A cura del Partito Radicale - gennaio 1987SOMMARIO: Il dossier predisposto dal Partito radicale sul processo del "7 aprile". Il 7 aprile 1979 una serie di militanti di estrema sinistra del movimento "Autonomia operaia" vengono arrestati con l'accusa di aver partecipato al sequestro del presidente della Dc Aldo Moro, di "insurrezione armata contro i poteri dello Stato", di banda armata, di associazione sovversiva. Si afferma insomma la coincidenza fra "Autonomia operaia" e Brigate Rosse. Si apre così una battaglia politico-giudiziaria che dura otto anni e che vede l'impegno del Partito radicale nella denuncia di molti dei magistrati coinvolti che si muovono in un atteggiamento persecutorio da "angeli sterminatori", sempre più al di fuori della cultura giuridica repubblicana, laica, civile, costituzionale", a danno della giustizia e della democrazia del paese. I presunti colpevoli vengono letteralmente linciati, e tra questi ci si accanisce soprattutto contro Toni Negri: per questo
viene candidato nelle liste radicali alle elezioni del 1983. Lo "scandalo" dell'elezione di Tony Negri costringerà la Giustizia, dopo cinque anni di detenzione "preventiva", a celebrare finalmente il processo a Tony Negri e agli altri imputati del "7 aprile", costringerà il Parlamento a ridurre i termini della detenzione preventiva portandoli ai livelli della civiltà europea.
(Dossier a cura del Partito radicale - Gennaio 1987)
Premessa
La complessità e la stessa lunghezza della vicenda politico-processuale originata dagli arresti del 7 aprile 1979 rendono assai arduo offrire una documentazione che sia al contempo agile e il più possibile completa.
Il dossier qui presente è organizzato secondo due semplici criteri. Una prima parte ripercorre la vicenda in senso "cronologico". Non si tratta però di una pura e semplice sequenza di date. Tutti i principali profili e problemi sostanziali vi vengono tratteggiati, sia pure sommariamente, via via che emergono e nell'ordine con cui emergono nella storia del processo. Una seconda parte (appendice di "documentazione") raccoglie alcuni testi, provenienti da giudici, imputati e osservatori terzi, che possono valere come primo essenzialissimo orientamento per chi voglia accostarsi alla vera e propria montagna di carte accumulatasi negli anni.
CRONOLOGIA
1. 7/4/1979 - Le accuse iniziali.
2. aprile - Lo stralcio e la duplicità dei processi.
3. aprile-giugno - il telegramma di Pertini e i media.
4. 6/6 - Arresti per Metropoli.
5. 14/7 - Primo rilancio: l'insurrezione. Gallucci style.
6. La voce di Negri.
7. agosto-settembre - Piperno story.
8. settembre - Carcere speciale.
9. dicembre - Parla Fioroni.
10. 21/12 - Nuovi arresti.
11. 23/12 - Decreto Cossiga.
12. marzo 1980 - Parla Peci. Cade l'accusa Moro.
13. Nuovo mandato sostitutivo.
14. Parla Barbone. Inizia il Rosso-Tobagi.
15. Rivolta di Trani.
16. gennaio 1981 - Requisitoria Ciampani.
17. marzo - Rinvio a giudizio. Denuncia al CSM.
18 agosto - Rinvio a giudizio di Palombarini.
19. dicembre - Il giudizio di Amnesty.
20. primavera 1982 - Tentativo di svolgere assieme Moro e 7 aprile.
21. settembre - Documento dei 51. Il movimento della dissociazione.
22. febbraio 1983 - Inizio dibattimento. Le eccezioni preliminari.
23. marzo-giugno - Interrogatori.
24. maggio-giugno - Interrogatorio Negri e sua elezione.
25. giugno - Nuovi mandati da Calogero.
26. La vicenda Negri alla Camera.
27. settembre - Ripresa del processo.
28. La ``sparizione'' di Fioroni.
29. febbraio 1984 - Processo incidentale sul caso Saronio.
30. marzo - Chiusura del dibattimento e requisitoria Marini.
31. 12 giugno - Sentenza romana di primo grado.
32. luglio - Legge sulle preventive e scarcerazione imputati.
33. 30 gennaio 1986 - Sentenza primo grado del troncone veneto.
1. "LE ACCUSE INIZIALI"
1979 - 7 aprile. In quel giorno, o per l'esattezza storica, nel giorno precedente, vengono spiccati gli ordini di cattura che danno l'avvio a tutto l'affaire.
"Chi" spicca gli ordini? "Contro chi" vengono eseguiti? Con quale "oggetto" o accusa precisa?
Conviene fissare in questo contesto almeno questi punti, anche perché essi consentono, presi insieme, di ricostruire qual era il "senso iniziale" della vicenda. Ciò è importante perché, come si vedrà, esso è andato invece modificandosi nel tempo.
Cominciamo dalla accuse. L'accusa di gran lunga più importante, quella che capeggia su tutte le altre, è quella relativa ad una diretta responsabilità nel sequestro e nell'assassinio di Moro e della sua scorta. Essa non è rivolta all'insieme degli arrestati, ma a due soltanto di essi, Toni Negri e Giuseppe Nicotri (un giornalista, collaboratore dell'Espresso, e, allora del Mattino di Padova). Che si tratti dell'accusa più importante non abbisogna di molte dimostrazioni, tenuto anche conto del buio più completo in cui brancola ancora l'apparato di indagini ad un anno di distanza dai fatti - e come tale infatti sarà percepita dai media che ne faranno per mesi oggetto di prima pagina e di titoli cubitali. (v. APPENDICE).
Su cosa si basa l'accusa? Sul fatto che le voci di Negri e Nicotri sarebbero quelle di due ``telefonisti'' del caso Moro (cioè dei due telefonisti che poi risulteranno storicamente essere, rispettivamente, Moretti e Morucci). Su cosa, a sua volta, si basava questa enorme supposizione? La copertura del segreto istruttorio non consentiva, allora, di capirlo. Il segreto istruttorio è, in Italia, lo si sa bene, un segreto di Pulcinella, ma in quel caso parve funzionare. Filtravano soltanto voci di perizie fonologiche accurate affidate preliminarmente al C.N.R., al Bundeskriminalamnt ecc. Solo molto più tardi, ad atti pubblicati, ma quando ormai il clamore sul punto era da lungo cessato, apparve l'incredibile verità. Le voci di Moretti e Morucci erano state ``riconosciute'' come quelle di Negri e Nicotri da due oscuri notabili locali della Federazione padovana del Pci (Troilo e Galante). Null'altro.
Definire esile la base di questa accusa è dunque un eufemismo. I giudici tirano letteralmente ad indovinare. Il che è quanto normalmente fanno quando sono in ballo gli ``indizi'' che la legge richiede per l'emissione di provvedimenti restrittivi della libertà (come ha dimostrato mille volte Italo Mereu). Ma cosa spinge i giudici a tanta leggerezza in un caso così clamoroso? Perché non effettuare prima dell'arresto almeno alcune delle verifiche che poi dovranno pure essere fatte, prima o dopo? Perché una ``toppa'' così clamorosa?
Certo, il bisogno assoluto di trovare un bandolo della matassa che avvolge allora il mistero del delitto politico più grave del dopoguerra, e non solo italiano. Ma soprattutto l'affidamento, cieco, si direbbe, alla bontà e fondatezza del ``pacchetto'' di spiegazione dell'intero fenomeno brigatista offerto dal celebre teorema Calogero. Insomma l'accusa Moro è solo formalmente (si direbbe quasi casualmente) supportata dall'indizio fonico; nella sostanza ciò che rende questo stesso indizio verosimile è la sfolgorante idea che a dirigere in prima persona le BR siano gli ``autonomi''. Ed ecco perciò l'altro gruppo di accuse, quelle "associative". C'è quella di insurrezione armata contro i poteri dello Stato che per il momento grava solo su Negri. V'è poi l'accusa di "banda armata denominata Brigate rosse" che raggiunge una decina di coimputati, scelti, si direbbe, sull'esclusiva base di una qualche ``notorietà'' nel movimento. Infine, l'accusa di "associazione sovversiva" riferita a Potere operaio ed Autonomia op
eraia organizzata che raggiunge, oltre ai precedenti, un numero assai più ampio di persone.
E' importante sottolineare che, il 7 aprile, la struttura delle imputazioni ruota in maniera netta attorno all'equazione Autonomia-BR; ed è ovviamente ciò che sbatte il processe in prima pagina. Di per sé non vi sarebbe stato nulla di ``teorematico'' in tutto ciò. Fossero esistite effettivamente prove, giudiziariamente apprezzabili di un coinvolgimento Negri nell'affaire Moro o di un qualche nesso accertabile degli imputati con direzione strategica delle BR, il processo avrebbe potuto decollare conservando i caratteri propri di un qualsiasi accertamento giudiziario - per quanto di importanza ``storica''. Ed infatti per tutta una prima fase la stessa stampa si affanna attorno al tema delle prove, credendo o facendo finta di credere che questo sia il problema cruciale.
Rapidamente però emerge la semplice verità. Del resto anticipata con disarmante candore dallo stesso Calogero con l'affermazione per cui ``la prova principale contro Negri è Negri medesimo'': non si poteva esprimere meglio la natura di un moderno processo per stregoneria, ovvero per ``tipo d'autore''. Vale a dire che alla forma processuale non corrisponde alcuna sostanza processuale - accuse determinate, prove ecc. - bensì una gigantesca operazione di polizia, gestita in prima persona dalla magistratura.
A quel punto si apre infatti una drastica alternativa. O riconoscere che il processo è nato su un'ipotesi sballata e priva di riscontri e di conseguenza procedere al suo sgonfiamento (l'unico imputato che godrà allora di questa possibilità aperta allora a tutti sarà Nicotri, scarcerato dopo tre mesi per insufficienza di indizi, dopo aver esibito un alibi per la celebre telefonata), ovvero - come accadrà - aprire un meccanismo di rilancio continuo delle accuse, sganciate ormai da qualsiasi parvenza di connessione con le tradizionali caratteristiche del processo penale. La scelta di questa seconda alternativa segna propriamente la "data di nascita del maxiprocesso emergenzialista", incentrato su mere accuse di carattere associativo.
Autrici di questa scelta le Procure di Roma e di Padova, nelle persone rispettivamente di Vitalone e Calogero. L'uno diverrà di lì a poco senatore democristiano, l'altro rappresenterà a partire da quel momento uno dei simboli di quella ``politica della giustizia'' che il PCI e i suoi responsabili del settore continuano a tutt'oggi a perseguire. Una perfetta incarnazione di quella cultura dell'emergenza del compromesso storico, di cui il 7 aprile è certamente il frutto più maturo.
Infine, gli imputati. Poco conosciuti a livello di media - con la parziale eccezione di Scalzone e Piperno, ospiti a più riprese di settimanali a larga tiratura come ``esperti'' di cose di movimento - essi godevano invece, prima dell'arresto, chi più chi meno di una qualche notorietà nel mondo dell'estrema sinistra come intellettuali e/o militanti dell'area di autonomia. Figure perciò in qualche misura pubbliche certamente notissime a polizia e magistratura per la loro attività e per i loro scritti. Meglio di qualsiasi argomentazione questo mostra il carattere politico (non cioè propriamente giudiziario) dell'intera operazione. Da un giorno all'altro attività sicuramente lecite, come esprimere le proprie idee o svolgere pubblicamente attività di tipo politico - divengono oggetto di incriminazione con effetto retroattivo. Il nesso che il teorema ipotizza e in cui propriamente consiste, tra queste pubbliche attività e un'occulta direzione delle BR "non" è fissato e indagato al "livello" eventuale di tali occul
te attività ma si estende alla sfera del lecito trasformandola a viva forza in sfera criminale. Persino libri stampati e circolanti da anni divengono di colpo oggetto di quest'atto di retroattiva messa al bando. Gli interrogatori istruttori di Negri in particolare (vedili pubblicati per intero in ``Processo all'Autonomia'', Lerici ed. '79) sono impressionanti da questo punto di vista; in larghissima misura essi consistono in richieste di spiegazione di questa o quella affermazione contenuta negli scritti, secondo uno stile che sembra ricopiato fedelmente dalle procedure della Santa inquisizione in processi per eresia.
2. "LO STRALCIO E LA DUPLICITA' DEI PROCESSI"
A pochi giorni di distanza dal 7 aprile vi è una prima svolta processuale di grandissimo rilievo, destinata a pesare su tutta la storia del processo. Come s'è appena visto, a quella data soltanto Negri e Nicotra sono incriminati dalla magistratura "romana", precisamente per il delitto Moro. Tutti gli altri sono imputati dalla Procura "padovana" di reati meramente associativi che vanno dalla banda armata (in relazione a BR) all'associazione sovversiva (in relazione a Potere operaio e ad Autonomia). Convocati da Calogero nei giorni successivi all'arresto tutti costoro rifiutano in sostanza di rendere l'interrogatorio chiedendo l'immediata formalizzazione dell'inchiesta (il suo passaggio cioè al giudice istruttore) come la legge consente e come è ovvio che sia, vista la complessità dell'indagine. Nei 5 giorni che il codice lascia al PM per decidere su questa istanza, Calogero ``si accorge'' di non essere competente e decide di inviare a Roma, per connessione con la posizione di Negri, un gruppo di imputati. Sce
lti sulla base di quali criteri? Del tutto imperscrutabili. Neppure vale infatti un criterio oggettivo di imputazione (tutti gli accusati di Brigate rosse) visto che vengono spedite a Roma anche persone non raggiunte da tale accusa - tra cui è da segnalare il temibilissimo poeta Nanni Balestrini.
Invano la difesa eccepirà non la semplice nullità, ma addirittura l'abnormità dell'atto di stralcio. Esso infatti ``scippa'' al giudice naturale precostituito per legge (il giudice istruttore) la decisione sulla competenza (né rientra certo tra gli atti urgenti di istruzione che il PM può compiere nei cinque giorni di cui si è detto).
Evidente che si tratta di una decisione precostituita a tavolino, in accordo con gli inquirenti romani. Una decisione che mira ad un obiettivo preciso. Quello di sottrarre la parte decisiva dell'inchiesta ad un giudice come Palombarini (allora appunto giudice istruttore a Padova) le cui note posizione in tema di garantismo ne facevano un giudice scomodo.
E infatti, per la parte di processo rimasta a Padova, il cosiddetto troncone veneto del 7 aprile, si aprirà un duro e prolungato scontro tra Procura e Ufficio Istruzione che rimane probabilmente uno dei capitoli più interessanti, proprio perché infragiudiziario, del formarsi di una cultura dell'emergenza all'interno della magistratura e però anche delle possibilità di contrastarne la strapotenza con il semplice rispetto delle regole della giurisdizione. Inutile aggiungere che la stampa si schiererà d'istinto quasi compattamente dietro la Procura, con punte di autentico canaglismo nei confronti del giudice istruttore (Palombarini ``amico'' degli autonomi, ecc.).
3. "IL TELEGRAMMA DI PERTINI E I MEDIA"
Merita senz'altro un posto nella cronologia del 7 aprile il telegramma con cui Pertini elogiò pubblicamente il ``coraggio'' dei giudici padovani che avevano dato il via all'operazione. Poiché lo stesso Pertini, anche se molto tempo dopo ebbe a riconoscere di aver commesso un errore in quell'occasione, non vale ora soffermarsi sulle ragioni che spinsero allora il Presidente a quel gesto inusitato. Non v'è dubbio che esse facessero corpo con il ruolo simbolico che Pertini si era scelto e incarnò in tema di lotta al terrorismo. Ma proprio questo rende, se possibile, anche più significativo quell'episodio, perché esso inaugura ufficialmente, al più alto livello possibile, l'idea che lo stesso "giudice" debba essere soggetto attivo nella ``lotta'' al terrorismo (come poi alla criminalità organizzata). Solo oggi, ad anni di distanza, si comincia a riconoscere quanto proprio questo punto di vista sia all'origine delle storture della legislazione e della prassi giudiziaria dell'emergenza.
Per ciò che concerne il 7 aprile non si apprezzerà mai abbastanza il peso di questo gesto presidenziale sul destino stesso del processo, il prestigio presidenziale, e quello di Pertini in particolare, ha fornito un avallo preventivo ai più disinvolti modi di procedere della magistratura inquirente, oltre a squilibrare i pesi di una discussione pubblica che era (e rimane) cruciale in un caso del genere.
E' perciò opportuno in questo contesto almeno un cenno ad un tema che da solo meriterebbe un libro bianco, vale a dire al ruolo dei media, TV e giornali, specie nei primi e cruciali mesi del 7 aprile. Si è parlato, e ben a ragione, in questo caso di ``processo a mezzo stampa'' - questo il titolo di un eccellente volume di P. Crupi che analizza però quasi esclusivamente le cronache di Repubblica e dell'Unità.
Non vi è soltanto l'abituale piaggeria della corporazione dei cronisti giudiziari nei confronti delle ``verità'' fatte sapientemente filtrare dagli stessi inquirenti, ma un ruolo di primo piano nel sostenere politicamente l'accusa, sopravanzando spesso di largo margine gli stessi dati processuali. (v. APPENDICE).
4. "ARRESTI PER METROPOLI"
Il 6 giugno '79 la pattuglia di imputati si ingrossa di qualche unità. Un gruppo di redattori della rivista Metropoli, viene arrestato all'uscita di una normale riunione di redazione. L'episodio è importante non solo in sé ma perché introduce ufficialmente per la prima volta nel processo la celebre O. (``organizzazione''), vale a dire un'associazione innominata e indeterminata, ma ``destinata a fungere da avanguardia militante per centralizzare il movimento verso sbocchi insurrezionali'' (così testualmente i mandati di cattura del giugno). L'accusa iniziale del 7 aprile (Moro e Brigate rosse) era talmente infondata e/o strumentale che nel giro di un paio di mesi e in una sede impropria essa viene fatta sparire.
Eppure semmai proprio in questo caso avrebbe avuto una qualche ragione di suggestione. L'immediato precedente, e l'unico vero motivo, di questi arresti è infatti la cattura, a fine maggio di Morucci e Faranda e la scoperta che ad aiutarli a trovare un alloggio provvisorio fossero stati Pace e Piperno. Come risulterà pacifico più tardi la coppia di brigatisti era in fuga, quasi più rispetto alla ``polizia brigatista'' che a quella statale, e perciò si erano rivolti per aiuto ai due vecchi amici. Ma nel clima di allora i giudici non fanno tanti complimenti e il metodo Calogero è lì pronto ad assecondarli. Se Piperno ha accomodato i suoi vecchi amici facendoli passare per redattori di Metropoli, tutta la redazione di Metropoli viene ipso facto incriminata come Banda armata. Ma questa banda "non" è più Brigate rosse ma il frammento di quella che diverrà di lì a poco una indeterminata ma temibilissima O. Insurrezionale. (v. APPENDICE).
5. "PRIMO BILANCIO L'INSURREZIONE. GALLUCCI STYLE"
12 luglio 1979. La primissima convulsa fase del 7 aprile si chiude con un duplice atto giudiziario: l'ordinanza con cui il g.i. romano Gallucci respinge tutte le istanze di scarcerazione (ad eccezione di quella di Nicotri) e una raffica di nuovi mandati di cattura, riassuntivi e ``sostitutivi'' dei precedenti, con cui viene elevata a tutti gli originali imputati l'accusa di insurrezione armata contro lo Stato. Il testo completo di questo insigne monumento dello stile dell'emergenza viene compreso nell'Appendice e il lettore è in grado perciò di apprezzarne direttamente lo spessore giuridico e culturale.
Qui occorre sottolineare un punto centrale. Con la generalizzazione dell'accusa di insurrezione, l'intera struttura del processo 7 aprile assume una forma dalla quale non è più riuscito a liberarsi fino ad oggi - quando pure quell'accusa è definitivamente caduta già con la sentenza di primo grado, non appellata per questa parte dalla pubblica accusa. L'insurrezione non è stata soltanto l'accusa più grave che abbia pesato in quegli anni su un numero cospicuo di imputati, ma quella che ha riassunto e qualificato l'intero contesto del processo.
E' infatti riduttivo leggere nella scelta compiuta allora dall'Ufficio istruzione romano un intento puramente strumentale. Non v'è dubbio che un intento del genere sia esistito. In primo luogo, nei pochi mesi trascorsi dal 7 aprile non poteva non essere apparso chiaro agli occhi degli stessi inquirenti (occhi ancora non adusi alle grandiosità dei teoremi calogeriani) l'inconsistenza, in fatto, delle accuse relative a Moro e al nesso di identificazione tra Autonomia e BR. Ma il fatto è che precisamente su queste accuse si basava la "competenza" romana. L'accusa di insurrezione interviene dunque a sanare ex post questo palese difetto di legittimazione (ancorché, sul piano formale, sia altrettanto inconsistente la pretesa che a giudicare di un tale reato siano "naturalmente' competenti i giudici della Capitale. In secondo luogo, la nuova accusa ha il tranquillante effetto di raddoppiare i termini di carcerazione preventiva rispetto a quelli di ``semplice'' banda armata: 2 anni invece di uno per ogni fase del gi
udizio, 8 complessivi invece di 4 (rispetto alle norme vigenti nel '79).
Tuttavia il mutamento di fisionomia assunto dal processo con il mandato di cattura del luglio '79 è assai più sostanziale. Sembra di poter affermare che i pochi mesi trascorsi dall'aprile abbiano allora aperto una violenta divaricazione nei possibili destini del processo. Accertata l'inconsistenza fattuale delle accuse iniziali e il carattere fantasmagorico delle ``prove'', era ancora astrattamente possibile allora procedere allo sgonfiamento del processo o rinviando gli atti al giudice naturale o alleggerendolo delle posizioni più palesemente marginali o puramente teorematiche... Ovvero occorreva non solo tener duro ma "rilanciare" le accuse, dando per di più loro esplicitamente la configurazione di un'imputazione "totalmente politico-ideologica".
Questa seconda scelta a cui certo il giudice romano era più che predisposto apparve evidentemente naturale, complici una serie di circostanze, tra le quali va almeno ricordato l'"unanime via libera" che il mondo della politica ufficiale e dei media aveva mostrato di dare nei mesi precedenti all'iniziativa giudiziaria. (v. APPENDICE).
6. "LA VOCE DI NEGRI"
Nel corso dell'estate procede il grottesco iter della perizia fonica. Le stranezze qui si moltiplicano. La prima è che l'origine del sospetto sulla voce di Negri sembra essere stata, tra l'altro, l'impressione in questo senso del giudice Alessandrini (ucciso da Prima Linea nel gennaio '97). Alessandrini aveva visto Negri una sola volta - in una cena divenuta a sua volta un capitolo grottesco del processo - e mai l'aveva sentito per telefono. Non è mai risultato chiaro come questa ipotesi di Alessandrini, se mai fu veramente formulata, sia giunta nel processo. La seconda è che, senza bisogno di alcuna perizia, Nicotri viene scagionato sulla base di un alibi. Viceversa l'alibi presentato da Negri verrà verificato molto più tardi e senza alcun risultato per la semplice ragione che il teste a sostegno verrà immediatamente incriminato. La terza è che la perizia principale - a prescindere dal fatto che non esiste perizia che possa dare certezza di identificazione di una voce - viene assegnata ad un esperto america
no, Oscar Tosi, su cui la magistratura locale (Michigan) ha già espresso pesanti riserve. Va da sé che questa sarà l'unica delle quattro perizie a concludere per un'alta probabilità che la voce in questione fosse quella di Negri.
7. "PIPERNO STORY"
Tra giugno e settembre esplode quella che in Francia è stata giustamente definita una pantallonade, un'arlecchinata giudiziaria - la Piperno-story. I dati salienti. Piperno, sfuggito alla cattura il 7 aprile, viene contemporaneamente riconosciuto, lo stesso caldo giorno di ferragosto, come protagonista di uno scontro a fuoco alla stazione di Viareggio e come tranquillo avventore di un bistrot di Parigi. Il primo riconoscimento è frutto dell'allucinazione di qualche Polfer - ma la dice lunga sul clima - il secondo della ``vigilanza'' di un militante pci in vacanza - e anch'esso la dice lunga! Arrestato a Parigi il 18 agosto, comincia il balletto delle richieste di estradizione. La prima, basata sul fresco mandato di insurrezione, viene sonoramente bocciata dalla Chambre d'accusation. In tutta fretta il solerte Ufficio Istruzione romane ne prepara un'altra in cui accusa Piperno (e Pace) di tutti i delitti delle BR, a cominciare da quello Moro. L'estradizione viene infine accolta solo per quest'ultima ipotesi d
i reato. Trasportato in Italia con enorme spiegamento di forze, Piperno resterà a Rebibbia per 7 mesi per vedersi poi scarcerato per insufficienza di indizi. Per non rinunciare ai limiti dell'estradizione, Pace e Piperno dovranno ripartire per la Francia e poi, il secondo, per il Canada. A tut'oggi, quasi "8 anni dopo", non è ancora intervenuta alcuna sentenza, neanche di primo grado, che si sia pronunciata sulle responsabilità o meno di questo preteso pericolo pubblico n. 1.
Cade qui opportuno un cenno sul destino, quanto mai significativo, delle numerose richieste di estradizione nei confronti dei vari latitanti del 7 aprile. Tolto il caso appena ricordato, si può ben dire che la magistratura di mezzo mondo si è pronunciata per l'inconsistenza e irricevibilità delle accuse, soprattutto associative, che costituiscono il nerbo del 7 aprile. Questo è finora l'unanime verdetto dei Tribunali di Francia, Svizzera, Germania Federale, Canada, Nicaragua, Colombia, Australia.
8. "CARCERE SPECIALE"
Nei primi giorni di settembre, tutti gli imputati 7 aprile, detenuti fin lì nel carcere romano di Rebibbia, vengono spediti nel circuito delle carceri speciali. C'è qualcosa di sadicamente studiato nelle modalità stesse di questa decisione: gli imputati vengono letteralmente dispersi in modo da non avere più alcun rapporto tra di loro. Castellano a Pianosa, Dalmaviva all'Asinara (appena giunto sarà coinvolto in una sommossa BR), Ferrari Bravo a Favignana, Negri a Fossombrone, Vesce a Termini Imerese, Virno a Novara, Zagato a Nuoro. Non basta la barbara ``cautela'' del carcere preventivo in attesa di raccogliere le prove; occorre anche impedire qualche flebile tentativo di difesa che il collettivo degli imputati aveva mostrato di riuscire in qualche modo a tenere in piedi anche dal carcere, con dichiarazioni ai giornali, documenti ecc. Ancora una volta a distinguersi in questo frangente è un esponente comunista, il Trombadori, cui si devono scandalizzati lai per l'impudenza degli imputati e il lassismo della
censura carceraria - interventi che precedono di qualche giorno la decisione ministeriale.
Che così vengano pressoché azzerati i rapporti con i familiari e, ciò che più conta, con gli stessi legali, in una fase delicatissima dell'istruttoria, non importa evidentemente nulla; ed ancor meno che tutto ciò sia formalmente illegale sulla base della stessa normativa carceraria vigente allora. Dal punto di vista dei giudici, secondo una perfetta logica inquisitoria, gli imputati è come ormai non ci fossero. Vi saranno casi, come quello di Ferrari Bravo in qui l'imputato non vedrà letteralmente più alcun giudice dal luglio '79 all'interrogatorio dibattimentale: quattro anni, si intende, in stato di detenzione.
Ma l'aspetto più impressionante di questo ulteriore giro di vite sta in ciò che l'incredibile rapporto Autonomia-BR, su cui da mesi infuriano le polemiche, viene per così dire costituito forzosamente all'interno del carcere con un semplice provvedimento amministrativo. La cosa diverrà ancor più chiara qualche mese dopo quando verrà inaugurato il nuovo speciale di Palmi. In esso vengono fatti confluire, oltre ai ``comuni più pericolosi'', l'intero gruppo storico delle BR e buona parte degli imputati del 7 aprile. Con quali rischi per la stessa incolumità fisica di questi ultimi è facile immaginare, se solo si rammenta il clima carcerario di allora e le polemiche brucianti tra gli uni e gli altri. Ciò che importa è collocare i diversi ``pesci'' nello stesso acquario per poterne osservare i comportamenti. Occorrerà ai ``pesci'' molta intelligenza, buona volontà e fortuna per uscire indenni da questa prova - almeno fino alla rivolta di Trani (dic. '80).
9. "PARLA FIORONI"
Nei primi giorni di dicembre, nel carcere di Matera dove è detenuto (in condizioni di particolare favore) inizia la deposizione fiume di Carlo Fioroni. Ci si limiterà ovviamente, in questa sede, a ricordare i temi salienti.
Il primo riguarda direttamente il cuore ``teorematico'' del processo. In una veste a metà da testimone e a metà da ``esperto'' (abbondano infatti nei suoi verbali opinioni e valutazioni) Fioroni accorre a puntellare un'ipotesi di connessione Autonomia-BR allora già pesantemente in crisi. Spogliata però delle numerose expetise più o meno grossolane offerte dal teste - memorabile quella per cui secondo Fioroni (arrestato si rammenti nel '75) non solo BR ma anche Prima Linea sarebbe stata da ricondurre alla stessa matrice potoppista - l'unico fatto su cui egli apporta un contributo è costituito dal racconto di 3 o 4 riunioni intervenute tra Negri e Curcio tra '73 e '74. Negri ammetterà, in dibattimento queste riunioni, ricostruendone però significato e modalità in termini esattamente opposti da quelli indicati da Fioroni - in termini peraltro che sembrano gli unici compatibili con l'ormai accertatissima storia delle BR di quegli anni.
Per il resto, la testimonianza Fioroni ha un oggetto affatto diverso, in quanto è rivolta a mostrare, con il corredo di molte circostanze ed episodi, il fatto che fin da dentro l'ultima fase di Potere operaio vi fosse stato il tentativo di costituire (da parte di alcuni dirigenti di PO, segnatamente Negri e Piperno) dei ``livelli occulti'', cioè strutture di ``lavoro illegale'' predisposte al procacciamento illegale di finanziamento e al compimento di attentati alle cose. La minuziosa descrizione di tali tentativi raggiunge talora effetti di involontaria comicità, perché tra le attività messe poi concretamente in essere da tali mirabolanti livelli occulti spiccano il furto di una collezione di francobolli, di un quadro di autore, il ratto di una cavalla, varie - ideate e mai realizzate - piccole rapine.
Il tutto poi condito da un fatto, su cui la stampa si precipitò a ricamare titoloni sugli inquietanti rapporti tra terrorismo e malavita comune. Il fatto è il coinvolgimento in alcune di queste imprese minori (ma soprattutto nel sequestro Saronio, di cui si dirà subito dopo) di un malavitoso di mezza tacca, il ``balordo'' e mitomane Carlo Casirati. Mitomane non è termine scelto a caso. A costui si deve (quando anch'egli si decide di collaborare) una ``ricostruzione'' dettagliatissima dell'omicidio di due missini (accaduto a Padova ad opera di BR nel giugno '74) "inventata di sana pianta", come è ormai stato accertato dall'inchiesta locale e per cui pende sul suo capo un procedimento d'ufficio per calunnia.
Casirati rimane invece personaggio importante per l'altro tema su cui si svolge la deposizione Fioroni, il sequestro e la morte dell'ing. Saronio. I fatti. Saronio, figlio di un'agiata famiglia milanese, di formazione cattolica molto sentita, gravita negli '74-'75 nell'area di discussione dell'autonomia milanese. Ed è proprio all'uscita da una riunione con compagni di quest'area, nel giugno '75, che viene prelevato a forza da una macchina di finti carabinieri - è appunto la banda del Casirati. Come risulterà al processo milanese, egli muore subito per una dose eccessiva della sostanza con cui si cerca di stordirlo. La sparizione di Saronio mette in forte agitazione la comunità dei suoi amici, che fanno vari tentativi di capire per conto proprio cosa fosse accaduto e qualche sospetto comincia a sorgere proprio sul Casirati a causa dell'ambiguo girovagare di quest'ultimo in ambienti politici. Non certo su Fioroni, di cui era nota l'amicizia personale con Saronio; tant'è che anche Fioroni viene interessato ai t
entativi di venire a capo del sequestro, "malgrado" il fatto (cui nel processo romano non si vorrà prestare alcuna attenzione) che da tempo ormai Fioroni fosse messo ai margini di quell'area politica.
Dopo circa un mese dal sequestro, la notizia-bomba. Fioroni viene arrestato in Svizzera mentre cerca di riciclare soldi provenienti dal riscatto (pagato nel frattempo, contro assicurazioni sulla vita di Saronio fornite alla famiglia, con incredibile cinismo, grazie allo stesso Fioroni). Prima ancora di essere estradato in Italia comincia l'oscura storia della collaborazione di Fioroni che riceve già nel carcere svizzero visite di esponenti dei servizi italiani. Le sue confessioni porteranno comunque all'incriminazione di Casirati che a sua volta confesserà, ma restando in tenacissima contrapposizione al Fioroni su molti punti, a partire da quello cruciale della spartizione dell'immondo bottino. Su questa base si svolgerà, nel '78, il processo di primo grado a Milano con pesanti condanne a tutti i responsabili del sequestro. Ma fino al 7 aprile '79, o meglio fino al dicembre, se si deve prestar fede alle date della collaborazione ufficiale di Fioroni, nessuno ipotizza responsabilità diverse da quelle accertat
e nel processo milanese. Sui termini, quanto mai sfuggenti, ambigui e contraddittori nei quali verranno prospettate responsabilità ``politiche'' dalla coppia Fioroni-Casirati ci si deve qui limitare alla pubblicazione della lettera spedita alla Corte romana dall'avv. milanese Gentili, da sempre difensore di Fioroni. (v APPENDICE).
10. "NUOVI ARRESTI"
21 dicembre. Su base Fioroni, rilancio in grande stile dell'operazione 7 aprile. Vengono effettuati 32 arresti in varie parti d'Italia. Tra gli altri, Cavallina, Finzi, Funaro, Liverani, Magnaghi, Monferdin, Raiteri, Tommei. In particolare, e questo è uno degli aspetti più sconcertanti dell'intera operazione - sono arrestati tutti i testimoni a favore degli imputati della prima tranche del 7 aprile. La composizione del gruppo dei nuovi arrestati è simile a quella degli incarcerati il 7 aprile: si tratta di ex militanti di Potere operaio, nella maggior parte dei casi lontani dalla politica da anni. E' un tentativo pesante di incriminare professionisti ed intellettuali di un'area molto vasta a dimostrazione della penetrazione sociale dell'insidia terroristica e quindi della necessità di provvedere con mezzi straordinari e di emergenza penale. Il quadro repressivo si estende: dopo aver colpito la linearità del preteso progetto organizzativo (dal '68 al terrorismo, da Potere operaio alle BR) vuole ora colpire la
sua estensione sociale (dai professionisti della politica, agli insegnanti, ai medici, ai giornalisti e pubblicitari, ecc.).
11. "DECRETO COSSIGA"
Con straordinaria tempestività, il 23 dicembre, neppure quindici giorni dopo l'inizio della collaborazione Fioroni (che dovrebbe rimanere segreta, ma è invece bellamente pubblicata per intero o per stralci da tutti i giornali) il governo Cossiga emana un decreto-legge che sembra tagliato su misura su Fioroni come ``prototipo'' del grande pentito. Straordinari sconti di pena vengono garantiti a chi abbracci la strada della grande collaborazione. Di contro le già severissime pene per reati di terrorismo vengono ulteriormente inasprite con l'introduzione di un'aggravante speciale, che prevale su ogni altra eventuale attenuante. Non solo, i termini di carcerazione preventiva vengono, per gli stessi reati, aumentati di un terzo e, quel che è più, si applicano retroattivamente ai processi in corso. Alcuni giudici, pur in clima generale di emergenza, eccepiranno davanti alla Corte Costituzionale per questa estensione che persino Alfredo Rocco, in pieno fascismo, aveva escluso. Due anni più tardi, la Corte si pronun
cerà salvando le norme impugnate, con una decisione che rimane tra le più nere della sua giurisprudenza.
12. "PARLA PECI. CADE L'ACCUSA MORO"
Quando, nel marzo '80, viene arrestato e comincia a collaborare Patrizio Peci, capocolonna in attività in una delle zone ``forti'' di BR, il Piemonte, i giochi per l'inchiesta 7 aprile sono ormai fatti. Fosse accaduta un anno prima, la deposizione di Peci avrebbe avuto un effetto devastante su tutto l'impianto accusatorio iniziale. Cosa afferma infatti Peci, membro della direzione strategica delle BR, sulla base di una conoscenza, questa volta diretta e di prima mano dei fatti? Che il teorema Calogero di un qualche rapporto occulto tra autonomi e brigatisti è una pura invenzione; che anzi i rapporti tra gli uni e gli altri sono da sempre improntati da ostilità e disprezzo.
In realtà l'unica persona rimasta in Italia a credere tenacemente alla bontà delle proprie intuizioni è per l'appunto Calogero. Quando finalmente è il suo turno di interrogare Peci, non riesce a trattenersi dal mettere a verbale un avvertimento al teste, che è insieme pieno di minaccia e di stizza.
Ma, conviene ripeterlo, i giochi ormai erano fatti: sul piano della volontà politica, già nel luglio precedente con il mandato per insurrezione, punto di non ritorno della macchina processuale, su quello giudiziario, con la provvidenziale deposizione Fioroni che a buon titolo può considerarsi l'architrave del 7 aprile. Non già per i singoli fatti riferiti, ma per il tessuto delirante e insieme vago e allusivo che Fioroni stesso intesse ricucendo i singoli fili del suo racconto. Fioroni è il teste chiave della O. ipotizzata dagli inquirenti romani (di cui s'è detto) un fantasma che dominerà fino all'intero processo di primo grado. La O. come quintessenza organizzativa senza nome che attraversa e sostiene le singole realtà organizzative eventualmente esistenti nello spazio e nel tempo ma senza identificarsi in esse. Una sorta di spirito maligno, che di fatto peraltro coincide quasi esattamente con la persona fisica di Negri Antonio e ha il potere di rendere ``banda armata'' qualsiasi cosa o persona toccata da
quest'ultimo.
13. "NUOVO MANDATO SOSTITUTIVO"
Contestualmente allo scagionamento dell'accusa Moro da parte di Peci, prende avvio e si concluderà nell'81 il processo d'appello per il sequestro Saronio a Milano. Pur tra esplicite accuse dei giudici a Fioroni di essere un ``mentitore costituzionale'' e pur escludendo la responsabilità di terzi nel delitto Saronio, la sentenza concederà a Fioroni il premio della collaborazione. Va sottolineata la procedura utilizzata per far valere le affermazioni accusatorie di Fioroni (su temi che non erano oggetto del processo milanese). Il testimone della corona è stato sottratto ad ogni confronto con le persone che lui accusa. In una sede impropria e fuori dal confronto dibattimentale, gli viene concessa una riduzione di due terzi della pena. Inoltre non viene perseguito per tutti i reati per cui è reo confesso e non viene chiesta l'estradizione dalla Svizzera (ovviamente non emersi al momento della sua cattura colà) per i reati di cui s'è dichiarato correo.
A questo punto, comunque caduto Moro e vacillante l'accusa Saronio (vi sarà poi un primo proscioglimento istruttorio) sembra che del 7 aprile reati in piedi ben poco. Ma non è certo questo l'orientamento degli uffici giudiziari romani. Il 18 giugno '80 viene emesso un ennesimo mandato di cattura collettivo e sostitutivo, con cui si pigia l'acceleratore sulle accuse associative. La O. subisce un'ulteriore modificazione. Accanto ai nomi degli arrestati del 7 aprile, in gran garbuglio privo di qualsiasi senso, appaiono altri nomi di celebri terroristi. Questi nomi cadranno quasi del tutto nel successivo rinvio a giudizio. Evidentemente qui sono immessi per fingere continuità nel disegno dell'accusa e nella definizione della prova.
Ad alcuni imputati questo mandato, di cui pure sono destinatari, neppure verrà notificato né verranno su di esso interrogati.
14. "PARLA BARBONE. INIZIA IL ROSSO-TOBAGI"
Nel settembre '80 ha inizio l'ultima ``grande collaborazione'' che incide direttamente sul 7 aprile romano. E' la volta di Barbone. Anche in questo caso, impossibile riassumere i suoi sterminati verbali. Conviene piuttosto limitarsi ad una semplice elementare domanda. In che cosa e in che senso la deposizione Barbone può interessare il giudice romano, visto che egli è reo confesso dell'omicidio di Walter Tobagi e di altre imprese criminali della sua banda (la XXVIII marzo) nelle quali gli imputati ``romani'' nulla hanno a che fare? La risposta sta in ciò che Barbone, messosi a collaborare, racconta l'intera sua vita di sovversivo e, nella sua parte iniziale, essa lo vede militare giovanissimo in una larga area di autonomia milanese che fa riferimento alla rivista Rosso. Ciò fino alla "primavera del '77". La descrizione fornita da Barbone della storia, delle vicissitudini, del modo di funzionare di questa turbolenta area politica non introduce di per sé clamorosi elementi di novità.
Ciò che caratterizza propriamente la deposizione di Barbone, che la rende preziosa agli occhi degli inquirenti, e che con tutta probabilità gli merita lo straordinario ``premio'' di cui godrà, è costituito da due ulteriori elementi.
Uno per così dire, positivo consiste nel fatto che Barbone dipinge l'area di autonomia di cui si tratta (composta di decine di collettivi e migliaia di persone) come un tutto fortemente strutturato e centralizzato, al cui vertice, manco a dirlo, stanno i soliti nomi, Negri in testa. L'altro, negativo, è che egli sorvola completamente, con l'ovvia complicità dei giudici che lo ascoltano, sulle ragioni della ``spaccatura'' di Rosso del '77, di cui pure è uno dei protagonisti. Cos'era accaduto? Che all'indomani della tragica uccisione dell'agente Custrà nel corso di una manifestazione a Milano si era aperta una durissima e definitiva contrapposizione all'interno dell'area di Rosso. Proprio Barbone è tra coloro che attaccano con più virulenza le posizioni dei vari Negri, ecc. come quelli che si opponevano al ``salto di qualità'' verso la lotta armata. E' in seguito a questa spaccatura che prenderanno vita le varie bande, Formazioni comuniste combattenti, Reparti comunisti d'attacco, e infine quella Brigata 28 ma
rzo che ucciderà Tobagi.
E' perciò un completo "non senso storico, politico e morale" che il processo che prende avvio a Milano dalle dichiarazioni di Barbone venga ufficialmente denominato ``Rosso-Tobagi''. Ma è un nonsenso che ha un'ulteriore spiegazione se solo si ricordino le durissime polemiche che accompagnano fin dall'inizio il processo milanese, tra la locale Procura da una parte e la famiglia Tobagi e la locale Federazione socialista dall'altra attorno ai molti e seri punti oscuri che circondano sia la scelta di Tobagi come vittima che le modalità del pentimento di Barbone (ruolo dell'inflitrato Ricciardi, della fidanzata di Barbone, Caterina Rosenwelg, ecc.). Negri e c. costituiscono un'ottima testa di turco su cui scaricare, almeno parzialmente, le tensioni che provengono da questa contrapposizione.
L'effetto di tutto ciò sul procedimento romano sarà - oltre ad un'ulteriore duplicazione processuale; ma chi ormai si cura di ciò? - il consolidarsi di uno scenario ormai collaudato in quel processo, vale a dire il moltiplicarsi della teoria di assassini patentati, e debitamente pentiti (e spesso già in libertà), che si presentano a rovesciare accuse contro coloro che li hanno combattuti politicamente.
Né, ovviamente, il racconto di Barbone (e degli altri pentiti milanesi) determinerà l'unico effetto positivo che del tutto oggettivamente avrebbe potuto conseguire. L'effetto cioè di diradare le nebbie ``dialettiche'' che avvolgono la misteriosa O. che circola tra le imputazioni romane. Poiché, se barbone doveva essere creduto un tutto, l'organizzazione di cui Negri ed altri sarebbero stati al vertice si sarebbe ridotta ad una corposa ma limitata realtà, uno spezzone dell'autonomia milanese nella seconda metà degli anni settanta. Ma dove sarebbe finito in questo caso il processo politico del secolo?
15. "RIVOLTA DI TRANI"
Mentre è in corso il rapimento del giudice D'Urso, scoppia una ``rivolta'' nel carcere di Trani, dove è rinchiuso un gruppetto di imputati 7 aprile. L'intera vicenda del rapimento D'Urso, un episodio di prima grandezza di quegli anni, è stato oggetto di un libro bianco radicale, cui è necessario rimandare.
In questo contesto, va almeno rammentato che non di ``rivolta'' si trattò, bensì di un'azione di commando ideata ed eseguita dalla sola componente brigatista presente nel carcere. Inutile aggiungere che l'intera stampa nazionale non perderà un secondo nell'ipotizzare una ``direzione'' degli avvenimenti proprio da parte di Negri e compagni.
E' in quel convulso contesto che prende corpo per la prima volta in termini chiari l'ipotesi della ``dissociazione politica'' dal terrorismo come percorso di fuoriuscita dalle logiche di emergenza e di guerra che continuano a contrapporsi schiacciando nella loro morsa ogni diversità e ogni speranza.
16. "REQUISITORIA CIAMPANI"
All'inizio dell'81 volge al termine la lunga istruttoria. In quasi due anni sono solo ascoltati i pentiti di turno, non è stato svolto praticamente alcun accertamento anche se formalmente richieste dagli imputati che potesse in qualche modo verificare, dare o negare riscontro alle parole di Fioroni. Inutilmente gli accusati hanno chiesto di essere messi a confronto coi ``pentiti'', che venissero ascoltati i testi a difesa, che fossero verificati gli alibi. I mandati di cattura si sono succeduti, ognuno in sostituzione del precedente, senza che mai si arrivasse ad una sentenza di proscioglimento.
A gennaio vengono depositati gli atti e la requisitoria del PM Ciampani. In quest'ultima, un dato è subito impressionante: non viene contestato alcun indizio che fosse già acquisito il 7 aprile '79. Vale a dire che a quella data non vi era alcuna prova che giustificasse gli ordini di cattura. Vive invece nella requisitoria un intreccio tra insurrezione (da cui comunque chiesto il proscioglimento di alcuni imputati, come Dalmaviva e Ferrari Bravo), ``O.'' e bande armate tutte dimostrate secondo un puro principio di circolarità. Viene del tutto accantonato l'unico possibile supporto; i reati specifici, le armi, mai trovate, i ``covi'' mai scoperti in quanto mai esistiti, l'attribuzione personale dei reati. Poiché nessun reato specifico, nessun fatto è idoneo a ipotizzare una banda e tanto meno un progetto insurrezionale (si pensi che i famosi reati specifici), e dello spessore che s'è detto, si fermano temporalmente al '75), la luce dell'ergastolo è riverberata su fatti e persone dal loro essere frammenti del
grandioso progetto potoppesco del '71. Nessuna singola banda viene analizzata per provare che possiede appunto i requisiti giuridici di ``banda''; quasi nessun imputato è accusato per la sua attività in uno specifico ambito organizzativo. L'accusa ai singoli viene provata dunque da un qualunque rapporto con la ``O'' cioè con persone, strutture che a questa ``O'' vengono riferiti in via assolutamente pregiudiziale. Lo spazio, il tempo, le differenze, tutto viene azzerato.
17. RINVIO A GIUDIZIO. DENUNCIA AL CSM"
Dopo il deposito della requisitoria Ciampani viene stabilito il termine del 25 marzo per la presentazione delle memorie difensive (il 7 aprile scadrebbero i due anni di massima preventiva per gli accusati di sola banda armata). Di fatto si tratta di non più di un mese di tempo ai difensori per conoscere le 100.000 pagine di atti ed elaborare le memorie. Ma non vi è neppure bisogno di attendere l'anniversario del primo bilancio: il 30 marzo è depositata l'ordinanza di rinvio a giudizio del g.i. Amato. 1018 pagine pronte evidentemente da mesi e che divengono merce di scambio con alcune testate giornalistiche senza neppure il ritocco a tutti i punti che ne datano la stesura a tempi ben precedenti. Il sovrano disprezzo per il punto di vista della difesa è solo l'ultimo tocco di un metodo di conduzione dell'istruttoria che spingerà gli imputati a presentare subito dopo una documentata denuncia al Consiglio superiore della Magistratura (inutile aggiungere che di essa non si è saputo più nulla) (v. APPENDICE).
Quanto al merito vi è un'unica importante verità: Negri viene prosciolto - in sede istruttoria - del delitto Saronio. (Verrà rinviato a giudizio più tardi dalla Sez. istruttoria d'appello). Non è poco per una sentenza che esegue senza titubanze fin nei dettagli la deposizione Fioroni ma che deve arrestarsi di fronte alle incredibili ambiguità e contraddizioni di questa parte del suo racconto. Per tutto il resto la sentenza Amato segue, peggiorandola e involgarendola ulteriormente, la requisitoria. Respinge ad esempio i richiesti proscioglimenti per insurrezione, ma soprattutto - malgrado le apparenze e malgrado la mole - rinuncia del tutto a qualsiasi tentativo di dimostrazione dell'assunto accusatorio. Essa si risolve nell'affastellamento (in forma di schede) di un elenco sterminato di reati e di episodi di violenza accaduti in Italia nell'ultimo decennio, senza attribuirli personalmente a nessuno degli imputati, ma lasciando intendere che tutti ne sono ``moralmente'' responsabili (v analisi in APPENDICE).
18. "RINVIO A GIUDIZIO DI PALOMBARINI"
Nell'81 viene a conclusione anche l'istruttoria sulla tranche padovana. Nella Requisitoria Calogero, tetragono, le sue ``verità'' anche se ormai smentite dagli stessi atti: Autonomia e BR sono un tutt'uno, ecc., continuando ad occuparsi per metà requisitoria di imputati su cui egli stesso si era dichiarato incompetente.
Ad agosto esce il rinvio a giudizio di Palombarini, l'unico documento giudiziario di quest'annosa vicenda dotato di respiro storico e dignità giuridica (vedilo pubblicato, con un'importante introduzione di Giancarlo Scarpari, in volume Arsenale Ed.).
Nella sentenza Palombarini liquida il teorema e ricostruisce le vicende dei primi anni '70 in modo finalmente ragionevole, esplicitando le differenze tra i gruppi della sinistra, ricostruendo la storia di P.O., le sue reali e non fittizie scissioni, l'irriducibilità di Autonomia ad organizzazione unitaria e la sua realtà di movimento composito; documentando sinanco la sproporzione tra desideri e proclami rivoluzionari e forze e livelli organizzativi effettivi della sinistra extraparlamentare.
Scrive Palombarini: ``Si tratta di vicende che è politicamente impossibile ricondurre ad un'unica generale realtà associativa. E infatti non è un caso che anche sul piano strettamente processuale manchi ogni prova circa la sussistenza di una simile unificante associazione''. Su Potere Operaio egli così conclude: ``non è chi non veda la sostanziale irrilevanza non solo ai fini della dichiarazione di esistenza di una banda armata con caratteri per dottrina e giurisprudenza necessari per il reato di cui all'art. 306, ma la stessa configurabilità di un'associazione sovversiva''. Infine su Autonomia, egli scrive della ``inesistenza non solo di un unico `partito armato' ricomprendente, oltre a strutture clandestine quali le BR e Prima Linea, una struttura pubblica denominata A.O.O., ma anche di un'unica associazione - pur diversa e distinta dalle BR e dalle altre formazioni clandestine - denominata A.O.O.''.
19. "IL GIUDIZIO DI AMNESTY"
Per la prima volta nell'annuale Report di Amnesty International, pubblicato come di consueto la fine dell'anno, compare una larga parte dedicata al 7 aprile. (v. APPENDICE). E così sarà in tutti gli anni successivi. Anzi, l'approfondimento del caso condurrà nel '86 alla pubblicazione di una relazione organica nella quale degli iniziali temi garantisti della lunghezza della carcerazione preventiva si giungerà alla più impegnativa conclusione secondo cui il 7 aprile s'è rivelato un processo "non equo" (vedila anch'essa in APPENDICE).
Oltre all'importanza intrinseca dei giudizi di Amnesty, la cui ponderatezza e serietà è universalmente riconosciuta, la cosa che va assolutamente sottolineata è l'incredibile, pervicace, duratura "censura" che l'intera stampa italiana opera negli anni nei confronti di questa parte del Rapporto annuale (di cui dà invece in genere notizia per ciò che concerne altre vicende e soprattutto altri paesi). Un caso per tutti: Repubblica, per quanto più volte sollecitata, non ha "mai" dato notizia, "per anni", di questi rilievi di Amnesty. Un bell'esempio davvero di giornalismo ``laico'' e liberale.
20. "TENTATIVO DI SVOLGERE ASSIEME MORO E 7 APRILE"
Primavera. A più di un anno dal rinvio a giudizio pare finalmente fissato l'inizio l'inizio del dibattimento davanti alla prima Corte d'assise romana. Ma c'è un ma. Si tratta della stessa Corte cui è assegnato il processo Moro, iniziato all'inizio dell'anno e la cui durata prevista è ovviamente di molti mesi. La soluzione che viene prospettata è davvero singolare: iniziare anche il 7/4 e procedere poi ad udienze alterne di una settimana ciascuno. Ovvio che questo equivarrebbe a ricreare sul piano meramente scenografico una connessione teorematica faticosamente combattuta per anni dagli imputati ed altrettanto ovvio che questi ultimi debbano rifiutarla. S'intende, al prezzo di altri lunghi mesi di attesa in carcere che il processo abbia infine inizio.
21. "IL DOCUMENTO DEI 51"
L'estate '82, pur vuota di scadenze processuali, è tuttavia importante per il gruppo di imputati 7 aprile, nel frattempo concentrati nel carcere di Rebibbia, perché essi si trovano inseriti in un movimento carcerario del tutto inedito - un primo grande tentativo di affrontare gli enormi problemi della condizione carceraria fuori da logiche guerresche. Anche nella vasta area della detenzione politica di sinistra viene finalmente a maturazione un movimento di riflessione e di ridefinizione del proprio rapporto rispetto al carcere e ai processi - il movimento di dissociazione politica dal terrorismo. Il primo documento che sintetizza temi e richieste - documento del 51, pubblicato sul Manifesto nel settembre '82 - vedrà in calce le firme di quasi tutti gli imputati del processo.
22. "INIZIO DIBATTIMENTO. LE ECCEZIONI PRELIMINARI"
Il febbraio '83, a quasi quattro anni di distanza dai primi arresti, prende finalmente avvio il dibattimento di primo grado. Dopo le formalità di apertura ed una breve interruzione per consentire agli imputati ``milanesi'' di ottenere uno stralcio dal processo Rosso (di cui s'è detto) contemporaneamente in corso, iniziano le udienze dedicate alle eccezioni preliminari.
Questa fase processuale abitualmente dedicata a questioni meramente formali è invece impostata dall'insieme degli avvocati (in pieno accordo con il collettivo degli imputati) come una critica complessiva e frontale ai modi con cui il processo è stato costruito. Una scelta logica e persino obbligata visto che proprio attorno al 7 aprile ha preso avvio nel paese il dibattito sul garantismo e sulla giustizia che tuttora perdura. Di fatto le argomentazioni degli avvocati, tutte di respiro generale e di grande livello, occupano ben due settimane di udienze - uno spazio inusitato in un normale processo.
Quale sarebbe stato lo spirito con cui la Corte avrebbe gestito (e concluso) il dibattimento apparve subito chiaro dalla striminzita ordinanza con la quale essa rispose implacabilmente di no a tutte le eccezioni prospettate. Tutti i serissimi problemi che hanno da sempre attraversato il processo (a cominciare dalla competenza romana per finire con la stessa mancanza di sufficiente determinatezza del capo d'imputazione relativo ai reati associativi) vengono ritenuti insussistenti, con un atteggiamento di aperto fastidio, quasi costituissero banali escamotages avvocateschi volti solo a perdere tempo. (v. APPENDICE).
Per la prima volta prendono la parola gli imputati con una dichiarazione in cui ribadiscono il valore di questa fase processuale e pongono l'accento sulla centralità del problema ``reato associativo'', sulla necessità cioè di uscire, nell'ambito del dibattimento, dalle nebbie che circondano il tema della O., denunciando la "vanificazione sostanziale del diritto di difesa" che si verificherebbe - e si "verificherà" puntualmente - qualora i reati associativi non venissero discussi sulla base di indispensabili determinazioni spaziali, temporali e di struttura.
23. "INTERROGATORI"
Tra marzo e giugno (quando il processo viene sospeso in seguito all'elezione di Negri) inizia, in ordine alfabetico, l'interrogatorio degli imputati. O meglio, secondo la consueta etichetta giornalistica, degli imputati ``minori''. Minori certamente per l'interesse che viene loro rivolto dai media, non certo per la severità riservata loro fin lì dai giudici e confermata del resto nella sentenza finale. A parte le accurate (e appassionate) cronache di Rossanda sul Manifesto, i loro interrogatori che spesso occupano intere udienze sono seguiti distrattamente (malgrado episodi di rilievo, come lo sciopero della fame indetto da Vesce, a conclusione del suo, per protesta contro la lunghezza della carcerazione preventiva). L'attesa è tutta per l'imputato ``maggiore''; ma vi è anche un'obiettiva difficoltà a raccappezzarsi, perché proprio il susseguirsi degli interrogatori dimostra, meglio di qualsiasi documento difensivo, la verità di quanto sostenuto da sempre dagli imputati. Che cioè il processo ammucchia e conf
onde storie del tutto diverse, talora connesse ad ambiti organizzativi ma diversi tra loro, talaltra addirittura estranea a qualsiasi ipotesi di organizzazione comunque configurabile.
Non v'è dubbio che l'assorbente attenzione dedicata al protagonista numero uno, alle sue imputazioni così come alle "sue" scelte infra ed extraprocessuali, abbia compresso in un unico destino preconfezionato le possibilità di difesa dell'insieme degli imputati.
24. "INTERROGATORIO ED ELEZIONE NEGRI"
Tra maggio e giugno procedono, in pieno parallelismo, l'interrogatorio di Negri e la campagna elettorale che vede lo stesso Negri candidato nelle liste radicali, come simbolo di una battaglia per la ``giustizia giusta'' che vede per l'appunto in quel momento il suo decollo e che è incentrata allora, sul tema della carcerazione preventiva. Tema centrale, non unico: accanto ad esso quelli che troveranno più ampio sviluppo in successive vicende (processo NCO soprattutto): maxiprocessi, uso e abuso dei pentiti, ecc., fino a fare finalmente della giustizia un punto principale dell'agenda politica del paese. Intanto, la battaglia sulla carcerazione preventiva impostata con la candidatura Negri avrà un primo risultato, esattamente un anno dopo, con la legge che ne dimezza i termini massimi (da dodici a sei).
Il 23 giugno Negri viene eletto in tre circoscrizioni. Il 12 luglio successivo il neo deputato viene scarcerato.
25. "NUOVI MANDATI DA CALOGERO"
Praticamente lo stesso giorno dell'elezione di Negri, con una coincidenza temporale davvero impressionante, si rifà vivo il PM Calogero. Il 21 giugno egli emette, da Padova una nuova raffica di mandati di cattura nei confronti di alcuni dei vecchi imputati 7 aprile, con un'imputazione solo apparentemente nuova, ma che è in realtà la pura e semplice duplicazione di vecchie accuse (di cui oltretutto s'era egli stesso spogliato anni prima). Egli accusa cioè Negri ed altri della detenzione di armi (ritrovate nell''80 e attribuibili ai Collettivi veneti, sulla base del puro e semplice presupposto dell'essere costoro i pretesi ``dirigenti'' dei Collettivi medesimi. Un'imputazione assurda e iperemergenzialista, di cui la Corte di assise padovana, quando sarà il momento del giudizio, farà completa giustizia, non solo negando che gli imputati fossero dirigenti dell'organizzazione citata, ma soprattutto escludendo con decisione che da quell'ipotetica qualifica possa discendere automaticamente una responsabilità per il
diverso reato di detenzione d'armi.
Ciò però nell''86. Intanto, nel giugno '83, ecco un estremo gesto rivelatore dello spirito che anima Calogero. Un gesto palesemente intriso questa volta della stizza di vedere i ``propri'' vecchi imputati al centro - con la candidatura radicale di Negri - di una importantissima discussione con l'intera opinione pubblica sullo stato della giustizia in Italia, dopo anni di cultura, legislazione e giurisdizione d'emergenza. (v. APPENDICE).
26. "LA VICENDA NEGRI ALLA CAMERA"
I poco più di due mesi che intercorrono tra la scarcerazione di Negri e la votazione della Camera che ne decide l'arresto costituiscono un periodo intenso ma talmente noto e svoltosi letteralmente sotto gli occhi di tutti da non richiedere in questa sede che un cenno di richiamo.
La straordinaria solerzia con cui la Giunta per le autorizzazioni a procedere istruisce il caso Negri, escludendo l'esistenza di qualsiasi fumus presecutionis nella quasi ventina di procedimenti in cui è coinvolto; l'apertura della discussione in aula e l'intervento dello stesso Negri; la proposta di un rinvio della votazione sull'arresto alla pronuncia della sentenza di primo grado; la votazione che respinge per pochi voti quella proposta (con la astensione, tranne Melega, dei radicali in omaggio al codice di comportamento del gruppo); le notizie ormai circolanti sulla fuga di Negri, la definitiva votazione sull'arresto. E infine l'amara coda di questa parte della vicenda: le ambigue dichiarazioni iniziali di Negri che sembrano ancora prospettare un'autoconsegna che amplificherebbe il fronte della campagna sulla giustizia; le interviste dalla Francia che chiudono definitivamente la parabola apertasi la primavera precedente.
27. "RIPRESA DEL PROCESSO"
Il 23 settembre si riaprono i battenti dell'aula del Foro italico. La fuga di Negri pesa come un macigno sul processo e l'ovvia presa di distanza da parte dei coimputati raccoglie qualche distratta e ipocrita espressione di circostanza da parte dei media ma non sposta di un millimetro l'atteggiamento della Corte che respinge implacabilmente la richiesta avanzata il mese successivo di concessione degli arresti domiciliari, ad imputati che attendono da più di quattro anni la sentenza di primo grado.
Prosegue fino a concludersi l'interrogatorio degli imputati. Alla fine saranno sfilati davanti alla Corte una cinquantina di imputati di cui una quindicina detenuti. Gli altri risultano latitanti. Si tratta di latitanti della prima ora, cioè di persone sfuggite all'arresto e riparate all'estero. Tranne Negri e Scalzone, nessuno degli altri scarcerati (per lo più per decorrenza termini) si è dato alla fuga. Per completare il dato statistico sugli imputati, conviene precisarne anche la distribuzione secondo le imputazioni. Ben "quaranta" risultano imputati di solo reato associativo. E' questo un dato importantissimo per comprendere la natura di questo processo. In nessun altro processo per terrorismo di quegli anni risultano proporzioni del genere; anzi le imputazioni meramente associative sono del tutto eccezionali. Ciò corrisponde d'altra parte alla natura del fenomeno giudicato. Bande armate o gruppi insurrezionali che non commettano alcun reato specifico (fosse pure quello minimo dei reati cosiddetti strum
entali) sono più probabilmente invenzioni giudiziarie che realtà effettive. Imputati che non risultano responsabili neppure in via indiziaria di alcun reato specifico - magari solo a titolo di ``istigazione'' o magari per ``concorso morale'', purché inteso in senso proprio - sono più probabilmente perseguiti per le loro opinioni che per condotte penalmente apprezzabili.
Concluso comunque l'interrogatorio degli imputati, inizia l'esame dei testimoni. Sfila, fino all'interruzione natalizia, il Gotha del pentitismo italiano, che peraltro viene ascoltato nella maggioranza dei casi, per riferire le proprie opinioni e i propri sentiti dire. Ben pochi sono i testi che possono riferire per esperienza diretta e sono proprio tra quelli le cui deposizioni si risolvono in veri boomerang per l'accusa. E' il caso di Romito (il teste ``originario'' del processo) o di Morandini.
Ma ormai il disinteresse attorno al processo è divenuto palpabile nella enorme aula vuota di giornalisti e di pubblico (mentre rimane grottescamente imponente lo schieramento di polizia, schierato quotidianamente nel percorso da Rebibbia e attorno al Foro italico). Solo l'apparizione del teste-chiave, Fioroni, potrebbe riaccendere i riflettori. (v. APPENDICE).
28. "LA SPARIZIONE DI FIORONI"
Per il 10 gennaio '84 il Presidente della Corte ha messo in calendario l'audizione centrale di tutto il processo, quella di Fioroni. Ma alla ripresa del processo, la notizia bomba: Fioroni risulta irreperibile.
Cos'era esattamente accaduto e quali conseguenze avrà quest'assenza sul prosieguo e sull'esito del processo?
Rispondere alla prima domanda è ancora oggi tutt'altro che semplice anche se i fatti a grandi linee sono chiari. "Tutti" i pentiti, sia in processi di terrorismo che in quelli di criminalità organizzata, si sono regolarmente presentati in aula, anche quando erano a piede libero e quando andavano ad accusare organizzazioni davvero temibilissime. L'eccezione di Fioroni avrebbe dunque dovuto costituire oggetto di un'indagine severissima. Tutt'al contrario. E' un vero muro di gomma che viene opposto a chi vuole capirci qualcosa. Solo la testardaggine di alcuni osservatori riesce a ricostruire almeno parzialmente i fatti. Il lettore potrà vedere tale ricostruzione nel testo qui pubblicato della denuncia presentata alla Procura di Roma da Luigi Ferrajoli, Carla Mosca e Rossana Rossanda. Il punto principale rimane con tutta evidenza il primo ``espatrio'' in Svizzera di Fioroni, con un passaporto ``di copertura'' rilasciato dai Servizi in base a ``direttive'' del Presidente del Consiglio dell'epoca (Spadolini) ``per
la protezione dei pentiti''. Un passaporto di copertura, cioè falso, è per l'appunto ciò di cui i Servizi dotano talora i propri agenti. E' questo il caso di Fioroni? E se non è così, perché questa procedura solo nel suo caso?
E' assai più facile rispondere al secondo ordine di questioni. La sparizione di Fioroni non ha alcun apprezzabile effetto sul processo. Non solo nel senso che la Corte decide, malgrado la vivacissima opposizione dei difensori, di mantenere formalmente tra le carte i verbali istruttori di costui, ma perché gli stessi verbali continueranno a costituire la base sostanziale su cui si fonderà il verdetto finale. (v. APPENDICE).
29. "PROCESSO INCIDENTALE SUL CASO SARONIO"
Febbraio. La residua speranza, ormai ridotta al lumicino, da parte degli imputati di partecipare ad un processo "equo", di avere cioè a che fare con una Corte non pregiudizialmente ostile - una speranza che è nient'altro che una condizione elementare di qualsiasi processo in uno stato di diritto - vine definitivamente spenta da un estremo, gravissimo episodio processuale. Si tratta dell'incriminazione con relativo processo incidentale ed immediata condanna di una testimone escussa dalla difesa, in relazione ad un punto chiave del processo, il sequestro Saronio. La teste è una partecipante alla riunione che aveva preceduto il sequestro, ma non aveva osato fin lì farsi avanti. Su un particolare della sua versione (il numero dei partecipanti alla riunione) contrastante con quello fornito da altro teste, ma ``pentito'' (Borromeo) e senza alcun altro elemento di riscontro, il PM incrimina la testimone e la Corte prontamente la condanna.
Non poteva esserci anticipazione più plateale della presunzione di colpevolezza che peraltro la Corte stessa aveva esibito fin dall'inizio del dibattimento. Il giorno successivo, un folto gruppo di imputati chiede formalmente ai giudici togati di "astenersi" dalla conduzione ulteriore del dibattimento, con una dichiarazione che documenta le ormai numerose circostanze nelle quali è emerso oltre ogni ragionevole dubbio il pregiudizio colpevolista dei magistrati. E' un gesto drammatico, estremo e naturalmente ``simbolico''. La Corte accantona l'istanza e decreta la continuazione delle udienze.
30. "CHIUSURA DEL DIBATTIMENTO"
E' finita. In marzo la Corte decide la chiusura del dibattimento. Tutte le istanze istruttorie per l'audizione di altri testi vengono respinte in blocco. Un decisione che potrebbe apparire ragionevole visto l'ormai elevato numero di udienze raggiunto e l'alto numero di testi già escussi. O meglio, potrebbe apparir tale se si trattasse del processo Negri, come i media sono abituati a considerarlo. Ancora una volta a pagare la spettacolarità del processo sono gli imputati cosiddetti minori. Vi sarà qualcuno (come Vesce) che vede concludersi il dibattimento senza che "un solo" teste a difesa venga ammesso a deporre e tutti si vedono drasticamente ridotto lo spazio per una reale difesa individuale.
E' la stessa logica che impronta la chilometrica arringa del PM, Marini: quasi tre settimane di arringa incentrate sulla figura del principale imputato. E a conclusione della quale, peraltro, lo stesso PM si vede costretto a chiedere l'assoluzione degli imputati per il reato d'insurrezione - il reato che era servito a consolidare la competenza romana e ad infliggere anni (sono ormai 5) di carcere ``preventivo''.
In attesa della sentenza compare l'ultimo dei vari ``appelli'' che hanno punteggiato la storia del processo. Lo ripubblichiamo in APPENDICE. Avrà lo stesso ascolto, nullo, dei precedenti.
31. "SENTENZA ROMANA DI PRIMO GRADO"
Il 12 giugno, dopo circa venti giorni di camera di consiglio, viene pronunciata la sentenza. Ne pubblichiamo in APPENDICE uno specchietto riassuntivo. Il dispositivo si commenta da solo. Cinque secoli di carcere vengono comminati all'insieme degli imputati. Le richieste del PM vengono sostanzialmente accolte per intero. Tutti gli imputati di reati specifici vengono ritenuti responsabili di tutti i reati ascritti, a cominciare dal sequestro Saronio. La prova naturalmente riposa per intero sulla parola di Fioroni e di Casirati. Quanto ai reati associativi ``si può desumere - come scrive l'ineffabile Neppi Modona - che i giudici abbiano ritenuto che la banda armata e l'associazione sovversiva - per altro "mai definita con esattezza" e senza un nome preciso - rivestivano notevole gravità, posto che le pene inflitte sono vicine ai massimi previsti dalla legge e che solo in sei casi la carcerazione preventiva è stata trasformata negli arresti domiciliari''.
L'insieme dei commenti giornalistici trapela soddisfazione. E si capisce: la condanna degli imputati suona come assoluzione per gli stessi giornali che li avevano ritenuti colpevoli dal primo giorno e a nessuno interessa ricordare "per che cosa" fossero ritenuti colpevoli allora o capire "perché" lo siano oggi. Beninteso, quasi tutti i commenti usano la formula di cautela dell'attesa della motivazione. Quando, circa un anno dopo, la motivazione verrà pubblicata, "nessuno" (a cominciare dal succitato Neppi) sentirà il dovere di rispettare l'impegno preso pubblicamente. L'unico commento a noi noto sarà quello di L. Ferrajoli che perciò ripubblichiamo in APPENDICE.
32. "LEGGE SULLA PREVENTIVA E SCARCERAZIONE IMPUTATI"
Poco più di un mese dopo la sentenza di primo grado viene promulgata la legge sulla carcerazione preventiva (ora ``custodia cautelare'') che si può a buon diritto considerare un frutto - l'unico positivo - delle polemiche nate attorno al 7 aprile. In forza della nuova legge tutti gli imputati ancora detenuti vengono via via scarcerati (in relazione a quel processo) nel corso dell'anno successivo. (v. APPENDICE).
33. "SENTENZA PRIMO GRADO DEL TRONCONE VENETO"
Nel gennaio '86 giunge a sentenza di primo grado anche il troncone veneto del 7 aprile. La motivazione, un nuovo voluminoso plico di 1.500 pagine, viene depositato nel novembre dello stesso anno.
Si tratta di un punto di svolta di grande importanza nella storia complessiva del 7 aprile. Seguito personalmente dallo stesso Calogero, che giunge persino a ricusare un primo presidente della Corte, ottenendone l'astensione, il processo si svolge in un clima un po' meno avvelenato dai fumi dell'emergenza. E si conclude con una importante critica, nel metodo e nel merito, dell'impostazione calogeriana. Nel metodo, perché con pacatezza la sentenza riafferma i peraltro normalissimi criteri di assunzione e valutazione delle prove nel processo penale, respinge le suggestioni ``deduttive'', riconferma la centralità dell'oralità e immediatezza del dibattimento contro l'abnorme predilezione ``documentale'' dell'accusa, ricerca di volta in volta verifiche alle dichiarazioni dei pentiti.
Quanto al merito la Corte affronta, proprio perché costrettavi dall'impostazione dell'accusa, alcuni punti nodali del 7 aprile giungendo a conclusioni sostanzialmente non dissimili a quelle della sentenza Palombarini. In particolare conclude per l'irrilevanza penale delle attività di Potere operaio nel suo insieme ed esclude responsabilità diretta dei docenti dell'Istituto di Dottrina dello Stato dell'Università di Padova nell'attività dei gruppo locali di autonomia.
Pressoché inutile aggiungere che sia del dispositivo che della lunga e articolata motivazione la stampa nazionale non farà la minima menzione.