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Santaniello Giuseppe - 8 maggio 1986
CESSAZIONE DELLE ATTIVITA' DEL PR
Un parere del Dott. Giuseppe Santaniello

Presidente di Sezione del Consiglio di Stato

SOMMARIO: Il dr. Giuseppe Santaniello esamina i problemi che possono insorgere a seguito di una eventuale "delibera di cessazione delle attività" del partito radicale. Afferma che una delibera di questo tipo è di difficile recezione nell'ambito del sistema giuridico dei partiti "continentali" e dunque di quelli italiani, mentre sarebbe di più semplice attuazione nell'ambito del sistema politico nordamericano. In particolare, sostiene che non sarebbe possibile o sarebbe assai difficile, nella ipotesi della cessazione delle attività, "conseguire la quota di finanziamento pubblico", in quanto la "caducazione dell'elemento funzionale del partito" implicherebbe "il venir meno di uno dei momenti essenziali, cui si riannodano le finalità ispiratrici della normativa di contribuzione pubblica".

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1. Il questionario sulle ipotesi e le conseguenze di una delibera di cessazione delle attività di partito propone problemi particolarmente delicati, dal punto di vista giuridico, soprattutto in relazione all'aspetto nuovo (e privo di specifici precedenti nella storia dei partiti italiani) della "cessazione delle attività di partito". Se tale evenienza fosse da qualificare, da un punto di vista concettuale, come "scioglimento del partito", esso non presenta difficoltà né di inquadramento di una fenomenologia precisa e chiaramente definibile nelle modalità procedimentali da adottare, né nelle soluzioni da seguire. Senonché, nella specie non si tratterebbe di una vera e propria "cessazione dell'esistenza dell'entità-partito", cioè della totale dissoluzione strutturale e funzionale dell'entità-partito, bensì come di una caducazione dell'elemento funzionale. La distinzione (anzi la contrapposizione) fra le due evenienze sembra emergere - tra l'altro - attraverso la formulazione del settimo quesito, nel quale sono

insite sia la previsione di una revocabilità (in presenza di determinate condizioni politiche) della cessazione delle attività e sia la prospettiva di modalità giuridiche necessarie per la loro ripresa.

E' questo "quid nuvum" che rappresenta il nodo problematico più rilevante in subiecta materia. E va anche soggiunto che tale problematicità (che si riflette ovviamente anche ai fini della individuazione della normativa regolatrice del procedimento e delle modalità di cessazione) si avverte particolarmente alla stregua dell'ordinamento dei partiti vigente in Italia.

Se infatti si può seguire una delle tante tipologie dei partiti elaborate dagli studiosi, possono individuarsi tre modelli di partito. Viene individuato, cioè, il partito europeo continentale, che presenta un apparato stabile, si incentra su una forte componente organizzativa, ha un rigido sostrato ideologico e continuamente accresce, sulla base di una intesa articolazione organizzatoria, il numero degli interessati che ad esso fanno capo (il partito piglia-tutto secondo Kircheimer). Profondamente diverso è il partito nordamericano, che non ha apparato stabile: se lo crea di volta in volta in occasione delle elezioni. Stabili sono invece, relativamente, gli esponenti dei gruppi di pressione che aderiscono al partito.

Ancora diverso è il partito inglese. Nasce come partito parlamentare, ossia come supporto organizzativo di gruppi affini di deputati in funzione della campagna elettorale, e mantiene tuttora il carattere parlamentare nel senso dell'indipendenza del Gruppo dal partito: è il gruppo che sceglie il leader del partito ed è il leader che sceglie i propri principali collaboratori con i quali elabora il programma elettorale. Il corpo elettorale (dato il sistema rigidamente maggioritario tendente al bipartitismo, che realizza una democrazia di tipo "immediato", non mediata cioè dalle decisioni dei vertici di partiti) viene così chiamato a votare uomini e programmi (men and measures).

La premessa "tipologica" or delineata non è fine a se stessa, ma vale a porre in risalto come il problema della cessazione di attività si presenti più agevole, nelle prospettive e nelle soluzioni, in un ordinamento partitico di stampo nordamericano che non in un sistema giuridico quale quello italiano. Il che comporta necessariamente che i punti problematici indicati nel questionario possono ricevere soluzione non più in base a parametri normativi (tratti dal diritto pubblico od anche da quello privato) specifici e circoscritti, ma piuttosto in base a processi analogici o a rifacimenti a principi generali derivabili dal sistema.

2. Passando ai singoli quesiti, si ritiene che:

a) per deliberare la "cessazione delle attività di partito" non sembra necessaria l'introduzione di modifiche statutarie, ma appaiono sufficienti, a tal fine, le disposizioni racchiuse nel vigente statuto. L'atto deliberativo dell'evenienza considerata sembra dover promanare dall'"organo deliberativo del partito", cioè dal congresso, che, alla stregua delle prescrizioni statutarie "stabilisce gli orientamenti e l'indirizzo politico, fissandone gli specifici obiettivi".

b) quanto alla necessità di far luogo a un organo apposito preposto alla liquidazione di tutte le pendenze (patrimoniali, finanziarie, etc.), sembra che tale esigenza effettivamente sussiste. E, in proposito, può configurarsi l'applicabilità (in via di assimilazione analogica) di quell'organo liquidatorio e di quel procedimento liquidatorio, previsti dagli artt. 30 cod. civile e II-21 disposizione di attuazione. Il procedimento medesimo, come è noto, è esplicitamente previsto nel nostro ordinamento per lo scioglimento delle associazioni non riconosciute: e ormai costituisce ius receptum l'assunzione dei partiti nel novero di "associazioni non riconosciute".

c) all'organo liquidatore (o, comunque, all'organo da individuare come depositario del nome e del simbolo del partito) può essere affidato il compito "garantistico" di vigilare a che, dopo la cessazione delle attività di partito, il nome e il simbolo stessi non siano utilizzabili e riattivabili da nessuno;

d) una particolare problematicità inerisce al quesito se, nonostante la decisione di cessazione delle attività di partito, il Gruppo parlamentare (o altro organo espresso dal congresso: organo liquidatore o organo depositario del nome e del simbolo) possa divenire il destinatario della quota di finanziamento pubblico.

Già il tema del finanziamento pubblico (e soprattutto lo specifico profilo inerente alla natura giuridica, alla "qualificazione" tipologica della contribuzione pubblica e alla caratterizzazione dell'ispirazione di fondo della legge in materia) è tra i più controversi. Basti ricordare che si configurano, in tale campo, molte (e spesso contrapposte) ipotesi ricostruttive.

Tuttavia, nei contributi dottrinali attinenti all'analisi del finanziamento pubblico, è affiorata, in prevalenza, la tesi secondo cui il finanziamento avrebbe ad oggetto il partito "per la sua estrinsecazione durante tutto l'arco della legislatura" e "per l'attività che esso svolge di formazione dell'opinione pubblica".

Sulla base di tali tesi, la possibilità di conseguire la quota di finanziamento per il 1987 può dare adito a dubbi, ove si ritenga che la "caducazione dell'elemento funzionale del partito" (e cioè lo svolgimento del complesso di attività ad esso spettanti) implichi il venir meno di uno dei momenti essenziali, cui si riannodano le finalità ispiratrici della normativa di contribuzione pubblica.

Anzi più specificamente possono profilarsi due ipotesi: a) se il requisito dell'attività è da intendersi come un dato permanente e continuo in ogni fase e anno della legislatura, appare incerto il diritto a conseguire la quota del 1987;

b) se invece il requisito medesimo può intendersi come riferito all'attività complessivamente esplicita del partito nell'arco di una legislatura, non è configurabile la possibilità di attribuzione di detta quota.

 
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