SOMMARIO: Le ragioni della campagna dei "diecimila iscritti". Il Congresso del Pr ha infatti deciso che se non saranno raggiunti 10.000 iscritti entro il 31 dicembre 1986 e se entro il successivo 30 gennaio 1987 le iscrizioni rinnovate non saranno almeno 5.000, il Partito radicale procederà al suo scioglimento. »L'ipotesi di scioglimento non deriva dalla volontà dei radicali di abbandonare il campo, da una rassegnata dichiarazione di fallimento politico , la questione che è di fronte a tutti ed a ciascuno »è come il Partito Radicale possa continuare a poter fare, magari meglio del passato, quel che ha fatto nel corso degli anni e chi possa dargli la forza Perché ciò divenga concretamente possibile.
Di qui nasce la sfida dei diecimila iscritti.
(da "PARTITO RADICALE PERCHE'", Supplemento a NOTIZIE RADICALI, n. 278 del 1· dicembre 1986)
Diecimila iscritti
Se non saranno raggiunti 10.000 iscritti entro il 31 dicembre 1986, e se entro il successivo 30 gennaio 1987 le iscrizioni rinnovate non saranno almeno 5.000, il Partito Radicale procederà al suo scioglimento.
Questa decisione del congresso del PR del novembre 1986 potrebbe a prima vista sembrare una formula, una specie di gioco al rialzo o di scommessa pretestuosa. Vi è invece una profonda ragione politica dell'appello che i radicali hanno rivolto al paese. E' la ragione di un partito che non intende sopravvivere a se stesso, non vuole divenire simile agli altri partiti e trasformarsi in una caricatura della propria storia, nell'impossibilità di condurre efficacemente azioni e campagne e di perseguire gli obiettivi per i quali ha ragion d'essere lo stesso partito.
La valutazione alla base di una tale decisione è che l'azione del partito, con il procedere del tempo, ha incontrato sempre maggiori difficoltà sì da rischiare di divenire una sterile agitazione senza la possibilità di conseguire concreti risultati. Un partito di potere, piccolo o grande che sia, può vivacchiare partecipando alla spartizione della torta ed amministrando se stesso anche all'infinito. Un partito di obiettivi non può sopravvivere ma deve operare, ed operare in maniera adeguata alle speranze ed alle richieste che i cittadini gli pongono.
I radicali hanno fatto politica per un quarto di secolo producendo leggi e riforme senza alcun potere nazionale o locale, nello Stato e nel parastato, senza una lira di finanziamenti neri ed usando il finanziamento pubblico per l'informazione radiotelevisiva, senza aver partecipato ad alcuna lottizzazione, dal netturbino al consiglio di amministrazione della RAI-TV, senza consiglieri e assessori comunali, provinciali, regionali, con la sola forza delle proprie idee e con l'energia dei propri militanti iscritti. Tremila persone in Italia hanno prodotto un miracolo politico e civile incomparabilmente più significativo e incidente di quel che sono riusciti a conseguire partiti con centinaia di migliaia di iscritti, con la partecipazione al potere lottizzato d'ogni tipo.
Tutti i successi radicali sono stati conseguiti al prezzo di un impegno diffuso, continuativo, talora drammatico da parte degli iscritti. Il divorzio, l'obiezione di coscienza, l'azione contro la fame nel mondo, i miglioramenti e le riforme nelle e per la giustizia non sono stati conquistati con gli strumenti della politica tradizionali. Hanno richiesto un uso coordinato ed intenso delle armi proprie della politica, di quelle della partecipazione attiva e della mobilitazione della pubblica opinione, talora con l'attivazione decisiva di referendum, e di quelle della nonviolenza con azioni singole e collettive di disobbedienza civile e di scioperi della fame e della sete. Senza l'attivazione di tale armamentario molte riforme non vi sarebbero state. E il Partito Radicale ha sempre funzionato da motore di questo complesso progetto di battaglia.
LA DEGRADAZIONE DELLA DEMOCRAZIA
Oggi le condizioni generali della politica rendono assai più difficili e talora proibitive le possibilità di azione del Partito Radicale che opera e può efficacemente operare solo nella legalità. E' progressivamente venuta a mancare ogni certezza del diritto, è sempre più carente quell'equa informazione che è presupposto necessario per il confronto democratico sui temi che più direttamente investono la vita delle istituzioni e gli interessi dei cittadini, e sono stravolte le regole del gioco i cui principi sono sanciti nella Carta Costituzionale.
Stando così le cose, l'interrogativo che si pone riguarda la vita stessa del Partito in relazione alla sua ragion d'essere ed alle sue possibilità operative. L'ipotesi di scioglimento non deriva dalla volontà dei radicali di abbandonare il campo, da una rassegnata dichiarazione di fallimento politico. Al contrario la storia anche recente di questa piccola ma combattiva formazione politica fondata sulla libera volontà dei cittadini associati per perseguire dei risultati concreti, è una storia positiva di successi e di vittorie.
La questione, dunque, che è di fronte a tutti ed a ciascuno è come il Partito Radicale possa continuare a poter fare, magari meglio del passato, quel che ha fatto nel corso degli anni e chi possa dargli la forza Perché ciò divenga concretamente possibile.
Di qui nasce la sfida dei diecimila iscritti. Queste le ragioni del pressante appello radicale al paese. Quel che è impossibile conseguire sulla scena civile, politica, parlamentare in tremila persone associate (i radicali iscritti negli ultimi anni) diviene forse possibile tentare in diecimila senza essere condannati in partenza all'insuccesso. Il passaggio dall'una all'altra quantità di persone associate in partito rappresenta anche un salto di qualità. Si moltiplicherebbero le energie militanti e di partecipazione attiva, si triplicherebbero le disponibilità finanziarie, sarebbe possibile passare da una dimensione di radicali isolati nelle varie zone del paese a gruppi capaci di agire collegialmente, si alimenterebbe il partito di tante energie fresche in grado di dare nuovo slancio alle battaglie di sempre, potrebbero essere aperti nuovi fronti di impegno civile e politico.
L'appello per i diecimila iscritti è un progetto di lavoro la cui realizzazione è nelle mani di ciascun cittadino. E' la speranza di costruire un rinnovato strumento per vecchie e nuove battaglie con forza sufficiente ed adeguata per infrangere le barriere, le difficoltà, gli ostacoli e le resistenze che vengono frapposti.
Senza una tale minima forza, ogni intenzione sarebbe pura velleità.
L'INFORMAZIONE, LA POLITICA E LE ELEZIONI
L'informazione è il nodo cruciale per l'equo svolgimento del gioco democratico. Lo hanno compreso da tempo i radicali che già al congresso del 1977 affermavano: "I radicali individuano nella libertà d'informazione uno dei nodi di fondo su cui si gioca il destino della democrazia in Italia. Consenso e dissenso sono ormai strettamente legati nella società di massa alla trasmissione dei messaggi politici. E ciò vale non sono e non tanto per il diritto delle forze politiche di far trasmettere le proprie proposte, quanto per ciò che riguarda il diritto dei cittadini di conoscere per scegliere. Si è potuto ormai constatare che tutte le volte in cui i cittadini sono stati messi in grado di conoscere i grandi temi di scontro della lotta politica grazie ad un'adeguata informazione, strappata per lo più dalle lotte democratiche di cui i radicali sono stati gran parte, il paese ha scelto nel senso della libertà e delle riforme".
Anche i risultati delle prove elettorali sono stati conseguiti al presso di dure battaglie. Per la prima volta nel giugno 1976 il Partito Radicale presenta proprie liste in tutto il territorio nazionale. La campagna elettorale è drammatica: per ottenere una più equa ripartizione dei tempi televisivi riservati alla propaganda, Marco Pannella deve ricorrere ad uno sciopero della sere senza precedenti. Si comprenderà poi che quell'atto difficile e costoso risulta determinante: le liste della rosa nel pugno ottengono poco più di 400.000 voti (1,1%), superando di un soffio il quoziente minimo per partecipare alla ripartizione dei seggi. Vengono eletti Pannella, Faccio, Bonino e Mellini, e a metà legislatura subentrano De Cataldo, Cicciomessere e Marisa Galli. Anche le elezioni politiche del 1979 sono affrontate con una straordinaria mobilitazione per guadagnare un'equa informazione: "Il PR ribadisce che non c'è vera campagna elettorale quando non viene assicurato il diritto all'informazione, al dibattito, al conf
ronto e tutti i cittadini possono conoscere per deliberare. Il PR non accetterà, pertanto, una campagna elettorale per le due elezioni, politiche ed europee, a cui non sia assegnato almeno il doppio del tempo televisivo di "Tribuna elettorale" che fu conquistato per le sole elezioni politiche del 1976". Preceduto da un altro sciopero della fame di Pannella, il responso delle urne assegna al PR 1.250.000 voti (3,4%) con l'elezione di 18 deputati (Aiello, Aglietta, Boato, Bonino, Cicciomessere, Crivellini, De Cataldo, Faccio, Galli Macciocchi, Melega, Mellini, Pannella, Pinto, Roccella, Sciascia, Teodori, Tessari) e 2 senatori (Spadaccia e Stanzani). Nel corso della legislatura subentrano alla Camera Calderisi, Corleone e Rippa. Una settimana dopo le elezioni politiche, quelle europee danno ai radicali il 3,7% dei voti con tre eletti a Strasburgo.
Il giudizio sulla praticabilità della democrazia condiziona la presenza radicale nelle elezioni politiche del 1983. I radicali chiedono agli elettori di non partecipare al voto e, soltanto in termini subordinati, di votare per le liste radicali nelle quali è candidato Toni Negri. Nuovi scioperi della fame per l'informazione precedono la consultazione. La presentazione delle liste della rosa nel pugno serve per accedere alle tribune televisive, cioè per poter parlare, sia pure limitatamente, al paese per spiegare il punto di vista radicale. Le astensioni, le schede bianche e quelle nulle, anche in seguito all'appello radicale per lo sciopero del voto, raggiungono un livello senza precedenti, Purtuttavia le liste radicali ottengono 800.000 voti (2,2%), 11 deputati (Aglietta, Cicciomessere, Crivellini, Melega, Mellini, Giovanni Negri, Toni Negri, Pannella, Rutelli, Spadaccia, Teodori) a cui subentrano nel corso della legislatura Roccella, Stanzani, Calderisi, Corleone, Bandinelli, Tessari, ed 1 senatore (Signor
ino). Un anno dopo, alle elezioni europee del giugno 1984, con una campagna elettorale che è centrata sul drammatico "caso Tortora", i risultati danno ai radicali 1.200.000 voti (3,4%) con tre eletti fra cui, con circa mezzo milione di preferenziali, Enzo Tortora.
LA PROTESTA CONTRO LA PARTITOCRAZIA
Con le elezioni del 1983 viene dunque misurata la disaffezione di un terzo circa dell'elettorato (astensionismo, voto bianco e nullo) rispetto al sistema dei partiti. Già nelle elezioni del 1980 e 1981 i radicali avevano dato una valutazione non negativa dell'ondata di protesta che saliva dal paese contro i partiti ed avevano invitato i cittadini a manifestarla con l'astensione, il voto bianco o nullo. Quell'indicazione radicale, a sua volta, aveva notevolmente incrementato la dimensione di questi tipi di voto connotati dalla campagna radicale non come voti di protesta ma di proposta. Per la prima volta veniva così data una valenza politica al fenomeno ritenuto generalmente qualunquistico.
Il congresso radicale del 1983 si conclude con un documento che sancisce quell'analisi: "Il regime partitocratico si è sostituito al sistema democratico costituzionale attraverso la consolidata violazione, negazione e sovversione dei principi costitutivi della legge fondamentale della Repubblica; i partiti di regime non dispongono né della forza e neppure della possibilità di configurare nuove regole su cui fondare un sistema capace di governare il processo di sfaldamento politico e finanziario dello Stato, determinando con ciò le condizioni per l'interruzione anche formale di ogni residuo di legalità da parte delle forze che si autocandidano alla risoluzione forzosa della crisi; l'impraticabilità degli istituti e degli strumenti di democrazia impone ad ogni forza politica che voglia contrastare attivamente, ove lo ritenga ancora possibile, l'illegalità dello Stato, l'adozione prevalente degli strumenti di lotta nonviolenta, della pratica generalizzata dell'obiezione di coscienza e del rifiuto del consenso a
qualsiasi simulacro di legittimazione democratica a un sistema partitocratico; il rigido controllo dell'informazione scritta e parlata da parte della partitocrazia impedisce nella generalità la percezione delle cause strutturali che determinano il mancato soddisfacimento dei bisogni e dei diritti elementari della persona...".
L'azione di protesta e di contestazione dell'illegalità dilagante e del mancato rispetto delle regole del gioco si esprime per i parlamentari radicali dopo il 1983 con l'adozione di un "codice di comportamento" che esclude la loro partecipazione al voto in Parlamento. Si tratta della forza più radicale di protesta a cui si sia mai ricorsi per denunciare la perdita di potere del Parlamento e il suo trasferimento nei partiti. I radicali non si assentano dal Parlamento, non praticano un "Aventino", cioè un abbandono del campo. Al contrario vi agiscono con vigore maggiore dell'usuale ma, non partecipando al voto, segnalano con gli atti la mancanza di democrazia nelle istituzioni parlamentari occupate dai partiti. Si tratta del più profondo atto di denuncia e di battaglia contro il regime dei partiti, denominato dai radicali partitocrazia.
Come ai pesci a cui manca l'acqua, come agli uomini a cui manca così l'aria, ai radicali quando viene a mancare la legalità è reso impossibile operare efficacemente. Questo giudizio dato al congresso radicale del 1985, allorché viene approvata una risoluzione che denuncia le condizioni della democrazia, è all'origine della ipotesi di scioglimento del Partito. Si tratta di una decisione difficile e drastica ma necessaria per salvare lo stesso patrimonio e le stesse speranze del Partito Radicale.
La sfida dei diecimila iscritti è l'unica via d'uscita alternativa alle decisioni prese nel 1985, prima sancite nella risoluzione che segue, e poi ribadite solennemente al congresso del 1986;
"Il 31· Congresso federale del Partito Radicale, riunito in Firenze, il 30,31 ottobre, l'uno, il 2 e il 3 novembre 1985, nel trentennale della propria fondazione, constatato il venir meno, per sé ma anche per il comune cittadino della Repubblica:
a) di elementari garanzie costituzionali;
b) di ogni certezza del diritto;
c) dell'uguaglianza di cittadini di fronte alla legge;
d) dei diritti di cui agli artt. 21 e 49 della Costituzione ed alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, relativi alla libertà di opinione, di manifestazioni delle propri idee, e di organizzazione politica;
e) del rispetto e delle applicazioni delle norme che regolano il gioco democratico e la dialettica delle istituzioni, e che garantiscono un corretto processo democratico formativo delle volontà e delle scelte attribuite al suffragio popolare;
f) della difesa dalla violenza di chi ha realizzato e realizza dall'interno e dai massimi livelli dell'organizzazione della informazione e della comunicazione la sovversione dell'ordinamento repubblicano, con la perpetuazione di gravissimi reati associativi a tutti noti; e questo con il rifiuto sistematico dell'esercizio dell'attività giurisprudenziale;
g) del diritto alla propria immagine ed alla propria identità, aspetti essenziali alla vita stessa, diritto praticamente vanificato dall'ordine giudiziario che viola la legge per praticare un rito illegittimo in luogo di quello per direttissima, ritenuto dalla dottrina e dalle norme dei nostri codici assolutamente necessari per la verità e la giustizia;
constata denuncia, proclama la conseguente impossibilità di esercizio dei diritti democratici e della prosecuzione stessa della propria attività in questo contesto, se non accettando di fare apparire democraticamente minoritari o marginali, sconfitti i valori, gli ideali, gli obiettivi del partito e nel contempo legittimando il gioco antidemocratico, e i suoi esiti, cui si partecipa;
affida quindi agli organi statutari il mandato di proporre al prossimo Congresso federale o ad un eventuale Congresso straordinario un progetto di cessazione delle attività di partito. Il 31· Congresso individua quindi in un anno il limite oltre il quale si passerebbe da una risposta atta a colpire la violenza che si subisce ad una fallimentare connivenza con il regime e i portatori del "valori" di ingiustizia, di violenza, di antidemocrazia. Anche per questo, che sia un anno di straordinario impegno di tutti".