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Viviani Agostino - 17 aprile 1986
Referendum sulla giustizia: il dito sulla piaga
di Agostino Viviani

SOMMARIO: Rispondendo alle accuse rivolte contro il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, l'autore approfondisce il tema dell'irresponsabilità e dell'indipendenza del giudice.

(Notizie Radicali n· 89 del 17 aprile 1986)

Il referendum che ha suscitato maggiore attenzione e più aspre discussioni è quello concernente la responsabilità civile del magistrato. Vuol dire che gli interessi che esso coinvolge sono notevoli e ben radicati. I proponenti il referendum, dunque, hanno posto il dito su di un'autentica piaga. Di qui la inderogabile necessità di approfondire il problema e di discutere le ragioni del pro e del contro con rigorosa obiettività.

Partiamo da un principio del tutto pacifico del nostro sistema: chi per dolo o per colpa produce un danno ingiusto è tenuto a risarcirlo (articolo 2043 c.c). Questa regola -la cui fondatezza non è mai stata posta in discussione- vale in ogni campo, per qualsiasi funzione, per qualunque impiego, per ogni prestazione di opera. In alcuni casi, tuttavia, la responsabilità è più contenuta. E' così per i pubblici dipendenti che rispondono solo per dolo o colpa grave; la stessa limitazione si ha nel campo del lavoro autonomo, se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (si pensi all'opera del cardiochirurgo). Pertanto, in alcuni casi, responsabilità civile contenuta, mai eliminata.

Si pone, così, una precisa domanda: è concepibile che per il magistrato si faccia una eccezione, e così mostruosa, da liberarlo dalla responsabilità civile in ogni caso e, cioè, anche quando egli arrechi danno ingiusto per dolo o colpa grave? Vediamo cosa significano le due cose.

Il dolo si ha quando si agisce intenzionalmente; quando, cioè, il danno ingiusto è causato volontariamente. E' il caso del magistrato che, di proposito, ignora una norma di legge, oppure trascura l'esame della documentazione di causa, per danneggiare un utente della giustizia. Colpa grave si ha, invece, quando il danno è prodotto per una imperdonabile imperizia (asineria) o per una mancanza di diligenza particolarmente grave. Esempio: non effettuare indagini elementari prima di emettere un provvedimento di cattura. Ancora: il giudice respinge una domanda perché in atti non esiste un documento che, invece, fa bella mostra di sé nel fascicolo di parte.

In casi di questo genere, come può sostenersi che il magistrato non debba rispondere di un comportamento così gravemente violatore del diritto altrui? Eppure c'è chi lo sostiene. Vediamo come e perché.

Indipendenza e autonomia o arbitrio?

Si obietta che la responsabilità civile verrebbe ad offendere il principio costituzionale della indipendenza e della autonomia della magistratura. Facile è rispondere che -così ragionando- si confonde l'indipendenza con l'arbitrio. Infatti, la Costituzione afferma esplicitamente che "i giudici sono soggetti soltanto alla legge" (articolo 101 Costituzione); ma alla legge, sì! Ed allora occorre stabilire come la società possa essere garantita sull'osservanza di questa dipendenza dalla legge e quali interventi possano esserci a questo proposito. Non è un caso che il citato articolo 101 inizi con un'affermazione troppo spesso e troppo facilmente dimenticata: "la giustizia è amministrata in nome del popolo". Il che segna un legame insuperabile con la sovrana volontà popolare. Del resto, chi legga la Costituzione con animo sgombro da interessate prevenzioni sa che, con la normativa in esame si è inteso liberare la magistratura dalla dipendenza dall'esecutivo e non certamente da ogni responsabilità. Il che non è po

ssibile, almeno per chi non dimentichi che la Costituzione è un insieme di armoniosi principi che vanno letti e interpretati nel loro complesso. Non vale prendere una norma, dimenticandone l'origine e la collocazione sistematica, distorcendo a proprio vantaggio il significato. Infatti, chi esamina la situazione con un minimo di serietà (non occorre neppure la obiettività) si accorge subito che la Costituzione pone anche altri principi, alcuni addirittura di carattere generale. Tra gli altri (parte prima "Diritti e doveri dei cittadini", titolo primo "Rapporti civili"" proprio quello concernente la diretta responsabilità dei "funzionari" e dei "dipendenti dello Stato e degli Enti pubblici", "secondo le leggi penali, civili" "e amministrative" per gli "atti compiuti in violazione di diritti" (articolo 28 Costituzione). La parte più retriva della magistratura (è storia vecchia), pur di conservare l'inconcepibile privilegio, sostenne che la magistratura non rientra né nella categoria dei "funzionari" né in quell

a dei "dipendenti dello Stato ". Ci fu allora chi si domandò polemicamente chi fosse a dare al magistrato gli stipendi (ormai ben congrui) di cui gode. Ma -a parte la pur legittima battuta- fu giocoforza far osservare a chi cercava di violentare anche la Costituzione, per la difesa, per di più ottusa, di interessi egoistici, che la Costituzione aveva altre norme, fra cui l'articolo 98, che pone esplicitamente tra "i pubblici impiegati" anche i magistrati. Tuttavia, neppure di fronte ad una dizione così chiara ci si arrese. Ed allora ecco il ricorso alla Corte Costituzionale che -con sentenza 14 marzo 1968 n. 2- ha detto una parola ferma, autorevole, definitiva. Si legge, infatti, nella detta sentenza: "L'articolo 28 della Costituzione, che dichiara responsabile della violazione di diritti soggettivi tanto funzionari e dipendenti quanto lo Stato, ha ad oggetto non solo l'attività degli uffici amministrativi, ma anche quella degli uffici giudiziari. Non giova invocare, in contrario, l'autonomia e l'indipendenz

a della magistratura e del giudice che non pongono l'una (la magistratura) "al di là dello Stato, quasi legibus soluta", né l'altro (il giudice) "fuori della organizzazione statale". A questo punto, appare indiscutibile che il legislatore ordinario avrebbe dovuto provvedere -adempimento di un obbligo costituzionale- a regolamentare la responsabilità civile del magistrato.

Stabilito il principio che anche il magistrato risponde civilmente del danno ingiusto prodotto, si è cercato di giustificare altrimenti la pretesa irresponsabilità. Si dice, a questo proposito, che la responsabilizzazione del magistrato creerebbe una magistratura conformista, che non compirebbe più il suo dovere.

Quanto questo argomento sia deteriore, non occorre illustrarlo. Ci sono magistrati che nel loro lavoro hanno di mira soltanto la giustizia, e che non temono affatto la loro responsabilizzazione anche in sede civile; anzi, l'auspicano, sia pure costituendo in genere una maggioranza silenziosa.

Abrogare i privilegi

I tre referendum contengono in sé alcune elementari scelte di politica costituzionale. Due di essi si basano sul semplicissimo presupposto che una democrazia moderna non tollera zone di irresponsabilità, forme di »giustizia domestica e perciò addomesticata, immunità castali che divengono vere e proprie impunità. I due referendum propongono di cancellare questi privilegi, per i ministri (con la proposta di abrogare la Commissione inquirente per i procedimenti di accusa) e per i magistrati (con la proposta di abrogare le attuali norme che, in contrasto con la Costituzione, impediscono che un magistrato risponda civilmente, oltre che per dolo anche per colpa grave).

Il terzo referendum, proponendo di abrogare l'attuale forma elettorale proporzionale dei membri togati del Consiglio superiore della magistratura, è in realtà diretta a colpire il sistema delle correnti interne all'ordine giudiziario e la crescente politicizzazione dei magistrati che esso ha determinato. Sancendo l'indipendenza del giudice, la Costituzione ha voluto, per i cittadini, un giudice imparziale, un giudice »terzo rispetto alle parti. Ma questa indipendenza, questa terzietà non sono conciliabili con la crescente qualificazione e caratterizzazione politica e partitica dei magistrati.

Contro questi tre referendum sono scesi in campo tutti i vertici delle diverse correnti della associazione magistrati con clamore e con determinazione non minore di quelli usati nei confronti del presidente della Repubblica quando pretese di richiamare il Consiglio superiore della magistratura a non sconfinare dalle sue funzioni e dai suoi compiti.

I vertici delle tre correnti della magistratura associata affermano che con questi tre referendum si vuole attentare alla autonomia e alla indipendenza della magistratura.

A queste denunce fanno seguire delle minacce: difenderanno la loro indipendenza, e perfino il loro sistema elettorale, nel Parlamento e nel paese. Richiamano l'attenzione del presidente della Repubblica e invocano l'intervento risolutore del Parlamento.

Il diritto al referendum è un diritto costituzionale previsto dalla nostra Carta fondamentale. La regolamentazione della responsabilità civile del magistrato è affidata dalla Costituzione al potere legislativo, che si esplica attraverso il potere del Parlamento o attraverso il referendum. Anche la legge elettorale che regola l'elezione della maggioranza dei membri togati del Csm appartiene agli stessi poteri legislativi, del popolo e/o del Parlamento.

E allora che senso hanno queste minacce?

Le affermazioni che sono state fatte sono gravissime. Che significa che L'Anm si opporrà in ogni modo in Parlamento ai referendum?

Come potrà farlo? Affidandosi alla rappresentanza dei giudici eletti in Parlamento? Ma questi giudici, una volta eletti, non sono rappresentanti del popolo, come vuole la Costituzione? L'Anm li considera solo rappresentanti della casta giudiziaria?

Oppure la magistratura associata intende affidarsi alla difesa ostruzionistica, contro i referendum, di determinati partiti: magari del Pci, confermando la scelta già fatta in Csm quando la maggioranza dei membri togati del Csm votò come vicepresidente il comunista Smuraglia? E' questa l'indipendenza che alcune correnti della magistratura invocano dal potere politico? Una indipendenza che porta a far coincidere le posizioni e gli interessi della magistratura con quelli di un partito politico, o di alcuni partiti politici?

Tanto più gravi appaiono questi attacchi perché la magistratura ha poteri propri molto importanti, e ha anche in materia referendaria funzioni di controllo e di garanzia: gli attacchi dell'Anm possono apparire come una illegittima pressione antireferendaria nei confronti dei magistrati che sono chiamati ad esercitare quelle funzioni.

Una risposta meritano infine le forsennate accuse ai promotori dei referendum da parte dei rappresentanti di Magistratura democratica. Siamo stati accusati di voler difendere il potere politico dai poteri di controllo e di inchiesta della magistratura. Forse Accattatis, Coiro e Palombarini sono stati colpiti da un annebbiamento della memoria e del giudizio. Hanno dimenticato di aver a che fare con i radicali.

 
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