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Negri Giovanni - 18 ottobre 1986
Salvare il partito? Salvarne le speranze, salvarne le ragioni

SOMMARIO: Quella che viene qui presentata costituisce una piattaforma per la discussione congressuale sulla cessazione delle attività del PR con le ipotesi di carattere amministrativo-giuridiche e le prospettive politiche. Soprattutto, però, il XXXII Congresso è chiamato a discutere, prima ancora della sorte del PR, se e come sia possibile oggi operare da democratici in Italia, dove, ormai, i radicali vivono una condizione assai simile a quella del cittadino alle prese con un tribunale, una Usl o con l'Inps, in una condizione cioè di assenza di certezza del diritto, di regole certe, di rispetto del principio di uguaglianza dinanzi alla legge.

(Notizie Radicali n· 245 del 18 ottobre 1986)

Nel convocare quello che può essere l'ultimo congresso del Partito radicale, al segretario compete il dovere solenne di richiamare l'attenzione dei radicali, degli organi di informazione e attraverso di essi dell'opinone pubblica tutta sull'oggetto vero di questo congresso: perché almeno in questa occasione sia possibile che il »gesto radicale sia reso comprensibile a partire dalle sue ragioni.

No è, non vogliamo che sia la sorte del Partito radicale l'oggetto primo del nostro dibattito e delle nostre decisioni.

Il 32· Congresso del Partito radicale -ed in esso tutti coloro che condividono le preoccupazioni che sono le nostre- è chiamato a discutere se, come, in che condizioni, con che costi sia possibile oggi operare da democratici per la democrazia.

E' dall'analisi che su questo da anni andiamo conducendo, via via confermata drammaticamente dai fatti, che è emersa ed è stata formulata nello scorso congresso l'ipotesi di cessazione delle attività del partito.

A partire di qui discuteremo e sceglieremo. E' quello che oggi esprimiamo sul motto con cui ci convochiamo a congresso: »La sfida radicale. Salvare il partito? salvarne le speranze, salvarne le ragioni .

La nostra è una precisa affermazione di volontà: vogliamo trasformare la decisione di mettere in discussione la nostra stessa esistenza in una sfida per la democrazia, il diritto, le regole. Una domanda sulla necessità -per essere all'altezza dell'obiettivo- di salvare il partito.

Infine una conferma laica, anomala, incomprensibile per la »cultura partitocratica: intendiamo salvare innanzitutto speranze e ragioni per le quali siamo stati e siamo radicali.

Il partito non è per noi un fine bensì un mezzo. Se sono inconciliabili, fra il partito e le sue ragioni non esitiamo a salvare le ragioni.

Parlare di scioglimento del Partito radicale sembra oggi letteralmente assurdo. Anche i più feroci tra i nostri avversari lo ritengono tale: motivo di più per dubitare della sincerità della nostra intenzione (quasi che l'intenzione di scioglierci sia nostra e non il frutto di una situazione!).

Raramente i radicali hanno accumulato tante vittorie come negli ultimi anni. L'attualità politica di questi e dei prossimi mesi è determinata dalla politica radicale. E' sui referendum sulla giustizia, su quelli antinucleari e ambientali che si misurano e scontrano tutti i partiti della partitocrazia. E' lo straordinario e vincente esito sul caso Tortora a scuotere la classe politica, la magistratura, la pubblica opinione, portando alla luce l'angosciosa condizione della giustizia italiana. E' sulla lotta allo sterminio per fame che si uniscono centinaia di deputati cattolici e non, determinando l'unica proposta realmente innovativa di politica estera. La denuncia delle degenerazioni partitocratiche, insieme alla proposta di riforma del sistema elettorale in senso uninominale-anglosassone attraversano ormai l'intero arco politico-parlamentare, creando consensi, aggregazioni, interessi incomparabili rispetto al mediocre bilancio della »commissione Bozzi . I risultati positivi non riguardano solo la politica r

adicale ma anche il partito. Giungono quasi unanimi apprezzamenti dal mondo politico: è riconosciuta la »nobiltà di un nostro itinerario, dell'influenza che si contrappone al potere, del partito le cui battaglie sono avversate e liquidate nel presente per essere riconosciute giuste e fatte proprie da altri, anni e anni dopo.

Il Partito radicale si avvia in ogni caso, in questo 1986, a raggiungere uno dei record storici del suo numero di iscritti. In astratto tutto va bene. Anzi, mai è andata così bene.

Parlare di scioglimento è invece necessario, doveroso. Lo impongono il rigore e la lucidità che hanno condotto questo partito a strappare in Italia le prestigiose vittorie civili degli ultimi quindici anni.

La cessazione è incomprensibile solo a chi ne cerca le cause -dunque i possibili rimedi- dentro il Partito radicale, nella sua politica o fra i suoi poco più di tremila iscritti.

La cessazione è per contro comprensibile, semplice nella sua drammatica verità e realtà, per chi ha l'umile coraggio di analizzare le condizioni della democrazia, del diritto, delle regole del nostro paese, tirandone le logiche, coerenti conseguenze.

Siamo rimasti il solo partito organizzato secondo l'articolo 49 della Costituzione scritta, che dovrebbe riuscire a sopravvivere nella Costituzione materiale partitocratica! E' come chiedere a un pesce di vivere senz'acqua, a un uomo di resistere senz'aria.

In questa costituzione materiale possono proliferare decine di di partiti e di liste, dall'Msi ai verdi, a condizione che si adeguino e non minaccino in alcun modo le sue regole materiali. Non c'è difficoltà ad »aggiungere un posto a tavola , purché -al di là del gioco delle parti- non si minacci di svelare il gioco, scoprire i bari, ribaltare la tavola. Non vi è istanza civile, per quanto nobile e forte, in grado di trasformarsi e divenire cambiamento strutturale, momento di confronto e alternativa democratica.

Ciò che è accaduto con il divorzio il 13 maggio 1974 non è in questo regime ripetibile: si illude chi ritiene che i temi della giustizia e del nucleare -potenzialmente dirompenti quanto il divorzio- abbiano, in assenza di nuove e certe regole del gioco, identiche possibilità di giungere alla verifica popolare e di provocare analoghi effetti dirompenti. Non lo consentono istituzioni dove per consuetudine le regole sono piegate alle esigenze di bottega partitocratica. Non lo consente un'informazione di massa dove è precluso l'accesso a uomini, iniziative, notizie, soggetti sociali ritenuti fastidiosi e pericolosi per questo sistema paludoso, immobile, bloccato. E' naturale che a noi sorga spontaneo, in proposito, l'»esempio Pannella .

Accade infatti che nessuno abbia saputo convincentemente rispondere a una elementare domanda: perché da cinque anni c'è un leader politico che non ha potuto pronunciare una sola parola in voce alla testata giornalistica del Tg1, che è stato -dati alla mano- totalmente oscurato, annullato, clandestinizzato al paese? Chiediamo una sola motivazione plausibile. Perché?

Ma non è, appunto, che un esempio. Ecco perché non corriamo il rischio »vittimistico : perché sappiamo che accanto all'»esempio Pannella ve ne sono altre decine, altrettanto e forse più gravi. Perché il fenomeno non riguarda tanto e solo i radicali quanto il paese: ed è il problema di democrazia.

In questo siamo tranquilli: la condizione di isolamento, di inagibilità democratica, di conseguente cessazione dei »diritti del Partito radicale altro non è che lo specchio fedele, la cartina di tornasole dell'isolamento, della cessazione dei diritti del cittadino medio.

I radicali in Parlamento o alla Rai vivono una condizione assai simile a quella del cittadino alle prese con un tribunale, un'unità sanitaria locale, un'Inps, o di fronte ad una scheda elettorale con la quale non si può scegliere alcuna politica, alcun governo ma solo un affidare un'ennesima cambiale a una oligarchia di partito decisa a contrattarla al mercato dell'occupazione di ogni sfera della vita pubblica. La caratteristica di tale condizione è comune: assenza di certezza del diritto, di regole certe, di rispetto dei principi di democrazia e di uguaglianza dinanzi alla legge.

Per questo l'ipotesi di cessazione delle attività deve diventare un progetto, esaminato ed eventualmente scelto dal congresso dei radicali, oppure confrontato a un progetto alternativo di continuazione delle attività che per essere tale deve tuttavia spiegare come ciò sia possibile senza definitivamente adeguarci alle regole della costituzione materiale. E' bene infatti chiarire alcuni, possibili equivoci. Per noi non è ipotizzabile una sopravvivenza del partito pagata col prezzo di trasformarci in ennesimo partito della costituzione materiale, come gli altri. Altrettanto impensabile, in caso di cessazione e di scioglimento, è ogni forma di confluenza o di surrettizio accordo elettorale con qualsiasi altro partito.

Da circa un anno sollecitiamo riflessione, attenzione, dibattito sulle condizioni della democrazia e del diritto ponendo in gioco, senza infingimenti o escamotages, la vita stessa del Partito radicale. Non abbiamo ottenuto alcuna effettiva risposta dai responsabili delle istituzioni e dei partiti, da nessuno di essi. Perciò, a due settimane dal congresso, rendiamo pubblico il progetto di cessazione delle attività che -allo stato degli atti, dei fatti, dei fin troppo eloquenti silenzi- presenteremo al 32· Congresso. Presentare tale progetto è un dovere degli organi di partito ai sensi della risoluzione approvata a Firenze. Il farlo con anticipo è invece dettato da due esigenze: consentire a tutto il partito un maggior tempo di riflessione e dibattito in vista della scelta definitiva sulle sue sorti: portare il progetto a conoscenza, sin nei dettagli, di coloro che sin qui non hanno voluto, potuto o saputo dare risposta alle questioni da noi poste. Il nostro documento è in tal senso inviato ai massimi rapprese

ntanti delle istituzioni della Repubblica e dei partiti parlamentari. La speranza è quella di poterne mutare il segno, di cambiare il progetto in questi 15 giorni che ci separano dal Congresso, poiché certo non siamo lieti di dover assolvere a tale adempimento. Sino all'ultimo minuto utile, attenderemo da istituzioni e partiti segnali che non siano di totale rimozione o di generica (e superflua) »solidarietà . Così come sino all'ultimo minuto utile valuteremo i dati relativi ai cittadini che compiranno l'unico atto di aiuto effettivo, concreto, a sostegno del Partito radicale e di una sua decisione responsabile: quella dell'iscrizione al Partito radicale. Sarebbe un errore nutrire attese fideistiche: ma ancora più sbagliato sarebbe sottovalutare il ruolo decisivo che questi quindici giorni possono assumere. E' una partita ancora aperta che ciascuno può giocare.

Proprio perché muove dal rifiuto di accettare una caricatura della democrazia di diritto al cui interno sopravvivere, il congresso radicale diventa il luogo in cui chi ha da dire o da proporre in direzione di una svolta radicalmente democratica è chiamato a confrontarsi e pronunciarsi; in cui dunque peseranno come assunzioni di responsabilità le presenze e le risposte, come le assenze e le non-risposte.

La cessazione delle attività di un partito non è un provvedimento di facile attuazione: pone -tra l'altro- delicate questioni giuridiche che possono incidere in termini significativi anche sulle modalità e sui tempi di attuazione, come dimostrano efficacemente gli studi e i pareri elaborati in materia (vedi valutazioni del prof. Chiola, riportate da Notizie Radicali n· 156 del 5.6.86).

Emerge a questo proposito una esigenza prioritaria: attuare il blocco delle attività del partito garantendo nel contempo la necessità di assicurare la tutela attiva del nome e del simbolo.

La cessazione delle attività deve cioè mantenere al partito la capacità non solo di impedire in caso di competizione elettorale (alla quale il partito, decisa la cessazione, non concorrerà) che qualcuno possa impadronirsi dei caratteri distintivi di una specifica esperienza politica e abusarne, ma anche, più in generale, di intervenire in tutte le sedi necessarie contro chi offende ed eventualmente tentasse di impossessarsi dell'operato trascorso del partito, dei suoi valori e della sua storia.

Allo stato noi proporremo quindi al congresso un progetto così articolato:

a) delibera di cessazione immediata delle attività;

b) sostituzione degli organi ordinari previsti dallo Statuto (segretario, tesoriere, giunta e consiglio federale) con un »Comitato per la cessazione delle attività formato da un numero di componenti che può variare da 3 a 9 e comunque di un numero dispari;

c) il mandato del congresso al »Comitato per la cessazione delle attività deve essere rigoroso e limitato a questi soli compiti:

- blocco di ogni iniziativa e di ogni nuova attività politica e finanziaria, a cominciare da quella di natura elettorale, fin dal momento successivo alla delibera.

- Compimento ed esaurimento delle attività in corso relative a iniziative pregresse, nei limiti dovuti per impegni assunti verso terzi.

- Difesa attiva del nome e del simbolo del partito in caso di competizioni elettorali e nei confronti di un corretto uso e interpretazione dei trascorsi del partito da parte di terzi.

- Destinazione delle quote di finanziamento pubblico spettanti al partito.

- Gestione del rapporto con i »soggetti autonomi .

- Gestione finanziaria conseguente al bilancio del 1986 e al mandato di cessazione.

- Gestione dei contenuti giudiziari in corso e titolarità di iniziativa giudiziaria per la tutela del nome, del simbolo, dell'identità e del patrimonio radicale.

d) Gli eletti in Parlamento, pur mantenendo sino all'esaurimento della legislatura in corso la loro specifica attuale identità formale, opereranno esclusivamente su richiesta e mandato del »Comitato per la cessazione delle attività , senza capacità autonoma di iniziativa, al fine di assicurare anche in queste sedi lo svolgimento di compiti strettamente connessi al mandato della delibera di cessazione; il Comitato potrà avvalersi degli eletti anche per illustrare ai massimi rappresentanti delle istituzioni, nonché agli altri parlamentari, i motivi e le ragioni della cessazione; le quote delle indennità parlamentari saranno versate al Comitato.

L'esame della questione effettuato dagli organi del partito ha posto in evidenza anche altre modalità per procedere alla cessazione delle attività. Alcune di queste riguardano gli organi ai quali affidare l'onere dell'esecuzione del mandato congressuale: in alternativa alla soluzione da noi scelta tali compiti potrebbero infatti essere assunti dagli organi statutari, rinnovati dal congresso, o essere affidati agli attuali organi esecutivi, eventualmente integrati dagli eletti in Parlamento.

Altre modalità vertono sulla durata del mandato -affidata nella soluzione scelta al perdurare delle esigenze di tutela e difesa del nome, del simbolo, dell'identità e del patrimonio del partito- altre ancora sulla eventualità di condizionare la ripresa delle attività al verificarsi di determinati eventi.

Allo stato dei fatti è prevalsa l'opinione di dovere escludere questa possibilità.

Oltre a queste differenze dall'esame sono emerse anche due diverse posizioni che esprimono punti di vista, valutazioni e opportunità e sentimenti tra loro differenti. Sono posizioni che non si configurano come contrapposte alla scelta effettuata, che è ritenuta al momento attuale la più rispondente al mandato ricevuto nell'ultimo congresso.

La prima di queste posizioni ritiene che la cessazione delle attività del partito -da deliberarsi con effetto immediato- debba costituire il presupposto necessario per prospettare al paese e alle altre forze politiche l'opportunità di dar corpo, sia pur in termini strutturali e organizzativi diversi, ad una iniziativa politica più adeguata al conseguimento delle finalità del partito, oggi negato ed impedito dalla constatata e denunciata inagibilità democratica.

La seconda posizione propone invece la cessazione delle attività solo come conclusione negativa di un estremo tentativo del partito di realizzare, in tempi successivi al congresso, il superamento delle condizioni di inagibilità democratica mediante il conseguimento di specifici obiettivi politici da realizzare entro scadenze successive, rigorosamente prefissate.

Tali sono le linee (non più generali bensì già particolareggiate e dettagliate) del progetto di cessazione che in assenza di fatti nuovi -sicuramente auspicabili sia sul piano della riconquista di garanzie democratiche minime, sia sul piano del rafforzamento dell'iscrizione al Partito radicale- presenteremo al congresso. Un progetto di cessazione destinato a sfociare, una volta esaurire e portate a compimento le pendenze politiche e finanziarie, nello scioglimento definitivo.

Siamo pienamente consapevoli del dibattito travagliato che sta attraversando l'intero partito. Guardiamo con grande rispetto, grande stima e grande affetto a tutte le posizioni che si vanno manifestando da parte di ogni compagna e di ogni compagno radicale: non ve ne è una che manchi di intelligenza, di intransigente passione civile e democratica, nel solco della teoria e della prassi che ha reso al paese, spesso al prezzo di gravi fatiche e costi personali, un altissimo e spassionato contributo di lotta civile, democratica e nonviolenta.

Ogni posizione congressuale avrà per noi piena legittimità politica e ci troverà pienamente aperti alla riflessione.

Sappiamo anche, sarebbe stupido nasconderlo, che le assemblee dei radicali sono spesso divise dinnanzi all'ipotesi di cessazione.

Vorremmo solo che si fosse consapevoli sia dell'obiettivo rilievo che può assumere ogni fatto nuovo, ogni nuova iscrizione che giungerà al partito nei prossimi quindici giorni, sia dell'attenzione che presteremo ad ogni posizione che si manifesterà in congresso.

Abbiamo imparato, seppur non sempre facilmente, che la diversità e il dialogo possono essere la nostra grande forza, non la nostra debolezza.

 
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