SOMMARIO: Scheda sul referendum abrogativo della Commissione parlamentare che "filtra" i procedimenti penali per i reati ministeriali, promosso dal Partito radicale e dal Psi. Sentenza della Corte costituzionale
(CAMERA DEI DEPUTATI - QUADERNI DI DOCUMENTAZIONE DEL SERVIZIO STUDI - IL REFERENDUM ABROGATIVO IN ITALIA: LE NORME, LE SENTENZE, LE PROPOSTE DI MODIFICA, Roma 1981 - Aggiornamenti successivi)
9 luglio 1986: presentazione della richiesta
13 dicembre 1986: Ordinanza Ufficio centrale della Corte di cassazione che dichiara legittima la richiesta
16 gennaio 1987: Sentenza n. 27 della Corte costituzionale che dichiara la ammissibilità della richiesta
5 aprile 1987: D.P.R. di indizione del referendum
7 agosto 1987: L. 332/1987 ``Deroghe alla L. 25.5.1970, n. 352, in materia di referendum''
4 settembre 1987: D.P.R. di nuova indizione del referendum
8-9 novembre 1987: Svolgimento del referendum
Voti attribuiti alla risposta affermativa (SI): 22.117.634
Voti attribuiti alla risposta negativa (NO): 3.890.111
9 dicembre 1987: D.P.R. n. 946 di abrogazione degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 8 della L. 10 maggio 1978, n. 170 ``Nuove norme sui procedimenti d'accusa''
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CORTE COSTITUZIONALE
SENTENZA 16 GENNAIO 1987 N. 27
(...)
"Considerato in diritto":
1. - Come si è ricordato nella parte narrativa, i promotori insistono nell'affermare che le disposizioni della legge vigente, investite dall'iniziativa referendaria, sono sostanzialmente ripetitive di quelle abrogate, contenute nella l. n. 20/1962. Nonostante sul punto questa Corte sia già intervenuta con la citata sentenza n. 31/1980, non può essere sottaciuto che una sommaria comparazione delle due normative mette facilmente in luce le notevoli differenze, non certo formali.
Già i poteri, attribuiti alla Commissione dall'art. 3 della legge precedente, sono notevolmente più ampi di quanto non lo siano quelli che l'art. 4, quarto comma, della legge attuale conferisce richiamato l'art. 82 Cost.: e ciò non foss'altro che per il potere di disporre direttamente, non solo della polizia giudiziaria, ma di tutta la forza pubblica, e di richiedere direttamente l'intervento della Forze armate.
Ma, anche da ciò prescindendo, è certo, comunque, che nella nuova legge sono scomparsi aspetti sostanziali e processuali di non poco rilievo. Non c'è più, infatti, la fattispecie penale di cui all'art. 8 (Rifiuto di obbedienza alla Commissione); non esistono più le prerogative processuali dei funzionari, degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, delle forza pubblica e delle Forze armate, addetti o richiesti dalla Commissione, per fatti compiuti in esecuzione di ordini della Commissione stessa (art. 9); la facoltà di riunione dei procedimenti di cui all'art. 16 della vecchia legge, è stata nell'attuale limitata alle ipotesi di cui ai numeri 1 e 2 dell'art. 45 cod. proc. pen.; è scomparsa l'efficacia preclusiva della definizione del procedimento d'accusa per causa diversa da quella di cui agli artt. 90 e 96 Cost. (art. 15); è caduta l'inopponibilità del segreto d'ufficio o di Stato per l'esibizione di cui all'art. 342 cod. proc pen. da parte di pubblici ufficiali, impiegati e incaricati di pubblico se
rvizio.
E' stato, invece, introdotto "ex novo" nella legge attualmente in vigore della convalida dell'arresto disposto dalla Commissione, ad opera della Camera di appartenenza, per le persone indicate negli artt. 90 e 96 Cost., o della Camera dei deputati per i non parlamentari (art. 2). E' stato altresì fissato un termine perentorio entro cui - salvo una breve proroga - le indagini della Commissione debbono essere concluse (art. 4, secondo comma).
Non ci si può, dunque, semplicemente riferire al precedente giudizio di questa Corte (sent. n. 16 del 1978), ma è necessario prendere in esame la legge investita dall'attuale iniziativa referendaria, che è legge sostanzialmente diversa da quella su cui il "referendum" era stato dichiarato ammissibile. Ciò non significa ovviamente che i principi giurisprudenziali affermati nella citata sentenza non debbano, tuttavia, essere tenuti presenti, ed adeguatamente riconsiderati anche alla luce della giurisprudenza costituzionale successiva e del dibattito della dottrina.
2. - Nella sentenza n. 16 del 1978 questa Corte ha affermato che non sono sottoponibili a "Referendum" abrogativo le disposizioni di legge ordinaria "a contenuto costituzionalmente vincolato", precisando che tali devono, intendersi quelle disposizioni "il cui nucleo normativo non possa venire "alterato" o "privato di efficacia" senza che ne risultino lesi i corrispondenti specifici disposti della Costituzione stessa (o di altre leggi costituzionali)". Come appare chiaro da questa definizione e come questa Corte ha avuto modo di dire anche in sentenze successive, a questa categoria di leggi possono essere ricondotte due distinte ipotesi: innanzitutto, le leggi ordinarie che contengono l'unica necessaria disciplina attuativa conforme alla norma costituzionale, di modo che la loro abrogazione si tradurrebbe in lesione di quest'ultima (cfr. sentenze n. 26/1981 e 16/1978); in secondo luogo, le leggi ordinarie, la cui eliminazione ad opera del "referendum", priverebbe totalmente di efficacia un principio o un orga
no costituzionale "la cui esistenza è invece voluta e garantita dalla Costituzione (cfr. sentenza n. 25/1981).
Orbene, è pacifico che anche la legge ordinaria attuale (10 maggio 1978, n. 170), disciplinando i poteri e i modi di funzionamento di quella Commissione che la legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 prevede all'art. 2, rappresenta una fra le tante soluzioni astrattamente possibili per attuale il disposto di rango costituzionale: così come la legge abrogata ne rappresentava altra. In altri termini, la disciplina che il legislatore ordinario detta per dare attuazione al disposto costituzionale, rappresenta "una scelta politica del Parlamento che poteva anche essere diversa" senza che ne resti elusa o violata la volontà della norma costituzionale e in ordine alla quale non può pertanto, negarsi al popolo di esprimere il suo voto.
Deve, inoltre, escludersi che la legge oggetto della presente richiesta referendaria rientri anche nella seconda delle ipotesi di "legge a contenuto costituzionalmente vincolato" formulate da questa Corte. Secondo tale ipotesi deve ritenersi inammissibile una votazione referendaria che, abrogando determinate disposizioni di legge ordinaria, minacci l'esistenza stessa di un principio, di un organo o di un istituto previsto dalla Costituzione o da una legge costituzionale. Si tratta, più precisamente di un'ipotesi che va distinta logicamente da quella in cui il "referendum" possa, in caso di approvazione, semplicemente intaccare il funzionamento di un organo costituzionale, o l'applicazione di un principio, nello specifico modo previsto dalla legge di cui si chiede l'abrogazione, senza tuttavia vanificarne totalmente gli effetti o l'operatività.
Orbene, se non vi è dubbio che, ove fosse accolta dal voto popolare, la richiesta referendaria in esame renderebbe più difficoltoso il funzionamento della Commissione prevista dalla legge costituzionale n. 1 del 1953, dev'essere tuttavia escluso che, per quanto si riferisce alla proposta di "referendum" in esame, l'eventuale abrogazione degli articoli della l. 10 maggio 1978, n. 170, sottoposti ad iniziativa referendaria, comporti la vanificazione della Commissione medesima. Tanto meno, poi, risulterebbero eliminate la particolare procedura prevista dagli artt. 90 secondo comma e 96 Cost., nonché la speciale giurisdizione contemplata nell'ultimo inciso dall'art. 134 Cost. per le persone ivi elencate. Del resto, né l'esistenza della "Commissione" ex art. 12 citato, né le procedure e la giurisdizione particolari previste dalla Costituzione sono investite (né potrebbero esserlo) dall'iniziativa referendaria.
3. - Deve dirsi, anzi, che l'art. 12 della legge costituzionale citata si limita a disporre che la messa in istato d'accusa delle dette personalità è deliberata dal Parlamento in seduta comune "su relazione di una Commissione", formata ed eletta nei modi ivi previsti. Al limite, pertanto, specie nei casi di tutta evidenza, la Commissione ben potrebbe limitare il suo compito a redigere la relazione per il Parlamento sulla base delle risultanze documentali acquisite: in tal modo, quindi, rendendo operativo il dettato di rango costituzionale senza ricorrere a particolari discipline. Senonché, intendere in tal senso la funzione di una Commissione bicamerale a carattere permanente di ben venti membri, espressamente contemplata da una legge costituzionale per mettere il Parlamento in condizione di decidere sulla messa in stato d'accusa di personalità investite delle più alte funzioni dello Stato, sarebbe estremamente riduttivo. Quanto meno, si deve ammettere che la Commissione bicamerale permanente in parola, per
adempiere seriamente alla funzione imposta dalla legge costituzionale, dovrebbe avere almeno i poteri che la Costituzione assegna alle Commissioni unicamerali temporanee previste dall'art. 82 Cost. Ed, infatti, il Parlamento se n'era dato carico, già prima della legge precedente, intervenendo frattanto a disegnare una disciplina interna che regolasse sul piano formale un procedimento istruttorio fondato su esperimento di indagini; come dimostra l'art. 17 del Regolamento, approvato dalla Camera dei deputati e dal Senato rispettivamente il 14 e 20 luglio 1961, successivamente modificato dai due rami nel 1979. Tutto ciò significa che l'eventuale abrogazione degli articoli della l. n. 170/1978, a seguito di esito affermativo del "referendum", non potrebbe in alcun modo paralizzare il funzionamento della Commissione durante il tempo in cui il legislatore elaborasse altra più completa disciplina, perché il Regolamento parlamentare sarebbe di per sé sufficiente a consentire la funzionalità dell'Organo.
Questo non vuol dire, però, che il "referendum" richiesto risulti inutile. Una volta che il legislatore ha rinnovato, fra le tante possibili, un'altra scelta di più completa disciplina per il funzionamento della Commissione, non può essere impedito ai promotori di sottoporre anche questa al giudizio del popolo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
"dichiara" inammissibile la richiesta di "referendum" popolare per l'abrogazione dei primi otto articoli della l. 10 maggio 1978 n. 170 (Nuove norme sui procedimenti d'accusa in cui alla l. 25 gennaio 1962 n. 20), nei termini indicati in epigrafe,
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 1987.
F.to: ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI - GIUSEPPE FERRARI - FRANCESCO SAJA - GIOVANNI CONSO - ETTORE GALLO - ALDO CORASANITI - GIUSEPPE BORZELLINO - FRANCESCO GRECO - RENATO DELL'ANDRO - GABRIELE PESCATORE - UGO SPAGNOLI - FRANCESCO PAOLO CASAVOLA - ANTONIO BALDASSARRE - VINCENZO CAIANIELLO.
GIOVANNI VITALE - "Cancelliere"