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Teodori Massimo - 18 ottobre 1986
Supponi che... un altro Partito radicale
di Massimo Teodori

SOMMARIO: L'articolo che segue rappresenta un diverso punto di vista nel dibattito precongressuale. Secondo l'autore, quando si afferma che non c'è democrazia, o si decide di andare a casa oppure sono possibili forme di azione del tutto esterne alle regole proprie delle democrazie e, dunque, solo la clandestinità sarebbe lo sbocco logico e conseguente per chi ha voglia di fare qualcosa.

(Notizie Radicali n· 245 del 18 ottobre 1986)

1. Premessa

Non ritengo utile, in vista delle imminenti decisioni congressuali, che siano sollecitate ad esprimersi tutte le diverse posizioni, sentimenti e riflessioni relativi al nodo »cessazione sì da avere »il congresso più ricco possibile , come recita un facile adagio assai diffuso nel Partito radicale.

La strada che abbiamo imboccato con l'approvazione della risoluzione al congresso del 1985 -che è strada coerente, fondata, logica- è una strada assai difficile perché sposta il centro del problema congressuale dalla scelta delle battaglie da compiere alla valutazione delle condizioni che permettono di compierle. E' questo un terreno molto opinabile che in ogni caso -data appunto la opinabilità della valutazione- richiede una estrema chiarezza, decisione, unità nelle modalità di scioglimento del nodo. La contraddizione originaria sta nelle affermazioni del venire a mancare delle condizioni di legalità e nella contemporanea necessità di dover (un dovere politico, che va la di là di quello individuale e collettivo) lottare per conquistarle, a meno che non ci si rifugi in un facile e semplicistico »abbandono del campo che non mi pare sia nelle intenzioni di alcuno (o almeno non si è espresso con nessuna aperta e chiara manifestazione di intenzioni).

Lo scioglimento del nodo, dunque, che nasce contraddittorio, non può derivare da un ventaglio di opinioni individuali ma solo da una comune scelta che forzi intenzionalmente qualche termine della questione (in termini scientifici si direbbe: »supponi che... ). Voglio dire che questo congresso o viene affrontato, almeno da quello che per semplicità chiamerò gruppo dirigente, con una ipotesi convincente, per quanto possibile unitaria, sulla quale si caricano tutte le intenzioni, le passioni, le volontà, i progetti anche singoli, oppure difficilmente troverà una buona via di uscita, una soluzione politicamente forte e non solo enunciata come tale.

Ogni posizione individuale, di per sé, è posizione debole, o velleitaria o semplicemente enunciativa perché risolve arbitrariamente la contraddizione di origine. Si trasformerebbe in posizione, ipotesi forte e realizzabile solo da quel consenso di un gruppo dirigente fortemente motivato che le conferirebbe il crisma di una comune volontà di lotta politica, pur se difficile e improbabile.

Ecco la ragione per la quale non mi sembra opportuno il metodo delle tante ipotesi che si confrontano.

Purtroppo fino al momento in cui scrivo (15 ottobre) non mi pare che tale condizione si sia verificata. Me ne dispiace. E sono consapevole che anche i miei desiderata (che seguono) sono, per la ragione anzidetta, velleitari come ogni riflessione che rischia di essere elucubrazione.

2. Il problema

Se si rende assiomatica la giusta questione che ci siamo posti -le condizioni della democrazia- non solo non vi è via di uscita ma diverrebbe superfluo qualsiasi altro discorso (il numero degli iscritti, gli atti di esponenti di altri partiti, le conquiste parziali...) compresa la futura tutela del nome e del simbolo, etc. Quando non c'è democrazia, o si decide di andare a casa oppure sono possibili forme di azione del tutto esterne alle regole proprie delle democrazie. Per assurdo, ma poi non tanto, solo la clandestinità con tutto quel che comporta sarebbe lo sbocco logico e conseguente per chi ha voglia di fare qualcosa.

Evidentemente non è così, non si può partire da discorsi assiomatici. O, meglio, personalmente non ritengo che sia così e che l'assolutizzazione delle tesi sia cosa utile.

Le condizioni della democrazia e della legalità vanno storicizzate e poste in relazione allo strumento che in esse agisce, alla sua forza, alla sua adeguatezza, alle sue capacità e possibilità di conseguire gli obiettivi per cui è stato apprestato senza dar luogo a finzioni. Dunque, la questione delle condizioni della legalità, che sono sempre specifiche, in un dato tempo e luogo, devono oggi essere messe in relazione e valutate insieme con lo strumento Partito radicale, con la sua realtà e potenzialità. Occorre discutere i due termini del problema, insieme e contestualmente. Così come il nostro strumento politico -Pr- opera in determinate regole del gioco, questa democrazia viene modificata dall'azione non solo del Partito radicale ma anche degli altri protagonisti politici, politico-istituzionali e di altro tipo che a loro volta influiscono sul contesto.

Partito radicale e condizioni della democrazia vanno valutati insieme.

3. La forza politica e la sua capacità di azione.

Siamo d'accordo in tanti -e non occorre spendere ancora molte parole- che con la semplice conservazione di questa forza politica -il Partito radicale d'oggi- così come è correrebbe fortemente il rischio di adagiarsi in una pura gestione di una presenza scarsamente efficace. certamente anche questo Partito radicale ha saputo nell'anno or ora trascorso conquistare successi e recuperare, sia pur marginalmente, un margine di corrette regole del gioco democratico. Con alleanze, con il sapiente sfruttamento delle contraddizioni pur sempre esistenti, con l'appello all'opinione pubblica, etc. mi pare che siano tutti concordi nel ritenere che non poco è stato conseguito. Il Partito radicale -si afferma giustamente- ha attraversato un periodo di successi non marginali.

Tuttavia è vero e non contestabile che la capacità ormai di modificare significativamente per tutti il quadro politico-istituzionale (diritto, regole, informazione) riguadagnando la lettera della Costituzione contro l'affermazione della »Costituzione materiale diviene ogni giorno più difficile, alle soglie dell'impossibilità. Se si accetta il ruolo che gli altri, o meglio la forza delle cose tutte, ci vogliono assegnare, il Partito radicale diverrebbe la caricatura di se stesso.

Mi chiedo allora se lo stesso accadrebbe se invece di questo Partito radicale vi fosse un'altra forza politica della stessa natura ma con tanta maggiore forza, e quindi capacità di operare secondo quelle linee sulle quali ha pure fino a oggi operato il Pr.

La mia risposta -ma si tratta di risposta teorica- è positiva nel senso che quel che non è possibile a questo Partito radicale sarebbe possibile ad un'altra forza o ad un altro Partito radicale, quantitativamente maggiore e qualitativamente migliore dell'attuale.

4. La sfida dei due momenti: scioglimento e creazione del nuovo

Ideare, conquistare, costruire quest'altro Partito radicale o quest'altra cosa adeguata a compiti del momento non è un atto di volontà e non può ridursi ad un semplice progetto a tavolino. E' evidentemente una questione di lotta politica basata sui giusti obiettivi, a partire dal riconoscimento chiaro, esplicito, senza finzioni dell'inadeguatezza dell'attuale Partito radicale.

Ritengo con molti dei compagni che fino a quando e se ci attestassimo su una difesa dello strumento oggi esistente, sarebbe assai difficile, forse precluso, conquistare altro e del nuovo più adeguato.

Abbiamo posto in questi mesi la questione del nostro scioglimento. E' stato un bene: per gli effetti che ha avuto e sta avendo nel partito e nell'opinione pubblica; per il tipo di riflessioni più generali a cui sono stati costretti osservatori e protagonisti politici sullo stato più generale dei partiti; per il richiamo drammatico alle regole della democrazia; per le prospettive dei partiti laici e socialisti; per...

Si è trattato probabilmente del giusto metodo di mettere in causa se stessi, come nella buona tradizione di chi non ha potere e non vuole adeguarvisi. Occorre senza reticenze che questo processo sia condotto in fondo; che cioè questo partito si sciolga.

Ma se il cuore della questione è quello appunto dell'adeguatezza dello strumento ad operare nel contesto del regime esistente in maniera non fittizia, non si può non porre con altrettanta chiarezza, esplicitamente e contestualmente, l'obiettivo di quel qualcosa di nuovo, capace di perseguire obiettivi e adeguato ad operare modificando le condizioni stesse dell'operare, che si ritiene possibile, pur se difficile e non probabile.

Scioglimento di questo Partito radicale e sfida per qualcosa di altro sono due momenti entrambi necessari e legati l'uno all'altro. E non vi può essere -a mio avviso- il secondo momento se non vi è il primo. Lo scioglimento è la condizione indispensabile per tentare l'ambizioso obiettivo di qualcosa d'altro.

5. Una forza adeguata: utopia, velleitarismo, desiderio o possibilità?

Non occorre ripetere e ripeterci che le forze politiche non si costruiscono a tavolino e neppure si delineano con progetti. Quel che il Congresso dovrebbe fare è l'individuazione di alcuni nodi politici e politico-istituzionali cruciali (scelti come tali) sui quali chiamare a raccolta forze, individui, correnti sparse probabilmente esistenti nel paese. La selezione nella risposta non verrebbe da un'operazione aprioristica ma sulla base degli obiettivi da perseguire: »E' necessaria una nuova ed adeguata forza per mettere in moto l'unità laica e socialista...; è necessario avere uno strumento adeguato per riguadagnare gli aspetti essenziali dello Stato di diritto...; è necessaria una forza che ponga la riforma politico-elettorale come pregiudiziale... . Il Partito radicale, quello di oggi, ne sarebbe il punto di partenza, necessario ma non sufficiente.

La sfida, certo, sarebbe difficile e di esito tutt'altro che scontato.

Si conoscerebbe il punto di partenza e gli obiettivi di arrivo ma non il percorso da seguire e la formazione che si aggregherebbe durante il percorso. Sarebbe una sfida senza certezza di successo e senza alcuna sicurezza di avere alle spalle un ridotto dietro cui ritirarsi dal momento che il Pr sarebbe sciolto. Il nuovo strumento politico potrebbe di già essere concepito in maniera tale da incorporare tratti e modi capaci di essere nucleo di formazioni più vaste, più ambiziose, con una incidenza diretta sugli altri partiti scelti come principali interlocutori o che hanno accettato, attraverso loro esponenti, di essere tali in vista di comuni obiettivi qualificanti. Insomma, la sfida radicale, da sancire in congresso, sarebbe tutta affidata alla proposta politica (manifesto al paese?...) ed alla sua capacità di attrazione al fine esplicito di forgiare anche uno strumento organizzativamente adeguato.

6. Pensare con chiarezza, la forza degli iscritti. La »questione Pannella

Queste indicazioni possono apparire il prodotto di una ingegneria politica ed in effetti, allo stato degli atti lo sono. Ciò di cui parlavo all'inizio -la condizione di unità di proposta- rimane punto valido e pregiudiziale. In ogni caso ritengo indispensabile la necessità di soddisfare due esigenze che non possono essere rimosse nel corso della nostra comune riflessione e quindi delle deliberazioni congressuali.

La prima riguarda gli attuali iscritti al Pr, quei militanti che da poco o molto tempo hanno assicurato al partito di potere essere quello che in effetti è stato e continua ad essere, e quelli che in queste settimane ci hanno raggiunto in vista di poter lavorare insieme in comuni battaglie.

La seconda riguarda la chiarezza delle nostre decisioni. Esse saranno forti se non avranno bisogno di complicati discorsi per essere argomentate, spiegate e trasmesse. Ogni soluzione che faccia perno su tempi diversi, sul prima e sul dopo, su una parte enunciata e un'altra messa in sordina, rischierebbe di essere avvertita malamente, anche se questo non è nelle intenzioni.

V'è, infine, ultima, ma non certamente minore, la »questione Pannella (usando una bruttissima espressione ma che in questo momento non riesco a sostituire). Molti si domandano quali siano le intenzioni di Marco Pannella, perché il suo silenzio in queste settimane, che cosà dirà e proporrà in congresso.

Non sarò io a negare l'importanza decisiva di ciò che Marco proporrà o non proporrà. La storia del nostro partito è strettamente connessa, quando non determinata dagli impulsi che sono venuti dal suo leader. Tuttavia ritengo che oggi sarebbe davvero un pessimo servizio che noi faremmo al partito, a noi stessi ed allo stesso Pannella se ogni proposta, ogni progetto, ogni decisione fosse ipotecata e condizionata da una sorta di autocensura e di interrogativo paralizzante, aperto o implicito: »E Marco che cosa ne direbbe? che non avrebbe altro risultato se non quello di falsare ogni reale confronto tra le posizioni e la loro effettiva forza di realizzazione.

E sarebbe altrettanto negativo se i compagni pensassero di adottare e proporre soluzioni le più minimaliste o le più massimaliste -magari giudicandole irrealizzabili- ben sapendo e sperando in cuor loro che poi qualcosa di esterno interverrebbe a modificarle.

 
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