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Camera dei deputati - 9 luglio 1986
RESPONSABILITA' CIVILE: Referendum per l'abrogazione degli artt. 55, 56 e 74 del codice di procedura civile - Responsabilità civile del magistrato

SOMMARIO: Scheda sul referendum abrogativo delle norme che limitano i casi di responsabilità civile dei magistrati, promosso dal Partito radicale e dal Psi. Sentenza della Corte costituzionale

(CAMERA DEI DEPUTATI - QUADERNI DI DOCUMENTAZIONE DEL SERVIZIO STUDI - IL REFERENDUM ABROGATIVO IN ITALIA: LE NORME, LE SENTENZE, LE PROPOSTE DI MODIFICA, Roma 1981 - Aggiornamenti successivi)

9 luglio 1986: presentazione della richiesta

13 dicembre 1986: Ordinanza Ufficio centrale della Corte di cassazione che dichiara legittima la richiesta

16 gennaio 1987: Sentenza n. 26 della Corte costituzionale che dichiara la ammissibilità della richiesta

5 aprile 1987: D.P.R. di indizione del referendum

7 agosto 1987: L. 332/1987 ``Deroghe alla L. 25.5.1970, n. 352, in materia di referendum''

4 settembre 1987: D.P.R. di nuova indizione del referendum

8-9 novembre 1987: Svolgimento del referendum

Voti attribuiti alla risposta affermativa (SI): 20.770.334

Voti attribuiti alla risposta negativa (NO): 5.126.021

9 dicembre 1987: D.P.R. n. 497 di abrogazione degli artt. 55, 56 e 74 del codice di procedura civile

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CORTE COSTITUZIONALE

SENTENZA 16 GENNAIO 1987 N. 26

(...)

"Considerato in diritto":

1. - La richiesta di "referendum" abrogativo, dichiarata legittima con ordinanza del 15 dicembre 1986 dall'Ufficio centrale per il "referendum" costituito presso la Corte di cassazione, ha per oggetto gli artt. 55, 56 e 74 del codice di procedura civile, approvato con regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1443. Fra essi, l'art. 55 delimita i casi nei quali il giudice è civilmente responsabile; l'art. 56 condiziona in vario modo l'esercizio della relativa azione; l'art. 74 estende tali norme anche ai magistrati del pubblico ministero che intervengono nel processo civile.

2. - La richiesta referendaria deve essere ammessa.

Non è dato, infatti, di ravvisare né alcuna della cause ostative espressamente indicate nell'art. 75, secondo comma, della Costituzione, né alcuna delle ragioni di inammissibilità desumibili dall'ordinamento costituzionale (v. sentenza n. 16 del 1978).

3. - Più in particolare, non appare seriamente contestabile l'omogeneità ed univocità di un quesito con cui si viene a coinvolgere nella sua interezza lo specifico regime che, allo stato attuale della legislazione, contraddistingue la responsabilità civile dei magistrati.

Del pari, non sembra sostenibile che si sia in presenza di disposizioni legislative assimilabili alle norme costituzionali sotto il profilo della resistenza all'abrogazione e, quindi, tali da fruire di una precisa "copertura costituzionale": gli articoli del codice di procedura civile oggetto del quesito referendario non sono certo dotati di una forza passiva che li renda insuscettibili di essere validamente abrogati da una legge ordinaria successiva.

Né può dirsi, infine, che si tratti di disposizioni legislative "a contenuto costituzionalmente vincolato", nel senso che esse, considerate nel loro nucleo normativo, darebbero vita all'unica disciplina della materia consentita dalla Costituzione.

4. - Che qui vi sia posto per scelte legislative discende proprio dall'art. 28 della Costituzione, dove - come questa Corte ha già avuto modo di precisare (v. sentenza n. 2 del 1968) - trova affermazione "un principio valevole per tutti coloro che, sia pure magistrati, svolgono attività statale: un principio generale che da una parte li rende personalmente responsabili, ma dall'altra non esclude, poiché la norma rinvia alle leggi ordinarie, che codesta responsabilità sia disciplinata variamente per categorie o per situazioni". Scelte plurime, anche se non limitate, in quanto la peculiarità delle funzioni giudiziarie e la natura dei relativi provvedimenti suggeriscono condizioni e limiti alla responsabilità dei magistrati, specie in considerazione dei disposti costituzionali appositamente dettati per la Magistratura (artt. 101-113), a tutela della sua indipendenza e dell'autonomia delle sue funzioni.

5. - Quanto all'eventualità che un favorevole risultato del "referendum" non accompagnato da un immediato intervento del legislatore dia luogo a situazioni normative non conformi alla Costituzione, va ancora una volta ribadito (v. già sentenze n. 251 del 1975, n. 16 del 1978, n. 24 e n. 26 del 1981) che in questa sede "non viene di per sé in rilievo l'eventuale effetto abrogativo del "referendum"". La prospettata illegittimità costituzionale di una sua possibile conseguenza "non può esser presa in considerazione e vagliata al fine di pervenire ad una pronuncia di inammissibilità del quesito referendario", "tanto più che la conseguente situazione normativa potrebbe dar luogo, se e quando si realizzi, ad un giudizio di legittimità costituzionale, nelle forme, alle condizioni e nei limiti prescritti" (sentenza n. 24 del 1981).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

"ammette" la richiesta di "referendum" popolare per l'abrogazione parziale degli artt. 55, 56 e 74 del codice di procedura civile, approvato con regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1443, dichiarata legittima, con ordinanza del 15 dicembre 1986, dall'Ufficio centrale per il "referendum" costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 1987.

F.to: ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI - GIUSEPPE FERRARI - FRANCESCO SAJA - GIOVANNI CONSO - ETTORE GALLO - ALDO CORASANITI - GIUSEPPE BORZELLINO - FRANCESCO GRECO - RENATO DELL'ANDRO - GABRIELE PESCATORE - UGO SPAGNOLI - FRANCESCO PAOLO CASAVOLA - ANTONIO BALDASSARRE - VINCENZO CAIANIELLO.

GIOVANNI VITALE - "Cancelliere"

 
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