davvero dove altrimenti mi sarebbe stato possibile, permesso. Ed è questa la riprova di situazione positiva e nello stesso tempo in pericolo, come con molta saggezza Claudio Martelli ammonì il Congresso radicale. Perché la conquistata e responsabile volontà e pratica di amicizia e di fraternità non può soddisfarsi di se stessa senza esaurirsi ed essere ben presto travolta dall'incalzare della lotta politica. Ed è su questa strada che ci si sta muovendo, anche se non con adeguata forza, con gli amici liberali, con quelli repubblicani e con i compagni socialdemocratici.
Questa mia proposta, nei miei voti, va dunque, assieme, ai miei compagni radicali, già in gran parte individualmente orientati in questa direzione, ai compagni socialisti, ed alle forze laiche nel loro insieme. E, ovviamente all'arcipelago »verde ... Vorrei, ora per terminare, esortare ciascuno a rispondere con lo stesso rispetto con cui ho cercato di rivolgermi a ciascuno.
Un »ballon d'essai
E' certo, questo, un ballon d'essai: è quindi una cosa seria. Un tentativo maturato da tempo e che ha un suo tempo, preciso e stretto per essere abbandonato o portato avanti, anche organizzativamente. Chi ci sta, dunque, lo dica subito. Chi è disposto a dare una mano, da ovunque venga, da destra, sinistra, centro, incontrerà le nostre.
Quando proponemmo la costituzione della Lega italiana per il divorzio (Lid), bastarono una dozzina di politici e di intellettuali, poche migliaia di cittadini, un piccolo sconosciuto editore, che ci scrissero o telegrafarono, o che scrissero e parlarono pubblicamente, perché »l'impossibile secondo tutti, ma proprio tutti, i massimi responsabili di partito d'allora, divenisse non solamente possibile, ma, ben presto, probabile e poi realizzato.
Vorrei questa volta entro dieci giorni dalla pubblicazione di questo articolo cominciare a dirci e dire se si può partire per questa nuova, seria, civilissima e necessaria avventura.
Per i recapiti, coloro che volessero contattarci, c'è la Camera dei deputati e -grazie anche per questo- l'Avanti!
Vi sono dei momenti, fu detto, in cui non si tratta più di misurare con l'alluce se la corrente è fredda, ma di passare a guado verso l'altra riva -verso la salvezza, in questo caso- di un nuovo ordine e di una vera democrazia.