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NR - 17 aprile 1986
La tua firma per cinque referendum

SOMMARIO: Cinque schede sui quesiti dei referendum sulla giustizia e la caccia.

(Notizie Radicali n· 89 del 17 aprile 1986)

1. Giustizia

RESPONSABILITA' CIVILE DEL MAGISTRATO

»Volete voi l'abrogazione degli articoli 55, 56 e 74 del Codice di procedura Civile approvato con regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1143?

Con l'attuale normativa del Codice di procedura civile in vigore dal 1943 e, per inciso, eredità delle leggi fasciste e del regime poliziesco che gli necessita, nessun magistrato è mai stato condannato al risarcimento del danno civile prodotto. Questo si spiega perché gli articoli 55, 56, e 74, di cui chiediamo l'abrogazione con questo referendum, prevedono speciali limitazioni della responsabilità del magistrato per il danno causato illegittimamente nell'esercizio delle sue funzioni. Infatti, non solo il magistrato riceve un trattamento differenziale e di favore rispetto a qualsiasi altro operatore pubblico, ma viene anche sottratto a quel giudizio di responsabilità che tutela il cittadino dall'esercizio errato o dannoso di alcune delicatissime funzioni private (basta pensare alla responsabilità del medico, dell'ingegnere, del biologo, del chimico...).

Infatti l'articolo 55 del codice di procedura civile recita: "Il giudice è civilmente responsabile soltanto in due ipotesi: 1) quando nell'esercizio delle sue funzioni è imputabile per dolo, frode o concussione; 2) quando senza giusto motivo rifiuta, omette o ritarda di provvedere sulle domande o istanze di parte e, in generale, di compiere un atto del suo ministero". Significa cioè, che il magistrato risponde "solamente" quando produca un danno con dolo, frode o concussione e non quando ciò accada per ignoranza delle leggi, per incompetenza e asineria.

Il paradosso cui si assiste è che la legge non ammette ignoranza se non quella dei suoi massimi amministratori. Il magistrato, insomma, non risponde per colpa grave e gode di un privilegio ingiusto di cui non gode nessun altro operatore pubblico. Il secondo comma dell'articolo 55 rincara la dose poiché, mentre sembra indicare le responsabilità del magistrato che non provveda tempestivamente all'esercizio delle sue funzioni, stabilisce, per contro, che le ipotesi di rifiuto, ritardo ed omissione "possono aversi per avverate solo quando la parte (e cioè chi agisce per conto della parte in causa) ha depositato in cancelleria istanza al giudice per ottenere il provvedimento o l'atto e sono decorsi inutilmente dieci giorni dal deposito". Questa messa in mora è un privilegio straordinario che non è previsto per nessun altro funzionario delle Stato e che non trova nessun altra spiegazione alla propria esistenza se non nella dilatazione della tutela alla irresponsabilità del magistrato.

L'articolo 56 recita: "La domanda per la dichiarazione di responsabilità del giudice non può essere proposta senza l'autorizzazione del ministro di Grazia e Giustizia". Con questo articolo si sottrae al cittadino il diritto sancito dalla Costituzione, ed esteso a tutti, di agire in sede civile e penale per tutelarsi rispetto al danno subito.

Per altro, non si comprende come mai i magistrati che tanto invocano l'autonomia e l'indipendenza del proprio potere non chiedano essi stessi l'abrogazione di un articolo che li "sottopone" all'autorizzazione a procedere e, ovviamente, alla tutela di un organo dell'esecutivo. Con buona pace della separatezza dei poteri(!), l'articolo 74 estende i privilegi sulla responsabilità del giudice al pubblico ministero.

L'insieme di questa norma disegna un'area di privilegio e di irresponsabilità che noi chiediamo sia cancellata con l'abrogazione degli articoli 55, 56, e 74 del codice di procedura civile. Se questo dovesse accadere la responsabilità del magistrato sarebbe rimandata alla normativa generale che riguarda i pubblici funzionari con l'estensione della responsabilità ai casi di dolo o colpa grave regolati dagli articoli 22 e 23 del Dpr 10.1.57 n. 3.

2. Giustizia

INQUIRENTE PER I PROCEDIMENTI DI ACCUSA

»Volete voi l'abrogazione degli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 8 della legge 10 maggio 1978, n. 170 recante: "Nuove norme sui procedimenti d'accusa di cui alla legge 25 gennaio 1962, n. 20"?

L'articolo 96 della Costituzione disciplina la procedura per i reati commessi dai membri del governo: "Il presidente del Consiglio dei ministri e i ministri sono messi in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni".

Con questo articolo la Costituzione voleva, giustamente, tutelare l'esecutivo da persecuzioni politiche immotivate e mascherate e prevedere nello stesso tempo giustizia severissima per i reati ministeriali. Attualmente le disposizioni costituzionali sono applicate con la legge 10 maggio 1978 n· 170 (di cui chiediamo l'abrogazione) e dal regolamento parlamentare dei procedimenti di accusa.

Sulla base di queste normative opera la "Commissione inquirente per i giudizi di accusa contro i ministri" nella quale sono presenti i partiti in proporzione agli eletti in Parlamento. La Commissione, cioè, esercita funzioni giudiziarie non solo al fine di riferire alle Camere riunite, a cui viene sottoposta la proposta finale, ma anche per quanto riguarda la ammissibilità di prove e di testimoni. Questa funzione della commissione, che come si vede è molto estesa oltre che decisiva per l'acquisizione degli elementi conoscitivi sui casi che esamina, è sottoposta ai patteggiamenti e ai ricatti partitocratici. La conseguenza è che, quando il lavoro istruttorio arriva in aula (se non viene archiviato prima con il voto dei 4/5 dei commissari) manca di tutti gli elementi necessari per una reale valutazione dei fatti. Quello che si vuole ottenere con il referendum abrogativo è che il lavoro istruttorio sulle responsabilità dei ministri venga affidato ad un organo veramente imparziale, capace di raccogliere prove,

di ascoltare testimonianze e di formulare proposte alle Camere che siano libere da pressioni politiche e da volontà strumentalizzatrici. Allo stato attuale queste garanzie non esistono e la Commissione inquirente funziona per "assolvere" i ministri ladri e corrotti.

A memoria d'uomo, infatti, l'unica caso di processo per i reati ministeriali giunto a sentenza è stato il caso Lockheed. Tutti ricorderanno la portata dello scandalo di fronte al quale la commissione, assediata dall'opinione pubblica, non ha potuto insabbiare.

I casi, invece, di archiviazione sono 140 nelle sole due ultime legislature. Di queste 140 -ripetiamo tutte archiviate- 26 hanno avuto la maggioranza dei 4/5 dei commissari e non c'è stato neppure il voto di aula, per 6 erano trascorsi i termini della denuncia o era morto l'inquisito e per 9 la commissione si è dichiarata incompetente.

A questo ultimo gruppo appartiene il caso Valpreda per i quali furono denunciati per falsa testimonianza e favoreggiamento Tanassi, Andreotti e Rumor, oltre all'allora ministro della Giustizia Mario Zagari. In quel caso la commissione deliberò l'archiviazione per i ministri e trasmise gli atti alla Procura della Repubblica di Milano per tutti gli altri. Come a dire che ravvisava i reati ma che copriva con l'immunità i ministri.

Ma vediamo alcuni altri casi esemplari:

Caso traghetti d'oro: Non si procede e si archivia per il ministro della Marina mercantile Gioia, si trasmettono gli invece atti alla Procura della Repubblica di Messina per tutti gli altri imputati.

Corruzione e malcostume: Archiviata la denuncia riferita a De Mita allora ministro per il Mezzogiorno.

Caso Sindona: Archiviate due denunce a carico di Andreotti, allora presidente del Consiglio, per i rapporti con il bancarottiere.

Caso P2: Archiviate due differenti denunce sulla responsabilità di Andreotti, allora ministro della Difesa, e di Tanassi ministro per la Finanza per la nomina del generale piduista Raffaele Giudice a comandante della Guardia di Finanza.

Caso P2: Insabbiate due denunce contro Spadolini, allora presidente del Consiglio, per le attività illegali del Sismi (servizio segreto militare) nel recupero dell'archivio di Gelli.

Caso P2: Insabbiata la denuncia contro Andreotti, allora ministro della Difesa, accusato di aver favorito (peculato e corruzione) le forniture di materassi permaflex alle Forze armate tramite Licio Gelli.

Caso Fioroni: Archiviata la denuncia contro Spadolini, allora presidente del Consiglio, Rognoni, ministro degli Interni e Darida, ministro di Grazia e Giustizia, per aver favorito la fuga all'estero di Carlo Fioroni fornendogli, per giunta, un passaporto falso...

Nelle ultime due legislature il solo Andreotti è stato "salvato" dalla Commissione ben 14 volte.

Questi esempi illustrano adeguatamente la necessità di abrogare una commissione la cui funzione è divenuta quella della tutela dei ministri ladri e corrotti che, grazie ad essa, non pagano mai per le loro malefatte.

3. Giustizia

RIFORMA ELETTORALE DEL CSM

»Volete voi l'abrogazione degli articoli 25, 26 e 27 della legge 24 marzo 1958, n. 195 recante "Norme sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura" così come risultanti delle successive modificazioni e integrazioni della legge stessa?

Il Consiglio superiore della magistratura è l'organo di governo della magistratura cui spettano, in base alla Costituzione, le assunzioni, i trasferimenti, le promozioni ed i provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati. Il Csm è presieduto dal presidente della Repubblica e i suoi componenti sono eletti per due terzi (20) da tutti i magistrati e per un terzo (10) dal Parlamento in seduta comune; questi ultimi sono scelti fra professori di materie giuridiche o avvocati.

L'attuale sistema per l'elezione dei membri espressi dalla magistratura si basa sulla ripartizione proporzionale tra liste concorrenti che fanno capo alle diverse correnti della cosiddetta »magistratura associata .

Lo scopo che ci proponiamo con il referendum è quello di eliminare l'attuale sistema elettorale dei membri togati del Csm, poiché questo produce e favorisce il dominio assoluto delle correnti organizzate della magistratura, tanto da determinare chi debba essere eletto. Questo meccanismo elettorale provoca la formazione di liste rigide di candidati e produce una composizione del Csm divisa per gruppi o fazioni rigidamente orientati in quanto espressione di una lista e di una corrente.

Questa composizione dell'organo ha per conseguenza la sempre più marcata partitizzazione della magistratura attraverso il controllo politico di un organo che, secondo la Costituzione, dovrebbe avere essenzialmente funzioni di alta amministrazione.

In questi anni il Csm è diventato qualcosa di assai diverso rispetto a quanto previsto nella Costituzione. Sempre più spesso è divenuto portavoce di interessi della »categoria dei magistrati, a volte difensore strenuo di privilegi e guarentigie della magistratura che la società civile sentiva come insopportabili, o di magistrati avventurieri che approfittavano dei poteri loro riservati per condurre le loro campagne politiche. Il Csm è divenuto organo che detta la »politica giudiziaria , con le sue »risoluzioni strategiche tese ad indirizzare l'attività dei magistrati verso la repressione di volta in volta di questo o quel fenomeno criminale, e cioè contro la Costituzione che vuole ogni singolo magistrato soggetto soltanto alla legge e senza vincoli di subordinazione gerarchica. Di fatto, il Csm, attraverso la sua attività impropria di parlamentino dei magistrati e di cassa di risonanza degli interessi della categoria, è venuto meno alla sua funzione di organo di garanzia della autonomia dei magistrati e di

indipendenza dell'ordine giudiziario.

La partitizzazione della magistratura, di cui il sistema elettorale del Csm costituisce un incentivo, influenza l'intera macchina della giustizia in quanto i singoli magistrati sono indotti, dovendo far capo alle correnti organizzate, a fare la »politica della giustizia propugnata dalla corrente di appartenenza con conseguenze disastrose nei rapporti tra cittadino e legge, non essendo più garantiti certezza del diritto ed eguale trattamento di fronte alla legge.

Questa degenerazione del sistema determina inoltre uno squilibrio assai pericoloso tra i poteri costituzionali, come è chiaramente emerso di recente nelle polemiche tra il presidente della Repubblica Cossiga ed i membri togati del Csm, polemiche nate appunto dalla volontà di Cossiga di ricondurre l'attività del Csm nell'alveo della normalità costituzionale dopo anni di abusi e sviamenti.

Se dovessimo aspettare che il Parlamento approvi la riforma del Csm secondo i suoi ritmi, dovremmo aspettare almeno fino al 2000 se è vero, come è vero, che una proposta di riforma che non cambiava quasi nulla è stata bloccata per anni da interventi pesanti di tutte le correnti della magistratura, pellegrinaggi di magistrati presso le sedi di partito ed estenuanti convegni di esperti. Con il referendum otteniamo due effetti, quello di abrogare le norme che favoriscono le peggiori degenerazioni del Csm e quello di offrire al paese la possibilità di una approvazione rapida di norme radicalmente diverse (il sistema maggioritario anziché proporzionale, il candidato unico per ogni collegio anziché la lista rigida di corrente) che servano a valorizzare le qualità professionali ed umane dei singoli candidati facendo venir meno le ragioni della partitizzazione dei magistrati.

Con ciò riconquisteremo per noi e per tutti quella certezza del diritto che l'attuale sistema non è più in grado di garantire. Una battaglia di civiltà in cui speriamo di trovare alleati anche molti magistrati italiani, convinti come siamo che la grande maggioranza dei giudici in Italia soffra come noi della condizione della giustizia e sia ingiustamente coinvolta nel discredito prodotto da pochi avventurieri. Ricostruire la fiducia di cui deve godere il magistrato. Questo è, tra gli altri, uno dei più importanti motivi di questa nostra iniziativa referendaria.

4. Caccia

RIFORMA DELLA LEGGE 968

»Volete voi l'abrogazione degli articoli 2, 3, 4, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33 della legge 27 dicembre 1977 n. 968: "Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia"?

Sono passati sei anni dalla prima proposta di un referendum nazionale sulla caccia: da quando, cioè, ottocentomila cittadini sottoscrissero una proposta referendaria del Partito radicale, degli Amici della Terra e della Lega anticaccia che chiedeva l'abrogazione della legge 968 del 77. Un sondaggio Doxa pubblicato dall'»Espresso del 16 dicembre 1980, indicava che il 53% degli italiani era per la completa abolizione della caccia e solo il 16% per il suo mantenimento. Da allora le condizioni della fauna si sono pesantemente aggravate, mentre nessuna delle misure restrittive dell'attività venatoria, più volte prospettate, si è realizzata. Ciò che, piuttosto, è andato avanti, nel Parlamento e nel paese, in coincidenza col tentativo di promuovere l'incongrua figura del »cacciatore ecologo , sono proposte di riaffermazione di una caccia permissiva, incontrollata ed incontrollabile: la proposta di legge Menghetti per il ripristino della caccia primaverile, la proposta Rosini per la depenalizzazione dei reati venat

ori, la nota proposta Pacini-Fiocchi per il falso recepimento della direttiva europea, fino alla proposta di riforma in materia di sport che mira ad assicurare nuovi flussi di pubblico denaro per le associazioni venatorie.

L'Italia, inoltre, è stata e resta inadempiente rispetto all'applicazione delle normative comunitarie in materia di caccia. Per la violazione della direttiva Cee 79/409 il nostro paese è stato denunziato, da parte della Commissione Cee, alla Corte di giustizia europea (18.8.85). In particolare, la Commissione ha osservato la sostanziale inottemperanza da parte dell'Italia delle norme riguardanti la commercializzazione delle specie protette, i metodi di caccia vietati e l'apertura della caccia durante i periodi di nidificazione.

La Commissione ha quindi richiesto una riunione speciale alle autorità italiane, che si è svolta a Roma il 14 e 15 ottobre 1985, per comunicare loro che con l'eventuale approvazione del progetto di legge Pacini-Fiocchi (che in teoria avrebbe dovuto applicare finalmente la direttiva) si resterebbe ampiamente al di fuori della normativa comunitaria. Specialmente le disposizioni concernenti le specie cacciabili, la concessione delle deroghe, i metodi di caccia, il calendario venatorio sono, a giudizio della Commissione, assolutamente difformi rispetto alla direttiva.

Allo stato attuale l'Italia ha una densità di cacciatori per Kmq pari al 5,25. Gli è seconda la Francia con 3,80 e poi la Gran Bretagna con 3,51. Negli altri paesi europei si scende progressivamente fino ad arrivare allo 0,70 della Germania occidentale.

Per quanto riguarda i colpi sparati, neppure il poderoso »Compendio di dati sulle popolazioni ed i carnieri , edito dalla »Federazione delle associazioni venatorie della Cee , riesce ad indicare la cifra dell'Italia, sulla quale »non c'è alcuna informazione sul livello degli abbattimenti .

Per fare un calcolo bisogna allora rifarsi alle cartucce consumate che, secondo le diverse versioni, sono fra i cinquecento e gli ottocento milioni per ogni stagione di caccia. Ovviamente non tutti i cacciatori hanno le stesse capacità di mira, ma anche presupponendo che vada a segno solo un colpo su cinque, è facile dedurre come ogni anno vengano uccisi almeno cento milioni di animali. Una strage di tali dimensioni è comunque inferiore a quella che il complesso delle disposizioni vigenti autorizza teoricamente: la lunghezza dei calendari venatori, combinata col carniere potenzialmente raggiungibile e col numero dei cacciatori, consentirebbe in Italia l'abbattimento di quasi un miliardo di capi in un anno.

Inoltre l'esistenza, sul territorio nazionale, di un milione e mezzo circa di fucili da caccia è una minaccia costante all'incolumità personale ed una causa di numerose tragedie. Da una parte, infatti, ci sono i veri e propri incidenti di caccia, dall'altra tutti quei delitti e incidenti dovuti all'occasionale presenza di un'arma da fuoco a portata di mano.

Le cifre fanno spavento, in tutti e due i casi: uno studio pubblicato in Germania da Conrad Poltz calcola per l'Italia in circa trenta il numero di vittime di incidenti per ogni stagione di caccia, ed in quasi tremila quello dei feriti; una ricerca svolta a partire dalle cronache della stampa quotidiana ha constatato che negli anni scorsi si sono verificati dai venti ai trentatré incidenti mortali ogni anno. Ci sono poi alcune giornate nelle quali il nostro territorio è teatro di una vera e propria battaglia: sono in particolare i giorni dell'»apertura e della cosiddetta »preapertura di agosto . Nel 1985, ad esempio, in queste due sole giornate si sono registrati sette morti (due in Calabria, uno in Toscana, Marche, Sardegna, Piemonte e Umbria) e decine di feriti, tra cui un bambino di due anni.

La reiterata e colpevole rinuncia, da parte dello Stato, alla tutela di un patrimonio naturale irripetibile e che appartiene a tutti i cittadini, il silenzio e l'indifferenza verso richieste che vengono da grandi settori dell'opinione pubblica, rendono oggi obbligatorio il ricorso alla democrazia diretta, attraverso l'indizione di questa campagna referendaria contro la caccia su tutto il territorio nazionale.

Lo scopo del referendum è quello di abrogare gran parte della legge 968/77 »Principi generali e disposizioni per la tutela della fauna e della disciplina della caccia . Senza alcun dubbio infatti, quand'anche si giungesse ad una legge sulla regolamentazione della caccia che ne limitasse il periodo dal 1· ottobre al 31 dicembre; che proteggesse rigidamente i migratori (che, peraltro appartengono alla Comunità europea); quand'anche si vietasse ai cacciatori di muoversi su tutto il territori nazionale e si abolissero i cosiddetti »richiami vivi e la facoltà di uso del fucile a 3 colpi, la decisione irrinunciabile resta la totale sospensiva di ogni attività venatoria per almeno 5 anni.

Altrimenti la grave carenza di strutture di vigilanza e l'impossibilità di un censimento delle risorse faunistiche renderebbe vana ogni regolamentazione su una questione che interessa la maggioranza dei cittadini stanchi di sopportare che la natura resti proprietà privata di un esercito di quasi un milione e mezzo di cacciatori.

5. Caccia

ABOLIZIONE DELL'ART. 842 DEL CODICE CIVILE

»Volete voi l'abrogazione dell'art. 842 del Codice civile (caccia e pesca) approvato con regio decreto del 16 marzo 1942 n. 262?

Il secondo dei due referendum sulla caccia si spiega obiettivamente da se stesso perché chiede l'abrogazione di un solo articolo del Codice civile, l'842, che la dice lunga sull'arroganza della corporazione dei cacciatori e delle associazioni venatorie.

Infatti l'articolo 842 consente ai soli cacciatori, dotati evidentemente di fucile e di licenza di caccia, l'accesso ai fondi agricoli privati.

In aggiunta a ciò pone i proprietari del terreno condizioni insostenibili per vietare l'accesso ai cacciatori. E cioè; una recinzione metallica di almeno un metro e ottanta di altezza o un fossato profondo un metro e largo tre. Lasciamo ai professori di diritto privato la disamina dell'incongruenza di questo vero e proprio privilegio ad uso e consumo della casta dei cacciatori che, oltre a considerare »res nullius le specie animali a cui danno la caccia su tutto il territorio nazionale spostandosi dove meglio e più gli aggrada, si spingono fino a considerare terra di nessuno la proprietà privata.

A queste considerazioni si aggiungono quelle derivanti dal danno che i contadini subiscono col passaggio di cani e di cacciatori nelle colture in crescita oltre ai rischi accidentali, ma pure sempre presenti, di incidenti mortali perché si è scambiato il contadino per un cinghiale... Allo stato delle cose resta dunque il paradosso che un amatore di animali che ne voglia studiare il comportamento munito di un'inoffensiva macchina fotografica non può accedere ad un fondo privato, senza incorrere in sanzioni. Un cacciatore dotato di fucile può invece farlo ed è protetto dalla legge.

E' evidente che se dovesse -come speriamo- essere abrogato l'articolo 842, non saranno in molti a rimpiangerlo; anzi la maggioranza tirerebbe un sospiro di sollievo per la cessazione di un privilegio che ha, a ben pensarci, uno spiccato carattere di incostituzionalità.

 
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