di Emilio VesceSOMMARIO: Le ragioni che impediscono di celebrare, dopo sette anni, il processo "7 aprile".
(Notizie Radicali n· 89 del 17 aprile 1986)
Sono passati sette anni, il processo »7 aprile è ancora impantanato nelle sabbie mobili del »fare giudiziario italiano.
A nessuno sfugge l'emblematicità di questo processo e, forse per questo, viene rimosso e lasciato alla deriva nella memoria collettiva del paese.
Eppure ogni giorno nella patologia quotidiana della giustizia sono riscontrabili segni di una prassi, fuori da ogni norma scritta, che il 7 aprile 1979 prese il via con i mandati di cattura del dottor Calogero, attualmente membro del Consiglio superiore della magistratura.
»Pentito , »maxiprocesso , emergenza giudiziaria e tutto quanto oramai è divenuto lessico familiare nelle aule giudiziarie ebbe il battesimo del fuoco nelle giornate convulse di quel lontano aprile.
Questo processo era ed è uno, forse l'unico processo politico degli anni '70/'80, ma anche e soprattutto, con esso, si apre una fase politico-culturale, prima ancora che giudiziaria, capace di annullare la storia di aree politiche, di omologare sotto la triste bandiera del terrorismo un decennio di lotte. Certo, quelle lotte non si prestano ad una lettura lineare e né si può affermare che, oltre a produrre grandi idee di trasformazione, non abbiano influito sullo sviluppo di avvenimenti terribili come appunto il terrorismo.
Ma questa è materia di riflessione politica e storica, non certo oggetto di operazioni giudiziarie. L'aver confuso l'aspetto politico con quello giudiziario è stato il grande errore (ma si tratta proprio di errore?) di quelle forze politiche che hanno voluto rassicurare se stesse e il paese di fronte all'assalto terroristico. E' questa politicità del processo 7 aprile che va letta come traccia di interpretazione dell'emergenza giudiziaria, cioè della degenerazione del processo penale e del sistema di garanzie del nostro Stato di diritto. Non si spiegano i Melluso, i Pandico e gli Agca se non attraverso Fioroni; non si spiegano i processi come quelli della camorra, e -perché no?- quelli contro la mafia a Palermo, se non si scioglie il nodo dell'operazione giudiziaria del '79.
Ritornano con frequenza quelli che allora apparivano solo accidenti processuali, anzi, sono diventati sistema. Chi si scandalizza più oramai se si fanno retate che coinvolgono un numero altissimo di arresti, se sulle cronache dei giornali appaiono quotidianamente stelle del pentimento, se i processi abbiano lunghezze sproporzionate? tutto ciò è diventato il fare giudiziario, altrimenti più nobilmente detto la »costituzione materiale del diritto italiano.
E' per questo che oggi, 7 aprile, ricordo ma non rievoco, perché denuncio. Denuncio che a sette anni di distanza io, imputato in questo processo, non ho ancora avuto una sentenza definitiva. E' vero che tutti coloro che furono arrestati nel '79 ora sono in libertà per questo processo. E' vero che da cinque anni e due mesi dall'arresto c'è stata a Roma la sentenza di primo grado. E' vero che solo un anno dopo questa sentenza, un altro tribunale, quello di Padova, sconfessava il risultato: quegli stessi imputati che a Roma erano stati condannati a 14 anni per associazione sovversiva e banda armata, a Padova, per le stesse cose, vengono assolti per non aver commesso il fatto. Queste sono solo alcune delle anomalie del processo 7 aprile. Ma vale la pena di ricordare anche che per questo processo fu varata nel '79 una legge ad hoc che introduceva nel Codice penale l'aberrazione del premio ai pentiti, il prolungamento di un terzo della carcerazione preventiva (da 8 anni a 10 anni e 8 mesi), le aggravanti specifich
e contro movimenti sovversivi e contro le organizzazioni terroristiche. E' vero poi che in questo processo fu consentito all'accusatore principale non sostenere in aula le sue accuse: Carlo Fioroni fu fatto fuggire all'estero con un passaporto falso nel 1983, dato dalla Presidenza del Consiglio, quando regnava Spadolini.
Ci sono tanti e tanti problemi dentro questo processo che forse sarebbero capaci di svelare gli interessi e gli obiettivi dell'emergenza e delle forze politiche che ancora lo sostengono. Lo schieramento che va dal Partito comunista alla Democrazia cristiana e alla cigolante ruota del carretto repubblicano si compatta ogni volta che l'emergenza viene messa in discussione. Anche oggi a fronte dell'iniziativa referendaria sulla giustizia si sono eretti a paladini di quella triste pagina che è l'emergenza nella storia del nostro paese.
Per concludere, gli imputati del processo 7 aprile oggi continuano a chiedere che il processo venga celebrato, subito. Sono consapevoli che questa richiesta sfiora l'ironia. A sette anni di stanza chiedere la celebrazione del processo è quasi una battuta umoristica. Tuttavia, irriducibili come siamo nel chiedere che si faccia verità sulla grande menzogna accusatoria del processo 7 aprile, corriamo questo rischio, consapevoli che se noi sfioriamo il ridicolo, gli altri -tutti coloro che da questo processo hanno tratto vantaggi e carriere- sono nella piena illegalità, al di là del codice e della democrazia.