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Chiola Claudio - 8 maggio 1986
CESSAZIONE DELLE ATTIVITA' DEL PR
Un parere del Prof. Claudio Chiola

SOMMARIO: Il prof. Claudio Chiola analizza le diverse ipotesi giuridiche relative alla validità di una decisione di chiusura del partito che veda affidati la tutela del nome e del simbolo del Partito stesso, la sua ordinaria amministrazione, l'acquisizione dei finanziamenti pubblici, ecc. ad un "nuovo organo transitorio composto di 3 membri nominati dall'Assemblea". Dopo una lunga disamina della complessa problematica e delle perplessità sollevate dalla soluzione del cosidetto "triumvirato", il prof. Chiola conclude che "l'ipotesi della riduzione dell'intero partito ai triumviri mi sembra di difficile legittimazione. La creazione di un triumvirato sarebbe ammissibile solo a condizione di accentuare la transitorietà (anche se d'incerta durata) e la strumentalità politica della decisione".

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In merito all'ipotesi abbozzata nel nostro ultimo colloquio secondo la quale la cessazione dell'attività del Partito dovrebbe comunque prevedere la costituzione di un nuovo organo transitorio composto di 3 membri nominati dall'Assemblea (oltre a 3 supplenti) cui affidare, oltre alla tutela del nome e del simbolo del Partito, l'ordinaria amministrazione, l'acquisizione dei finanziamenti pubblici, nonché l'attribuzione degli stessi ai gruppi parlamentari del P.R., occorre osservare:

1. L'istituzione di un organo straordinario comporta una modifica statutaria.

Il silenzio dello Statuto P.R. sulle modifiche determina la necessità di richiamare, analogicamente, il disposto dell'art. 21, 2· c., c.c.

Tale rinvio, peraltro, dovrebbe implicare la presenza dei 3/4 degli associati e il voto favorevole della maggioranza dei presenti.

Accettando la tesi del Tribunale di Roma (30.6.82), che ammette la modifica consuetudinaria di regole scritte dello Statuto, potrebbe sostenersi che il silenzio dello Statuto sulla sua revisione apre maggiori spazi alla formazione consuetudinaria di regole procedimentali, come anche ad accordi tra gli associati raggiunti oralmente.

Vera la premessa potrebbe sostenersi che tutte le modifiche fino ad oggi apportate allo Statuto del P.R. sono state adottate dall'Assemblea a maggioranza semplice dei presenti.

2. La creazione di un triumvirato sul quale si concentrino tutti i poteri residui del partito-Associazione, può sollevare, in generale, delle perplessità, anche se non appaiono irresolubili. Così, anche ad ammettere che l'organizzazione di un'associazione non riconosciuta deve prevedere la necessaria presenza dell'assemblea degli associati (Cass. 10.7.75, n. 2714, ma, implicitamente contraria, Cass. 3.XI.81, n. 5791), potrebbe replicarsi che i triumviri costituiscono in realtà, sia pure eccezionalmente e transitoriamente, tutti gli associati.

Contestualmente alla creazione di tale organo nell'ipotesi che mi è stata prospettata, si prevede infatti che l'iscrizione (annuale) degli associati al partito non abbia più luogo (per i triumviro occorrerà prevedere un'esplicita deroga statutaria sul punto).

Il principio del pluralismo necessario degli organi (GALGANO, "Delle associazioni non riconosciute", Comm. Scialoja e Branca, 1967, 36 ss), può invece ritenersi infondato (BASILE, "Gli enti di fatto", Tratt. Rescigno, 299).

3. Piuttosto, se, in generale, la riduzione del numero dei soci non implica scioglimento dell'associazione, la riduzione a 3 soltanto potrebbe determinare l'impossibilità del partito a raggiungere lo scopo (Cons. Stato 12.2.60, in "Foro Amm." 1960, I, 837), che è quello, costituzionalmente vincolato, di consentire ai cittadini di concorrere a determinare la politica nazionale.

Nell'ipotesi in esame s'intrecciano diversi problemi: l'esclusione del diritto di ammissione al partito; lo scioglimento "giudiziale" dell'associazione-partito per l'impossibilità di raggiungere lo scopo; il contrasto della delibera con l'ordine pubblico.

In ordine al primo punto, anche a voler negare che la tutela concessa al partito dall'art. 49 C. sia funzionale al "diritto" di tutti i cittadini ad essere ammessi al partito prescelto (ESPOSITO, "Saggi", 225), in quanto va anche tutelato il "diritto" del partito a gestire le richieste di ammissione per conservare la propria identità ideologica-programmatica (BARDUSCO, "L'ammissione del cittadino ai partiti", Milano 1967, 97 ss.), una delibera, non soltanto di totale chiusura all'esterno, ma di sostanziale svuotamento di un partito politico, contrasta con il limite di esistenza del partito. Tale delibera, peraltro, oltre a facoltizzare l'intervento giudiziale in chiave di scioglimento del partito ex art. 27 c.c. (la tesi dell'inapplicabilità di tale norma al partito presuppone l'accentuazione del carattere "istituzionale" dello stesso rispetto a quello meramente "associativo"), è, con ogni probabilità, annullabile ex art. 23 c.c. (sull'applicabilità dell'art. 23 c.c. ai partiti, si veda Cass. S.U. 4.12.84, n

. 6344, in "Foro it." 1985, I, 321) per contrasto con l'ordine pubblico, cioè con uno dei principi fondamentali del nostro ordinamento quale dovrebbe essere quello della necessaria disponibilità dei partiti a fungere da veicoli democratici per la collettività.

Né, come ho già detto nel precedente scritto, varrebbe accentuare il carattere istituzionale del partito per negare ingresso all'azione ex art. 23 c.c.

Lo svuotamento del partito contrasterebbe infatti con l'essenza stessa dell'istituzione "sociale"-partito.

Riterrei eccessivamente ottimistico, anche in ordine a tale evenienza ed in omaggio alla natura di "istituzione" del partito, pensare di mantenere il sindacato giudiziale nei ristretti confini del rispetto delle sole regole procedimentali.

D'altro canto, mi sembra difficile da condividere la tesi secondo cui lo "svuotamento" come misura politica incide sull'operatività del partito, come strumento democratico, allo stesso modo dell'eventuale esautoramento dell'organo assembleare (che sembra ammissibile - Cfr. per le associazioni, Cass. 3.XI. 81, n. 5791).

Si può infatti facilmente obiettare che, se quest'ultima ipotesi contrasta con il limite della democrazia interna (della cui immediata operatività, oltretutto, può dubitarsi), la chiusura del partito con l'eliminazione di tutti i vecchi iscritti, non costituisce soltanto violazione di un limite, ma negazione della stessa funzione del partito come mezzo di determinazione della politica nazionale.

4. Per evitare intromissioni giudiziali, d'altro canto, non varrebbe nemmeno sostenere, oltre al carattere "istituzionale" del partito, addirittura, il livello "sovrano" (TARANTINO, "I partiti e la loro natura giuridica: punti di orientamento", in "Dir. e Soc." 1980, 23 ss.).

Potrebbe infatti obbiettarsi che, sebbene la sovranità implichi insindacabilità, quest'ultima garanzia viene meno nel caso in cui l'istituzione, negando i suoi stessi presupposti costitutivi, si trasformi in una ridottissima e nuova associazione politica.

Per evitare interventi dell'Autorità giudiziaria e soprattutto decisioni condotte alla stregua del parametro delle regole di diritto, non resterebbe quindi che introdurre, con modifica statutaria, una clausola compromissoria per l'arbitrato irrituale, con conseguente deferimento della decisione inoppugnabile di ogni controversia agli arbitri amichevoli compositori.

5. Sul fronte del finanziamento pubblico, mentre un'azione tendente ad accertare la validità della delibera di cessazione dell'attività del partito con contestuale creazione di un organo provvisorio per la gestione dell'amministrazione non dovrebbe incidere sull'obbligo del pagamento del contributo al partito ex art. 3 l. 195/'74 (salvo che in ordine al soggetto abilitato alla riscossione), l'eventuale azione di accertamento circa la sopravvivenza o meno del partito potrebbe determinare il blocco del pagamento conseguente la deposito bancario della somma destinata al contributo (art. 4 l. 195/'74).

Purtroppo, sempre in base all'articolo da ultimo richiamato, le controversie in ordine alla riscossione dei contributi sono riservate alla decisione degli Uffici di Presidenza della Camera e del Senato.

Autodichiarazione di dubbia legittimità che, peraltro, per essere rimossa, implica una sentenza di accoglimento della Corte costituzionale.

Comunque, anche a voler attribuire all'intervento degli Uffici di Presidenza la stessa natura di un ricorso amministrativo, non alterativo, in quanto tale, all'azione giudiziale, la natura politica dell'organo che gestisce i contributi creerebbe comunque delle difficoltà ad ammettere la competenza del Giudice ordinario (si veda, ad esempio, per gli atti della Commissione parlamentare di vigilanza, la sentenza delle S.U. della Cassazione 25.11.1983, n. 7072).

6. La soluzione intermedia di una delibera di cessazione adottata l'1.XI.86 con fissazione del termine di operatività al 1.7.87 e che potrebbe essere motivata con l'esigenza di verificare le reazioni politiche alla decisione del P.R., presuppone, a mio avviso, il congelamento delle iscrizioni e la proroga dei vecchi iscritti come anche di tutto l'apparato esistente, anche se dotato dei soli poteri d'ordinaria amministrazione.

Peraltro, un problema da risolvere, è quello dell'individuazione dell'organo dotato del potere di compiere la valutazione politica dell'operatività o meno del trapasso dal vecchio sistema al nuovo triumvirato.

In analogia con la necessità di attribuire all'organo straordinario la valutazione politica della ripresa dell'attività del partito attraverso la decisione della riapertura delle iscrizioni, potrebbe conferirsi al medesimo organo il potere di valutare politicamente l'opportunità di sospendere l'operatività della delibera di cessazione, attraverso la convocazione del Congresso con i vecchi iscritti "prorogati".

7. Per il simbolo del P.R., "la rosa nel pugno", da tutelare in caso di cessazione dell'attività non più come strumento che garantisce la libertà di scelta degli elettori, ma soltanto come diritto soggettivo al proprio segno distintivo, vorrei conoscere la situazione che si è determinata dopo la sentenza del Tribunale di Roma 27.4.81 (citato da BETTINELLI, "Alla ricerca del diritto dei partiti politici", RTDP 1985, 1042), con la quale, Autore e quindi titolare del diritto morale e patrimoniale sul simbolo è stato riconosciuto il creatore dell'opera.

Tale circostanza potrebbe avere rilevanza qualora, in caso di cessazione dell'attività, si neghi la sopravvivenza del partito.

Il simbolo, infatti, non essendo coperto dal diritto di Autore spettante al P.R. in quanto creato da altri, non potrebbe essere tutelato nemmeno come segno distintivo nei confronti dei partiti "concorrenti", giacché venendo meno il partito, cade anche la possibilità di confusione tra due soggetti non più omogenei.

In conclusione, l'ipotesi della riduzione dell'intero partito ai triumviri, mi sembra di difficile legittimazione.

La creazione di un triumvirato sarebbe ammissibile solo a condizione di accentuare la transitorietà (anche se d'incerta durata) e la strumentalità politica della decisione.

Inoltre, affiancherei l'ipotesi della creazione di un organo eccezionale con l'immissione in Statuto di una riserva di arbitrato irrituale, fissando quale regola-limite per l'istituendo collegio arbitrale, l'assoluta insindacabilità delle delibere quanto al loro contenuto, purché rispondenti a scelte politiche.

 
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